Sentenza di fallimento produttiva di effetti a partire dall'ora ""zero""

La sentenza di fallimento produce effetti nei riguardi dei terzi ai sensi degli artt. 16 e 17 l.fall. a partire dall'ora zero del giorno di iscrizione del provvedimento al registro delle imprese indipendentemente dall'orario effettivo in cui viene materialmente effettuato l'adempimento relativo.

In tema azione di inefficacia ex art. 44 f.fall. per pagamenti effettuati dal fallito successivamente alla dichiarazione di fallimento, se i pagamenti sono avvenuti tramite bonifico bancario, l'azione dichiarativa dell'inefficacia deve essere rivolta nei riguardi del terzo creditore accipiens quale unico legittimato passivo, in quanto diretta a privare l'atto giuridico di pagamento dell'effetto estintivo del debito. La banca-delegata alla quale il fallito ha dato ordine di bonifico rimane estranea al rapporto obbligatorio tra il fallito e il terzo creditore e non è quindi destinataria né dell'azione di inefficacia, né dell'azione di condanna alla restituzione. Così la Cassazione con sentenza n. 7477/20, depositata il 20 marzo. Il caso. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. il Fallimento di una s.r.l. in liquidazione chiedeva l'accertamento dell'inefficacia ex art. 44 f.fall. di alcuni pagamenti eseguiti dalla s.r.l. stessa con addebito sui propri conti correnti lo stesso giorno della dichiarazione di fallimento 23.12.2013 in favore di un'altra società per € 65.000,00 mediante bonifico , nonché di € 1.500,00 in contanti in favore del liquidatore. Il Fallimento chiedeva altresì la condanna della banca alla restituzione dei pagamenti ritenuti inefficaci. L'istituto di credito si costituiva respingendo le domande e chiamando in manleva il liquidatore per svolgere nei suoi riguardi anche domanda di risarcimento danni. Il Tribunale rigettava la pretesa del Fallimento poiché la banca aveva dimostrato che i pagamenti erano avvenuti in orari anteriori a quello in cui la sentenza dichiarativa di fallimento era stata annotata sul registro imprese determinante per l'efficacia verso terzi. La Corte d'Appello riformava completamente la decisione applicando il principio giurisprudenziale per cui gli effetti della sentenza di fallimento si verificano a partire dalle ore 00.00 del giorno di deposito della sentenza. La domanda di manleva verso il liquidatore veniva qualificata come ripetizione di indebito e veniva rigettata dato che accipiens era la banca stessa. Altresì rigettata era la domanda di risarcimento danni non essendo emersi profili di condotte illecite in capo al liquidatore. La banca svolgeva ricorso in Cassazione. La decisione della Cassazione. Il ricorso si fonda su due motivi 1 il problema della data e dell'ora dell'opponibilità a terzi della sentenza dichiarativa di fallimento e 2 il tema della legittimazione passiva nelle azioni di inefficacia ex art. 44 l.fall. e/o di ripetizione di indebito. Opponibilità della sentenza di fallimento. In ordine alla data e all'ora dell'opponibilità a terzi della dichiarazione di fallimento la Cassazione ritiene di confermare la decisione della Corte d'Appello. Secondo l'art. 44, comma 1, l.fall. Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori . La norma ha la finalità di preservare l'integrità dell'attivo, è conseguenza dello spossessamento dovuto alla pronuncia di fallimento e mira a garantire la par condicio creditorum . La legge fallimentare distingue poi il momento in cui la sentenza dichiarativa di fallimento ha efficacia verso il fallito dal momento in cui produce effetti verso i terzi. Nel primo caso occorre fare riferimento alla data di pubblicazione ai sensi dell'art. 133, comma 1 c.p.c. nella seconda ipotesi invece bisogna considerare la data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese artt. 16 e 17 l.fall. . Come già evidenziato nella sentenza della Corte territoriale, le norme non dispongono nulla in relazione all'orario del deposito/pubblicazione della sentenza o della sua iscrizione formale nel registro. Secondo l'orientamento consolidatosi prima della riforma fallimentare del 2006 gli effetti della sentenza si producono nei riguardi delle parti o dei terzi all'ora zero del giorno della pubblicazione o della iscrizione nel registro imprese. Con il provvedimento in commento la Suprema Corte conferma l'orientamento giurisprudenziale richiamato e pertanto la sentenza produce efficacia sin dalla prima ora del giorno di pubblicazione, indipendentemente dal momento effettivo della giornata in cui l'adempimento della pubblicazione viene formalizzato così vengono richiamate Cass. 3047/1976 Cass. 14779/2016 . Ciò vale anche per l'opponibilità a terzi conseguente all'iscrizione nel registro imprese. Infatti l'art. 16, comma 2 l.fall. ha distinto per così dire un doppio binario per l'efficacia verso le parti e verso i terzi, ma non ha inteso stabilire un criterio diverso da quello secondo cui la data di efficacia coincide con il giorno in cui l'adempimento viene compiuto. Gli Ermellini evidenziano i pregi di una simile soluzione 1 non contrasta con la disposizione di legge che individua solo la data-giorno , ma nulla specifica per l'orario 2 risponde ad esigenze di certezza consentendo la produzione degli effetti alla data di pubblicazione/iscrizione con riferimento all'intera dimensione temporale della data stessa senza distinguere fasi o orari nell'arco della giornata 3 semplifica l'accertamento dei termini evitando possibili collusioni e/o condotte elusive. Viene quindi confermata la pronuncia della Corte d'Appello che aveva individuato l'elemento cronologico rilevante ex art. 44 l.fall. nell' ora zero del giorno 