Furto nelle cassette di sicurezza: se non prova il caso fortuito la banca è responsabile

Per escludere la colpa della banca non basta una prova generica della sua diligenza l’istituto deve fornire la prova liberatoria del caso fortuito o dell’evento imprevedibile. E il furto non rientra in queste ipotesi.

In caso di furto di numerose cassette di sicurezza, poste all’interno del caveau di una banca, spetta a quest’ultima dimostrare la propria diligenza professionale, mentre i clienti non sono tenuti a provare la colpa grave del custode. Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28835 del 27 dicembre scorso. La vicenda. Ladri particolarmente abili o misure di sicurezza insufficienti? Quel che è certo è che alcuni malviventi si sono introdotti nel caveau e hanno operato indisturbati per alcune notti di un’estate di circa vent’anni fa, svuotando numerose cassette di sicurezza di una filiale bancaria. La vicenda giunge ora in Cassazione, dopo che nei due gradi di giudizio ha ottenuto soluzioni opposte in primo grado il Tribunale ha accolto le domande dei proprietari delle cassette di sicurezza, volte a ottenere il risarcimento dei danni subiti per la perdita dei beni depositati, mentre la Corte d’appello ha ribaltato la decisione, ritenendo la banca non responsabile. Le valutazioni – errate – della Corte d’appello. Tutto da rifare, secondo la Cassazione merita, infatti, accoglimento il ricorso dei proprietari delle cassette di sicurezza svuotate dai ladri. Le motivazioni della sentenza impugnata non convincono. Ecco perché. Secondo i giudici di merito il complesso di misure di sicurezza era oggettivamente adeguato a tutelare l’intangibilità delle cassette, e gli elementi di debolezza del sistema non giustificavano l’addebito di colpa grave della banca. Anche perché, sempre secondo la Corte territoriale, spettava agli attori, proprietari delle cassette, dimostrare tale colpa dell’istituto. In conclusione, il furto non denotava di per sé particolari negligenze della banca, ma solo la bravura dei ladri o comunque limiti oggettivi dei sistemi di sicurezza, non imputabili alla banca stessa. La Cassazione è, invece, di parere opposto, in conformità, peraltro, ad un precedente filone giurisprudenziale. La presunzione di responsabilità grava sul debitore l’onere della prova liberatoria. In base ai principi generali sulla responsabilità contrattuale, ex artt. 1218 e 1228 c.c., è il debitore – cioè la banca – che per liberarsi ha l’onere di provare, in caso di inadempimento o ritardo, che l’impossibilità della prestazione è dovuta a causa a lui non imputabile, non essendo sufficiente a dimostrare l’assenza di colpa la prova generica della sua diligenza . Solo il caso fortuito libera la banca, e il furto è evento prevedibile. Posto che, nel caso di specie, si è in presenza di un rapporto contrattuale con cui la banca assume la responsabilità di custodire i beni depositati nelle cassette di sicurezza, è solo il caso fortuito che libera la banca da tale responsabilità ma il furto non rientra in questa ipotesi, essendo evento prevedibile. Il giudice di appello, dunque, ha errato nel porre a carico dei clienti l’onere di provare la colpa grave della banca. E’ la banca che deve chiarire perché il furto è stato possibile e dimostrare la propria diligenza. Spetta, infatti, alla banca, secondo le regole in tema di prova, ex art. 2697 c.c., chiarire le ragioni per le quali il furto è stato possibile nonostante le misure di sicurezza previste , nonché provare che si tratta di ragioni che escludono una sua condotta colposa. La S.C. precisa, quindi, che l’indagine del giudice di merito deve accertare se la banca ha fornito dimostrazione positiva di aver adempiuto all’obbligo di garantire la sicurezza dei locali e delle cassette, secondo la diligenza professionale di cui all’art. 1176, comma 2, c.c. Cosa che non è avvenuta nella fattispecie in esame. Nella sentenza impugnata, infatti, si riscontra un apprezzamento delle risultanze istruttorie capovolto , perché non indirizzato al predetto accertamento positivo, ma limitato alla constatazione che non emergeva la prova della colpa grave dell’istituto. Constatazione che, sulla base delle argomentazioni che precedono, non basta per ritenere la banca esente da responsabilità. A questo punto la parola torna alla Corte d’appello per una nuova decisione nel merito.