Da società ad associazione non riconosciuta: la trasformazione non impedisce il fallimento

La trasformazione di una società da un tipo ad una figura non dotata di piena personalità giuridica, non si traduce nell'estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di uno nuovo in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale comporta soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa, senza incidere sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all'originaria organizzazione societaria e senza escludere la fallibilità dell’originario ente trasformato.

Con la sentenza n. 1519/21 del 25 gennaio, la Cassazione, confermando la pronuncia della Corte di Appello, afferma che la trasformazione di una società in un diverso tipo anche non dotato di personalità giuridica non impedisce, secondo la previsione dell’art. 10 della legge fallimentare, la possibilità di dichiarare il fallimento del soggetto originario prima della trasformazione. Il caso. La sentenza in commento ha origine dall’opposizione alla dichiarazione di fallimento pronunciata nei confronti di una società che, per quanto di rilievo, prima del fallimento aveva promosso la propria trasformazione in associazione non riconosciuta. Avverso il rigetto dell’opposizione, viene proposto ricorso per cassazione nel quale si sostiene l’erroneità della pronuncia posto in ragione dell’avvenuta trasformazione fallimento che, peraltro, si sarebbe potuto - tutt’al più - pronunciare nei confronti dell’associazione risultante dalla trasformazione solo qualora si fosse provata la natura imprenditoriale della stessa. Il S.C. rigetta il ricorso sulla base delle argomentazioni espresse nella massima in epigrafe, per le quali il fallimento ex art. 10 legge fallimentare trova applicazione anche in caso di trasformazione societaria e nei confronti dell’ente originario come risultante prima della trasformazione. La trasformazione profili generali. Secondo l’interpretazione che la dottrina e la giurisprudenza offrono in ordine all’istituto in esame, può affermarsi che la trasformazione di una società da uno ad un altro dei tipi previsti dalla legge art. 2498 c.c. ancorché dotato di personalità giuridica, non si traduce nell'estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di un altro soggetto, in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale non incide sui rapporti sostanziali e processuali che ad esso fanno capo. In tale prospettiva, l'art. 2948 c.c. prevede il principio di continuità dei rapporti giuridici a seguito della trasformazione della società, consentendo che il soggetto titolare dell'impresa conservi i diritti e gli obblighi ad essa precedenti nonché prosegua i rapporti sostanziali e processuali. La trasformazione come fenomeno non unitario”. Se, quindi, come visto poc’anzi, la trasformazione costituisce una vicenda evolutiva e non estintiva del soggetto trasformato, al tempo stesso l’istituto della trasformazione non costituisce una figura unitaria. Esso, infatti, ricomprende in sé una congerie di figure diverse e anche molto dissimili tra loro e non si presta ad una ricostruzione unitaria delle tematiche che le singole figure vengono a proporre. Per riprendere un esempio anche operato nella sentenza in commento, la trasformazione di una società di capitali da spa a srl non determina alcun fenomeno successorio e il soggetto giuridico trasformato rimane lo stesso, sebbene diversamente regolato secondo il tipo societario di approdo. Trasformazione e procedure concorsuali. Fermo quanto riferito in precedenza, la sentenza affronta a seguire il tema degli effetti della trasformazione con riferimento alle procedure concorsuali e, nel caso di specie, la sorte dell’ente risultante dalla trasformazione. Sul punto, richiamando quanto già espresso in precedenza, il S.C. precisa che nel vigente sistema normativo, un fenomeno di riorganizzazione societario - quale, tra gli altri, è la trasformazione o la scissione, come pure, più in generale, di modificazione della struttura conformativa del debitore - non può, come principio, realizzare una causa di sottrazione dell'impresa dalla soggezione alle procedure concorsuali. Ne discende, ad avviso della Cassazione, che