Il creditore titolare di pegno regolare deve insinuarsi al passivo fallimentare

Due orientamenti contrapposti. Da un lato si afferma che, consolidatasi la garanzia, non è revocabile l'incasso rinveniente dalla vendita del bene dato in pegno, atteso che in tal modo il creditore esercita il proprio diritto alla realizzazione del pegno, la cui costituzione non è più attaccabile con l'azione revocatoria, e la revoca del pagamento produrrebbe l'effetto di un'indiretta revoca della garanzia .

Dall’altro lato, la rimessa in conto corrente bancario effettuata con denaro proveniente dalla vendita di un bene costituito in pegno ormai consolidatosi in favore della stessa banca è revocabile. Sul tema è intervenuta la I sez. Civile che con l’ordinanza interlocutoria n. 8923/21 ha rimesso la questione al Primo Presidente perché ne valuti l’assegnazione alle Sezioni Unite. Il caso. Il Tribunale emetteva sentenza dichiarando il fallimento di una società che, a sua volta, impugnava la decisione sostenendo che il giudice di primo grado aveva erroneamente ritenuto provato lo stato di decozione. La Corte d’Appello confermava la decisione di primo grado chiarendo che la decozione era provata dai protesti elevati a carico della società, dal saldo negativo del conto corrente, di contro, nessuna rilevanza doveva essere riconosciuta alla dichiarazione fiduciaria di affidabilità rilasciata da un funzionario di banca. La società chiedeva anche la revoca del pagamento incassato dalla banca e riveniente da pegno regolare. La società ha proposto ricorso per cassazione. La revocatoria fallimentare. I Giudici di legittimità hanno richiamato precedente orientamento giurisprudenziale a tenore del quale la ratio sottesa alla revocatoria fallimentare è il ripristino della par condicio creditorum, attraverso la ricostituzione della massa attiva fallimentare dispersa attraverso atti dispositivi eseguiti in condizioni che consentono di presumerne la dannosità. Non può condividersi la tesi per cui, a fronte di un pegno non revocabile, perché consolidato, la revoca del pagamento produrrebbe l'effetto di una indiretta revoca della garanzia , tale effetto pregiudizievole si giustificherebbe infatti, con il principio dell'autoresponsabilità connesso ad un sistema che è strutturato per compulsare i creditori, non a tutelare anticipatamente con scelte strategiche la propria posizione, ma ad assumere iniziative in danno degli operatori economici decotti onde evitare che questi ultimi proseguano nell'esercizio dell'attività di impresa quando i sintomi della crisi del debitore sono ormai noti . Il titolare di pegno regolare deve insinuarsi al passivo fallimentare. Qualora il cliente della banca vincoli, a garanzia del proprio adempimento, un titolo di credito o un documento di legittimazione individuati e non conferisca alla banca il potere di disporre del relativo diritto, si esula dall'ipotesi del pegno irregolare e si rientra invece nella disciplina del pegno regolare in base al quale la banca non acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, con l'obbligo di riversare il relativo ammontare, ma è tenuta a restituire il titolo o il documento, con la conseguenza che il creditore pignoratizio è tenuto ad insinuarsi al passivo fallimentare ai sensi dell'art. 53 l. fall. per il soddisfacimento del proprio credito, dovendosi escludere la compensazione che invece opera nel pegno irregolare come modalità tipica di esercizio della prelazione Cass. Sez.U, 4507/ 2004 Cass. 2818/ 2018 . Due orientamenti contrapposti. I Giudici, in materia di pegno regolare, hanno dato atto della esistenza di due orientamenti contrapposti. Il primo negava che, una volta consolidatasi la garanzia, fosse revocabile l'incasso rinveniente dalla vendita del bene dato in pegno, atteso che in tal modo il creditore esercita il proprio diritto alla realizzazione del pegno, la cui costituzione non è più attaccabile con l'azione revocatoria, e la revoca del pagamento produrrebbe l'effetto di un'indiretta revoca della garanzia - Cass. n. 18439/2004, Cass. n. 26898/ 2008 . Il secondo e contrario orientamento afferma che la rimessa in conto corrente bancario effettuata con denaro proveniente