Processi troppo lunghi, il risarcimento è di 750 euro per ogni anno di ritardo

La Cassazione ribadisce i criteri per determinare l'equo indennizzo per irragionevole durata del processo.

In tema di irragionevole durata del processo, la Corte di Cassazione ha ribadito, anche con la recente pronuncia n. 20689 del 7 ottobre, che l'importo liquidato a titolo di equo indennizzo non può essere inferiore ad euro 750 per ogni anno di ritardo, per i primi tre anni, e ad euro 1000 per i successivi. La fattispecie. Un giudizio promosso davanti al Tar si protrae per nove anni evidentemente troppi. Da qui la richiesta dell'equa riparazione. Che viene accolta, in primo e secondo grado. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze, però, contesta la determinazione dell'importo dovuto a titolo di risarcimento e propone ricorso per cassazione. Processo lento? Equo indennizzo. Presupposto logico della sentenza in commento è l'irragionevole durata del processo che, dopo l'intervento della Cedu e la conseguente copertura costituzionale ex art. 111 Cost., è risarcibile in quanto fonte di danni anche non patrimoniali. Ciò che viene contestato dal Ministero ricorrente è, invece, la quantificazione del danno operata dalla Corte d'appello, in misura superiore ai parametri applicati dalla costante giurisprudenza di legittimità. Ammessa la liquidazione di un importo inferiore a quello stabilito dalla Cedu, purchè ragionevole. Il motivo è fondato perché i giudici di merito hanno determinato un assegno pari a € 1000 per anno di ritardo, mentre il parametro per indennizzare la parte che ha subito il danno a causa dell'irragionevole durata del processo consiste in un importo non inferiore a € 750 per ogni anno eccedente la normale e ragionevole durata. In tema di equa riparazione e in base alla giurisprudenza della Cedu, gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento possono anche essere inferiori a quelli liquidati dalla stessa Corte, purchè tali importi non risultino irragionevoli. La Cassazione ha fatto chiarezza risarcimento non inferiore a € 750 per ogni anno di ritardo. Proprio per evitare che la diversità di calcolo riconosciuta al giudice nazionale non incida negativamente sul diritto ad un equo ristoro dei singoli cittadini, la Corte di Cassazione è pervenuta alla conclusione che la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a euro 750 per ogni anno di ritardo, per i primi tre anni, e a euro 1000 per i successivi. Anche nel caso di specie, quindi, deve trovare applicazione il principio riportato, con la conseguenza che il provvedimento impugnato va cassato senza rinvio.