23.12.2013 in cui la sentenza di fallimento è stata pubblicata e iscritta nel registro imprese. La legittimazione passiva dell'azione ex art. 44 l.fall Con riferimento alla contestazione della titolarità passiva del rapporto sollevata dalla banca la Cassazione accoglie il motivo svolto dalla ricorrente. Preliminarmente la Corte supera l'eccezione sollevata dal Fallimento nel controricorso di formazione di un giudicato interno implicito della pronuncia della Corte d'Appello proprio sulla questione della legittimazione passiva dell'istituto di credito. Secondo gli Ermellini tale eccezione è infondata per diverse ragioni. In primo luogo, il tema della legitimatio ad causam è problema relativo al contraddittorio e come tale, al fine di evitare sentenze inutiliter datae , implica la relativa verifica anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo. Unico limite è appunto il giudicato interno implicito , ma secondo la Cassazione esso non è configurabile su questioni pregiudiziali all'esame del merito o concernenti la proponibilità dell'azione quando, intervenuta la decisione sul merito della controversia, la parte soccombente abbia proposto impugnazione relativa alla sola o a tutte le statuizioni di merito della sentenza stessa. Questo perché tale impugnazione impedisce la formazione del giudicato esplicito sulla questione di merito che costituisce presupposto indispensabile del giudicato implicito sulla questione pregiudiziale di rito così Cassazione 7337/1998, Cassazione 31574/2018 Cassazione 7776/2017 . Sotto altro profilo si osserva che la titolarità soggettiva attiva o passiva del rapporto dedotto in giudizio è elemento fondante della domanda e attiene al merito. Come tale deve essere provato dall'attore, mentre le contestazioni del convenuto nel caso di specie la banca appunto sul punto rivestono il carattere di mere difese e sono quindi sollevabili in ogni fase del giudizio, salve ovviamente le preclusioni processuali in ordine alle allegazioni e produzioni documentali. Di conseguenza la carenza di titolarità attiva o passiva del rapporto spiega la Cassazione è rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado se risulta dagli atti di causa e se sul punto non è intervenuta una pronuncia da parte del giudice di merito e non sia stata impugnata. In definitiva nel caso di specie la chiamata del terzo liquidatore da parte della banca non può essere considerato implicito riconoscimento della propria titolarità passiva nel rapporto principale e sul tema della legittimazione non era intervenuta una pronuncia espressa del giudice di merito. E' dunque possibile la verifica anche in sede di legittimità. Quanto al merito della questione, la Cassazione spiega che il destinatario della domanda di inefficacia del pagamento è il creditore soddisfatto, cioè l' accipiens e non il soggetto eventualmente incaricato dal fallito di eseguire il pagamento poiché esso agirebbe solo per conto del fallito stesso e non riceve da questi alcun pagamento. La fattispecie prevista dall'art. 44 l.fall. implica invece che l'atto e i suoi effetti giuridici siano riconducibili alla sfera patrimoniale del fallito. Di conseguenza se il pagamento avviene con bonifico significa che si fonda su un rapporto contrattuale tra fallito-delegante e banca-delegata che consente comunque di riferire l'atto stesso alla sfera del fallito-delegante qualificandolo come pagamento con efficacia estintiva dell'obbligazione che il fallito-delegante ha nei riguardi del terzo. In conclusione, per la Cassazione a l'azione di inefficacia ex art. 44 l.fall. deve essere svolta nei confronti del terzo accipiens quale unico legittimato passivo e verso il quale il curatore potrà agire per il recupero della somma il terzo potrà poi insinuare al passivo fallimentare il proprio credito rimasto insoddisfatto b la banca-delegata rimane estranea al rapporto di debito-credito tra fallito-delegante e terzo creditore. L'istituto di credito non è quindi destinatario né dell'azione di inefficacia, né della condanna alla restituzione. Ricostruita così la dinamica, il cerchio si chiude a seguito della dichiarazione di inefficacia rivive il rapporto obbligatorio tra fallito e terzo accipiens ripristinando da un lato la par condicio creditorum e dall'altro conservando l'integrità del patrimonio del fallito. Nel caso di specie quindi la domanda di restituzione delle somme in conseguenza della dichiarazione di inefficacia dei pagamenti ex art. 44 l.fall. doveva essere proposta nei confronti dei terzi creditori e non nei riguardi della banca priva cioè di legittimazione passiva.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 16 maggio 2019 – 20 marzo 2020, n. 7477 Presidente Armano – Relatore Olivieri Fatti di causa Il Fallimento omissis s.r.l. in liquidazione proponeva ricorso ex art. 702 bis c.p.c., avente ad oggetto l’accertamento della inefficacia ai sensi della L. Fall., art. 44 nei confronti della massa dei creditori, dei pagamenti eseguiti dalla società con addebito sui propri conti bancari intrattenuti con Cassa Risparmio di Asti s.p.a., lo stesso giorno 23.12.2013 in cui era stata dichiarata fallita, a favore di ARTECH s.r.l., per l’importo di Euro 65.000,00 versato mediante bonifico, ed a favore dello stesso liquidatore M.G. il quale aveva incassato contanti per Euro 1.500,00 operando un prelievo sul conto della società. Il Fallimento chiedeva altresì la condanna della banca alla restituzione della complessiva somma di Euro 66.505,00 corrispondente ai pagamenti inefficaci. Cassa Risparmio di Asti s.p.a. si costitutiva e chiamava in giudizio M.G. che rimaneva contumace proponendo domanda riconvenzionale