dalla vendita di un bene costituito in pegno ormai consolidatosi in favore della stessa banca è revocabile, ai sensi dell'art. 67 l. fall., non assumendo alcun rilievo la circostanza che il ricavato della vendita sia destinato a soddisfare un credito privilegiato, in quanto l 'eventus damni deve considerarsi in re ipsa , consistendo nella lesione della par condicio creditorum ricollegabile all'uscita del bene dalla massa in forza dell'atto dispositivo, e non potendosi escludere a priori il pregiudizio delle ragioni di altri creditori privilegiati, insinuatisi in seguito al passivo che, a partire da Cass. Sez. 1, sentenza n. 4785 del 26/02/ 2010, è stato più volte ribadito da questa Corte v. Sez. 1, ordinanza n. 16565 del 22/06/ 2018 cfr. Cass. n. 17358 del 2016, in motivazione Cass. n. 25571 del 2010 Cass. n. 7563 del 2011 . Creditore pignoratizio insinuato al passivo come creditore chirografario. Qualora, a seguito del positivo esperimento di un'azione revocatoria fallimentare, il creditore pignoratizio che abbia escusso la garanzia, incamerando il ricavato della vendita di titoli ottenuti in pegno, sia condannato a restituirne l'importo, lo stesso ha diritto ad insinuarsi al passivo solo in via chirografaria nella misura del pagamento revocato, senza che possa rivivere l'originaria garanzia, dal momento che il credito che può essere insinuato ai sensi dell'art. 70, comma 2, l. fall. non è quello originario, ma un credito nuovo che nasce dall'effettiva restituzione e trova fonte direttamente nella legge Cass. Sez. 6-1, 05/10/ 2018 n. 24627 . Rimessione alle Sezioni Unite. I Giudici di legittimità, all’esito delle argomentazioni riportate, hanno osservato che a fronte di una garanzia consolidata e dunque pienamente efficace nei confronti della massa, una volta ricostituito l'attivo distribuibile attraverso la revoca del pagamento realizzato mediante il controvalore del bene sul quale la garanzia era stata costituita, la degradazione a chirografo del credito originariamente garantito integrerebbe essa stessa - in difetto di una azione di revoca dell'atto costitutivo della garanzia - una lesione della par condicio creditorum, per giunta in chiave sanzionatoria, quando invece la ratio della revocatoria fallimentare è semplicemente attrarre la soddisfazione del credito garantito in sede concorsuale. La rilevata contrapposizione di orientamenti e diritti, ha determinato la rimessione della questione al primo presidente per l’eventuale trasmissione alle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza interlocutoria 16 dicembre 2020 – 31 marzo 2021, n. 8923 Presidente Cristiano – Relatore Vella Fatti di causa 1. La Corte di Appello di Messina ha accolto parzialmente l’impugnazione proposta dal Fallimento omissis s.a.s. omissis avverso la sentenza del 17/06/2009 con cui il Tribunale di Messina aveva rigettato, per difetto della prova della scientia decoctionis, la domanda revocatoria fallimentare L. Fall., ex art. 67, comma 2, avente ad oggetto le rimesse solutorie effettuate nell’anno antecedente il fallimento sui conti correnti bancari nn. [ ] e [ ] intestati alla società fallita presso la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., nonché l’operazione di incasso, da parte della Banca, del certificato di deposito n. [ ] di Lire 40.000.000, oggetto di pegno consolidato. 1.1. La corte del merito ha ritenuto i che la prova della scientia decoctionis era evincibile dalla conoscenza, da parte della banca, dei protesti elevati a carico della società debitrice nei mesi di omissis , sebbene i relativi bollettini fossero stati pubblicati solo nel mese di omissis ii che infatti dalla relazione redatta dai funzionari della banca appellata in data omissis emergeva chiaramente la conoscenza dell’andamento della situazione generale della società anche prima della pubblicazione dei protesti, circostanza quest’ultima confermata dal fatto che, subito dopo la levata dei protesti poi pubblicati nel mese di settembre la banca aveva provveduto a chiudere i conti correnti della società proprio ad omissis iii che non era rilevante la dichiarazione del teste N.O. circa la fiducia manifestata da un funzionario della banca sulla tenuta