Il diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata della procedura fallimentare

In tema di equa riparazione da durata irragionevole di una procedura fallimentare, il mancato esperimento, da parte del lavoratore creditore del fallito, dell’azione nei confronti del Fondo di garanzia gestito dall’INPS per il conseguimento delle prestazioni previdenziali, non condiziona l’insorgenza del diritto all’indennizzo, ai fini della quale è sufficiente la prova del fallimento del datore di lavoro e dell’ammissione del credito al passivo.

Con ordinanza n. 15502/20, depositata il 21 luglio, la Cassazione ha accolto il ricorso proposto contro la sentenza con cui la Corte d’Appello aveva rigettato l’opposizione avverso il decreto che negava agli istanti il diritto all’equa riparazione per la durata irragionevole della procedura fallimentare. In particolare, con la citata pronuncia la S.C. ha chiarito che in tema di equa riparazione da durata irragionevole di una procedura fallimentare , il mancato esperimento, da parte del lavoratore creditore del fallito, dell’azione nei confronti del Fondo di garanzia gestito dall’INPS per il conseguimento delle prestazioni previdenziali, di cui alla l. n. 297 del 1982 ed al d.lgs. n. 80 del 1992, non condiziona l’insorgenza del diritto all’indennizzo, ai fini della quale è sufficiente la prova del fallimento del datore di lavoro e dell’ammissione del credito al passivo, potendo invece rilevare in sede di liquidazione dell’indennizzo, così da giustificare una eventuale decurtazione del minimo annuo indicato dalla CEDU, ma l’onere di provare detta inerzia compete all’Amministrazione, al fine di argomentare da essa la minore penosità dell’attesa per la definizione del processo E ancora, ha precisato il Collegio, in caso di insolvenza del datore di lavoro e per la nascita dell’obbligazione del Fondo di Garanzia gestito dall’INPS, di cui al d.lgs. n. 80 del 1992, art. 2, occorre considerare, per il pagamento del TFR e del credito relativo alle ultime tre mensilità, la natura autonoma rispetto all’originario obbligo retributivo datoriale e previdenziale della prestazione erogata dal Fondo, sicché non è inibito l’accertamento giudiziale degli elementi soggettivi ed oggettivi al cui ricorrere nasce la tutela assicurativa, nè è impossibile per l’INPS contestare, a seguito dell’ammissione al passivo della procedura concorsuale, la ricorrenza degli elementi interni alla fattispecie previdenziale .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 6 marzo – 21 luglio 2020, n. 15502 Presidente Lombardo – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragioni della decisione M.A. , nonché L.T. , M.S. , M.D. ed M.A. , eredi di M.C. propongono ricorso articolato in un motivo per la cassazione del decreto reso dalla Corte d’Appello di Napoli in data 2 aprile 2019. Si difende con controricorso il Ministero della Giustizia. La Corte d’appello di Napoli ha rigettato l’opposizione della L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter avverso il decreto del magistrato designato, ed ha perciò confermato che non spettasse ad M.A. ed agli eredi di M.C. il diritto all’equa riparazione per la durata irragionevole della procedura fallimentare in cui gli istanti erano stati ammessi al passivo in data 13 giugno 2002 per il conseguimento del t.f.r. e delle ultime tre mensilità retributive, non avendo gli stessi esercitato l’apposita azione nei confronti del Fondo di garanzia INPS al fine di ottenere l’importo preteso. Ciò la Corte di Napoli ha argomentato sulla base del principio generale di cui all’art. 1227 c.c., comma 2, richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 2, mediante rinvio all’art. 2056 c.c. L’unico motivo di ricorso denuncia la violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 2 e art. 2 quinquies, art. 2 bis, comma 2, nonché ancora la violazione e mancata applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. e degli artt. 6, § 1, e 13 CEDU. