Credito fallimentare e prova della sussistenza della inscientia decoctionis debitoria

La prova della sussistenza della consapevolezza circa lo stato d’insolvenza dell’imprenditore è raggiunta ogni volta che si siano verificate circostanze, desumibili anche da semplici indizi, tali da far presumere ad una persona di ordinaria avvedutezza e prudenza che l’imprenditore si trovi in una situazione di non normale esercizio dell’impresa.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25230/19, depositata il 9 ottobre. Il caso. Il Tribunale di Roma, respingendo l’opposizione allo stato passivo promossa da un società, negava la natura privilegiata del credito vantato dalla stessa nel fallimento di una s.r.l La creditrice, dunque, propone ricorso in Cassazione lamentando che il Giudice abbia errato nel ritenere che essa fosse consapevole della crisi in cui versava la società debitrice, poi fallita, alla data in cui è stata concessa l’ipoteca volontaria, dichiarata inefficacie dal Tribunale. Inoltre, la ricorrente lamenta che il Giudice non abbia valutato i vari elementi addotti a riprova della sua inscientia decoctionis . Consapevolezza dello stato di insolvenza. La Cassazione, ritenendo infondato il ricorso, richiama il consolidato orientamento per cui la prova della sussistenza della consapevolezza circa lo stato d’insolvenza dell’imprenditore ex art. 67 l.f. è raggiunta ogni volta che, al momento in cui è posto in essere l’atto revocabile, si siano verificate circostanze tali da far presumere ad una persona di ordinaria avvedutezza e prudenza che l’imprenditore si trovi in una situazione di non normale esercizio dell’impresa. Tale circostanza può essere desunta anche da semplici indizi, aventi efficacia probatoria delle presunzioni semplici e, in quanto tali, soggetti a valutazione concreta del giudice di merito . Nel caso di specie, la Suprema Corte rileva che il Tribunale ha giudicato sussistente la prova della consapevolezza che la società debitrice che ancora non era fallita al tempo in cui sono avvenuti i fatti , si trovasse in una situazione di non normale esercizio dall’impresa, alla luce anche del mancato adempimento di precedenti obbligazioni proprio verso la ricorrente . Ritenendo che il Tribunale abbia adeguatamente motivato il proprio convincimento circa la sussistenza della scientia decoctionis in capo alla ricorrente, la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 2 luglio – 9 ottobre 2019, n. 25230 Presidente Genovese - Relatore Nazzicone Rilevato in fatto - che è stato proposto ricorso, sulla base di un unico motivo, avverso il decreto del Tribunale di Roma n. 23327 del 9 novembre 2017, il quale ha respinto l’opposizione allo stato passivo promossa dall’odierna ricorrente, negando la natura privilegiata del credito dalla stessa vantato - che il Fallimento omissis S.r.l. si difende con controricorso. Ritenuto in diritto - che l’unico motivo del ricorso deduce la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 67, 98 e 99, avendo il giudice di merito ritenuto erroneamente sussistente la consapevolezza dell’odierna ricorrente circa lo stato di crisi in cui versava la società debitrice poi fallita alla data in cui è stata concessa l’ipoteca volontaria, dichiarata dal tribunale inefficace nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., in ragione della mancanza, apparenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, avendo il giudice omesso di valutare i vari elementi addotti, dalla difesa della ricorrente, a riprova della sua inscentia decoctionii - che il ricorso è manifestamente infondato - che, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, la prova della sussistenza della consapevolezza circa lo stato d’insolvenza dell’imprenditore L. Fall., ex. art. 67 è raggiunta ogni volta che, al momento in cui è stato posto in essere l’atto revocabile, si siano verificate circostanze tali da far presumere ad una persona di ordinaria prudenza e avvedutezza che l’imprenditore si trovasse in una situazione di non normale esercizio dell’impresa circostanza che può essere desunta anche da semplici indizi, aventi l’efficacia probatoria delle presunzioni semplici e, in quanto tali, soggetti a valutazione concreta da parte del giudice di merito, da compiersi in applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. Cass. 2557/2008 - che una tale impostazione non equivale a negare la necessità che la conoscenza dello stato d’insolvenza da parte del terzo contraente sia effettiva e non meramente potenziale ciò nonostante, la prova di tale effettiva conoscenza può essere raggiunta mediante il ricorso a presunzioni semplici inoltre, è opportuno ribadire che la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità Cass. 20935/2005 - che, nel caso di specie, il tribunale - con apprezzamento di merito non censurabile e compiutamente motivato - ha ritenuto che sussista la prova della consapevolezza che la società debitrice, all’epoca ancora in bonis, si trovasse in una situazione di non normale esercizio dell’impresa risultanze pubbliche mancato adempimento delle precedenti obbligazioni nei confronti della stessa odierna ricorrente - che, d’altronde, anche la circostanza - comunque non decisiva -addotta dalla società ricorrente, per cui vi sarebbe stata la prosecuzione dei rapporti di fornitura tra le due imprese successivamente all’iscrizione dell’ipoteca, è rimasta sfornita di prova innanzi al giudice del merito, secondo i poteri di accertamento esclusivi del medesimo - che alla stessa conclusione deve pervenirsi - mancanza di decisività e difetto di specificità del motivo - in relazione agli altri clementi probatori la cui valutazione si lamenta essere stata dal tribunale omessa rapporti di fornitura intrattenuti dalla società fallita anche con altre imprese importanti appalti in corso di esecuzione - che, dunque, il giudice di merito ha adeguatamente motivato il proprio convincimento circa la sussistenza, in capo all’odierna ricorrente, della stientia decoctionis, operando un puntuale riferimento agli elementi probatori raccolti - che la condanna alle spese segue la regola della soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte costituita, di Euro 4.100 di cui Euro 100 per esborsi , oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.