finanziaria della società poi fallita, in quanto riferibile al periodo antecedente il trimestre omissis iv che, risalendo i primi protesti al omissis , le rimesse suscettibili di revoca riguardanti solo il conto n. [ ] dovevano circoscriversi ai versamenti successivi a tale data ed ammontavano perciò a soli Euro 7.860,47 v che doveva ritenersi incontestata la circostanza che il conto corrente n. [ ], ove insistevano le rimesse revocabili, avesse un saldo negativo e che, sempre in riferimento alla ricorrenza del presupposto oggettivo relativo alla natura solutoria delle rimesse, le deduzioni della banca circa la natura di partite di giro ovvero di anticipazione su fatture contro cessione di credito di talune operazioni risultavano generiche vi che era revocabile anche l’incasso, a seguito di vendita da parte della banca, del valore del certificato di deposito costituito in pegno, trattandosi di pegno regolare e dovendosi riconoscere la revocabilità della rimessa in conto corrente bancario effettuato con denaro proveniente dalla vendita di un bene costituito in pegno anche se consolidatosi in favore della banca Cass. 4785/2010 . 1.2. Avverso detta decisione la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui la curatela fallimentare ha resistito con controricorso. 1.3. Con ordinanza interlocutoria n. 13217 del 30/06/2020 questa Sezione ha disposto la trattazione della causa in pubblica udienza, in relazione alle questioni sollevate con il terzo motivo. 1.4. Il Sostituto Procuratore Generale ha depositato osservazioni scritte in data 11/12/2020, sulla cui base ha concluso per il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione 2. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di improcedibilità per mancato rispetto del termine di venti giorni ex art. 369 c.p.c., sollevata dubitativamente nel controricorso. 2.1. Invero, poiché dagli atti di causa risulta che il ricorso, notificato in data 19/11/2015, è stato spedito a mezzo posta in data 02/12/2015 ed è pervenuto in cancelleria il 16/12/2015, va fatta applicazione del consolidato principio per cui Ai fini della verifica del tempestivo deposito del ricorso per cassazione, quando il ricorrente si sia avvalso del servizio postale, assume rilievo la data di consegna all’ufficio postale del plico da recapitare alla cancelleria della Corte di Cassazione, dovendo in tal caso ritenersi che l’iscrizione a ruolo sia avvenuta in tale data, non assumendo rilievo che il plico pervenga a destinazione dopo il decorso del termine di venti giorni di cui all’art. 369 c.p.c. Cass. Sez. U., 7013/1995 conf. Cass. 684/2016, 5071/2010, 14759/2007 . 3. Passando all’esame dei motivi si osserva quanto segue. 3.1. Con il primo motivo - rubricato violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67 e degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c. - si denuncia il difetto di prova in ordine alla scientia decoctionis, da escludere sulla base della nota redatta dalla banca in data OMISSIS , attestante - al contrario di quanto ritenuto dalla corte territoriale - la fiducia della banca nei confronti del proprio cliente di cui si era messa in luce la consistente ripresa economica, dimostrata dai dati del fatturato erroneamente il giudice del gravame aveva dunque ritenuto che tale relazione evidenziasse l’esistenza, a vantaggio dell’istituto di credito, di canali informativi più rapidi rispetto alla pubblicazione dei protesti nel relativo bollettino, così incorrendo nella denunciata violazione di legge, dovendo essere la conoscenza dell’esistenza di protesti, prima della loro pubblicazione nel bollettino, rigorosamente provata e non potendo essere assolta con la mera presunzione di conoscibilità affidata alla qualità professionale dell’accipiens, per il tramite dell’attività di verifica contabile e patrimoniale normalmente svolta dagli istituti creditizi nei confronti della propria clientela. 