subordinata di condanna ad essere manlevata per le somme eventualmente dovute al Fallimento, nonché domanda di condanna al risarcimento degli ulteriori danni. Il Tribunale di Torino, con ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., in data 4.5.2016, rigettava la domanda del Fallimento avendo fornito prova la banca, attraverso la certificazione della CCIAA di Milano, che i pagamenti erano stati sì eseguiti il 23.12.2013, ma in orari anteriori a quello in cui la sentenza dichiarativa di fallimento era stata annotata nel registro delle imprese, con efficacia verso i terzi, ai sensi della L. Fall., art. 16, comma 2 e art. 17, comma 2, come sostituiti dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169. La Corte d’appello di Torino, con sentenza in data 1.12.2017 n. 2553, in totale riforma della decisione di prime cure dichiarava inefficaci i pagamenti, applicando il principio giurisprudenziale per cui gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento venivano a prodursi, tanto per le parti quanto per l’opponibilità ai terzi, alla ora 0 dello stesso giorno di deposito della sentenza, interpretazione fornita dalla Corte di legittimità in assenza di espressa disposizione legislativa che attribuisse rilevanza anche all’ora oltre che alla data di pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento, ai sensi dell’art. 133 c.p.c., ovvero all’ora della iscrizione della stessa nel registro delle imprese, ai sensi della L. Fall., art. 17, comma 2 e non sussistendo valide ragioni per diversificare il trattamento delle due ipotesi qualificava come azione di ripetizione dell’indebito la domanda subordinata di manleva proposta dalla banca contro il M. , rigettandola in quanto, relativamente all’importo accreditato con bonifico ad ARTECHE s.r.l., l’ accipiens era quest’ultima e non il M. che aveva disposto l’ordine di bonifico quanto al prelievo in contante di Euro 1.500,00 effettuato dal liquidatore della stessa società dichiarata poi fallita, difettava la prova che lo stesso M. fosse anche l’effettivo destinatario del pagamento rigettava anche la domanda riconvenzionale subordinata di condanna al risarcimento dei danni, proposta dalla banca nei confronti del M. in quanto le disposizioni dei pagamenti inefficaci erano state impartite da soggetto titolare dei poteri rappresentativi dell’ente collettivo dunque erano imputabili in via esclusiva alla società XXX poi dichiarata fallita nessun profilo di condotta illecita specifica era stato ascritto al M. in proprio, quale persona fisica. La sentenza di appello, notificata in data 5.12.2017, è stata impugnata da Cassa Risparmio di Asti s.p.a. con ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resiste con controricorso il Fallimento ,,, s.r.l Le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c Ragioni della decisione La banca ricorrente ha impugnato la sentenza di appello deducendo a il vizio di violazione e falsa applicazione delle norme processuali in tema di legittimazione passiva alla azione dichiarativa della inefficacia dei pagamenti eseguiti dal fallito successivamente alla sentenza dichiarativa di fallimento L. Fall., ex art. 44, ed alla azione di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c., nonché il vizio di omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 primo motivo b il vizio di violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 16, comma 2, art. 17, comma 2 e art. 44, nonché il vizio di omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in ordine alla individuazione, alla stregua della interpretazione della disciplina normativa, del momento in cui la sentenza dichiarativa di fallimento diviene opponibile ai terzi secondo motivo . Osserva il Collegio che i motivi sono strettamente connessi e logicamente subordinati, in quanto la questione della individuazione del momento in cui la sentenza dichiarativa di fallimento diviene opponibile ai terzi condiziona anche la qualificazione in termini di legittimità/illegittimità della condotta tenuta della banca, presso la quale la società fallita ha intrattenuto i propri conti correnti, la soluzione della questione della legittimazione o meglio titolarità passiva della Cassa di risparmio in relazione al rapporto dedotto in giudizio. La eccezione di giudicato interno implicito, formatosi secondo il Fallimento resistente sulla questione della legittimazione passiva ovvero sulla titolarità passiva del rapporto obbligatorio controverso in capo alla banca, è da ritenere infondata. Ed infatti la legitimatio ad causam si ricollega al principio dettato dall’art. 81 c.p.c., secondo il quale nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, e, trattandosi di materia attinente al contraddittorio e mirando la norma a prevenire una sentenza inutiliter data , comporta la verifica, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo col solo limite della formazione del giudicato interno ed in via preliminare rispetto all’esame del merito, della coincidenza dell’attore e del convenuto con i soggetti che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio così come invocata e prospettata nella domanda introduttiva, sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta orbene, secondo una consolidata giurisprudenza di questa Corte, non è configurabile il giudicato implicito in relazione alle questioni pregiudiziali all’esame del merito ovvero a quelle concernenti la proponibilità dell’azione quando, intervenuta la decisione sul merito della controversia, la parte soccombente abbia proposto impugnazione relativamente alla sola od a tutte le statuizioni di merito della sentenza, in quanto detta