Nessuna esimente per il deputato che diffama al di fuori dell'esercizio delle funzioni parlamentari

Una serie di articoli pubblicati tra agosto e novembre 1982 su giornali e periodici nazionali. Frasi alterate di scritti e l'accostamento al terrorismo. Inevitabile la querela per diffamazione da parte di un magistrato nei confronti di un parlamentare che ripetutamente stravolge il senso di alcune frasi estrapolate da un volume scritto dal giudice ed edito nel 1978. La vicenda si snoda per anni davanti a diversi giudici fino ad approdare ad una sua parziale conclusione con la sentenza della Corte di Cassazione, n. 21969, depositata il 24 ottobre. Una lite durata anni. Negata nel 1987 dalla Camera dei deputati l'autorizzazione a procedere all'epoca prevista dal nostro ordinamento , alla conclusione del mandato del parlamentare il processo penale, in precedenza sospeso, era definito con sentenza della Corte di Cassazione, sez. V. penale, del 3 giugno 1993 n. 8375, che dichiarava estinto il reato di diffamazione per prescrizione. A questo punto, il magistrato adiva il giudice civile per ottenere il risarcimento del danno, ma anche questa domanda era respinta dal Tribunale di Roma con sentenza del 4 aprile 2000. Proposto appello, il giudice di merito ricostruisce la vicenda, accogliendo la posizione espressa con delibera della Camera dei deputati che aveva sancito l'insindacabilità degli scritti diffamatori, in quanto oggetto di esercizio della funzione di parlamentare. In altri termini, secondo la sentenza della Corte di appello di Roma n. 4091 del 29 settembre 2003, il comportamento del parlamentare sebbene illecito, non poteva comportare responsabilità dell'autore del fatto, per le esimenti di cui all'articolo 68, comma 1, Cost. Inoltre, la Corte territoriale non ha ritenuto di dover dar seguito all'istanza del magistrato appellante, pur avendo egli sollecitato il giudice a sollevare il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale. In particolare, il ricorrente sosteneva che l'atto parlamentare lo aveva privato del diritto di ottenere una sentenza di merito, comprimendo il potere dei giudici di decidere sulla domanda ed esorbitando dalle prerogative costituzionali del Parlamento, in assenza del necessario collegamento funzionale tra l'attività' di parlamentare e gli articoli di stampa in esame. L'intervento della Corte Costituzionale sul conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato non spettava alla Camera affermare l'esimente. Il diffamato non si arrende e propone ricorso per la cassazione della sentenza di appello ed incassa un primo parziale successo ad opera dei giudici del Palazzaccio che, con ordinanza interlocutoria, sollevano il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in ordine alla delibera della Camera dei deputati del 20 febbraio 2000 che aveva esentato da responsabilità il parlamentare, chiedendo alla Corte Costituzionale di dichiarare che non spettava alla Camera dei deputati deliberare che gli articoli diffamatori che avevano leso la persona del ricorrente costituivano opinioni espresse dal parlamentare nell'esercizio delle funzioni parlamentari. Dichiarato ammissibile il conflitto con ordinanza della Corte Cost. n. 62 del 2010, la stessa Corte con sentenza n. 97/2011, ha accolto l'istanza della S.C., dichiarando che non era compito della Camera dei deputati affermare che gli scritti del deputato concernevano opinioni espresse da un membro del parlamento nell'esercizio delle funzioni. L'errore dei giudici di merito niente esimente costituzionale per attività estranee all'esercizio delle funzioni parlamentari. I nodi proposti ai giudici della Cassazione sono quindi rilevanti, vista anche la sentenza dalla Corte Costituzionale che traccia le linee di confine entro le quali adottare la decisione. Male ha fatto la Corte di appello nel rifiutare di sollevare il conflitto di attribuzioni, qualificando esatta la delibera liberatoria del parlamento, in quanto si è attribuita funzioni che non le potevano spettare. Ciò risulta in maniera evidente dalla sentenza della Consulta che ha escluso l'applicabilità alla diffamazione per cui è causa dell'esimente costituzionale, negando che il Parlamento potesse esentare dalle conseguenze della sua condotta il deputato che aveva diffamato il magistrato in scritti che non potevano considerarsi espressione dell'esercizio delle funzioni di