3.2. Il secondo mezzo prospetta violazione della L. Fall., art. 67, ed omessa valutazione dei mezzi di prova, in relazione al profilo della natura solutoria e dunque della revocabilità delle rimesse bancarie, sostenendosi che la prova della natura ripristinatoria delle rimesse impugnate dalla curatela risulterebbe dalla stessa relazione bancaria del omissis utilizzata come prova della scientia decoctionis, poiché da essa emergeva che il conto corrente n. [ ] godeva di un affidamento per 210 milioni di Lire. 3.3. Con il terzo motivo, rubricato irrevocabilità dell’incameramento del certificato di deposito - violazione dell’art. 2787 c.c. , la banca ricorrente, dopo aver richiamato la peculiare disciplina del pegno cd. rotativo , segnala che, nella fattispecie concreta, il pegno era stato costituito nel [] - oltre 5 anni prima della dichiarazione di fallimento - ed aveva per oggetto un certificato di deposito al portatore con scadenza annuale , tanto che le condizioni generali del contratto costitutivo del pegno prevedevano che i titoli depositati in sostituzione di quelli originariamente depositati sono soggetti all’originario vincolo art. 1, u.c. e che in caso di conversione dei titoli la garanzia si trasferisce sui titoli nuovi art. 2 . Ciò posto, la ricorrente invoca la giurisprudenza di questa Corte che esclude la revocatoria L. Fall., ex art. 67, del versamento, sul conto corrente del debitore, della somma ricavata dalla banca con la realizzazione del bene oggetto di pegno Cass. 16914/2003, 2456/2008, 26898/2008 , contrapponendola al precedente contrario richiamato dalla Corte d’appello Cass. 4785/2010 - asseritamente rimasto del tutto isolato - e sottolineando che, altrimenti, la revoca del pagamento produrrebbe l’effetto indiretto di una revoca della garanzia, nonostante il suo pacifico consolidamento, con conseguente degradazione del grado pignoratizio del credito garantito a semplice chirografo, ai fini dell’ammissione al passivo, in palese e paradossale violazione della par condicio creditorum. 4. Il Collegio ritiene che - in disparte l’inammissibilità dei primi due motivi, in quanto veicolano censure prettamente meritali - il terzo sollevi invece una questione che merita l’intervento delle Sezioni Unite, avendo ricevuto, nel tempo, diverse letture nella giurisprudenza di questa Corte, oltre ad aver costantemente suscitato, da oltre mezzo secolo, l’attenzione della dottrina. 4.1. Si tratta, in particolare, della questione dell’assoggettabilità a revocatoria fallimentare L. Fall., ex art. 67, comma 2, della rimessa in conto corrente bancario effettuata dalla banca con denaro proveniente dalla vendita di un bene costituito in pegno, ormai consolidatosi in suo favore, da valutare alla luce della connessa questione circa il trattamento in sede fallimentare del credito originariamente garantito, ai sensi della L. Fall., art. 70, comma 2. 4.2. Secondo la Procura generale, la tesi preferibile è quella che, riprendendo l’orientamento giurisprudenziale più recente Cass. 16565/2018 che conferma integralmente Cass. 4785/2010 ritiene revocabile l’operazione cui si è fatto cenno perché vietata di per sé , e ciò in quanto i la ratio sottesa alla revocatoria fallimentare è il ripristino della par condicio creditorum, attraverso la ricostituzione della massa attiva fallimentare dispersa attraverso atti dispositivi eseguiti in condizioni che consentono di presumerne la dannosità ii non può condividersi la tesi secondo cui la revocatoria non potrebbe essere esperita per carenza di interesse ad agire quando il pagamento da revocare abbia garantito anticipatamente la provvista ad un creditore privilegiato, cui può presumersi la somma sarebbe stata comunque attribuita in sede di riparto dell’attivo fallimentare iii non è parimenti condivisibile la tesi per cui, a fronte di un pegno non revocabile, perché consolidato, la revoca del pagamento produrrebbe l’effetto di una indiretta revoca della garanzia in tal senso, Cass. 26898/2008, 18439/2004 iv tale effetto pregiudizievole si giustificherebbe infatti, con il principio dell’autoresponsabilità connesso ad un sistema che è strutturato per compulsare i creditori, non a tutelare anticipatamente con scelte strategiche la propria posizione, ma ad assumere iniziative in danno degli operatori economici decotti onde evitare che questi ultimi proseguano nell’esercizio dell’attività di impresa quando i sintomi della crisi del debitore sono ormai noti in tal senso, Cass. 4785/2010 . 