impugnazione impedisce la formazione del giudicato esplicito sulla questione o sull’accertamento di merito che costituiscono l’indispensabile presupposto del giudicato implicito sulla questione pregiudiziale di rito cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7337 del 27/07/1998 id. Sez. U, Sentenza n. 1912 del 09/02/2012 id. Sez. 1, Sentenza n. 5141 del 11/04/2002 id. Sez. 5, Sentenza n. 10027 del 29/04/2009 id. Sez. 5, Sentenza n. 5375 del 04/04/2012 id. Sez. L, Sentenza n. 14243 del 08/08/2012 id. Sez. 1 -, Sentenza n. 7776 del 27/03/2017 id. Sez. 6-3, Ordinanza n. 31574 del 06/12/2018 la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, del rapporto di diritto sostanziale dedotto in giudizio, è un elemento costitutivo della domanda ed attiene, invece, al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, con la conseguenza che le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso, hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto, non rilevabili dagli atti pertanto la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice, in ogni stato e grado , se risultante dagli atti di causa cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 2951 del 16/02/2016 id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 11744 del 15/05/2018 , salvo evidentemente che sul punto il Giudice di merito si sia espressamente pronunciato e tale statuizione non sia stata gravata da impugnazione il dedotto effetto preclusivo allo svolgimento di tale difesa contestazione della titolarità passiva del rapporto obbligatorio nel giudizio di legittimità, derivante secondo l’assunto del Fallimento dal giudicato implicito interno, asseritamente formatosi sul punto a seguito della condotta processuale della banca dovendo ravvisarsi una oggettiva incompatibilità tra la domanda di manleva formulata dalla banca nei confronti del terzo chiamato in causa e la contestazione della titolarità passiva nel rapporto principale dedotto in giudizio -, non trova alcun riscontro negli atti processuali. Vale osservare, al proposito, che la Corte d’appello ha qualificato le domande proposte, in via subordinata, dalla banca nei confronti del terzo-chiamato, rispettivamente, come azione di ripetizione d’indebito ed azione di risarcimento danni , escludendo, quindi, tanto la qualificazione di una azione di regresso nei confronti del coobbligato solidale, quanto quella di una azione volta a far valere un rapporto di garanzia propria od impropria tra la chiamante ed il terzo chiamato, fondato su un titolo contrattuale che obblighi quest’ultimo a sollevare la convenuta dalla pretesa attorea ovvero dalle conseguenze economiche della eventuale soccombenza nel rapporto principale. Dall’atto di chiamata del terzo non può, dunque, inferirsi alcun comportamento concludente della banca in ordine al riconoscimento della propria titolarità passiva nel rapporto principale, ed in particolare non può inferirsi alcuna incompatibilità logica e giuridica tra le domande proposte dalla banca contro il terzo, proposte solo in via condizionata all’accoglimento della pretesa attorea, e la contestazione della posizione passiva del rapporto, con indicazione del soggetto che ha ricevuto il pagamento quale esclusivo titolare del rapporto principale, restando in conseguenza esclusa la formazione di un giudicato implicito rectius di una condotta non contestativa della banca su tale questione, in ordine alla quale non vi è stata alcuna pronuncia espressa da parte dei Giudice di merito, e può costituire quindi oggetto di verifica nel giudizio di legittimità cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 2951 del 16/02/2016 . Tanto premesso, ritiene il Collegio che le censure mosse, con il secondo motivo, dalla ricorrente alla statuizione della Corte d’appello, secondo cui la sentenza dichiarativa di fallimento è opponibile ai terzi dalla ora zero del giorno in cui la pronuncia è adottata, non introducono nuovi argomenti critici, idonei a mutare la conclusione raggiunta dal Giudice di merito sulla scorta dei precedenti conformi. Occorre premettere che la L. Fall., art. 44, comma 1, nel prevedere l’inefficacia, rispetto ai creditori, dei pagamenti eseguiti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento, configura logico corollario della perdita della disponibilità dei beni acquisiti al fallimento stesso L. Fall., art. 42 e mira a preservare l’integrità dell’attivo, assicurando la par condicio creditorum . La norma in questione, alla luce della valenza letterale dell’espressione pagamenti eseguiti dal fallito , nonché del presupposto sul quale essa norma si basa e della finalità da essa perseguita, è riferibile agli atti estintivi di obbligazioni del solvens , compiuti con prelievo dal suo patrimonio e con connesso trattamento preferenziale dello accipiens cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4957 del 18/04/2000 . La L. Fall., R.D. 16 marzo 1942, n. 267, nel testo riformato dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 distingue il momento in cui si producono gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento, secondo che si debba avere riguardo al debitore fallito ed al creditore istante ovvero ai terzi. Nel primo caso la sentenza prende efficacia dalla data della sua pubblicazione ai sensi dell’art. 133 c.p.c., comma 1 cui rinvia espressamente la L. Fall., art. 16, comma 2, primo periodo nel secondo la medesima disposizione di legge, comma 2 secondo periodo , fa invece riferimento alla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese dovendo procedersi alla annotazione presso l’ufficio del registro delle imprese ove l’imprenditore ha la sede legale