All’imprenditore cancellato dal registro delle imprese è precluso il concordato preventivo?

Il decisum in rassegna pone al centro dell’attenzione l’istituto del concordato preventivo. Nella specie, si tratta di stabilire se, nel momento in cui cessi un’attività imprenditoriale, con la conseguente cancellazione dal registro delle imprese, la risoluzione della relativa crisi possa avvenire, o meno, attraverso la procedura concordataria.

E, i giudici della Prima sezione civile di Piazza Cavour, con la sentenza n. 4329/20, depositata il 20 febbraio 2019, conformandosi a un non lontano precedente giurisprudenziale di legittimità v., Cass. 21286/15 evidenziano come il combinato disposto degli artt. 2495, c.c., e 10, l.fall., impediscano al liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, di cui, entro l’anno dalla cancellazione, sia domandato il fallimento di richiedere il concordato preventivo. Quest’ultima procedura, infatti, diversamente dalla prima, che ha finalità solo liquidatorie, tende alla risoluzione della crisi di impresa, sicché l’intervenuta e consapevole scelta di cessare l’attività imprenditoriale, necessario presupposto della cancellazione, ne preclude ipso facto l’utilizzo, per insussistenza del bene al cui risanamento essa dovrebbe mirare. Il fatto. Con sentenza depositata il 24 settembre 2015 la Corte d’appello di Brescia ha rigettato il reclamo proposto da Sempronio avverso il decreto con il quale era stata dichiarata l’inammissibilità della proposta di concordato preventivo, in quanto formulata da soggetto non legittimato, ossia da imprenditore individuale che aveva cessato l’attività d’impresa, e la conseguente sentenza con la quale il Tribunale di Cremona ne aveva dichiarato il fallimento. In particolare, la Corte territoriale ha osservato che la cancellazione di Sempronio, imprenditore individuale, dal registro delle imprese in data 13 marzo 2014 rappresentava ragione sufficiente per presumere l’estinzione dell’attività imprenditoriale, salva la prova contraria della sua prosecuzione che il reclamante non aveva fornito elementi per superare detta presunzione e, anzi, aveva dedotto di essersi spogliato del patrimonio aziendale, avendolo ceduto alla Farmacia Beta s.a.s. di Sempronio & amp C. di nuova costituzione che non era assimilabile la fattispecie della cessazione dell’attività da parte dell’imprenditore individuale a quella della morte dell’imprenditore che neppure poteva essere condivisa la tesi della prosecuzione dell’attività da parte di Sempronio attraverso la società, dal momento che, a seguire la prospettazione del reclamante, si sarebbero dovuti registrare due soggetti distinti la persona fisica e la società contemporaneamente svolgenti la stessa attività imprenditoriale. Avverso quest’ultima decisione Sempronio ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso il curatore del fallimento. Nello specifico, con l’unico motivo di gravame il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 10, 160 e 161, l.fall. Tuttavia, i giudici di vertice dichiarano infondato il ricorso chiarendo che – come già rilevato dalla Corte territoriale – a fronte di un’unica attività imprenditoriale, non può ritenersi che essa sia riconducibile a due distinti soggetti giuridici. Pertanto, l’imprenditore, il quale volontariamente cessi l’attività di impresa tiene un comportamento a lui imputabile che preclude l’utilizzo di strumenti finalizzati alla composizione della crisi dell’attività imprenditoriale. Siffatta soluzione è stata recepita per il futuro dal codice della crisi di impresa. A norma dell’ultimo comma del d. lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, che reca la disciplina della cessazione dell’attività in relazione a tutte le procedure, è inammissibile la domanda di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentata dall’imprenditore cancellato dal registro delle imprese. Gli effetti della cancellazione delle società dal registro delle imprese. Ai sensi dell’art. 2495, comma 2, c.c., nel testo introdotto dall’art. 4 del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 ed entrato in vigore a partire dal primo gennaio 2004, la cancellazione dal registro delle imprese produce l’effetto costitutivo dell’estinzione irreversibile