parlamentare , mancando il nesso funzionale e temporale di essi con le funzioni di deputato dell'intimato. Correttamente la S.C. censura il comportamento dei giudici di merito che, in violazione delle norme poste a tutela dei limiti sulla giusitiziabilità delle situazioni soggettive di terzi, hanno respinto la domanda del diffamato sul fondamento di una delibera parlamentare la cui correttezza contestata dall'appellante poteva essere accertata dalla sola Corte Costituzionale con il conflitto di attribuzioni, risolto dal giudice delle leggi con la espressa negazione della sussistenza dell'esimente dell'articolo 68, comma 1, Cost. nel caso concreto. Gli esiti della decisione rimossa l'esimente, sì a una pronuncia sulla richiesta di risarcimento. Il ricorso dunque viene accolto, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di appello di Roma in diversa composizione per la pronuncia sull'azione risarcitoria, nonché per le spese del giudizio in Cassazione e di quello incidentale dinanzi alla Corte Costituzionale. A distanza di trent'anni dai fatti contestati, con il deputato deceduto nelle more, sembra iniziata la tappa finale della vicenda. * Professore di Diritto dei Beni Culturali presso l'Università di Perugia

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 28 settembre -24 ottobre 2011, n. 21969 Presidente Rovelli - Relatore Forte Svolgimento del processo Il dr. S S., dopo avere querelato il parlamentare dr. C B. per averlo diffamato tra omissis in più articoli sul periodico omissis e sui giornali omissis e omissis , nei quali, con frasi alterate di scritti del querelante, aveva evidenziato una vicinanza e un sostegno di quest'ultimo al terrorismo, aveva richiesto in sede civile nel 1995 la condanna al risarcimento dei danni del diffamatore, dopo che la Cassazione penale, con sentenza del 3 giugno 1993, aveva dichiarato estinto il reato per prescrizione, rigettando le censure motivazionali sulla colpevolezza dell'imputato. Il Tribunale di Roma con sentenza del 4 aprile 2 000, aveva rigettato l'azione risarcitoria, con una chiara errata ricostruzione dei fatti riconosciuta all'esito del gravame dalla sentenza della Corte d'appello di Roma che, in ragione di una delibera della Camera dei deputati di insindacabilità degli scritti diffamatori del B. che avrebbe esercitato la sua funzione di parlamentare negli articoli di cui sopra, ha ritenuto non punibile l'illecito del convenuto per la esimenti di cui all'art. 68 della Cost., pur avendo l'appellante invano sollecitato la Corte di merito a sollevare il conflitto di attribuzione. Nella sentenza impugnata si afferma infatti a pag. 6 che, nella delibera viene posto in evidenza che il deputato B. , all'epoca dei fatti, a prescindere dalle manifestazioni di parlamentari organizzate dinanzi al carcere di omissis ove erano ristretti poliziotti dei N.O.C.S. arrestati, ha presentato una interrogazione al governo, di censura dell'emissione dei mandati di cattura di appartenenti alle forze dell'ordine da parte dei magistrati di Padova e ha chiesto testualmente in che modo il Governo si propone di contenere l'azione di noti magistrati politicizzati la cui azione contrasta con i principi costituzionali e determina legittimi dubbi nella certezza del diritto . La Corte territoriale, riprendendo la delibera del febbraio 2000 della Camera dei deputati, afferma che l'on. B. , nella replica alla risposta del rappresentante del governo . ebbe ancora a soffermarsi sulle idee politiche e sulle convinzioni filosofiche dei magistrati associati a magistratura democratica e agli atti congressuali che ne contenevano l'esposizione, non considerando che negli atti parlamentari non era riportato il nome del S. che poi era stato diffamato sugli articoli pubblicati molto tempo dopo. La Corte di appello non ha sollevato conflitto di attribuzione ed ha rigettato la domanda di risarcimento del danno, affermando che il comportamento dell'on. B. , sebbene illecito, non comporta responsabilità dell'autore del fatto , esentato ai sensi dell'art. 68, 1 comma, Cost. Per la cassazione della riportata sentenza della Corte d'appello di Roma, il S. ha proposto tempestivo ricorso notificato l'8 novembre 2004, con unico articolato motivo illustrato da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. e il B. non si è difeso in questa fase. Questa Corte , su sollecitazione del ricorrente, ha quindi con