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 ottobre – 27 dicembre 2011, n. 28835 Presidente Rovelli – Relatore Cristiano Svolgimento del processo Nelle notti comprese fra il 30 giugno ed il 3 luglio del 1989, ignoti ladri, penetrati nel caveau dell'agenzia 14 di Roma del Banco di Sicilia s.p.a., trafugarono, fra l'altro, il contenuto delle cassette di sicurezza, lì custodite, nella disponibilità di G.A. , M.C G. , F A. , B.A C. , M A. , M P. , A T.O.P. , G P. , G.E. , S P.J.D.G. , I G. , G.G.L. , F P. , R.P.M.L. , G B. , M S.B. , D B. , R S. , S G. , D.R.C.A. , L G. , M.A P. , M.C. , P G. e Lu St. . Costoro convennero in giudizio il Banco di Sicilia, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti per la perdita dei beni depositati nelle cassette. La Banca convenuta chiese il rigetto delle domande, deducendo l'assenza di propria colpa grave e l'applicabilità della clausola, inserita in tutti i contratti, che, in relazione a ciascuna cassetta di sicurezza, limitava la sua responsabilità risarcitoria alla somma di L. 1.000.000, da essa già offerta agli aventi diritto. Il Tribunale adito, con sentenza non definitiva del 2002, affermò che la convenuta era tenuta a rispondere integralmente dei danni, ma la Corte d'Appello di Roma, con sentenza del 5.5.05, in accoglimento del gravame immediatamente proposto dal Banco di Sicilia contro la decisione, respinse le domande. La Corte territoriale precisò in premessa che la clausola limitativa della responsabilità invocata dal Banco di Sicilia non influiva sul contenuto del contratto ma, eventualmente, sul quantum del risarcimento e che doveva ritenersi operante pur in assenza della causa di inimputabilità costituita dal fortuito, salva la prova, che in presenza di tale pattuizione gravava sui clienti, che l'evento si era verificato per il concorso di colpa grave della banca. Rilevò quindi che, ai fini dell'affermazione della responsabilità del Banco di Sicilia oltre il massimale indicato in detta clausola, era ininfluente l'argomentazione del Tribunale, secondo cui il furto non poteva essere definito evento incolpevole o caso fortuito, ed occorreva, piuttosto, orientare l'indagine all'accertamento dell'esistenza di condizioni idonee a dimostrare gli estremi della colpa grave nella condotta della banca. Affermò poi che la sussistenza di tale colpa andava fondatamente esclusa alla luce degli elementi di fatto emergenti dalla prova orale acquisita in primo grado e desumibili, ex art. 2727 c.c., dagli atti dell'indagine penale, sostanzialmente travisati o obliterati dal Tribunale. Ritenne, in particolare, che l'assunto del primo giudice, secondo il quale uno o più dipendenti della banca, seppure non identificati, avevano concorso al reato, perché altrimenti il furto sarebbe stato impossibile , costituisse mera petizione di principio, priva di sostegno probatorio. Passò quindi ad esaminare le misure di sicurezza approntate dalla banca e rilevò che i locali dell'agenzia erano blindati e dotati di allarme collegato alla Questura che la porta di accesso antitesoro era dotata di analogo impianto che la portaforte di accesso al caveau era munita di doppia chiave, combinazione e time lock che erano stati pure predisposti un controllo TV via cavo nonché una vigilanza periodica, con cinque visite diurne e cinque notturne affidate ad impresa specializzata che tutte le chiavi erano ben custodite che le indagini effettuate in sede penale avevano confermato che al momento del furto la portaforte era stata chiusa con entrambe le chiavi ed attivazione della combinazione e del time lock e che, una volta scattato l'allarme in questura, erano state attivate tutte le procedure di emergenza. Osservò che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, il fatto che, dopo lo scattare dell'allarme ed il piantonamento della sede dell'agenzia, non fossero emerse anomalie, non autorizzava a presumere che la segnalazione acustica fosse entrata in funzione dopo che i ladri si erano allontanati dal caveau, dovendosi piuttosto dar credito alla ricostruzione dei fatti contenuta nel rapporto di P.G., secondo cui i ladri erano stati messi in fuga proprio dal suono della sirena. Sostenne che il complesso delle indicate misure di sicurezza e delle procedure di emergenza previste ed attivate in occasione dell'evento fosse oggettivamente adeguato a tutelare l'intangibitità delle cassette di sicurezza, avuto riguardo alle possibilità tecniche ed ai criteri di esperienza acquisiti all'epoca dei fatti, e che tale conclusione non potesse trovare smentita nelle risultanze della ctu espletata in primo grado, che aveva riscontrato diversi punti deboli nel sistema di allarme, in quanto l'indagine tecnica era stata disposta a distanza di otto anni dal furto, quando il servizio delle cassette di sicurezza era stato dismesso e gli impianti di protezione erano stati per la gran parte smantellati, con la conseguenza che era legittimo dubitare che il ctu avesse adeguatamente valutato la situazione di fatto esistente al momento dell'evento. In risposta a specifici rilievi degli appellati, la Corte territoriale escluse poi che l'obsolescenza dell'impianto potesse trarsi dal contenuto della lettera della ADT del 25.5.81, cui avevano fatto riferimento il ctu ed il primo giudice, dalla quale si desumeva esclusivamente che la ditta si era riservata