5. Ad avviso del Collegio, una simile conclusione merita di essere quantomeno riconsiderata, per le ragioni che si vanno ad illustrare. 5.1. Occorre però subito chiarire che, nel caso di specie, l’affermazione della Corte d’appello per cui, contrariamente a quanto sostenuto dalla Banca appellata, nella specie viene in rilievo un pegno regolare seguita dal rilievo che la prospettazione di un pegno rotatorio non persuade , non è oggetto di uno specifico motivo di ricorso, dovendosi perciò discorrere in questa sede di pegno regolare. 5.2. In proposito il giudice a quo osserva correttamente che, qualora il cliente della banca vincoli, a garanzia del proprio adempimento, un titolo di credito o un documento di legittimazione individuati e non conferisca alla banca il potere di disporre del relativo diritto, si esula dall’ipotesi del pegno irregolare e si rientra invece nella disciplina del pegno regolare artt. 1997 e 2784 c.c. e segg. in base alla quale la banca non acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, con l’obbligo di riversare il relativo ammontare, ma è tenuta a restituire il titolo o il documento , con la conseguenza che il creditore pignoratizio è tenuto ad insinuarsi al passivo fallimentare ai sensi della L. Fall., art. 53, per il soddisfacimento del proprio credito, dovendosi escludere la compensazione che invece opera nel pegno irregolare come modalità tipica di esercizio della prelazione cfr. Cass. Sez. U., 4507/2004 Cass. 2818/2018 . 5.3. Quanto al rilievo della stessa Corte territoriale per cui nella specie era previsto all’art. 11 delle condizioni generali del contratto costitutivo del pegno la possibilità per la Banca, in caso di inadempimento del cliente, di vendere i titoli costituiti in pegno e di soddisfarsi su prezzo ricavato di ogni suo credito , va richiamata la condivisibile giurisprudenza di questa Corte in base alla quale nella figura del pegno irregolare di titoli di credito - caratterizzata dal conferimento alla banca della facoltà di disporne, con obbligo di restituire la parte eccedente l’ammontare delle sue ragioni di tal che il soddisfacimento della banca non abbisogna di alienazione od assegnazione dell’oggetto del pegno, ma si realizza automaticamente e direttamente mediante la conservazione di quella titolarità, con un sistema di compensazione - sostituzione del credito garantito con il credito rappresentato dai titoli, e con il dovere di restituzione dell’eccedenza - non è riconducibile la consegna di titoli di credito accompagnata da accordi rivolti a disciplinare i poteri ed i compiti della banca al fine della cessione a terzi dei titoli stessi in caso di inadempimento del debitore, giacché tali previsioni, indipendentemente dalla circostanza che abbiano un contento riproduttivo degli artt. 2796 e 2797 c.c., in tema di vendita della cosa ricevuta in pegno regolare, ovvero introducano legittime modifiche convenzionali alla disciplina di legge, sono radicalmente incompatibili con l’indicato passaggio della titolarità necessariamente indicante piena disponibilità , mentre si armonizzano soltanto con i connotati del pegno regolare, nel quale il creditore non si soddisfa trattenendo il bene già a lui trasferito, ma deve custodirlo in attesa dell’adempimento, e restituirlo, se questo si verifichi, potendo altrimenti soltanto richiedere la vendita o l’assegnazione. Alla qualificazione come regolare di un pegno siffatto non osta neppure il carattere rotativo dello stesso derivante dal fatto che il suo oggetto sia destinato a mutare quando i titoli inizialmente consegnati, una volta scaduti, siano sostituiti con altri titoli , atteso che i successivi atti negoziali della banca, occorrenti per tale prosecuzione della garanzia, non si collegano necessariamente al potere dispositivo proprio del pegno irregolare, potendo integrare iniziative da porsi in essere in nome e per conto del costituente, tanto più che lo stesso meccanismo del pegno rotativo , in assenza di diversa previsione, non è in sintonia con i connotati e con la funzione, sostanzialmente satisfattiva, del pegno irregolare Cass. 2120/2014, 4507/2004 . 