ordinanza interlocutoria n. 9656/09 del 17 marzo - 22 aprile 2009, sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in ordine alla delibera della Camera dei deputati del 20 febbraio 2000, che ha esentato da responsabilità il B. , chiedendo alla Corte Costituzionale di dichiarare che non spettava alla Camera dei deputati deliberare che gli articoli diffamatori che avevano leso la persona del dr. S. , costituivano opinioni espresse dall'on. B. nell'esercizio delle funzioni parlamentari, ai sensi dell'art. 68, primo comma Cost Dichiarato ammissibile il conflitto con ordinanza della Corte costituzionale n. 62 del 2010, la stessa con sentenza n. 97 del 21 - 24 marzo 2011, ha accolto la istanza di questa Corte di Cassazione, dichiarando che non spettava alla Camera dei deputati affermare che gli scritti del B. ritenuti diffamatori dal S. concernevano opinioni espresse da un membro del parlamento nell'esercizio delle funzioni. Motivi della decisione 1. Il ricorso denuncia violazione degli artt. 68, 1 comma, 24 e 134 della Cost., e dell'art. 6, 1 comma, della Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva in Italia con la legge 4 agosto 1955 n. 848 e omessa motivazione su punti decisivi della controversia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 e 5, c.p.c La sentenza della Corte d'appello lede il diritto di accesso alla giustizia del ricorrente, riconosciuto dall'art. 24 della Cost. e dall'art. 6, par. 1, della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, come interpretato dalla Corte Europea di Strasburgo da ora C.E.D.U. , che costituisce diritto vivente sovranazionale S.U. 26 gennaio 2004 n. 1338 . L'insindacabilità delle opinioni espresse dal parlamentare, a garanzia del pieno e libero esercizio delle sue attribuzioni, sia per la Corte costituzionale che per la C.E.D.U., può legittimamente incidere sulla giustiziabilità delle situazioni soggettive di terzi, solo se il comportamento illecito è collegato alle funzioni parlamentari e non se manca il nesso funzionale tra esso e gli atti del Parlamento. Deduce il ricorrente che la Corte Costituzionale ha riconosciuto il nesso tra attività parlamentare e opinione espressa al di fuori degli atti tipici del parlamento, nel caso degli articoli di stampa sopra richiamati, solo se l'illecito riproduca le manifestazioni del pensiero del membro del parlamento in danno di terzi contenute in detti, atti, pur non potendosi cristallizzare una regola generale per configurare quali siano gli abusi nell'esercizio di dette prerogative del parlamento. La C.E.D.U. poi ha precisato, nella sentenza 30 gennaio - 30 aprile 2003, sui ricorsi 40877 del 1998 e 45649 del 1999 Cordova c. Italia , che il sacrificio del diritto di agire del cittadino è giustificato se proporzionato alla esigenza di salvaguardia delle libertà del parlamento, ritenendo ingiustificato ogni impedimento all'azione, allorché il giudice nazionale sia stato sollecitato dalla parte e abbia rifiutato di sollevare il conflitto di attribuzione, per chiedere di rilevare se i poteri giurisdizionali siano stati indebitamente compressi dalla riconosciuta esenzione, essendo legittimata la sola Corte costituzionale a pronunciarsi sull'eventuale abuso di uno dei due poteri dello Stato in conflitto il ricorso richiama il punto 66 della sentenza della C.E.D.U. ora citata . La Corte territoriale, nel rifiutare di sollevare il conflitto di attribuzioni e qualificando esatta la delibera liberatoria del parlamento, si è attribuita quindi funzioni che non le spettano e comunque male esercitate, avendo errato nel giustificare la insindacabilità degli scritti diffamatori di controparte e l'esonero dalla responsabilità civile del B. per aderire alle conclusioni del Parlamento. La valutazione data dalla Corte territoriale alla condotta del B. ha violato, ad avviso del ricorrente, gli artt. 24, 1 comma, 68, 1 comma, 111, 6 comma, della Cost. e l'art. 132, 2 comma, n. 4 c.p.c., avendo assunto i giudici di merito, per la motivazione della loro sentenza che ha esentato da responsabilità il B. , gli stessi erronei parametri della delibera parlamentare di insindacabilità ed esenzione del parlamentare on. B. , con assunzione dei poteri del giudice delle leggi da esercitare in applicazione dell'art. 134, secondo periodo, della Costituzione. La motivazione della decisione impugnata, anche a volerla qualificare per relationem con