della società anche in presenza di crediti insoddisfatti e di rapporti di altro tipo non definiti. Invero, la cancellazione dal registro delle imprese non cancella i debiti della società estinta. L’art. 2495, secondo comma, c.c. si occupa soltanto dei cosiddetti residui passivi, vale a dire dei debiti della società che residuano dopo la cancellazione, in quanto non considerati nella liquidazione, scientemente o colpevolmente. La norma de qua esprime un principio fondamentale l’estinzione della società conseguente alla cancellazione non determina l’automatica estinzione delle obbligazioni che ad essa facevano capo poiché altrimenti si finirebbe col consentire al debitore di disporre unilateralmente del diritto altrui v., SS.UU., 6070/2013 . L’imprenditore cancellato dal registro delle imprese non è legittimato a proporre domanda di concordato preventivo. Relativamente al concordato preventivo richiesto da un imprenditore cancellato dal registro delle imprese, si osserva come tale ipotesi venga ritenuta ammissibile, al pari di quella dell’imprenditore defunto, dalla prevalente dottrina in base all’applicazione analogica degli artt. 10, 11, l.fall. Sulla scorta del dato che se l’imprenditore è sottoposto alla disciplina del fallimento, bene può avvalersi anche di quella relativa al concordato preventivo, stante l’identità di ratio, ritenuta quale l’esigenza di definire in un certo arco temporale tutti i rapporti giuridico-economici pendenti relativi all’impresa cessata. La maggiore critica ricevuta da questo orientamento - peraltro ribadita nel decisum che qui ci occupa - è che non vi sarebbe alcuna norma, tra quelle dettate per la disciplina del concordato preventivo, che richiami l’art. 10, l.fall., e che una applicazione analogica estensiva non sarebbe possibile in ragione della diversità di presupposti sottesi all’estensione del fallimento oltre gli effettivi estintivi della cancellazione dal registro delle imprese. Pertanto, se si esclude l’estensione del predetto art. 10, l.fall., alla disciplina del concordato, resta allora ben poco spazio per ammettere a concordato le imprese cancellate dal registro delle imprese, anche se si tiene conto degli effetti civilistici della cancellazione e del ribaltamento processuale di tali effetti. Invero, considerato che l’art. 2495, c.c., qualifica in termine di estinzione l’effetto giuridico determinato dalla cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese, una volta avveratasi l’estinzione e il venir meno nella realtà giuridica tanto dell’ente societario quanto delle cariche sociali esistenti al tempo della cancellazione, mancherebbe il soggetto legittimato processualmente alla proposizione del ricorso nell’interesse dell’ente. Secondo un precedente consolidato orientamento giurisprudenziale la cancellazione della società dal registro delle imprese non provocava anche la sua estinzione, che era invece determinata soltanto a seguito dell’effettiva liquidazione dei rapporti giuridici pendenti che alla stessa facevano capo e alla definizione di tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi per ragioni di dare ed avere. Ne derivava, pertanto, che una società costituita in giudizio non perdeva la legittimazione processuale in conseguenza della sua sopravvenuta cancellazione dal registro delle imprese la rappresentanza sostanziale e processuale della stessa, difatti, permaneva, per i rapporti rimasti in sospeso e non definiti, nei medesimi organi che la rappresentavano prima della formale cancellazione v., Cass. 12114/06 . Per il più recente e difforme orientamento giurisprudenziale, ribadito dagli odierni Ermellini, l’intervenuta cancellazione dal registro delle imprese determina l’estinzione della società di persone, con il relativo venir meno della capacità e della legittimazione della società anche nel caso in cui dovessero perdurare rapporti o azioni in cui essa era parte v., SS. UU., 4062/10 . Con la conseguenza che ai singoli soci è altresì precluso l’esercizio di azioni giudiziarie la cui titolarità sarebbe spettata alla società poi cancellata, dovendo desumere che la stessa, avendo optato per la propria estinzione, vi abbia volutamente rinunciato. In conclusione, l’imprenditore, il quale volontariamente cessi l’attività di