e, se questa differisce dalla sede effettiva, anche presso quello corrispondente al luogo ove la procedura è stata aperta L. Fall., art. 16, comma 2, secondo periodo, che rinvia alla L. Fall. art. 17, comma 2 . Le norme richiamate non contengono alcun ulteriore riferimento cronologico diverso dalla data individuata dal giorno in cui vengono compiute le formalità che perfezionano la pubblicazione e la iscrizione nel registro della sentenza dichiarativa di fallimento. In carenza di altri elementi indicativi, questa Corte, già nella disciplina anteriore alla riforma legislativa del 2006 che si limitava a prevedere la provvisoria esecutività della sentenza , aveva ritenuto di dover colmare tale lacuna alla stregua del criterio interpretativo fondato sulla ratio legis della norma, diretta non soltanto a disciplinare forme di conoscibilità legale del provvedimento, ma anche a stabilire un dato obiettivo certo cui ricollegare la produzione degli effetti della sentenza di fallimento individuando nell’ ora zero dello stesso giorno della pubblicazione o della iscrizione nel registro delle imprese, il momento in cui gli effetti vengono a prodursi nei confronti dei terzi e delle altre parti. Non vi è dunque ragione di discostarsi dal principio di diritto secondo cui, in mancanza della prescrizione legale, tra gli elementi di individuazione della data della sentenza dichiarativa di fallimento, anche dell’annotazione della ora in cui la decisione è stata emessa, l’efficacia della sentenza inizia dalla prima ora di quel medesimo giorno ora zero e, pertanto, il fallito resta privo dell’amministrazione e della disponibilità dei beni e debbono ritenersi inefficaci gli atti dallo stesso compiuti e i pagamenti a lui effettuati, dal suddetto inizio di quella giornata, indipendentemente dall’ora in cui tali atti siano stati eseguiti cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 3047 del 18/08/1976 id. Sez. 1, Sentenza n. 14779 del 19/07/2016, entrambe in relazione alla disciplina normativa previgente al D.Lgs. n. 5 del 2006 . Il principio è stato confermato anche in relazione alla disposizione della L. Fall., art. 16, comma 2, introdotta dal D.Lgs. n. 5 del 2006, dal precedente di questa Corte Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 5781 del 27/02/2019, che ha posto in rilievo come la differenziazione introdotta dalla legge in ordine alla peraltro soltanto eventuale diacronica produzione degli effetti della sentenza nei confronti delle parti e dei terzi tale sfasamento cronologico, si verificherebbe indubitabilmente quanto all’ ora , ove però si dovesse avere riguardo al momento dell’effettivo compimento dell’attività richiesta dalla norma, precedendo necessariamente la pubblicazione della sentenza alla sua trasmissione telematica effettuata dal Cancelliere all’ufficio del registro delle imprese – L. Fall., art. 17, comma 3 mentre tale discrasia temporale si prospetterebbe soltanto eventuale, in relazione al giorno ed infatti il Cancelliere è tenuto a trasmettere la sentenza entro il giorno successivo al deposito in cancelleria , ma ben potrebbe anche adempiere alla trasmissione lo stesso giorno nel quale, pertanto, potrebbe essere effettuata anche la annotazione nel registro delle imprese non denota anche la volontà del Legislatore di stabilire un criterio diverso da quello secondo cui la data di efficacia coincide con il giorno, e dunque non incide, nè modifica, la ratio legis sottesa al primo ed al secondo periodo, della L. Fall., art. 16, comma 2, in quanto identico permane, in entrambi i casi, lo scopo di ancorare ad un dato obiettivo, quanto più possibile preciso, il momento di produzione degli effetti della sentenza, scopo che viene soddisfatto, per l’appunto, attraverso la individuazione ex ante di tale momento all’ ora zero del giorno in cui è effettuata la pubblicazione o la iscrizione nel registro delle imprese. Tale criterio, pertanto 1 non contrasta con la disposizione di legge, che individuando solo la data-giorno, non preclude l’indicato risultato interpretativo 2 risponde alla esigenza di certezza sottesa alla ratio legis della disposizione, assicurando che gli effetti della sentenza si producano alla data di pubblicazione o di iscrizione, con riferimento quindi all’intera dimensione temporale della data che in assenza di diversa indicazione deve essere computata secondo il calendario comune suddiviso per giorni, mesi ed anni esprimendo l’art. 2963 c.c. e art. 155 c.p.c., che a tale calendario si riferiscono, un principio di carattere generale e dunque non può che coincidere con il numero cardinale ed il nome del giorno, il nome del mese e l’anno in cui l’atto è compiuto ne segue che l’effetto della sentenza in quanto ricollegato dalla legge alla data di pubblicazione ed iscrizione nel registro, non può che essere riferito all’ intera durata del giorno che inizia, per l’appunto, all’ora zero 3-semplifica l’accertamento del termine che discrimina lo spossessamento del fallito L. Fall., art. 42 e la inefficacia degli atti e dei pagamenti dallo stesso compiuti o ricevuti L. Fall., art. 44 , evitando defatiganti contestazioni e prevenendo possibili collusioni e condotte elusive. Esente dai vizi censurati è, pertanto, la motivazione della Corte territoriale che, conformandosi al predetto principio di diritto, ha individuato l’elemento cronologico previsto dalla L. Fall., art. 44, per la dichiarazione di inefficacia nei confronti della massa dei creditori dei pagamenti effettuati dalla banca, nell’ora zero del giorno 23.12.2013 in cui la sentenza dichiarativa di fallimento è stata pubblicata ed iscritta nel registro delle imprese. Occorre, quindi, esaminare