La legittimazione dei soci ad esigere i crediti omessi nel bilancio finale di liquidazione

Con la sentenza in nota la Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere sulla sorte dei crediti vantati da una società di capitali dopo la sua estinzione nell’ipotesi in cui tali crediti non risultino dal bilancio finale di liquidazione. Più precisamente, la quaestio iuris attiene all’idoneità della mancata indicazione di un credito sociale nel bilancio finale di liquidazione di una società di capitali in fase di estinzione a costituire un comportamento tacito inequivocabile di remissione del debito, ai sensi dell’art. 1236 c.c

Così la Corte Suprema di Cassazione con l’ordinanza n. 1724/21, pubblicata il 26 gennaio. La vicenda. Nel caso di specie la società M. aveva acquistato dalla società S. un autoveicolo che si rivelò poi difettoso. In seguito, la società acquirente propose un actio redibitoria , ex art. 1492 c.c., nei confronti della società venditrice che si concluse con la risoluzione del contratto e la condanna della società S. alla restituzione di oltre € 30.000, pari alla quantificazione della somma indebitamente pagata dalla società M Tuttavia, nelle more del giudizio redibitorio, la società acquirente si estinse a seguito della cancellazione dal registro delle imprese e nel bilancio finale di liquidazione non venne evidenziato il credito restitutorio a carico della società venditrice dal momento che esso era ancora oggetto di accertamento innanzi all’autorità giurisdizionale competente. Tale ultima circostanza costituì il principale motivo di opposizione della società S. al decreto ingiuntivo richiesto dagli ex soci della società M., adducendo che l’omissione in bilancio del credito litigioso equivarrebbe ad una sua rinuncia per facta concludentia . Sintesi dei giudizi di merito. Il Tribunale di Napoli Nord rigettò l’opposizione, escludendo la sussistenza di un’indubbia manifestazione abdicativa. Diversamente, la Corte d’Appello partenopea dichiarò l’infondatezza del credito vantato dagli ex soci della società M In particolare, nella decisione di secondo grado veniva evidenziato che, nelle more dell’estinzione della società M., il credito risultava ancora controverso e il suo mancato inserimento nel bilancio finale di liquidazione, unicamente alla consapevolezza da parte del liquidatore in ordine alla sua certa esistenza, avrebbero costituito degli elementi inequivocabili ad affermare la volontà della società creditrice di rinunciarvi. Il principale motivo di ricorso. I soci della società M. hanno presentato ricorso per cassazione articolato su diversi motivi, tra cui in particolare l’illegittimità del netto automatismo operato dalla Corte d’Appello territoriale nel ritenere indiscussa l’avvenuta remissione tacita del debito in oggetto. Nel ricorso si è infatti evidenziato il carattere composito delle motivazioni che potrebbero determinare il liquidatore nella scelta di omettere un credito sociale all’interno del bilancio finale di liquidazione, quali, ad esempio, il desiderio dei soci di cessare al più presto l’attività sociale irrealizzabile rispetto a crediti particolarmente controversi , la volontà di coltivare in proprio l’esazione del credito non appostato, la pendenza di una trattativa per poi giungere ad un accordo transattivo oppure perfino la semplice dimenticanza o trascuratezza del liquidatore. Ad abundantiam , secondo la tesi dei ricorrenti deve applicarsi quel principio comune ormai consolidato nell’ordinamento giuridico in forza del quale il silenzio del titolare di un diritto non può mai elevarsi a volontà abdicativa, a meno che non sia circostanziato e, nel caso di specie, non ci sarebbero elementi ulteriori e sufficienti per corroborarne la pacifica inequivocità. Il principio di diritto. Il Giudice di legittimità ha accolto il ricorso presentato dai soci della società M. enunciando il principio di diritto secondo cui la remissione del debito, quale causa di estinzione delle obbligazioni, esige che la volontà abdicativa del creditore sia espressa in modo inequivoco. Un comportamento tacito, pertanto, può ritenersi indice della volontà del creditore di rinunciare al proprio credito soltanto qualora esso non possa avere alcun’altra giustificazione razionale, se non quella di rimettere al debitore la sua obbligazione. Ne consegue che i crediti