Giusta durata del processo: le indagini preliminari si contano solo se l'imputato ne ha avuto conoscenza

Le indagini preliminari possono essere calcolate, al fine di determinare la durata del processo, solo se l'imputato prova di averne avuto conoscenza.

L'imputato può chiedere che vengano computate anche le indagini preliminari nel processo penale solo se dimostra di avere avuto conoscenza di esse prima del decreto di citazione. Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22922 del 4 novembre. La fattispecie. L'imputato di un processo penale per il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare chiedeva, in sede civile, l'equa riparazione per l'irragionevole durata del suo giudizio, ancora pendente al momento della domanda d'indennizzo. La Corte d'appello adita, tuttavia, rigettava la richiesta e l'uomo proponeva ricorso per cassazione. La ragionevole durata è era? un diritto risarcibile. Oggetto della domanda è il risarcimento dei danni derivanti dalla lesione di un diritto pacificamente riconosciuto, quello alla ragionevole durata del processo. Diritto di origine europea e recepito in Italia dalla Legge Pinto che però potrebbe venire notevolmente compresso, fino ad essere svuotato - nella pratica -di significato. Le recenti riforme, presentate nel maxiementamento alla ddl Stabilità, prevedono infatti che le parti di un processo troppo lungo possono ottenere soltanto il rimborso di un importo pari al contributo unificato niente più equa riparazione insomma. Ma finchè le norme sono ancora operative, l'indennizzo può ancora essere richiesto. Sempre che ne ricorrano i presupposti, cosa che non è avvenuta nel caso di specie. La giusta durata dei due gradi di giudizio? 5 anni. Secondo una giurisprudenza ormai consolidata, in conformità a quanto disposto dalla Cedu, la giusta durata di un processo, nei due gradi di giudizio, è pari a 5 anni. Nel caso in esame, la durata del procedimento penale è stata di quattro anni e quasi cinque mesi e, di conseguenza, la Corte d'appello ha respinto la domanda di indennizzo. Ciò che viene contestato dal ricorrente, però, è proprio il computo della durata del processo a suo dire, infatti, la sentenza impugnata avrebbe errato nell'escludere da tale computo le indagini preliminari e il periodo di tempo intercorso tra il deposito della sentenza di I grado e l'impugnazione. Le indagini preliminari possono essere computate nel processo solo se conosciute dall'imputato. La S.C., però, conferma le valutazioni operate dalla Corte territoriale. Quanto al primo aspetto, si precisa che l'imputato può chiedere il computo delle indagini preliminari nel processo penale solo se prova di avere avuto conoscenza di esse prima del decreto di citazione. Nel caso di specie, tale onere probatorio non è stato assolto. Il tempo tra deposito della sentenza e impugnazione non è imputabile all'Amministrazione giudiziaria. Anche il secondo motivo di ricorso viene rigettato. La citazione in appello deve avvenire entro un termine determinato, a pena di decadenza. Ma se l'imputato impugna la sentenza soltanto in prossimità della scadenza di tale termine, provocando così una dilatazione dei tempi processuali, la continuazione del processo per il periodo in cui l'impugnazione non è stata proposta dall'imputato, per mancanza di un'attività di impulso, deve essere addebitata all'imputato stesso e non all'Amministrazione giudiziaria. Il periodo 'sospeso' tra i due gradi di giudizio, insomma, non può essere calcolato, ai fini della durata del processo, se attribuibile a inerzia della parte. Il ricorso, quindi, viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 11 ottobre - 4 novembre 2011, n. 22922 Presidente Vitrone - Relatore Forte Fatto e diritto IN FATTO - G G., con ricorso del 6 luglio 2007, chiedeva alla Corte d'appello di Milano la condanna del Ministero della giustizia all'equa riparazione per la irragionevole durata di un processo penale a suo carico, iniziato da denuncia-querela della moglie separata del dicembre 1999, per il delitto ex art. 570 c.p. e proseguito dal P.M. con decreto di citazione in giudizio del 26 ottobre 2000 e fissazione dell'udienza dibattimentale il 15 gennaio 2002, nella quale era condannato in contumacia. La sentenza di primo grado del 21 gennaio 2002 era notificata il 24 settembre 2004 e contro di essa il G. proponeva appello il 19 ottobre dello stesso anno alla Corte d'appello di Torino dinanzi alla quale