il primo motivo di ricorso, con il quale la banca contesta la titolarità passiva del rapporto. La censura è fondata. Risulta incontestato che la disposizione di eseguire il bonifico bancario a favore di ARTECH s.r.l. ed il prelievo di cassa della somma in contati, sono stati effettuati dal liquidatore della società, in nome e per conto del soggetto fallito. Orbene la L. Fall., art. 44, comma 1, dispone la inefficacia dei pagamenti eseguiti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento Tutti i pagamenti eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori . Lo strumento dell’inefficacia dei pagamenti è posto a tutela della par condicio creditorum ed è volto ad impedire l’effetto giuridico proprio dell’atto estintivo del debito del fallito verso il terzo, in quanto – diversamente il credito di quest’ultimo verrebbe ad essere sottratto alla verifica concorsuale ed alla falcidia dei crediti privilegiati di grado anteriore. Ne segue che destinatario della domanda di accertamento della inefficacia del pagamento, e della conseguente domanda di restituzione della somma indebitamente versata cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17196 del 29/07/2014 , non può che essere il creditore soddisfatto, ossia l’ accipiens e non anche il soggetto -eventualmente incaricato, dal fallito, ad eseguire il pagamento, il quale agisce per conto del fallito e non riceve da questi alcun pagamento. È stato, infatti, rilevato che ai sensi di tale norma ndr. L. Fall., art. 44 , deve ritenersi inefficace, se compiuto dopo il fallimento, qualsiasi atto satisfattivo comunque, e pur indirettamente, riferibile al debitore fallito, o perché eseguito con suo denaro, o per suo incarico nei modi della delegazione, o dell’accollo cumulativo non allo scoperto , ovvero in suo luogo, come avviene, per l’appunto, nell’ipotesi in cui il pagamento sia effettuato in favore dei creditori del fallito dal terzo suo debitore, in esecuzione dell’ordinanza di assegnazione del credito presso di lui pignorato. Ma se così è, se cioè detto pagamento costituisce atto solutorio riconducibile al fallito, risulta evidente che, non diversamente da quanto avviene nel caso in cui lo stesso sia assoggettabile a revocatoria ai sensi della L. Fall., art. 67, l’azione ex art. 44, deve essere esercitata nei confronti dell’accipiens, ovvero di colui che ha effettivamente beneficiato del negozio satisfattivo. cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14779 del 19/07/2016 . Sulla stessa linea si pone anche il precedente di questa Corte Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 22160 del 03/11/2016 secondo cui in caso di fallimento del debitore già assoggettato ad espropriazione presso terzi , l’azione revocatoria fallimentare del pagamento eseguito dal debitor debitoris può essere esercitata soltanto nei confronti del creditore assegnatario, ossia di colui che, beneficiando dell’atto solutorio, si è sottratto al concorso ed è, quindi, tenuto, onde ripristinare la par condicio , alla restituzione di quanto ricevuto, affinché sia distribuito secondo le regole concorsuali. Al riguardo la banca ha invocato i precedenti di questa Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 14779 del 19/07/2016 dal quale il CED della Corte ha estratto la seguente massima in caso di fallimento del debitore già assoggettato ad espropriazione presso terzi, l’azione con la quale il curatore fa valere l’inefficacia, ai sensi della L. Fall., art. 44, del pagamento eseguito dal debitor debitoris al creditore assegnatario, ha ad oggetto un atto estintivo di un debito del fallito, a lui riferibile in quanto effettuato con il suo denaro e in sua vece, sicché va esercitata nei soli confronti dell’ accipiens , ossia di colui che ha effettivamente beneficiato dell’atto solutorio e Corte Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4195 del 21/02/2018, non massimata, che in relazione all’azione revocatoria L. Fall., ex art. 67, ha affermato il principio secondo cui il soggetto chiamato alla restituzione delle somme ricevute, tenuto conto del fine che è proprio della revocatoria fallimentare, cioè di ristabilire la par condicio creditorum, non può essere evidentemente che l’accipiens, inteso come colui che essendo creditore del fallito risulta beneficiario diretto dell’atto solutorio, non certo il suo rappresentante che si sia limitato ad incassare il denaro per farlo poi confluire nella piena disponibilità del rappresentato . Assume il Fallimento che la fattispecie esaminata nel primo degli indicati precedenti giurisprudenziali era intermediata dall’ ordine di assegnazione del GE sicché il pagamento eseguito dal debitor debitoris risultava giustificato da un titolo giudiziale che lo rendeva in ipotesi imputabile al fallito, anche se in tesi privo di efficacia solutoria, se pure limitatamente ai creditori concorsuali cfr. Corte cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 25421 del 17/12/2015 secondo cui, in caso di assegnazione ai sensi dell’art. 553 c.p.c., il pagamento eseguito dal terzo debitor debitoris in favore del creditore assegnatario estingue sia il suo debito nei confronti del debitore esecutato che quello di quest’ultimo verso il creditore predetto, sicché, ove lo stesso sia successivo al fallimento del menzionato debitore, è privo di effetti, L. Fall., ex art. 44, ma solo nel rapporto obbligatorio tra il fallito e quel creditore, che, pertanto, è l’unico soggetto obbligato alla restituzione al curatore di quanto ricevuto diversamente, nella vicenda oggetto del presente giudizio, con lo scioglimento del contratto di conto corrente bancario, a far data