di una società estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che essi non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione, a meno che tale omissione non sia accompagnata da ulteriori circostanze tali da non consentire dubbi sul fatto che l’omessa appostazione in bilancio non dipenda da altro fine se non quello di rinunciare al credito. Dunque, il giudizio si è concluso con la cassazione della sentenza di secondo grado e il rinvio alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione. Conclusione. In via generale, pare ragionevole ritenere che il decisum meriti un positivo accoglimento dal momento che esso tiene adeguatamente in considerazione il ventaglio di possibili ragioni che potrebbero portare il liquidatore ad omettere un credito sociale tra le poste del bilancio finale di liquidazione. Tuttavia, non sarebbe da escludere un’eventuale responsabilità dello stesso liquidatore nei confronti dei soci qualora la condotta omissiva in parola fosse il frutto di una negligenza facente parte di un più ampio insieme di atti lesivi dei loro interessi.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 14 ottobre 2020 – 26 gennaio 2021, n. 1724 Presidente Vivaldi – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel 2000 la società MAWA Pellami s.r.l. acquistò dalla società Svama s.p.a. che in seguito muterà forma e ragione sociale in Svama s.r.l. un autoveicolo che si rivelò difettoso. L’acquirente convenne dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere la venditrice chiedendo la risoluzione del contratto di vendita e la condanna del venditore alla restituzione del prezzo. 2. Nelle more del giudizio la società acquirente fu cancellata dal registro delle imprese, il omissis . 3. All’esito del secondo grado del giudizio redibitorio, la Corte d’appello d.N. con sentenza 4189/13 dichiarò risolto il contratto e condannò il venditore alla restituzione del prezzo, quantificato nell’importo di Euro 31.917,04. 4. Gli ex soci della MAWA Pellami e cioè P.M. e D.N.M. avvalendosi del titolo rappresentato dalla suddetta sentenza 4189/13 iniziarono l’esecuzione forzata nei confronti della SVAMA. A tal fine notificarono alla SVAMA - il ricorso non indica per quale ragione - due precetti uno del 30 gennaio 2014 per l’importo di Euro 31.917 oltre accessori l’altro il 19 maggio 2014 per l’importo di Euro 43.911 comprensivo di interessi e Spese . 5. La SVAMA propose opposizione ad ambedue i precetti. Il presente giudizio ha ad oggetto l’opposizione proposta avverso il secondo dei precetti sopra indicati, cioè quello notificato il 19 maggio 2014. A fondamento di tale opposizione la Svama dedusse due motivi a non era consentito ai creditori notificare un secondo atto di precetto per il medesimo credito b nel bilancio finale di liquidazione della società creditrice non era stato appostato il credito vantato dalla società nei confronti della Svama quel credito, pertanto, doveva ritenersi rinunciato. 6. Con sentenza 24 febbraio 2016 n. 252 il Tribunale di Napoli Nord rigettò l’opposizione. La Corte d’appello di Napoli, adita dalla soccombente, con sentenza 13.4.2017 n. 1669 accolse il gravame e dichiarò insussistente il diritto di P.M. e D.N.M. ad agire esecutivamente nei confronti della SVAMA. A fondamento della propria decisione la Corte d’appello pose il seguente ragionamento - la società creditrice MAWA Pellami è stata cancellata dal registro delle imprese nel - a quell’epoca il credito restitutorio della MAWA, scaturente dalla risoluzione del contratto di vendita, era contestato in giudizio ed illiquido - pertanto il mancato inserimento nel bilancio finale di liquidazione di quel credito, unicamente alla indubbia consapevolezza della sua esistenza in capo al liquidatore, dimostravano per facta concludentia la volontà della società creditrice di rinunciarvi. 7. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da P.M. e D.N.M. , con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria. La SVAMA ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 2909 c.c. e del giudicato interno. Il motivo, al di là di tale intitolazione, contiene due diverse censure. 