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente fondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5 , il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. La Corte d’appello di Napoli ha deciso la questione di diritto ad essa sottoposta non uniformandosi consapevolmente all’orientamento consolidato di questa Corte, senza tuttavia offrire elementi rilevanti per indurre a mutare tale orientamento. Tale orientamento, cha va perciò riaffermato, ha chiarito come, in tema di equa riparazione da durata irragionevole di una procedura fallimentare, il mancato esperimento, da parte del lavoratore creditore del fallito, dell’azione nei confronti del Fondo di garanzia gestito dall’INPS per il conseguimento delle prestazioni previdenziali, di cui alla L. n. 297 del 1982 ed al D.Lgs. n. 80 del 1992, non condiziona l’insorgenza del diritto all’indennizzo, ai fini della quale è sufficiente la prova del fallimento del datore di lavoro e dell’ammissione del credito al passivo, potendo invece rilevare in sede di liquidazione dell’indennizzo, così da giustificare una eventuale decurtazione del minimo annuo indicato dalla CEDU, ma l’onere di provare detta inerzia compete all’Amministrazione, al fine di argomentare da essa la minore penosità dell’attesa per la definizione del processo Cass. Sez. 1 16/12/2009, n. 26421 Cass. Sez. 2, 18/05/2017, n. 12584 Cass. Sez. 2, 06/11/2018, n. 28268 . Come ancora da ultimo affermato in Cass. Sez. 6 - L, 28/11/2019, n. 31128, in caso di insolvenza del datore di lavoro e per la nascita dell’obbligazione del Fondo di Garanzia gestito dall’INPS, di cui al D.Lgs. n. 80 del 1992, art. 2, occorre considerare, per il pagamento del TFR e del credito relativo alle ultime tre mensilità, la natura autonoma rispetto all’originario obbligo retributivo datoriale e previdenziale della prestazione erogata dal Fondo, sicché non è inibito l’accertamento giudiziale degli elementi soggettivi ed oggettivi al cui ricorrere nasce la tutela assicurativa, nè è impossibile per l’INPS contestare, a seguito dell’ammissione al passivo della procedura concorsuale, la ricorrenza degli elementi interni alla fattispecie previdenziale. È peraltro la definitiva esecutività dello stato passivo, da cui risulti il credito per il TFR e le ultime tre mensilità della retribuzione in favore del dipendente dell’imprenditore dichiarato fallito, a vincolare l’Inps al subentro nel debito del datore di lavoro insolvente, posto che la L. n. 297 del 1982, art. 2 ha la finalità di garantire i crediti insoddisfatti dei lavoratori e di evitare loro ulteriori e defatiganti accertamenti Cass. Sez. L, 04/12/2015, n. 24730 . Non si scorge, quindi, come il mancato esperimento, da parte del lavoratore creditore del fallito, dell’azione nei confronti del Fondo di garanzia gestito dall’INPS per il conseguimento delle prestazioni previdenziali di cui alla L. n. 297 del 1982 ed al D.Lgs. n. 80 del 1992 possa considerarsi come condizione ostativa al diritto all’equa riparazione per la irragionevole durata del procedimento concorsuale. La stessa L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, con il rinvio all’art. 2056 c.c., introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012 al quale la Corte d’appello di Napoli fa decisivo riferimento detta criteri per la misura dell’indennizzo sicché il mancato utilizzo dell’intervento del Fondo di Garanzia istituito presso l’INPS, imputabile al lavoratore creditore del fallito, può incidere non come presupposto di inesistenza del danno risarcibile, ma esclusivamente ai fini della determinazione dell’indennità spettante per l’irragionevole durata della procedura fallimentare ai sensi dell’art. 2056 c.c., facendo riferimento, sotto il profilo del rapporto eziologico tra la protrazione del giudizio oltre il termine ragionevole di durata e il danno, all’obbligo dell’interessato di circoscrivere l’entità del pregiudizio, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 2. Conseguono l’accoglimento del ricorso e la cassazione del decreto impugnato, con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli, che, in diversa composizione, sottoporrà la causa a nuovo esame, uniformandosi ai richiamati principi e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo altresì a liquidare le spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato nei limiti della censura accolta e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.