di sottoporre al Banco di Sicilia un'adeguata quotazione per l'aggiornamento delle centrali di gestione, proponendo nell'immediato un'implementazione del sistema che era stata attuata. Asserì, infine, che gli elementi di debolezza del sistema passaggio a vista del cavo elettrico per il collegamento con la Questura, mancanza di blindatura delle cassette di sicurezza, scarsa visibilità della televisione a circuito chiuso, presenza di un cono d'ombra rispetto alla telecamera non giustificavano l'addebito di colpa grave della banca, trattandosi di fattori di scarsa importanza nei meccanismi di difesa del caveau. Concluse, pertanto, che, in tale quadro probatorio, il fatto che i malviventi avessero agito indisturbati per diverse ore, sino alle 23,30 del 2 luglio, eseguendo il furto senza scasso, non denotava, di per sé, particolari negligenze o imprudenze det Banco di Sicilia, quanto piuttosto le capacità delinquenziali dei ladri o, comunque, limiti obiettivi dei sistemi di sicurezza, considerato che l'appellante aveva anche documentato due analoghi fatti criminosi verificatisi alcuni anni dopo, nei quali era emersa l'adozione, da parte degli autori del furto, di sistemi elettronici altamente sofisticati e idonei a neutralizzare gli impianti di allarme, sicché poteva fondatamente ipotizzarsi che anche nel 1989 era stata adottata la medesima tecnica, all'epoca sicuramente inedita, confermandosi, così, che alla banca non poteva addebitarsi altro che una colpa lieve. P.F. , R. , A. ed An. , eredi di M.L R.P. , deceduta in corso di causa, e tutti gli altri attori in primo grado, fatta eccezione per St.Lu. già contumace in grado d'appello , hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a quattro motivi ed illustrato da memorie. Il Banco di Sicilia s.p.a. ha resistito con controricorso. Unicredit s.p.a., in qualità di incorporante del Banco di Sicilia s.p.a., ha depositato memoria. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo, i ricorrenti, denunciando violazione degli artt. 1218, 1229, 1839 e 2697 c.c., lamentano che la Corte territoriale abbia posto a loro carico l'onere della prova della sussistenza della colpa grave della banca. Rilevano che, verificatosi l'evento furto che la banca ha contrattualmente l'obbligo di impedire, spetta a quest'ultima di provare l'idoneità della custodia dei locati ed, ancora, del verificarsi del caso fortuito e dell'evento inevitabile. 2 Col secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1176 comma 2, 1218, 1229, 1453 e 1455 c.c. nonché vizio di omessa motivazione, i ricorrenti lamentano che, partendo dall'erronea interpretazione delle richiamate norme di legge, la Corte abbia valutato il grado di colpa della banca prescindendo dalla causa e dalla natura del contratto tipico portato al suo esame e dunque dalla natura della principale obbligazione gravante sul banchiere, fornendo una sua propria valutazione della gravità della colpa ascritta alla banca che prescinde dai principi costantemente enunciati in materia dal giudice di legittimità. 3 I motivi che, essendo fra loro strettamente connessi, possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati e meritano accoglimento. 3.1 Con il contratto di cassette di sicurezza la banca assume la responsabilità riferita a prestazioni di custodia, dalla quale può essere liberata solo nell'ipotesi di caso fortuito, cui il furto è estraneo, essendo evento prevedibile sia in considerazione della natura della prestazione dedotta sia della professionalità dell'obbligato. In tale contesto, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, la clausola limitativa della responsabilità della banca, in relazione al valore delle cose custodite, integra un patto che si riflette sull'ammontare del debito risarcitorio e non sull'oggetto del contratto e che è soggetto alla disciplina dell'art. 1229 c.c., che ne commina la nullità ove escluda la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave. Tuttavia, in presenza di tale clausola, la questione della distribuzione dell'onere della prova non trova ragione di essere prospettata in termini diversi, rispetto alla disciplina che regola l'inadempimento delle obbligazioni contrattuali, come prevista dall'art. 1218 c.c., in forza del quale è il debitore che, per liberarsi dalla responsabilità, ha l'onere di provare, in caso di inadempimento o ritardo, che l'impossibilità della prestazione è dovuta a causa a lui non imputabile, non essendo sufficiente a dimostrare l'assenza di colpa la prova generica della sua diligenza Cass. n. 7081/05 . Infatti il citato art. 1228 c.c. va coordinato con l'art. 1218 c.c., che è norma generale del regime processuale della responsabilità contrattuale, in forza della quale la regola della presunzione della responsabilità non trova motivo di essere derogata, in difetto di norme scritte o di ragioni giustificative di una diversa interpreta zio ne dell'art. 1229 c.c. Cass. n. 7081/05 cit. . Il giudice d'appello ha dunque errato nell'affermare che, attesa la pattuizione della clausola limitativa della responsabilità del Banco di Sicilia, gravava sui clienti l'onere di provare la ricorrenza della colpa grave dell'istituto. 