quella data dal parlamento sulla insindacabilità della diffamazione consumata dall'on. B. , ad avviso del ricorrente, è insufficiente e contrastante con i criteri adottati di regola dalla Corte Costituzionale nella risoluzione dei conflitti sorti tra poteri dello Stato, per effetto dei provvedimenti scriminanti del parlamento emessi ai sensi dell'art. 68 Cost. Come sancito dalle sentenze della C. Cost. n. 10 del 17 gennaio 2000 e n.ri 51 del 15 marzo 2002 e 207 del 23 giugno 2002, relative a casi di diffamazione di singole persone mai indicate negli atti parlamentari, nei quali si faceva riferimento a fenomeni generali e non ai diffamati, non può riconoscersi al Parlamento il potere di esentare da responsabilità il suo membro, se manchi, il riferimento specifico espresso alle parti lese degli illeciti posti in essere al di fuori del parlamento e con attività extra moenia del responsabile. 2. La violazione delle norme costituzionali dalla corte di merito risulta insita nella sentenza della Corte costituzionale n. 97 del 2011, che ha escluso l'applicabilità alla diffamazione per cui è causa dell'esimente dell'art. 68, negando che il Parlamento potesse esentare dalle conseguenze della sua condotta il B. avendo quest'ultimo, deceduto nelle more, diffamato il S. in scritti che non potevano considerarsi espressione dell'esercizio delle funzioni di parlamentare. Erroneamente si è applicata la esimente sostanziale dell'art. 68 Cost., avendo la Corte Costituzionale escluso che gli articoli diffamatori del B. possano costituire esercizio dell'attività parlamentare mancando il nesso funzionale e temporale di essi, con le funzioni di deputato dell'intimato in questa sede in tale contesto il ricorso deve essere accolto, restando assorbite le censure relative alle carenze motivazionali della sentenza oggetto di ricorso sulle falsificazioni degli scritti del ricorrente, da parte del B. , e sulla reiterazione degli articoli offensivi della reputazione del S. , dopo le richieste di rettifica neppure pubblicate, fatti neppure esaminati dai giudici di merito, che hanno respinto la domanda per la esimente che si è esclusa in questa sede sussistere nei modi di legge. Vi è violazione dell'art. 6, par. 1, della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, come letto dalla C.E.D.U. e dell'art. 24 Cost., dalla Corte di merito per aver respinto la domanda del S. , sul fondamento di una delibera parlamentare la cui correttezza contestata dall'appellante poteva essere accertata dalla sola Corte costituzionale con il conflitto di attribuzioni, risolto dal giudice delle leggi con la espressa negazione della sussistenza dell'esimente dell'art. 68 Cost. nella concreta fattispecie. 3. Il ricorso deve quindi essere accolto e la sentenza impugnata va quindi cassata per le ragioni sopra indicate. Non è condivisibile la affermazione contenuta nella memoria del S. ai sensi dell'art. 378 c.p.c. sulla mancata necessità di ulteriori accertamenti di fatto per consentire a questa Corte una pronuncia sulla domanda risarcitoria ai sensi dell'art. 384 c.p.c Anche a non considerare che la liquidazione equitativa del risarcimento chiesta in questa sede non è effetto automatico della violazione di legge accertata da questa Corte e richiede comunque l'esame dei fatti di causa per valutare l'incidenza degli scritti diffamatori nei confronti del danneggiato, nel caso viene domandata in memoria anche una somma a titolo di riparazione ai sensi dell'art. 12 della legge 8 febbraio 194 8 n. 47, domanda sulla quale non sembra essersi finora controverso e che potrà eventualmente essere valutata dal solo giudice del rinvio, se sulla stessa si insista in quella sede. Pertanto con la cassazione della sentenza per il motivo accolto e nei limiti di esso, la causa deve essere rinviata alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione, perché si pronunci sull'azione risarcitoria come in concreto esercitata nella fattispecie e decida pure sulle spese del presente giudizio di cassazione e del conflitto sollevato in questa sede, al quale il ricorrente ha partecipato intervenendo al giudizio incidentale dinanzi al giudice della legge. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata nei sensi di cui in motivazione rinvia la causa per l'ulteriore corso, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio e di quello incidentale dinanzi alla Corte costituzionale.