1.1. Con una prima censura i ricorrenti sostengono che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto contestato e illiquido , al momento in cui la società creditrice venne sciolta, il credito oggetto del precetto. Sostengono che quel credito era invece liquido ed esigibile, ed oggetto di contestazione era solo la sua avvenuta estinzione per compensazione. E che quel credito fosse liquido ed esigibile al momento di scioglimento della società era circostanza accertata nel giudizio concluso dalla sentenza messa in esecuzione, e che pertanto non poteva essere diversamente valutata dal giudice dell’opposizione. 1.2. Con una seconda censura i ricorrenti sostengono che, in ogni caso, il mancato inserimento di un credito nel bilancio finale di liquidazione non costituisce una tacita manifestazione della volontà di rinunciarvi. 1.3. La prima delle suesposte censure è infondata. Oggetto del giudizio concluso dalla sentenza messa in esecuzione era lo stabilire se il contratto di vendita dell’autovettura dalla Svama alla Mawa Pellami si fosse o non si fosse risolto per inadempimento, e se l’acquirente avesse o non avesse diritto alla restituzione del prezzo. Oggetto del presente giudizio di opposizione a precetto è lo stabilire se il liquidatore della società creditrice avesse o non avesse tacitamente rinunciato al credito di restituzione del prezzo. I due giudizi hanno oggetti diversi, sicché nessun giudicato può essere invocato nel presente giudizio di opposizione, fondato sulla sentenza pronunciata all’esito della domanda di risoluzione del contratto e restituzione del prezzo. 1.4. La seconda censura è, invece, fondata. La Corte d’appello era chiamata a risolvere il seguente problema di diritto quale fosse la sorte dei crediti vantati da una società di capitali dopo l’estinzione di questa, se quei crediti non emergano dal bilancio finale di liquidazione. La Corte partenopea ha risolto tale problema istituendo un rigido automatismo, in virtù del quale se il credito è controverso, e non è iscritto nel bilancio finale di liquidazione, automaticamente senz’altro , si legge nella sentenza impugnata esso deve intendersi rinunciato per facta concludentia. Questa soluzione non può essere condivisa per le ragioni che seguono. 1.5. I principi che governano la sorte dei crediti delle società commerciali estinte sono stati ricostruiti, in via generale, da una sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte Sez. U, Sentenza n. 6070 del 12/03/2013, Rv. 625323 - 01 , di cui tanto le parti, quanto la Corte d’appello, si sono mostrati avvisati. Non ne hanno però tratto, ad avviso di questo Collegio, le debite conseguenze. La suddetta sentenza ha fissato tre principi generali in base ai quali stabilire la sorte dei crediti vantati da una società estinta, così riassumibili a l’estinzione della società dà vita ad un fenomeno successorio b dal lato passivo, tale successione comporta che dei debiti sociali rispondano i soci, nei limiti di quanto ad essi pervenuto per effetto del bilancio di liquidazione c dal lato attivo, tale successione comporta che i crediti sociali risultanti dal bilancio di liquidazione si trasferiscono ai soci pro indiviso. Questi sono i principi affermati ex cathedra dalle Sezioni Unite nella sentenza sopra ricordata. 1.6. La medesima sentenza ha poi affrontato anche il problema qui in esame, e cioè la sorte delle sopravvenienze attive e dei crediti non iscritti a bilancio, dopo l’estinzione della società. Sui tale problema, esaminato alle Sezioni Unite solo obiter dictum, le SS.UU. hanno affermato che la sorte delle sopravvenienze attive e dei crediti non risultanti dal bilancio di liquidazione non può essere stabilita ex ante in base ad una regola generale, uniforme ed automatica . Hanno invece, formulato delle ipotesi aperte § 4 e ss. dei Motivi della decisione di Cass. SU 6070/13 . Hanno, in particolare, stabilito che è compito del giudice di merito stabilire caso per caso se, in base alle peculiarità della fattispecie, possa presumersi ex art. 2727 c.c. una volontà della società di rinunciare ad un determinato credito. Si è osservato nella suddetta sentenza, in particolare, che se il credito era illiquido se il liquidatore sapeva della sua esistenza e non l’aveva inserito in bilancio oppure se il credito non poteva neppure essere iscritto nel bilancio , in tutti questi casi la mancata appostazione all’attivo può consentire di presumere una volontà della società di rinunciare a quella pretesa ma pur sempre di presunzione si tratta, senza alcuna indefettibile implicazione unilaterale tra omessa indicazione del bilancio e remissione del debito. Nel 2013, in definitiva, le Sezioni Unite non affrontarono se non incidenter tantum il tema dei residui attivi o delle sopravvenienze attive si limitarono a stabilire che la sorte di tali crediti resta affidata ad una valutazione caso per caso, fermo restando però che l’estinzione della società dà sempre vita ad un fenomeno successorio. 