la società originaria, poi trasformata in associazione non riconosciuta, rimane insensibile, come soggetto di diritto, all’avvenuta trasformazione, per quanto riguarda l’eventuale sottoposizione alle procedure concorsuali, proprio in forza della previsione di cui all’art. 10, legge fallimentare. Fallimento della società cancellata. Come noto, infatti, proprio l’art. 10 della legge fallimentare consente di dichiarare il fallimento della società entro un anno dalla cancellazione del registro. Tale articolo, peraltro, non distingue in ragione del titolo per cui, nel concreto, avviene la cancellazione e inoltre il limite temporale entro cui può intervenire la dichiarazione di fallimento ed è funzionale all'obiettivo di non estendere all'infinito gli effetti di una attività di impresa non più attuale. Da ciò deriva che la situazione di cessata attualità dell'attività si configura nel caso in cui sia venuto meno, per sopravvenuta trasformazione, il regime di responsabilità patrimoniale che accompagnava l' ente originario. Pertanto, in caso di trasformazione, l'art. 10 della legge fallimentare si applica nei confronti dell' ente originario con la conseguente sua fallibilità non impedita dall'intervenuta trasformazione. Trasformazione ed opposizione dei creditori. Nel contesto ricostruttivo operato dalla Cassazione, il rimedio posto dei creditori – che, rammenta il ricorrente, non hanno proposto opposizione alla trasformazione da srl a società non riconosciuta – non è in alcun modo equiparabile all’avvio dell’esecuzione fallimentare. In particolare, in caso di trasformazione, i creditori muniti di titolo anteriore alla trasformazione beneficiano dell'originario regime di responsabilità della società, la quale nel termine di cui all'art. 10 della legge fallimentare potrà essere dichiarata fallita, dovendo escludersi che l'opposizione dei creditori, ex art. 2500- novies c.c., costituisca un rimedio sostitutivo al fallimento, trattandosi piuttosto di uno strumento aggiuntivo che appronta una tutela di intensità inferiore. Da ciò deriva che lo strumento di tutela dei creditori dato dall'opposizione, che è previsto dalla legge in relazione alle operazioni di trasformazione, non può in alcun modo considerarsi sostitutivo di quello rappresentato dal fallimento, posto che, per la categoria dei creditori anteriori alla trasformazione, appronta una tutela di intensità sensibilmente inferiore.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 9 settembre 2020 – 25 gennaio 2021, n. 1519 Presidente Genovese – Relatore Dolmetta Fatti di causa 1.- Con sentenza depositata in data 129 dicembre 2016, il Tribunale di Napoli ha dichiarato il fallimento della s.r.l. in liquidazione, società cancellata dal registro delle imprese nel marzo dello stesso anno a seguito di delibera assembleare. 2. Avverso tale dichiarazione ha proposto reclamo L. Fall., ex art. 18 avanti alla Corte di Appello di Napoli la società Neapolis omissis Neapolis omissis NapoliMugnano di Napoli omissis C. Colombo omissis F.C. a.s.d. omissis Neapolis Xda s.r.l. in a.s.d. in assenza di opposizione, la trasformazione è divenuta intangibile e irreversibile . 10.- Il motivo non è fondato e deve quindi essere rigettato. 11.- La giurisprudenza di questa Corte ancora di recente ha messo in evidenza che l’istituto della trasformazione, di cui agli artt. 2498 c.c. e ss., contiene in sé e considera una serie di fenomeni diversi e, nel caso, anche molto lontani tra loro. Così viene a ricomprendere il caso della trasformazione di una s.r.l. in una s.p.a. o anche viceversa ex art. 2500 c.c. c.d. trasformazione omogenea tra società di capitali , in cui tutto sembrerebbe risolversi in una semplice modifica dell’atto costitutivo, con il connesso mutamento della forma di organizzazione dell’ ente societario e di partecipazione allo stesso. Come pure ricomprende le diverse fattispecie della c.d. trasformazione regressiva di società, quale ad esempio data dal transito da una s.r.l. a una s.n.c. art. 2500 sexies c.c. , dove prende rilievo anche la diversa tematica innestata dal mutamento di regime di responsabilità patrimoniale, che per tal via viene a realizzarsi per il sopravvenire , appunto, della