Insolvenza di società in liquidazione: valutare le attività e le concrete possibilità di realizzo

Ai fini dell’applicazione dell’art. 5 l. fall. la valutazione del giudice che – quando la società è in liquidazione deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali – non può non tener conto anche delle concrete possibilità di realizzo e della relativa tempistica, non essendo questione secondaria il ritardo spropositato nella realizzazione del proprio credito, da valutarsi a cura del giudice, con giudizio che – quando sia espressamente motivato – si sottrae al controllo in questa sede.

Sul tema la Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 24948/19, depositata il 7 ottobre. Il caso. Una s.r.l. veniva dichiarata fallita e proponeva reclamo avverso la sentenza di fallimento. La Corte d’Appello di Milano confermava la decisione respingendo le tesi della società. Quest’ultima ricorreva allora in Cassazione sostenendo che la corte territoriale non aveva verificato correttamente la sussistenza dello stato di insolvenza nel caso di società in liquidazione di fatto”. La decisione della Cassazione. Come anticipato nella descrizione della vicenda, la s.r.l. ha sostenuto in sede di reclamo e nel ricorso in Cassazione di versare – all’epoca della dichiarazione di fallimento – in uno stato di liquidazione per così dire di fatto”/ sostanziale”, seppur non formalmente dichiarato. Con il primo motivo di ricorso, la società ha censurato la decisione della Corte d’Appello perché avrebbe applicato al gravame i principi sull’appello di cui all’art. 342 c.p.c Al contrario, secondo il ricorrente, il reclamo contro la dichiarazione di fallimento non può essere equiparato a un giudizio di appello ordinario” avendo l’impugnazione interposta un effetto devolutivo pieno”. Ciò implica la non applicabilità dei limiti di cui agli artt. 342 e 345 c.p.c. con conseguente onere per il giudice di esaminare anche con l’esercizio dei poteri officiosi di cui all’art. 18, comma 10, l. fall. tutti i temi di indagine oggetto di doglianza, anche se non allegati nel procedimento di primo grado in questi termini ex multis Cassazione n. 12964/16 . La Cassazione conferma l’effetto devolutivo pieno del reclamo, ma osserva che nella fattispecie la Corte d’Appello non ha violato tale principio avendo compiuto un esame pieno delle doglianze e accertando nello specifico con giudizio fattuale complessivo la sussistenza dello stato di insolvenza. Con il secondo motivo di ricorso la s.r.l. ha lamentato il fatto che la Corte d’Appello avesse giudicato sullo stato di insolvenza non tenendo in considerazione lo stato di liquidazione seppur solo sostanziale” e non formalmente dichiarato della società. In altri termini secondo il ricorrente l’accertamento della decozione” di una società in liquidazione sarebbe diverso rispetto a quello di una società operativa”. Quanto sopra perché in caso di liquidazione occorre valutare solo le attività e non anche l’effettiva disponibilità del credito, di risorse liquide o di cespiti facilmente monetizzabili” essendo tali considerazioni valide solo per società ancora operanti sul mercato. Secondo il ricorrente occorreva al riguardo considerare che la s.r.l. aveva completato l’edificazione di un immobile e avrebbe potuto fruire di un finanziamento bancario che invero si trovava ancora in fase di istruttoria . La Cassazione osserva in primo luogo di non essersi mai occupata prima di verifica dell’insolvenza di società in liquidazione di fatto” ma la distinzione rispetto alla liquidazione per così dire formale” non rileverà ai fini della decisione concreta . Gli Ermellini ricordano in effetti l’arresto del 2017 n. 19414 a mente del quale quando la società è in liquidazione la valutazione del giudice i fini dell’applicazione dell’art. 5 l. fall. deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali . La differenza rispetto alle società attive” risiede nel fatto che un’impresa in liquidazione non si propone di operare continuativamente sul mercato e ha come unico obiettivo quello di realizzare le attività per pagare i creditori. A tale precedente tuttavia la Corte aggiunge quello del 2018 n. 18137 nell’ambito del quale si è precisato che il giudizio di cui sopra necessita di opportuni correttivi” poiché non può prescindere dalla valutazione della concretezza ed attualità di tali elementi cioè delle attività e delle tempistiche di realizzo degli attivi. Nel caso di specie quindi la Corte d’Appello – a prescindere dalla liquidazione sostanziale” o formale” in cui versava la fallita – aveva ritenuto che il finanziamento della banca era ancora solo in fase istruttoria e che nel complesso non emergevano concrete possibilità di soddisfacimento dei creditori non avendo di fatto la società un patrimonio attivo facilmente e celermente monetizzabile”. In altre parole, anche ove si fosse ammesso lo stato di liquidazione della società, la s.r.l. non dava prospettive certe di realizzo del proprio patrimonio in tempi ragionevoli per soddisfare i creditori. Risultava dunque provato lo stato di insolvenza del ricorrente. La Cassazione respinge pertanto il ricorso e conferma la dichiarazione di fallimento della s.r.l