il processo ancora pendeva alla data della domanda. La Corte d'appello adita, con il decreto di cui in epigrafe, ha respinto la domanda per essere ragionevole la durata del processo presupposto, dal computo della quale era escluso il periodo precedente al decreto di citazione, solo dalla cui data 26.10.2000 si faceva decorrere il primo grado chiuso dalla sentenza del tribunale 21.1.2002 , non potendo attribuirsi alla amministrazione dello Stato il tempo dalla data della decisione nota all'imputato e da lui appellabile fino a quella della notifica del gravame avverso tale decisione in data 19.10.2004. Aggiunta alla prima fase rilevante per la durata di anni uno, due mesi e 25 giorni da ottobre 2000 e gennaio 2002, l'ultimo periodo del processo in appello di anni tre e mesi due 19.10.2004 -6.7.2007 , il decreto computa la durata complessiva dei due gradi del giudizio presupposto in anni quattro, mesi quattro e gg. 25, inferiore a quella di cinque anni ritenuta giusta dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, e la domanda di indennizzo era quindi respinta per difetto di lesione del diritto alla ragionevole durata del processo. 1. IL RICORSO - Per la cassazione di tale decreto, il G. propone ricorso di tre motivi 1 violazione dell'art. 360 n. 3 c.p.c., in rapporto all'art. 2 L. 14.3.2001 n. 89 e 6, & 1 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, per avere calcolato la durata del processo presupposto, non calcolando il tempo delle indagini preliminari 2 violazione delle norme che precedono e degli artt. 548, comma 3, e 585, comma primo, lett. d, c.p.p., per non aver addebitato all'organizzazione giudiziaria il tempo del processo dal deposito della sentenza del tribunale alla notifica dell'avviso di deposito e dell'estratto della sentenza, in quanto il termine di decadenza dell'impugnazione di cui al c.p.p. fa presumere l'ignoranza del provvedimento da appellare, prima della notifica di cui all'art. 548 c.p.p. e nessun concorso vi è dell'imputato alla durata del processo per tale fase c violazione delle norme citate della legge n. 89 del 2001 e della Convenzione dei diritti dell'uomo per non avere condannato il Ministero a pagare l'equo indennizzo da Euro 1000,00 ad Euro 1.500,00 annui secondo i parametri della Corte sopranazionale il Ministero della giustizia con il controricorso chiede il rigetto del ricorso. 2. La decisione - 2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato, avendo questa Corte precisato che l'imputato può chiedere il computo delle indagini preliminari nel processo penale presupposto se prova di avere avuto conoscenza di esse prima del decreto di citazione Cass. n. 2712/09, n. 17917/2010 e n. 22682/2010 , prova non data dal G. che non ha allegato neppure la data in cui avrebbe appreso delle indagini a suo carico. 2.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, perché le norme del c.p.p. che si affermano violate sono quelle che prevedono la decadenza dal diritto di impugnare esistente dal momento della conoscenza della sentenza fino al termine di cui al codice di rito, del quale ha fruito il G. per proporre l'appello, facendo durare di più tempo il processo a suo carico, in cui aveva nominato un difensore e scelto di assentarsi all'udienza in cui s'è letto il dispositivo di condanna, data da cui doveva presumersi che la motivazione sarebbe stata depositata nei quindici giorni successivi ai sensi dell'art. 544 c.p.p. o subito dopo la pronuncia. Il tempo usato dal G. per proporre l'appello è stato quello massimo previsto per legge ad evitare la decadenza dal diritto di impugnare, e quindi esattamente si è a lui attribuito la continuazione del processo per tutto il periodo in cui l'impugnazione non era stata proposta dall'imputato, cui era attribuibile il tempo conseguente a tale mancata attività di impulso. 2.3. Il terzo motivo di ricorso sulla liquidazione dell'equo indennizzo resta assorbito dalla conferma delle statuizioni che hanno negato l'esistenza del diritto all'indennizzo, per mancata lesione del diritto alla ragionevole durata del processo. Il ricorso deve quindi rigettarsi e per la soccombenza il ricorrente deve rimborsare le spese del giudizio di cassazione al controricorrente nella misura di cui al dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al Ministero della giustizia le spese del processo di cassazione che liquida in Euro 800,00 ottocento/00 , oltre alle spese prenotate a debito.