responsabilità solidale e illimitata dei soci ex art. 2291 c.c. in luogo della precedente situazione di compiuta, perfetta autonomia del patrimonio sociale. Ancor più accentuata lontananza dall’ipotesi della trasformazione omogenea tra società di capitali, quale ipotesi per così dire prima di trasformazione , mostrano poi le varie fattispecie in cui l’istituto in questione viene a fare riferimento ad ipotesi che non risultano riducibili a operazioni di tipo endosocietario di transito, dunque, da organizzazioni societarie a strutture di altra conformazione art. 2500 septies c.c. o anche viceversa art. 2500 octies c.c. . Nei fatti, il legislatore vigente ha stabilito di fissare il limite dell’istituto, di cui agli artt. 2498 c.c. e ss., nella necessaria presenza di almeno una struttura societaria o di partenza dell’operazione o di esito della medesima su tutti questi punti v., in specie, la pronuncia di Cass., 22 ottobre 2010, n. 23174 . 12.- Segue ai rilievi sin qui esposti la rilevazione che l’istituto della trasformazione, di cui ai vigenti artt. 2498 c.c. e ss., non può sicuramente essere assunto in termini di blocco unico , con risvolti identici per tutte le diverse fattispecie tipo in cui l’istituto stesso può venire a manifestarsi. Segue inoltre, e in via strettamente correlata, che la corrente impostazione della trasformazione in termini di modificazione del contratto originario e del conseguente soggetto giuridico - quale tradizionalmente sviluppatasi in chiave di contrapposizione dialettica con un’idea del fenomeno basata invece su una dinamica di estinzione-creazione di soggetti - finisce per manifestarsi come non esaustiva cfr., così, anche Cass. 19 giugno 2019, n. 16511, proprio a proposito di una trasformazione di società di capitali in comunione di azienda . Comunque, non risolutiva di ogni possibile problema possa venire a porsi per le varie fattispecie tipo di trasformazione, secondo quanto ha ben visto, del resto, la sentenza impugnata sulla constatazione che l’alternativa di leggere la trasformazione come vicenda modificativa di contratto e di soggetto o come invece estintiva del soggetto trasformato con creazione di nuovo soggetto si manifesta, in sé stessa, non risolutiva per i fini dell’applicazione della L. Fall., art. 10 concordano, in particolare, le pronunce di Cass., n. 23174/2020 e di Cass., 29 maggio 2020, n. 10302 . Soprattutto, per quanto qui direttamente interessa, la lettura della trasformazione, che assegna tratto comunque connotante al suo comportare una modifica del contratto istitutivo dell’ ente salvo il marginale caso sia programmata sin nell’atto costitutivo, nei fatti la trasformazione comporta per definizione una modifica del contratto originario , non suppone - nè implica - che la struttura originaria, quale sussistente prima della trasformazione, non sia più suscettibile di distinta e autonoma considerazione dopo che l’operazione sia avvenuta. Che è quanto, per contro, senza fondamento viene a postulare la lettura cui si affida il ricorrente. 13.- Con specifico riferimento all’ipotesi di trasformazione di una s.r.l. in una associazione sportiva dilettantistica, che qui concretamente interessa, è da mettere ora in evidenza che in tale fattispecie tipo - come peraltro in numerose altre pure senza dubbio inscrivibili nell’istituto della trasformazione, di cui agli artt. 2498 c.c. e ss. - l’operazione in discorso viene a modificare il regime di responsabilità patrimoniale di cui alla precedente struttura giuridica. Nella fattispecie di trasformazione di s.r.l. in associazione sportava dilettantistica, in particolare, all’autonomia patrimoniale dell’ ente originario viene a fare seguito e riscontro - all’effetto dell’avvenuta trasformazione - la sussistenza del regime di responsabilità che è proprio delle associazioni non riconosciute ex art. 38 c.c., posto che le associazioni sportive dilettantistiche fanno appunto capo a tale figura generale del sistema. 14.