dalla dichiarazione di fallimento L. Fall., art. 78 , il materiale trasferimento dei fondi dalla provvista del conto della società fallita mediante accredito sul conto del creditore, non poteva integrare un atto solutorio riferibile al fallito, non potendo configurare, essendo venuto meno il rapporto bancario, adempimento contrattuale in difetto di un valido ordine dispositivo conferito alla banca con effetti ricadenti nella sfera patrimoniale del cliente-fallito, con la conseguenza che l’accredito in quanto disposto con denaro proprio della banca si era risolto in un indebito oggettivo e la banca, da un lato, era tenuta a restituire l’intera provvista al Fallimento, mentre, dall’altro, era legittimata ad agire ex art. 2033 c.c., nei confronti del terzo accipiens cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9167 del 01/08/1992 . Osserva il Collegio che i precedenti giurisprudenziali invocati dalla banca, per sostenere la eccezione di difetto di legittimazione passiva e di titolarità del rapporto di diritto sostanziale, sono all’evidenza del tutto inconferenti. La fattispecie esaminata da Corte Cass. n. 14779/2016, infatti, concerne il pagamento eseguito coattivamente dal debitor debitoris , e presuppone che il pagamento, anche se eseguito da soggetto diverso dal fallito, sia comunque riferibile alla sfera patrimoniale di quest’ultimo, in tal modo divergendo tale vicenda da quella, oggetto della presente controversia, in cui la banca che ha effettuato materialmente il pagamento eseguendo la disposizione, ricevuta dal fallito, di bonifico della somma sul conto del terzo creditore non ha assunto alcuna obbligazione nei confronti del terzo, nè tanto meno ha inteso adempiere un proprio debito nei confronti fallito così come del tutto diversa è la fattispecie, oggetto dell’altro precedente giurisprudenziale, in cui la questione della legittimazione passiva concerneva esclusivamente la posizione neutrale , rispetto all’azione revocatoria fallimentare, del soggetto che aveva agito soltanto quale rappresentante o nuncius del terzo-creditore, in quanto da questi incaricato di ricevere materialmente, per suo conto, il pagamento della somma. Quanto al rilievo di merito formulato dal Fallimento controricorrente, che prospetta la diversa ricostruzione della fattispecie concreta incentrata sullo scioglimento del contratto bancario determinato dalla dichiarazione di fallimento, osserva il Collegio che, se la questione presenta indubitabili elementi di riflessione, tuttavia tale difesa, comportando una immutazione dei fatti costitutivi della pretesa, si palesa nuova rispetto all’oggetto del thema controversum e dunque non può accedere all’esame demandato al sindacato di legittimità. Risulta dalla sentenza di appello che il Fallimento, con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., aveva evocato in giudizio la banca, chiedendo di a dichiarare inefficace nei confronti dei creditori L. Fall., ex art. 44, il pagamento di Euro 66.505,00 b e per l’effetto condannare la Cassa di Risparmio di Asti s.p.a. alla restituzione della somma corrispondente al pagamento dichiarato inefficace . La correlazione tra domanda di accertamento di inefficacia e domanda di condanna, così come posta nell’atto introduttivo, circoscriveva, quindi, l’allegazione dei fatti costitutivi 1 al presupposto della intervenuta opponibilità alla banca della sentenza dichiarativa di fallimento 2 all’elemento cronologico del compimento dell’atto solutorio, in data successiva a quella di pubblicazione ed iscrizione della sentenza predetta nel registro delle imprese, con conseguente inefficacia del pagamento 3 all’ammontare della somma di denaro destinata al pagamento, con la esecuzione dell’ordine di bonifico ed il prelevamento di cassa. Tali essendo esclusivamente i fatti costitutivi allegati a sostegno della domanda principale di accertamento dovendo intendersi la domanda recuperatoria di condanna meramente consequenziale ed accessoria rispetto alla prima, rimaneva del tutto estraneo all’oggetto della controversia il presupposto di fatto in quanto pacificamente dato e non contestato della esistenza di un preesistente rapporto contrattuale definito di conto corrente senza altre indicazioni tra la società fallita e la banca, come –peraltro trova riscontro anche nelle difese di merito, svolte dalla banca convenuta, circoscritte soltanto a alla eccezione di difetto di legittimazione o comunque di titolarità passiva del rapporto, sostenendo la convenuta che unico legittimato era il soggetto che aveva riscosso la somma b alla questione della individuazione del momento di efficacia e di opponibilità della sentenza dichiarativa di fallimento, nei confronti dei terzi di buona fede, alla stregua della interpretazione della L. Fall., artt. 16 e 17, sostenendo la banca che gli adempimenti relativi alla pubblicazione ed annotazione della sentenza si collocavano in un orario posteriore rispetto a quello in cui, nello stesso giorno, erano stati effettuati gli atti dispositivi. L’argomento speso dal Fallimento nel controricorso, inteso a ricondurre ad un diverso fatto costitutivo lo scioglimento del contratto di conto corrente L. Fall., ex art. 78 la domanda recuperatoria, integra pertanto una nuova allegazione che non può avere accesso per la prima volta in sede di legittimità, in quanto prescinde dai presupposti fattuali della declaratoria di inefficacia L. Fall., ex art. 44, originariamente richiesta, e viene ad operare su un diverso piano della fattispecie che non attiene alla inefficacia del pagamento disposto od eseguito dal fallito ma al rapporto obbligatorio che intercorre direttamente tra la