6. Orbene, come ricordato dalla stessa ricorrente, in tema di pegno regolare, ad un primo orientamento Cass. n. 18439/2004, Cass. n. 26898/2008 che negava che, una volta consolidatasi la garanzia, fosse revocabile l’incasso rinveniente dalla vendita del bene dato in pegno, atteso che il tal modo il creditore esercita il proprio diritto alla realizzazione del pegno, la cui costituzione non è più attaccabile con l’azione revocatoria, e la revoca del pagamento produrrebbe l’effetto di un’indiretta revoca della garanzia , ne ha fatto seguito un secondo di segno esattamente contrario, secondo cui la rimessa in conto corrente bancario effettuata con denaro proveniente dalla vendita di un bene costituito in pegno ormai consolidatosi in favore della stessa banca è revocabile, ai sensi della L. Fall., art. 67, non assumendo alcun rilievo la circostanza che il ricavato della vendita sia destinato a soddisfare un credito privilegiato, in quanto l’ eventus damni deve considerarsi in re ipsa , consistendo nella lesione della par condicio creditorum ricollegabile all’uscita del bene dalla massa in forza dell’atto dispositivo, e non potendosi escludere a priori il pregiudizio delle ragioni di altri creditori privilegiati, insinuatisi in seguito al passivo che, a partire da Cass. Sez. 1, sentenza n. 4785 del 26/02/2010, è stato più volte ribadito da questa Corte v. Sez. 1, ordinanza n. 16565 del 22/06/2018 cfr. Cass. n. 17358 del 2016, in motivazione Cass. n. 25571 del 2010 Cass. n. 7563 del 2011 . 6.1. In particolare, l’effetto indiretto della perdita della garanzia che ne consegue, nonostante il suo consolidamento, è affrontato exspressis verbis in Cass. 4785/2010, ove si afferma i che il consolidamento della causa di prelazione, formatasi anteriormente al periodo sospetto, resta irrilevante, così come la destinazione del ricavato della vendita a soddisfare le ragioni del creditore privilegiato, trattandosi di evenienze che non fanno venir meno l’interesse del curatore all’esercizio dell’azione revocatoria, non potendosi escludere a priori il pregiudizio alle ragioni di altri creditori privilegiati tardivi, Cass. 24046/2006 o in generale della massa, per il mancato concorso del creditore soddisfatto extraconcorso alle spese di procedura ii che la mens legis sottesa all’istituto è attribuire efficacia deterrente all’azione revocatoria mediante un cordone sanitario attorno all’imprenditore insolvente iii che altro è l’irrevocabilità della causa di prelazione per decorso del periodo sospetto, altro è la pretesa esenzione dalle regole del concorso, tramite la potestà di escutere direttamente la garanzia - pur nella sussistenza della scientia decoctionis - che, per essere legittima forma di autotutela, presupporrebbe invece anche se realizzata in forma concordata col debitore pignoratizio il diritto di agire individualmente, nonostante il fallimento, proprio di talune fattispecie speciali Cass. 13996/2008 iv che il rigore della disciplina non può essere infirmato dalla considerazione dei riflessi, senza dubbio gravosi per il creditore privilegiato, conseguenti alla perdita della disponibilità del pegno o, alla cancellazione della ipoteca immobiliare , cui è legata la permanenza della garanzia reale art. 2787 c.c., comma 2 , a seguito dell’avvenuta esazione satisfattoria, poi revocata v che, sebbene si debba ritenere, in difetto di previsione normativa, l’intrasferibilità della prelazione sulla somma retrocessa alla curatela, a titolo di surrogazione reale, resta che adducere inconveniens non est solvere argomentum . 7. Quanto agli effetti indiretti della revocatoria di cui si discute, questa Corte ha di recente espressamente affermato, in una fattispecie del tutto analoga a quella in esame, che qualora, a seguito del positivo esperimento di un’azione revocatoria fallimentare, il creditore pignoratizio che abbia escusso la garanzia, incamerando il ricavato della vendita di titoli ottenuti in pegno, sia condannato a restituirne l’importo, lo stesso ha diritto ad insinuarsi al passivo solo in via chirografaria nella misura del pagamento revocato, senza che possa rivivere l’originaria garanzia, dal momento che il credito che può essere insinuato ai sensi della L. Fall., art. 70, comma 2, non è quello originario, ma un credito nuovo che nasce dall’effettiva restituzione e trova fonte direttamente nella legge Cass. Sez. 6-1, 05/10/2018 n. 24627 . 