- A questo proposito si manifesta ora importante esplicitare che l’istituto della trasformazione non ha in sé la forza di mutare retroattivamente il regime di responsabilità relativo alla struttura precedente al compimento dell’operazione. A tacitare ogni eventuale dubbio si possa mai nutrire al riguardo sta, in ogni caso, la disposizione dell’art. 2500 quinquies c.c., comma 1, laddove ribadisce - per il caso di trasformazione di società con soci illimitatamente responsabili in società con autonomia patrimoniale perfetta - che l’operazione non libera i soci pure la detta norma venendo a predisporre un meccanismo semplificato di eventuale liberazione dei richiamati soci da uno o più degli obblighi pregressi, ove nel concreto risulti consentita dai singoli creditori . Secondo quanto, del resto, trova pure una assai significativa conferma nella norma della L. Fall., art. 147, comma 2, per cui i soci illimitatamente responsabili non possono essere dichiarati falliti decorso un anno dalla cessazione della responsabilità illimitata anche in caso di trasformazione , se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati coerentemente, la disposizione stabilisce altresì che, nell’evenienza, la dichiarazione di fallimento dei soci ex illimitatamente responsabili suppone che l’ insolvenza della società attenga, in tutto o in parte, a debiti esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata . 15.- Perciò, i creditori di titolo anteriore al verificarsi della trasformazione si avvantaggiano del regime di responsabilità che è proprio della struttura precedente alla detta operazione salvo, nel caso occorrente, quelli che, per atto di loro autonomia, abbiano liberato i soci illimitatamente responsabili dal pregresso, in tutto o in parte i creditori di titolo posteriore al compiersi dell’operazione si giovano invece di quello che connota la nuova struttura a questi risultati, in sé stessi determinanti per il tema della fallibilità della società che si cancella dal registro delle imprese perché trasformata, approdano anche le già citata pronunce di Cass., n. 21374/2020 e di Cass., n. 16511/2019 . La mera circostanza che, con la trasformazione, i rapporti in essere proseguano con l’ ente trasformato - su cui insiste in modo particolare il ricorrente - è, in realtà, aspetto che non incide in alcun modo sul regime di responsabilità patrimoniale anteriore e posteriore al compimento dell’operazione. 16.- A tutto ciò consegue, com’è evidente, che il problema della fallibilità dell’ ente originario qui dato da una s.r.l. si pone - nel caso di mutamento del regime di responsabilità patrimoniale per effetto dell’avvenuta trasformazione - in termini oggettivamente distinti e autonomi da quello dell’eventuale fallibilità dell’ ente trasformato . Che quest’ultimo eserciti, oppure no, attività di impresa è sicuramente rilevante in funzione dell’eventualità di un suo fallimento ove nel concreto concorrano, naturalmente, anche tutti gli altri presupposti richiesti dalla legge, a muovere da quelli fissati nella L. Fall., art. 1, comma 2 , ma non viene a incidere in nulla sulla prospettiva del fallimento dell’ente originario. Nè, d’altro canto, si scorgono ragioni atte a fare ipotizzare una diversa soluzione appare del tutto accidentale - nei confronti della pregressa attività svolta dall’ ente originario - che la nuova struttura venga a svolgere un’attività di impresa oppure no. Non appare corretto, in definitiva, considerare la trasformazione e la connessa disciplina di prosecuzione dei rapporti in essere nei termini di istituto idoneo a purgare una situazione di dichiarabile fallimento dell’ ente originario. 17.- Ciò posto, è adesso da osservare che, secondo quanto tradizionalmente si ritiene, la figura della trasformazione assolve propriamente a una funzione di riorganizzazione della struttura degli enti, sub specie di semplificazione operativa in termini di passaggi eliminando, ove ritenuto praticamente possibile e utile, le attività di scioglimento e liquidazione di un ente con contestuale creazione di una nuova struttura e quindi pure di tempi. Ora, può stimarsi sicuro che, nel vigente sistema normativo, un fenomeno che ha, in sé, sostanza riorganizzativa di enti e strutture -qual è quello in discorso - non può, in termini di principio, realizzare una causa di sottrazione dell’impresa societaria dalla soggezione alle procedure concorsuali per l’esplicitazione di questo rilievo di base si veda, in particolare, la recente pronuncia di Cass., 21 febbraio 2020, n. 4737 . Per produrre un simile risultato occorrerebbe, in altre parole, una norma che espressamente sancisca il risultato della compiuta sottrazione. Norma che, tuttavia, non risulta appartenere al novero di quelle attualmente vigenti. 