banca ed il Fallimento della società correntista. La fattispecie descritta dalla L. Fall., art. 44, in relazione ai pagamenti, ipotizza che l’atto, o meglio gli effetti giuridici dell’atto, siano riferibili alla sfera patrimoniale del fallito, con la conseguenza che, il pagamento effettuato mediante ordine di bonifico, richiede l’esistenza di un valido ed efficace rapporto contrattuale con la banca da individuarsi nella convenzione di delegazione di pagamento accessoria al contratto di conto corrente tale da giustificare la riferibilità al delegante fallito dell’atto giuridico compiuto dalla banca-delegata, ed a qualificare detto atto come pagamento , ossia come adempimento estintivo di un’obbligazione che era stata assunta dal soggetto poi dichiarato fallito nei confronti del terzo, con effetto satisfattivo del credito. Posta in questi termini la fattispecie delineata dalla L. Fall., art. 44, risulta del tutto evidente come a l’azione dichiarativa della inefficacia, debba essere svolta nei confronti del terzo- accipiens , quale unico legittimato passivo, in quanto diretta a privare l’atto giuridico-pagamento dell’effetto estintivo del debito, con la conseguenza, da un lato, che il curatore potrà recuperare dal terzo la somma a questi versata, eventualmente azionando il titolo esecutivo relativo al capo di condanna della sentenza dichiarativa della inefficacia dall’altro che, persistendo inadempiuta la obbligazione originaria, il terzo sarà legittimato ad insinuare il proprio credito al passivo della procedura concorsuale b la banca-delegata rimane del tutto estranea al rapporto obbligatorio tra il fallito ed il terzo, e non è, pertanto, destinataria nè dell’azione di inefficacia, nè della azione di condanna alla restituzione, fatta salva una sua eventuale responsabilità, ad altro e diverso titolo, nei confronti del proprio cliente fallito , che dovrà, allora, essere dedotta specificamente in giudizio dal curatore, a fondamento di una distinta azione di condanna. Risulta, dunque, evidente come l’azione L. Fall., ex art. 44, sia fondata su presupposti diversi rispetto alla domanda volta a ricondurre l’insorgenza della obbligazione restitutoria della somma di denaro, a carico della banca-delegata, al distinto presupposto fattuale dell’inadempimento della relativa obbligazione derivante dal contratto di conto corrente, in seguito alla cessazione ex lege dello stesso e della accessoria convenzione di delegazione L. Fall., art. 78 , non avendo la banca ottemperato a trasferire il saldo attivo del conto agli organi fallimentari, così come cristallizzatosi nel suo ammontare alla data della dichiarazione di fallimento. E come ancora diversa sia la domanda di condanna fondata sul presupposto della inesistenza di qualsiasi vincolo obbligatorio ex contractu tra le parti, con la quale si venga ad individuare, nell’atto di disposizione del denaro appartenente al soggetto fallito distratto a vantaggio del terzo creditore -, una condotta illecita da cui si intenda far derivare la responsabilità extracontrattuale della banca per indebita appropriazione. Gli evidenziati limiti della allegazione dei fatti costitutivi della pretesa formulata dal Fallimento, non consentono, dunque, una mera diversa qualificazione giuridica della fattispecie concreta dedotta in giudizio e della domanda , venendo ad incidere la differente prospettazione attorea sullo stesso accertamento di merito concernente la individuazione del soggetto effettivamente destinatario della pretesa. Il pagamento dichiarato inefficace, lascia in vita la originaria obbligazione contratta dal fallito con il terzo-creditore, perseguendo il duplice scopo 1 di ripristinare la par condicio creditorum e 2 di conservare integro il patrimonio del fallito, cristallizzato alla data della dichiarazione di fallimento. La domanda di inadempimento contrattuale o di responsabilità extracontrattuale, prescinde del tutto dalla inefficacia del pagamento id est dalla eliminazione dell’effetto estintivo del debito del fallito ed impone invece l’accertamento della disforme condotta della banca rispetto alla prescrizione della attività dovuta, avente titolo nel contratto e nella disciplina legale integrativa o nella regola generale dell’art. 2043 c.c In conseguenza, avendo correlato il Fallimento la domanda di condanna alle restituzioni alla pronuncia dichiarativa della inefficacia del pagamento delle somme riscosse dai creditori, la relativa azione doveva essere proposta nei confronti dei terzi creditori che avevano alterato il principio della par condicio attraverso la soddisfazione preferenziale dei propri crediti e non, invece, nei confronti della banca, priva dunque di legittimazione passiva rispetto alla domanda L. Fall., ex art. 44, non avendo, peraltro, il Fallimento fondato la distinta domanda recuperatoria su altri elementi fattuali idonei a far emergere un’obbligazione restitutoria delle somme a carico della banca. La sentenza impugnata va, pertanto cassata e, non occorrendo procedere ad ulteriore attività istruttoria, questa Corte può decidere nel merito la causa ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto della domanda introduttiva del Fallimento della società s.r.l La alterna vicenda processuale e la particolarità delle questioni trattate indicono a compensare integralmente le spese dell’intero giudizio. P.Q.M. Accoglie il ricorso, quanto al primo motivo dichiara infondato il secondo motivo cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda introduttiva di condanna proposta dal Fallimento della società s.r.l. nei confronti di Cassa di Risparmio di Asti s.p.a Compensa integralmente le spese processuali.