impresa tiene un comportamento a lui imputabile che preclude l’utilizzo di strumenti finalizzati alla composizione della crisi dell’attività imprenditoriale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 11 settembre 2019 – 20 febbraio 2020, n. 4329 Presidente Didone – Relatore De Marzo Fatti di causa 1. Con sentenza depositata il 24 settembre 2015 la Corte d’appello di Brescia ha rigettato il reclamo proposto da T.A. avverso il decreto con il quale era stata dichiarata l’inammissibilità della proposta di concordato preventivo, in quanto formulata da soggetto non legittimato, ossia da imprenditore individuale che aveva cessato l’attività d’impresa, e la conseguente sentenza con la quale il Tribunale di Cremona ne aveva dichiarato il fallimento. 2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato a che la cancellazione del T. , imprenditore individuale, dal registro delle imprese in data 13 marzo 2014 rappresentava ragione sufficiente per presumere l’estinzione dell’attività imprenditoriale, salva la prova contraria della sua concreta prosecuzione b che il reclamante non aveva fornito elementi per superare detta presunzione e, anzi, aveva dedotto ciò che, del resto, era confermato dalle visure camerali di essersi spogliato del patrimonio aziendale, avendolo ceduto alla Farmacia San Francesco s.a.s. di Dott. A. T. & amp C. di nuova costituzione c che non era assimilabile la fattispecie della cessazione dell’attività da parte dell’imprenditore individuale a quella della morte dell’imprenditore d che neppure poteva essere condivisa la tesi della prosecuzione dell’attività da parte del T. attraverso la società, dal momento che, a seguire la prospettazione del reclamante, si sarebbero dovuti registrare due soggetti distinti la persona fisica e la società contemporaneamente svolgenti la stessa attività imprenditoriale. 3. Avverso tale sentenza il T. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo, cui hanno resistito con controricorso il curatore del fallimento, che ha proposto, altresì, ricorso incidentale condizionato, e Unico La Farmacia dei Farmacisti s.p.a. Non hanno svolto attività difensiva la Farcopa Distribuzione s.r.l., la CTF Group soc. coop. a r.l., la Società Italo Britannica L. Manetti H. Roberts & amp C. p.a., la Montefarmaco OTC s.p.a. e la Bracco s.p.a. In vista della pubblica udienza, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo del ricorso principale, si lamenta violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 10, 160 e 161. Rileva il ricorrente a che la L. Fall., artt. 10 e 11 non hanno natura eccezionale, ma speciale, giacché hanno la funzione di ampliare, al di là del periodo temporale di esercizio dell’impresa, la possibilità di dichiarare il fallimento dell’imprenditore, in modo da conservare ai creditori la possibilità della tutela concorsuale della quale disponevano al momento dell’assunzione dell’obbligazione b che, pertanto, tali previsioni sono suscettibili di applicazione analogica o, almeno, di interpretazione estensiva c che la prevalenza della procedura concordataria su quella fallimentare, alla luce dell’interesse dei creditori ad essere soddisfatti in misura apprezzabile e in un lasso di tempo ragionevolmente breve, rende irragionevole la contraria soluzione adottata dalla Corte territoriale d che, in difetto di limiti normativi, deve piuttosto essere prospettata un’interpretazione costituzionalmente orientata della L. Fall., artt. 10 e 161, nel senso che la presentazione della domanda di concordato sarebbe idonea a sospendere il termine annuale per la dichiarazione di fallimento e che siffatta conclusione sarebbe confermata dal mancato richiamo, da parte della L. Fall., art. 162, comma 2, del precedente art. 10 f che, del resto, una attenta lettura della disciplina della procedura concordataria non consentirebbe di cogliere alcun ostacolo normativo alla soluzione prospettata g che, infine, non sarebbe dato cogliere quale interesse il legislatore avrebbe inteso tutelare escludendo dalla procedura concordataria l’imprenditore cessato, giacché quest’ultimo è comunque tenuto a rispondere dei debiti contratti e i creditori conservano l’interesse a concordare con l’ex imprenditore le modalità del rientro. Le doglianze sono