18.- Secondo quanto emerge pianamente dalla lettura del testo normativo e come ha riscontrato la pronuncia della Corte territoriale , specifico presupposto di applicazione della disposizione della L. Fall., art. 10 altro non è che la cancellazione dell’imprenditore - individuale ovvero collettivo - dal registro delle imprese. Il testo della norma non risulta fare differenze, invero, in ragione del titolo per cui, nel concreto, avviene la cancellazione. Non emergono, in particolare, indicazioni atte a sottrarre al destino comune la cancellazione per avvenuta trasformazione, secondo quanto afferma per contro il ricorrente. Determinante, sotto il profilo concreto, si rivela comunque il mutamento di regime di responsabilità patrimoniale, posto che, ai sensi della norma della L. Fall., art. 10, a fallire è l’ ente originario da ritenere esistente sotto questo peculiare profilo - allo stesso modo, e negli stessi termini, di una qualunque società cancellata dal registro e dichiarata fallita nel corso dell’anno susseguente per il riscontro della relativa fictio iuris v., per tutte, la pronuncia di Cass., 1 marzo 2017, n. 5253 . Ciò posto, per la maggiore chiarezza del discorso è bene anche aggiungere che l’applicazione della norma della L. Fall., art. 10 non presuppone, sempre e necessariamente, che la corrispondente attività di impresa - come già svolta dal soggetto imprenditore di cui si predica la fallibilità ancora per l’anno successivo alla cancellazione dal registro - venga pure a cessare sul piano oggettivo. Da quest’angolo visuale, l’ipotesi della trasformazione - che comporti un mutamento rispetto al regime di responsabilità patrimoniale proprio dell’ ente originario - appare per più versi prossima, nella sostanza, alla fattispecie dell’imprenditore che abbia ceduto ad altri l’intera sua azienda, come pure a quella rappresentata dalla scissione totale di una società per questa seconda ipotesi cfr., in particolare, Cass. n. 4737/2020 . Ha rilevato questa Corte che la norma della L. Fall., art. 10, là dove precisa il limite temporale entro cui può intervenire la dichiarazione di fallimento, si manifesta funzionale all’obiettivo di non estendere all’infinito gli effetti di una attività di impresa non più attuale Cass., n. 16511/2019 . Ora, questa situazione di cessata attualità dell’attività ben può ravvisarsi pure nel caso in cui il soggetto più non l’esercita, in ragione del fatto che ha ceduto la relativa azienda ad altri come pure nel caso in cui sia venuto meno, per sopravvenuta trasformazione, il regime di responsabilità patrimoniale che accompagnava l’ ente originario Su questi punti v. ancora la pronuncia di Cass., n. 23174/2020 . 19.- Non viene a inficiare la fila delle considerazioni sin qui sviluppata la constatazione che - nella dinamica del suo compiersi l’operazione di trasformazione eterogenea, configurata dal transito di una s.r.l. in una comunione di azienda, risulta soggetta al meccanismo dell’opposizione dei creditori ai sensi dell’art. 2500 novies c.c. Non è infatti condivisibile l’idea che la predisposizione di una simile meccanismo di tutela dei creditori possegga una valenza sostanzialmente sostitutiva di quella che è rappresentata dallo svolgimento della procedura fallimentare. 20.- Come ha rilevato la sentenza di Cass., 4 dicembre 2019, n. 31654, nel sistema vigente lo strumento dell’opposizione dei creditori risulta porsi non come rimedio sostitutivo e necessario , quanto invece solo aggiuntivo . L’assunto è stato formulato con specifico riferimento alla materia della scissione. Non v’è ragione, tuttavia, per cui lo stesso non debba risultare riferibile anche alle altre ipotesi in cui l’ordinamento prevede simile strumento e così, in particolare, alla materia della trasformazione eterogenea, che qui specificamente interessa. Del resto, in un sistema in cui la procedura fallimentare non viene rimessa alla