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 18 settembre – 7 ottobre 2019, n. 24948 Presidente Didone – Relatore Genovese Fatti di causa 1. La Corte d’appello di Milano ha respinto il reclamo proposto, ai sensi della L. Fall., art. 18, avverso la sentenza dichiarativa del fallimento della omissis srl poi , dalla detta società nel contraddittorio con la Curatela del Fallimento e con il creditore procedente C.S. . 1.1. La Corte territoriale ha affermato che, l’appello della società ricorrente non poteva trovare accoglimento in relazione a nessuno dei tre motivi di appello a il primo, costituente una mera esposizione difensiva, privo di censure alla motivazione, perché dal reclamo non era dato comprendere quale differenza di trattamento sarebbe scaturita per la società dalla fase di liquidazione sostanziale così definita dal Tribunale , atteso che non era utile a tal proposito nè l’avvenuta costruzione dell’immobile e nè il finanziamento bancario, che si trovava ancora nella fase della istruttoria per essere emersa soltanto una disponibilità della Banca a effettuare una nuova perizia sul cantiere, senza che ci fosse la certezza della percezione della somma richiesta in prestito b il secondo, perché articolato in una lunga esposizione della diversa lettura dei dati del bilancio della società relativo all’anno 2015, atteso che ove anche fondato nelle sue osservazioni, esso lasciava inalterato il dato incontrovertibile della non monetizzabilità degli attivi di bilancio con effetti non satisfattori sia per il creditore procedente e sia per la convenienza dell’eventuale sottoscrizione di una transazione. Infatti, il patrimonio immobiliare non era suscettibile di una liquidazione celere e, soprattutto, garantita nei tempi di un prevedibile pagamento dilazionato, anche a seguito di un accordo transattivo con i creditori c il terzo, poiché la reazione all’affermazione del Tribunale circa la mancanza o la garanzia di fondi utili alla proposta transattiva del creditore procedente è stata quella di una seconda ed ulteriore proposta inviata solo dopo la dichiarazione di fallimento. 2. Contro tale decisione la società ora ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati anche con memoria. 3. Il Creditore procedente C.S. ha resistito con controricorso. 3.1. La Curatela fallimentare non ha svolto difese. Ragioni della decisione 1. Con il primo mezzo Erronea applicazione delle norme di cui alla L. Fall., art. 18 e art. 118 disp. att. c.p.c. art. 360 c.p.c., n. 3 , la ricorrente si duole della reiezione del reclamo senza l’indicazione della norma applicata, in violazione dell’art. 118 disp. att. c.p.c., nell’ipotesi che la Corte avesse applicato i principi sull’appello di cui all’art. 342 c.p.c., comma 1, sicuramente inapplicabili al reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, così come disciplinata dalla L. Fall., art. 18. 1.1. Secondo la ricorrente, infatti, ove avesse rigettato il reclamo ritenendolo inammissibile, la Corte avrebbe violato la L. Fall., art. 18, che attribuisce al reclamo effetto pienamente devolutivo, con esclusione del doveroso controllo sullo stato di liquidazione di Palco peraltro, accertato in fatto dal Tribunale , verificando la capienza patrimoniale e la disponibilità dei mezzi per perfezionare la transazione con l’unico creditore istante, revocando la dichiarazione di fallimento del debitore. 2. Con il secondo Erronea applicazione della L. Fall., art. 5 art. 360 c.p.c., n. 3 , la ricorrente si duole della violazione dei principi relativi all’accertamento dello stato d’insolvenza delle società in liquidazione, che esigerebbero unicamente la verifica in ordine alla valutazione degli elementi attivi e alla loro possibilità di un integrale soddisfacimento dei creditori sociali. 2.1. Affermando l’irrilevanza dell’accertamento in ordine alla sussistenza dello stato di liquidazione della società, la Corte territoriale avrebbe violato i quattro principi enunciati dalla Cassazione a la necessaria distinzione tra l’insolvenza dell’impresa operativa e di quella dell’impresa in liquidazione b tale distinzione sarebbe applicabile anche alle imprese che di fatto si trovino in stato di liquidazione per quanto non formalizzato c per tutte le imprese in liquidazione comprese quelle non formalizzate come tali si applicherebbe l’unico criterio costituito dalla valutazione della consistenza delle attività, poste in raffronto con quella delle passività d a tali imprese non si applicherebbero le regole valevoli per quelle operative, compresi il rilievo della disponibilità del credito, delle risorse liquide e della facile e tempestiva monetizzabilità dei cespiti. 3. Il ricorso si compone di due mezzi di doglianza attinenti, in ordine successivo a il primo, all’ipotizzata surrettizia applicazione delle regole dell’appello a quelle dei reclami, con particolare riferimento al reclamo previsto e disciplinato dalla L. Fall., art. 18, con la sottintesa enunciazione del principio di specificità e causalità del mezzo di doglianza, che nella specie sarebbe stato implicitamente escluso dalla Corte territoriale, con violazione delle richiamate norme codicistiche b il secondo, in caso di superamento della prima censura, alla denuncia di un quadruplice errore commesso dal giudice del reclamo che, anziché verificare il certo stato di liquidazione della società debitrice, avrebbe omesso tale necessario passaggio ritenendolo irrilevante, anche per le società in liquidazione di fatto e avrebbe così applicato i contrari principi valevoli solo per le società operative che non versino in stato di liquidazione. 