infondate. Questa Corte ha già ritenuto che il combinato disposto dell’art. 2495 c.c. e L. Fall., art. 10 impediscano al liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, di cui, entro l’anno dalla cancellazione, sia domandato il fallimento, di richiedere il concordato preventivo. Quest’ultima procedura, infatti, diversamente dalla prima, che ha finalità solo liquidatorie, tende alla risoluzione della crisi di impresa, sicché l’intervenuta e consapevole scelta di cessare l’attività imprenditoriale, necessario presupposto della cancellazione, ne preclude ipso facto l’utilizzo, per insussistenza del bene al cui risanamento essa dovrebbe mirare Cass. 20 dicembre 2015, n. 21286 . In definitiva, il dato cruciale è rappresentato dalla persistente esistenza o non di una realtà imprenditoriale rispetto alla quale possa porsi l’esigenza di assicurare, attraverso la procedura concordataria, la risoluzione della crisi con le modalità previste dal legislatore. Con tali conclusioni non collide affatto Cass. 21 dicembre 2018, n. 33349, la quale ha ritenuto che le iniziative complessivamente assunte dall’imprenditore individuale nella specie, presentazione di una proposta concordataria , pur cancellato dal registro delle imprese, rendano evidente il compimento di operazioni economiche di tipo liquidatorio, dirette alla regolazione concordataria di una attività di impresa, per ciò stesso di fatto proseguita. La soluzione si coordina con l’orientamento espresso da Cass. 21286/2015 cit., dal momento che, per le società di capitali quale era quella che veniva in rilievo nella decisione appena citata , l’art. 2495 c.c. fa discendere dalla cancellazione della società la sua estinzione. Ciò posto, la ricostruzione di 33349/2018 muove dalla premessa che, in generale la presentazione della proposta di concordato al netto di ipotesi di abuso, non processualmente emergenti nel caso di specie possa rappresentare un atto di prosecuzione dell’attività di impresa. Tuttavia, si tratta di una conclusione basata sulla valutazione operata, nel caso deciso, dai giudici di merito, quanto al superamento della presunzione di cessazione dell’attività collegata alla cancellazione. Al contrario, nella vicenda che si esamina, la sentenza impugnata muove da un diverso accertamento in fatto e cioè che la proposta di concordato non esprimeva alcun atto di impresa, dal momento che il T. si era spogliato del patrimonio aziendale, in tal modo cessando l’attività imprenditoriale individuale. La Corte territoriale ha anche condivisibilmente aggiunto che, a fronte di un’unica attività imprenditoriale, non può ritenersi che essa sia riconducibile a due distinti soggetti giuridici. In definitiva, deve ribadirsi che l’imprenditore il quale volontariamente cessi l’attività di impresa tiene un comportamento a lui imputabile che preclude l’utilizzo di strumenti finalizzati alla composizione della crisi dell’attività imprenditoriale. Siffatta soluzione è, peraltro, stata recepita per il futuro dal codice della crisi di impresa. A norma del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, art. 33, u.c. che reca la disciplina della cessazione dell’attività in relazione a tutte le procedure, è inammissibile la domanda di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentata dall’imprenditore cancellato dal registro delle imprese. 2. Al rigetto del ricorso principale segue l’assorbimento di quello incidentale condizionato con il quale si lamenta violazione della L. Fall., artt. 18, 162 e 163, rilevando che il decreto di inammissibilità della domanda di concordato preventivo è reclamabile, ai sensi della L. Fall., art. 162, comma 3 e art. 18 solo quando quest’ultima sia inscindibilmente connessa alla contestuale o successiva dichiarazione di fallimento. Nel caso di specie, al contrario, siffatta connessione, argomentativa ed effettuale, non sarebbe sussistente. 3. Il rigetto del ricorso principale comporta, altresì, la condanna del T. al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, alla luce del valore e della natura della causa nonché delle questioni trattate. P.Q.M. Rigetta il ricorso principale dichiara assorbito il ricorso incidentale condanna il ricorrente principale al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.