7.1. In effetti, l’ammissione al chirografo in simili casi viene di solito fondata, per un verso, sul principio per cui la prelazione non può farsi valere se la cosa data in pegno non è rimasta in possesso del creditore ex art. 2787 c.c., comma 2 , per altro verso sulla natura distributiva dell’azione revocatoria fallimentare, in quanto diretta semplicemente a ripristinare la par condicio creditorum violata con atti di disposizione dei beni del fallito, quand’anche destinati a soddisfare creditori privilegiati Cass. Sez. U., 7028/2016, con definitivo superamento della contrapposta teoria indennitaria . 7.2. In questa sede preme sottolineare come Cass. 24627/2018 abbia espressamente respinto la tesi dell’applicabilità analogica del D.Lgs. n. 170 del 2004, art. 5 sulle c.d. garanzie finanziarie laddove, prevedendo che il creditore pignoratizio può disporre anche mediante alienazione delle attività finanziarie , essendo tenuto in tal caso a ricostituire la garanzia equivalente in sostituzione di quella originaria , dimostrerebbe l’ontologica possibilità della garanzia finanziaria di trasferirsi sul denaro ricavato dalla vendita dei titoli che ne formavano originariamente l’oggetto - rilevando la differenza strutturale tra l’ipotesi di sostituzione rotativa dei beni dati in pegno, di cui al D.Lgs. n. 170 del 2004, art. 5 e l’ipotesi in cui si sia verificata l’escussione della garanzia, come tale incompatibile con la prosecuzione della garanzia medesima, essendo l’atto che pone termine alla sua stessa esistenza mentre l’obbligo del creditore di ricostituire la garanzia è intimo all’ipotesi contemplata dal citato art. 5, della sostituzione rotativa dei beni ottenuti in garanzia . 7.3. Quella stessa pronuncia ha altresì escluso che nel nostro ordinamento possa individuarsi un principio generale di reviviscenza della garanzia prestata dal debitore, unitamente alla reviviscenza del credito a seguito dell’esercizio della revocatoria fallimentare , ai sensi della L. Fall., art. 70, comma 2, stante l’accessorietà della garanzia al credito che rivive nei confronti della massa dopo la restituzione del pagamento ricevuto dal creditore garantito. È stata infatti esclusa la stessa idea presupposta che a rivivere sia il credito revocato, trattandosi invece di un credito nuovo, che ha direttamente fonte nella legge e che, seppur successivo alla sentenza dichiarativa, per ragioni di equità distributiva viene eccezionalmente ammesso al concorso , come sarebbe confermato, sul piano sistematico, dal testo dell’art. 2902 c.c., comma 2, che, in materia di revocatoria ordinaria, discorre senz’altro di soggetto che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall’esercizio dell’azione revocatoria . Tutto ciò viene infine giustificato, sotto il profilo funzionale, col fatto che a ritenere diversamente - ad assegnare, cioè, la prelazione sul restituito al creditore in precedenza garantito da pegno - lo stesso esercizio dell’azione revocatoria verrebbe, in buona sostanza, a perdere quasi del tutto significato . 8. Ritiene il Collegio che - ferma restando la funzione redistributiva o anti-indennitaria dell’azione revocatoria fallimentare Cass. Sez. U., 7028/2006 conf. ex multis Cass. 24936/2007, 25571/2010, 23712/2012, 16565/2018 - le esposte conclusioni meritino di essere ponderate, al fine di scongiurare una possibile eterogenesi dei fini nella loro applicazione, avuto riguardo proprio al principio sotteso della par condicio creditorum. 