3.2} Secondo la corretta ripartizione dell'onere di cui all'art. 2697 c.c., spetta dunque alla banca di chiarire le ragioni per le quali il furto è stato possibile nonostante le misure di sicurezza previste e di provare che si tratta di ragioni escludenti una sua condotta gravemente colposa. In sostanza, in un'ottica volta a verificare il superamento della presunzione posta a carico dell'istituto di credito dall'art. 1839 c.c., l'indagine del giudice del merito deve essere diretta ad accertare se lo stesso abbia fornito dimostrazione positiva di aver adempiuto all'obbligo di garantire la sicurezza dei locali e delle cassette secondo la diligenza professionale richiestagli dall'art. 1176 comma 2 c.c., che gli impone di tenersi aggiornato sull'evoluzione delle specifiche soluzioni studiate allo scopo e di adottarle tempestivamente. La conclusione alla quale è pervenuta la Corte territoriale - che ha ravvisato una colpa lieve della banca, per non aver previsto e fronteggiato la possibilità che i ladri si dotassero di una strumentazione altamente sofisticata, atta a neutralizzare il sistema d'allarme ed a consentire l'accesso al caveau senza effrazione delle porte corazzate - avrebbe dunque potuto giustificarsi solo nel caso in cui fosse stato concretamente accertato che l'impianto installato dal Banco di Sicilia rispondeva alle più recenti prescrizioni in tema di sicurezza raccomandate dalle ditte operanti nel settore, ciò nonostante come in effetti ipotizza la sentenza, accennando a limiti obiettivi del sistema inidonee a garantire un livello di protezione al passo col progredire delle conoscenze tecniche in materia, tuttavia accessibili ad altri soggetti professionalmente attrezzati quali, come pure presume la sentenza, dovevano essere gli autori del reato . L'adozione dell'errata regola di giudizio circa la distribuzione dell'onere di cui all'art. 2697 c.c. ha invece indotto il giudice d'appello a ritenere il complesso delle misure di sicurezza e delle procedure di emergenza previste ed attivate in occasione dell'evento oggettivamente adeguato a tutelare l'intangibilità delle cassette di sicurezza, avuto riguardo alle possibilità tecniche ed ai criteri di esperienza acquisiti all'epoca dei fatti , in base ad un apprezzamento, per così dire, capovolto delle risultanze istruttorie, che, anziché essere indirizzato al predetto accertamento positivo e dunque alla verifica della effettiva riscontrabilità della diligenza dovuta dalla banca si è sostanzialmente arrestato alla constatazione che dagli atti non emergeva la prova della colpa grave dell'istituto. Così, ad es., le conclusioni del ctu sono state ritenute scarsamente attendibili in quanto non sorrette da una sufficiente valutazione della situazione di fatto esistente al momento dell'evento, nonostante dovesse imputarsi al Banco di Sicilia di aver disattivato l'impianto e smantellato l'apparato di sicurezza e, dunque, di aver reso estremamente difficoltosa l'indagine demandata al consulente. Analogamente, è stata ritenuto arbitrario desumere l'obsolescenza dell'impianto da una lettera proveniente da società specializzata, che, già nel 1981, si era riservata di sottoporre al Banco di Sicilia un'adeguata quotazione., per l'aggiornamento delle centrali di gestione , laddove, a fronte di tale lettera, sarebbe spettato alla banca di allegare, in via alternativa, di aver provveduto all'aggiornamento o di averlo fondatamente reputato superfluo. Più in generale, va rilevato come il giudizio sulla complessiva adeguatezza dell'impianto, avuto riguardo alle possibilità tecniche ed ai criteri di esperienza acquisiti all'epoca dei fatti, sia stato formulato dalla Corte di merito senza fare neppure un accenno a dette possibilità e/o criteri e senza chiarire se fosse stata comunque accertata la rispondenza agli standards esigibili nell'89 quantomeno delle singole componenti che evidenziavano punti di debolezza del sistema. L'accoglimento dei motivi comporta la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa, per un nuovo giudizio, alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, che valuterà le risultanze istruttorie attenendosi ai principi di diritto enunciati e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità. Restano assorbiti il terzo ed il quarto motivo di ricorso. P.Q.M. La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara assorbiti gli altri motivi cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, per un nuovo giudizio, alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.