1.7. Più di recente il tema è stato ripreso e sviluppato da questa Corte con la sentenza pronunciata da Sez. 1 -, Sentenza n. 9464 del 22/05/2020, Rv. 657639 - 01. Tale decisione, integrando e completando i principi stabiliti nel 2013, ha affermato che - anche i residui attivi e le sopravvenienze attive possono trasferirsi ai soci della disciolta società - può ammettersi in astratto che la società possa rinunciare ai crediti suddetti, ma questa rinuncia non può presumersi ipso facto in base al solo rilievo che il credito non sia stato appostato in bilancio. La remissione del debito, infatti, è pur sempre un atto negoziale che n richiede una manifestazione di volontà. Tale manifestazione di volontà ovviamente potrà essere anche tacita, ma deve essere tuttavia inequivoca. Il silenzio, infatti, nel nostro ordinamento giuridico non può mai elevarsi a indice certo d’una volontà abdicativa o rinunciataria d’un diritto, a meno che non sia circostanziato, cioè accompagnato dal compimento di atti o comportamenti di per sé idonei a palesare una volontà inequivocabile. La mancata appostazione d’un credito nel bilancio finale di liquidazione, tuttavia, non possiede i suddetti requisiti di inequivocità. Essa, infatti, potrebbe teoricamente essere ascrivibile alle cause più varie, e diverse da una rinuncia del credito ad esempio, l’intenzione dei soci di cessare al più presto l’attività sociale l’arriere-pensee di coltivare in proprio l’esazione del credito sopravvenuto o non appostato la pendenza delle trattative per una transazione poi non avvenuta, e sinanche, da ultimo, la semplice dimenticanza o trascuratezza del liquidatore. 1.8. A tali principi, cui il Collegio intende dare continuità, non risulta conforme la sentenza oggi impugnata, dal momento che essa ha desunto l’esistenza della volontà della società estinta di rimettere il debito alla Svama basandosi unicamente sulla natura controversa di esso e sulla mancata evidenziazione nel bilancio, e dunque senza avere accertato se quella omissione potesse ritenersi sintomo d’una volontà certa ed inequivoca. La sentenza suddetta va dunque cassata con rinvio. Il giudice di rinvio tornerà ad esaminare l’appello proposto dalla Svama, applicando il seguente principio di diritto la remissione del debito, quale causa di estinzione delle obbligazioni, esige che la volontà abdicativa del creditore sia espressa in modo inequivoco un comportamento tacito, pertanto, può ritenersi indice della volontà del creditore di rinunciare al proprio credito solo quando non possa avere alcun’altra giustificazione razionale, se non quella di rimettere al debitore la sua obbligazione. Ne consegue che i crediti di una società commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione, a meno che tale omissione non sia accompagnati da ulteriori circostanze tali da non consentire dubbi sul fatto che l’omessa appostazione in bilancio altra causa non potesse avere, se non la volontà della società di rinunciare a quel credito . 2. Il secondo motivo di ricorso, al di là della sua intitolazione formale, riproduce nella sostanza le medesime censure già oggetto del primo motivo di ricorso e cioè l’eccezione di giudicato esterno e l’impossibilità di ravvisare una volontà abdicativa tacita dell’operato della liquidatore della società. Varrà dunque per tali censure quanto già esposto nei § § che precedono. 3. Col terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 91 c.p.c Sostengono che per effetto dell’auspicato accoglimento del ricorso per cassazione dovranno essere nuovamente regolate anche le spese. Ovviamente quella appena riassunta non è una censura rivolta verso la sentenza di primo grado essa non è che l’invocazione degli effetti di cui all’art. 336 c.p.c 4. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio. P.Q.M. la Corte di cassazione - accoglie il ricorso nei limiti indicati in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.