8.1. Ciò in quanto, a fronte di una garanzia consolidata e dunque pienamente efficace nei confronti della massa, una volta ricostituito l’attivo distribuibile attraverso la revoca del pagamento realizzato mediante il controvalore del bene sul quale la garanzia era stata costituita secondo un percorso assimilabile alla realizzazione coattiva del credito in sede di espropriazione forzata, in entrambi i casi l’azione revocatoria essendo rivolta non tanto nei confronti di un pagamento eseguito dal debitore poi fallito, quanto degli effetti di un procedimento satisfattivo attivato dal creditore , la degradazione a chirografo del credito originariamente garantito integrerebbe essa stessa - in difetto di una azione di revoca dell’atto costitutivo della garanzia - una lesione della par condicio creditorum, per giunta in chiave sanzionatoria, quando invece la ratio della revocatoria fallimentare è semplicemente attrarre la soddisfazione del credito garantito in sede concorsuale, ai fini della sua compiuta graduazione rispetto a tutti i restanti crediti, sia concorsuali che prededucibili, secondo i criteri stabiliti dalla L. Fall., gli artt. 111, 111-bis, 111-ter, 111-quater e 112. 8.2. La fattispecie non appare pacificamente assimilabile a quella della revoca del pagamento di un credito astrattamente privilegiato, in cui il creditore non ha acquisito alcun diritto, opponibile alla massa, a soddisfarsi sulla somma di denaro ricevuta al contrario, in caso di pegno costituito al di fuori del c.d. periodo sospetto, l’efficacia della garanzia nei confronti del fallimento non può più essere posta in discussione, e la revoca del pagamento proveniente dalla vendita del bene comporterebbe il sostanziale venir meno del diritto consolidato del creditore ad esercitare la prelazione sulla somma incassata. 8.3. Sotto tale profilo andrebbe allora verificata l’applicabilità al caso di specie della teoria distributiva sopra richiamata, apparendo quantomeno dubbio che la realizzazione del pegno consolidato possa pregiudicare le ragioni di altri creditori privilegiati ma, evidentemente, non muniti del medesimo privilegio pignoratizio che potrebbero insinuarsi anche successivamente all’esercizio dell’azione revocatoria, e che pertanto la verifica dell’insussistenza di tale pregiudizio possa verificarsi solo in seguito alla ripartizione dell’attivo, secondo quanto affermato da Cass. Sez. U., n. 7028/2006. 8.4. In altri termini, occorre valutare se l’applicazione congiunta della L. Fall., art. 67, comma 2 e art. 70, comma 2 - nella lettura divisatane da Cass. 4785/2010 e 24627/2018 - non finisca per privare di efficacia una causa di prelazione costituita in forza di un atto non più suscettibile di essere ritenuto pregiudizievole per i creditori, al di là delle stesse esigenze della concorsualità. 8.5. Se infatti è vero che la possibilità di una soddisfazione in sede extra-concorsuale, in quanto eccezionale, non soffre letture estensive o analogiche oltre i casi espressamente previsti si pensi alla compensazione L. Fall., ex art. 56, estesa come visto alla realizzazione del cd. pegno irregolare alle c.d. garanzie finanziarie ex D.Lgs. n. 170 del 2004 al pegno non possessorio D.L. n. 59 del 2016, ex art. 1, comma 8 , e che altrettanto deve ritenersi per le esenzioni da revocatoria ulteriori rispetto a quelle codificate nella L. Fall., art. 67, comma 3 v. art. 39, comma 4, T.U.B., per i pagamenti relativi a crediti ipotecari fondiari , tuttavia ciò non significa che all’esercizio vittorioso dell’azione revocatoria fallimentare consegua, oltre al fine precipuo di ricondurre il pagamento nell’orbita concorsuale, anche l’effetto sanzionatorio - inespresso - del venir meno della causa di prelazione spettante al credito irregolarmente soddisfatto e così estinto in sede extraconcorsuale. 9. In conclusione, poiché il tema in disamina postula una precisa opzione ermeneutica che coinvolge i principi generali della concorsualità sottesi alle norme implicate, è opportuno trasmettere gli atti al Primo presidente affinché valuti se rimettere alle sezioni unite la questione di massima di particolare importanza della revocabilità dell’incasso rinveniente dalla realizzazione del bene costituito in pegno consolidato, cui risulta strettamente collegata l’ulteriore questione se, una volta restituita dal creditore pignoratizio la somma revocata, l’ammissione del credito al passivo ai sensi della L. Fall., art. 70, comma 2, in via chirografaria, possa o meno ritenersi confliggente con la stessa concezione redistributiva e anti-indennitaria della revocatoria fallimentare, che implica unicamente il ripristino della par condicio creditorum. P.Q.M. La Corte dispone rimettersi gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.