Obbligazioni vendute, ricavato smistato a terzi. Banca condannata a risarcire, nonostante l’assoluzione penale per il direttore

Evitata la beffa per i titolari di un conto corrente, che già in primo grado avevano visto respinta la propria richiesta di ottenere ristoro per i danni subiti. I soldi ricavati dalla vendita erano stati parzialmente accreditati su un altro conto corrente. Contestazioni sulle sottoscrizioni di vendita e accredito. Ma le valutazioni in ambito penale, sull’accusa di furto a carico del direttore della filiale, non si ripropongono in ambito civile.

Obbligazioni vendute, come da programma, ma parte del ricavato viene accreditato nel ‘salvadanaio’ di una terza persona. A rimetterci le penne, economicamente parlando, i titolari di un conto corrente attivato nella filiale di una importante banca. Esiste però una exit strategy il risarcimento da parte della banca. Che viene ritenuto legittimo – chiarisce la Cassazione, con sentenza n. 5626, Prima sezione Civile, depositata oggi – anche se, in ambito penale, il direttore della filiale è stato assolto per l’identica vicenda. Rivoli di denaro. L’amara sorpresa, per i titolari di un conto corrente di una importante banca, è l’accreditamento solo parziale del ricavato ottenuto dalla vendita di diverse obbligazioni. Dov’è finito il resto? Esso è stato ‘consegnato’ ad un altro correntista. Tutto ciò nell’ambito di una operazione di pegno dei titoli, a garanzia di anticipazioni bancarie . Logica la ribellione dei correntisti beffati, accompagnata dalla richiesta, in ambito giudiziario, del risarcimento dei danni , dell’ annullamento del contratto di pegno e del disconoscimento della firma apposta agli ordini di vendita e di accredito . Ritorno al passato Ma la battaglia è più complessa di quanto possa apparire Difatti, in primo grado, la richiesta viene respinta, anche tenendo presente quanto sostenuto dalla banca, ossia che il direttore della filiale incriminata, che aveva seguito il rapporto , era stato assolto dal reato di furto e truffa in sede penale . Di diverso avviso, invece, i giudici di secondo grado, che riformano la sentenza del Tribunale e condannano la banca a pagare ai correntisti truffati oltre 60mila euro, riportando i soggetti danneggiati nella situazione anteriore al comportamento illecito . Banca KO. A tenere aperta la questione è, ovviamente, la banca, che presenta ricorso in Cassazione, contestando il risarcimento riconosciuto dai giudici. Diversi gli elementi portati dal legale della banca, su tutto la sentenza penale emessa nei confronti del direttore della filiale e le contestazioni sulle sottoscrizioni relative agli ordini di vendita e di accredito . E, comunque, anche il quantum stabilito a favore dei correntisti viene messo in discussione Per i giudici di Cassazione, però, la prospettiva lanciata dal legale della banca non è accettabile. Soprattutto per una ragione Difatti, pur richiamando la pronunzia penale, che aveva visto assolto il direttore della filiale dal delitto di furto della somma di denaro ricavata dalla vendita delle obbligazioni costituite in pegno – perché ritenuta insufficiente la prova della falsità delle sottoscrizioni apposte in calce agli ordini di vendita delle obbligazioni e alla richiesta di accredito a favore di un correntista diverso –, viene ricordato che a quel procedimento non aveva partecipato la banca quindi, non sussistono i presupposti per l’effetto preclusivo del giudizio penale , ossia il presupposto oggettivo relativo all’accertamento effettuato in sede penale e quello soggettivo relativo alla identità delle parti nel processo penale e civile . A margine, poi, vengono anche rigettate in toto le osservazioni sulla autenticità delle sottoscrizioni. E, infine, sulla quantificazione del danno, viene chiarito che è legittima la decisione di condannare la banca a corrispondere la somma accreditata sul conto corrente ‘estraneo’, perché i titoli, pur soggetti alla garanzia pignoratizia , sono stati alienati e parte del ricavato accreditato su conto corrente di terzo a seguito di falsità delle firme giusto, per i giudici, rimettere i soggetti danneggiati nella medesima situazione anteriore al comportamento illecito del danneggiante .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 18 gennaio – 6 aprile 2012, n. 5626 Presidente Carnevale – Relatore Dogliotti Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato in data 15 dicembre 2001, Mancin Massimo e Marisa convenivano in giudizio la Banca Popolare di Novara, Soc. Coop. a R.L., per sentirla condannare al risarcimento dei danni derivati dalla vendita di obbligazioni CECA ed ENEL ed accredito di parte del ricavato su conto corrente intestato a Torti Gian Franco, nell’ambito di un’operazione di pegno dei predetti titoli, a garanzia di anticipazioni bancarie effettuate sul suindicato conto corrente chiedevano altresì la dichiarazione di nullità o l’annullamento del contratto di pegno Mancin Massimo disconosceva la firma in calce agli ordini di vendita e di accredito. Costituitosi il contraddittorio, la Banca Popolare di Novara, cui in corso di causa si sostituiva la Banca Popolare di Verona e Novara, Soc. Coop. a R.L., chiedeva rigettarsi ogni domanda proposta, sostenendo che il direttore della filiale in Tortona della banca. A.O., che aveva seguito il rapporto con gli attori, era stato assolto dal reato di furto e truffa in sede penale per i fatti dedotti, e che le firme erano autentiche. Il