4. Il primo motivo, in disparte il carattere ipotetico della sua formulazione che porterebbe alla sua dichiarazione di inammissibilità è in realtà infondato, in quanto al di là della utilizzazione non sorvegliata del termine appello in luogo di reclamo, in questo o quel passo della motivazione contenuta nel provvedimento impugnato la Corte territoriale ha compiuto un esame pieno della doglianza, avendo ribadito - alla fine della propria argomentazione in ordine al carattere non specifico del motivo di reclamo - che non era utile, ai fini dell’accoglimento del mezzo, nè l’avvenuta costruzione dell’immobile e nè il finanziamento bancario, che si trovava ancora nella fase della istruttoria con la disponibilità della Banca a effettuare una nuova perizia sul cantiere relativo alla costruzione , senza che ci fosse la certezza della percezione della somma richiesta in prestito. 4.1. In sostanza, la pur asserita non conducenza del primo motivo del reclamo, ha costituito solo una modalità dialettica di esame delle censure che, tuttavia, non si è fermata solo alla forma della sua esposizione e alla sua profilazione formale, ma ha anche esaminato quanto oggetto di doglianza, affermando - con accertamento fattuale - l’inesistenza di fonti utili ad una pronta liquidazione nè in considerazione del mero fatto della costruzione immobiliare e nè dell’istruttoria del finanziamento bancario, in corso. 5. Quanto al secondo mezzo, con il quale si deduce la mancata verifica dell’effettivo stato di liquidazione della società debitrice ritenendolo irrilevante, per le società in liquidazione di fatto , causativa dell’applicazione dei contrari principi valevoli solo per le società operative che non versino in stato di liquidazione, va premesso che questa Corte non si è mai occupata della verificazione dello stato d’insolvenza delle società che versino in uno stato di liquidazione di fatto secondo dei quattro principi che si assumono violati dalla Corte territoriale , tantomeno per assimilare tale tipo di imprese a quelle che si trovino in un deliberato stato di liquidazione primo principio, che pure si assume violato . 5.1. Anche di recente la Corte Sez. 1, Ordinanza n. 19414 del 2017 , ha ribadito che Quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione della L. Fall., art. 5, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto - non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci - non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte . 5.2. Ora è ben vero che tale principio è stato più volte ribadito da questa Corte e, tuttavia, in disparte la questione dell’assimilabilità della società che si trovi in stato di liquidazione de facto, rispetto a quelle che tale stato abbiano specificamente deliberato questione che non sembra aver formato oggetto di reclamo davanti alla Corte territoriale, la quale non ha al riguardo espresso alcuna ratio decidendi , resta comunque la necessità di precisare che, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione della L. Fall., art. 5, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali anche tenendo conto, come - con apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede mostra di aver fatto la Corte d’appello - delle concrete possibilità di realizzo e della relativa tempistica, non essendo questione secondaria il ritardo spropositato nella realizzazione del proprio credito. 5.3. Significativamente questa Corte, con un recentissimo arresto Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 18137 del 2018 , ha affermato il principio secondo cui Ai fini della valutazione dello stato di insolvenza, l’accertamento degli elementi attivi del patrimonio sociale, idonei a consentire l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, non può prescindere dalla valutazione della concretezza ed attualità di tali elementi, sicché non possono assumere rilievo le attribuzioni patrimoniali in favore della società condizionate all’ammissione di questa alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, essendo tali attribuzioni non ancora efficaci al momento della valutazione dell’insolvenza, nè potendo questa, quale presupposto fattuale di carattere storico oltre che giuridico dell’apertura della procedura, essere valutata come esistente al fine di determinare l’efficacia dell’attribuzione e, nel contempo, non più esistente a causa del meccanismo della retroattività della condizione, che è mera fictio inidonea a cancellare quel presupposto fattuale . 5.4. In sostanza, ai fini dell’applicazione della L. Fall., art. 5, la valutazione del giudice che - quando la società è in liquidazione deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali - non può non tener conto anche delle concrete possibilità di realizzo e della relativa tempistica, non essendo questione secondaria il ritardo spropositato nella realizzazione del proprio credito, da valutarsi a cura del giudice, con giudizio che - quando sia espressamente motivato - si sottrae al controllo in questa sede. 6. Il ricorso, pertanto, va respinto con le conseguenze in ordine a a le spese processuali, a carico dei ricorrenti e liquidate come in dispositivo b il raddoppio del contributo unificato già assolto. P.Q.M. Respinge il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali forfettarie ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.