disponibilità dei creditori occorrerebbe, in proposito, una apposita disposizione che sancisse la sostituzione di tutela, che è assunta dal ricorrente. Lo svolgimento del giudizio di opposizione alla trasformazione - è ancora da notare - non può essere considerato in qualche modo equivalente a quello dell’esecuzione fallimentare si pensi, anche solo, alla materia della revocatoria fallimentare . Sì che, da un lato, la mancata presentazione dell’opposizione non potrebbe mai essere intesa come manifestazione rinunciativa del potere di presentare l’istanza di fallimento ovvero la domanda di insinuazione al passivo. Dall’altro, e soprattutto, l’assunta sostituzione dell’opposizione al fallimento comporterebbe - per la categoria dei creditori anteriori alla trasformazione - una diminuzione di tutela rispetto alla comune posizione dei creditori di impresa tale da potersi anche dubitare della legittimità costituzionale di una soluzione di questo genere. 21.- Secondo la tesi svolta la ricorrente, la mancata di opposizione da parte dei creditori anteriori all’operazione verrebbe a consolidare la trasformazione, così rendendola irreversibile e intangibile cfr. sopra, nel n. 9 . Neppure quest’opinione, però, risulta in qualche modo condivisibile. Che essa assume a suo presupposto necessario il fatto che l’ente uscito dalla trasformazione succeda nei rapporti prima esistenti con l’ente originario. Ma questo aspetto - si è ampiamente visto sopra - rimane del tutto estraneo alla tematica della fallibilità dell’ente originario. Nè, d’altro canto, predicare la fallibilità dell’ente originario viene di per sé a implicare una qualche caducazione dell’avvenuta trasformazione. 22.- A conclusione dell’analisi del primo motivo di ricorso, vanno dunque espressi i seguenti principi di diritto. L’istituto della trasformazione, di cui agli artt. 2498 c.c. e ss., ricomprendendo in sé una congerie di figure diverse e anche molto dissimili tra loro, non si presta a una ricostruzione unitaria delle tematiche che le singole figure vengono a proporre. I creditori di titolo anteriore alla cancellazione dell’ ente originario si avvantaggiano del regime di responsabilità proprio della relativa struttura. A tale regime rimane ancorata, di conseguenza, la fallibilità dell’ ente originario , che l’intervenuta trasformazione non è idonea a impedire. In caso di trasformazione, la norma dell’art. 10 trova comunque applicazione nei confronti dell’ ente originario . La soggettività fallimentare di questo ente non è diversa da quella che viene riconosciuta a una qualunque società cancellata dal registro e dichiarata fallita nel corso dell’anno successivo. Lo strumento di tutela dei creditori dato dall’opposizione, che è previsto dalla legge in relazione alle operazioni di trasformazione, non può in alcun modo considerarsi sostitutivo di quello rappresentato dal fallimento, posto che, per la categoria dei creditori anteriori alla trasformazione, appronta una tutela di intensità sensibilmente inferiore. 23.- Col secondo motivo, il ricorrente afferma che, in ogni caso, non può ritenersi valida la notifica effettuata alla vecchia sede legale della società questa andava eseguita presso la sede legale dell’ente uscito dalla trasformazione. 24.- Il motivo non merita di essere accolto. Secondo quanto rilevato ampiamento nell’ambito dell’esame del primo motivo di ricorso, a fallire - sulla base della normativa dettata nella L. Fall., art. 10 - è l’ente originario, non quello uscito dalla trasformazione. Ne consegue, all’evidenza, che il ricorso per la dichiarazione di fallimento può essere validamente notificato presso la sede della società cancellata cfr. Cass., n. 5253/2017 . 25.- Il terzo morivo di ricorso -che assume violazione delle norme sulla competenza territoriale rispetto al luogo della sede dell’ente uscito dalla trasformazione - risulta assorbito dal mancato accoglimento del secondo motivo di ricorso. 26.- In conclusione, il ricorso è da rigettare. Le spese del giudizio seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 5.100,00 di cui Euro 200,00 per esborsi , oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge. Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.