Tribunale di Tortona, con sentenza 2-12 febbraio 2007, rigettava le domande dei M. Proponevano appello M.M. e M. Costituitosi il contraddittorio, il Banco Popolare Soc. Coop. a R.L. già Banca Popolare di Verona e Novara ne chiedeva il rigetto. La Corte d’Appello di Torino, con sentenza 6 novembre 2009-15 gennaio 2010, in riforma dell’impugnata sentenza, condannava la banca al pagamento in favore degli appellanti della somma di euro 62.749, 51. Ricorre per cassazione il Banco Popolare, sulla base di nove motivi. Resistono, con controricorso, M.M. e M. Il ricorrente ha depositato memoria per l’udienza. Motivi della decisione Appare infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, per mancata formulazione delle censure in rubrica ai motivi 2, 4, 5, 7, 9 nelle rubriche è presente il riferimento alle norme asseritamente violate, e tale violazione è comunque oggetto di trattazione nell’ambito di ciascun motivo. Con i primi due motivi, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 1306 e 2909 c.c., nonché vizio di motivazione, in quanto la sentenza penale, emessa nei confronti di Ortolano Antonio, avrebbe precluso ogni possibilità di decisione in sede civile. I motivi vanno rigettati, in quanto infondati. Come già aveva chiarito il Giudice a quo, l’O., già vice direttore della filiale di Tortora, della Banca Popolare di Novara, era stato assolto dal delitto di furto della somma di denaro ricavata dalla vendita delle obbligazioni costituite in pegno, ai sensi dell’art. 530, comma secondo, c.p.p., avendo il Giudice penale ritenuto insufficiente la prova della falsità delle sottoscrizioni attribuite a M.M., apposte in calce agli ordini di vendita delle obbligazioni e alla richiesta di accredito a favore del conto corrente intestato a T.G.F. a sua volta prosciolto per morte del reo al processo penale non aveva partecipato la Banca Popolare di Novara. Non sussistono dunque i presupposti oggettivo, inerente all’accertamento effettuato in sede penale, e soggettivo, relativo all’identità delle parti nel processo penale e civile necessari per la sussistenza dell’effetto preclusivo del giudizio penale, secondo orientamento giurisprudenziale, ampiamente consolidato tra le altre, Cass., n. 20325 del 2005 Cass., n. 10575 del 1997 . E’ appena il caso di precisare che, pronunciando l’assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma secondo c.p.p., il Giudice penale non poteva evidentemente decidere sulla domanda risarcitoria, formulata dalle parti civili. I motivi terzo, quarto e quinto, attengono a violazione di legge art. 115 e 116 c.p.c. 2727 e 2729 c.c. 61, 215, 220 c.p.c. e vizio di motivazione, in ordine alla prova della falsità o genuinità delle sottoscrizioni di M.M. Lamenta, il ricorrente che la Corte di merito si sia limitata a recepire acriticamente i risultati della consulenza grafologica espletata, senza considerare ulteriori elementi probatori. I motivi vanno rigettati, in quanto infondati. Non si ravvisa violazione alcuna delle norme suindicate, in relazione alle quali, del resto, l’argomentazione sviluppata appare inadeguata. Va ricordato l’orientamento giurisprudenziale consolidato per tutte, Cass., n. 2404 del 2000 , per cui il Giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento dalle diverse risultanze di causa, considerate più attendibili ai fini della decisione, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli elementi probatori non accolti. Richiama la Corte d’Appello, con motivazione adeguata e non illogica, l’esito della consulenza tecnica espletata, precisando in particolare che la banca non ha rivolto critiche specifiche all’operato del c.t.u., né ha prodotto proprie contrarie relazioni di parte, limitandosi a presentare la relazione del perito, nominato nel processo penale. I motivi sesto e settimo attengono a violazione dell’art. 1372 c.c. e vizio di motivazione. Afferma la banca ricorrente l’assenza totale di responsabilità, perché, comunque, sulla base del contratto di pegno intercorso con i M., essa poteva vendere i titoli ‘‘senza formalità’’, e di tale profilo, ancorché dedotto, non ha tenuto conto il Giudice a quo. I motivi appaiono inammissibili per totale inconferenza alla fattispecie. Come emerge con chiarezza dalla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di merito, la vendita dei titoli non si verificò ‘‘senza formalità’’, secondo il contratto di pegno, ma mediante l’utilizzo di ordini di vendita, raffigurandone la provenienza diretta dai clienti, con la falsificazione delle firme. I motivi ottavo e nono attengono a violazione degli artt. 1218, 2043, 1223, 2056 c.c., nonché vizio di motivazione, in ordine alla quantificazione del danno. I motivi vanno rigettati, in quanto infondati. La Corte d’Appello ha condannato la banca a corrispondere agli odierni resistenti la somma di euro 62.749,51, accreditata sul conto corrente intestato a T.G.F. A nulla rileva che siano stati venduti titoli comunque soggetti alla garanzia pignoratizia, in quanto, come si è detto, essi sono stati alienati e parte del ricavato accreditato su conto corrente di un terzo , a seguito di falsità delle firme sugli ordini di vendita e accreditamento. Il Giudice a quo ha correttamente rimesso i soggetti danneggiati nella medesima situazione anteriore al comportamento illecito del danneggiante. Conclusivamente, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per onorari ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.