Azione ex art. 2394 c.c. svolta dal curatore fallimentare: la prescrizione decorre dall’oggettiva percepibilità dello stato di insufficienza patrimoniale

L’azione di responsabilità nei confronti di amministratori di una s.p.a., sub specie di azione dei creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c., pur quando sia esercitata dal curatore del fallimento, si prescrive nel termine di 5 anni, con decorrenza dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti.

La prescrizione decorre cioè dal momento in cui l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti risulti da qualsiasi fatto che possa essere conosciuto nel caso di specie la Cassazione ha ritenuto che la pubblicazione di un bilancio di esercizio che segnali una situazione patrimoniale negativa è fatto idoneo a rendere manifesto lo stato di in capienza della società . Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 22077/19, depositata il 4 settembre. Il caso. A seguito del fallimento di una s.p.a. il curatore fallimentare promuoveva azione di responsabilità nei confronti degli amministratori della stessa per fatti di mala gestio . I convenuti eccepivano il decorso del termine quinquennale di prescrizione dall'intervenuta insufficienza del patrimonio sociale come previsto dall'art. 2394 c.c. Il Tribunale respingeva l'eccezione e condannava gli amministratori al risarcimento danni. La sentenza era confermata in appello e i convenuti proponevano ricorso in Cassazione. La decisione della Corte di Cassazione. Il ricorso degli amministratori affronta un tema fondamentale in materia di azione di responsabilità svolta dal curatore fallimentare. Nello specifico la vicenda riguardava l'azione dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. esperita dalla curatela. La norma citata prevede che gli amministratori sono responsabili per i danni derivanti ai creditori sociali conseguenti al mancato rispetto degli obblighi relativi alla conservazione del patrimonio sociale. Tale azione può essere esperita quando il patrimonio sociale sia divenuto insufficiente per il soddisfacimento dei crediti stessi. In particolare l'azione si prescrive in 5 anni decorrenti dal momento in cui l'insufficienza del patrimonio sia divenuta conoscibile per i creditori stessi Cass. 24715/2015 Cass. 13378/2014 Cass. 9619/2009 . L'art. 146 l.fall. legittima il curatore fallimentare a svolgere le azioni di responsabilità previste dal codice civile nei confronti degli amministratori nel rispetto dei medesimi presupposti vedi Cass. 10378/2012 . Ciò significa che anche l’iniziativa dell’organo della procedura concorsuale è soggetta al rispetto dei requisiti sopra brevemente indicati previsti dall'art. 2394 c.c., compreso il termine di prescrizione. Nel caso in esame gli amministratori sostenevano che l'insufficienza patrimoniale della società risultasse dal bilancio al 30.6.1993, approvato dall'assemblea soci dell'11.10.1993 e subito depositato e pubblicato. Dalla pubblicazione discendeva allora la piena e oggettiva conoscibilità per i creditori dello stato economico-patrimoniale compromesso in cui versava la s.p.a. In considerazione di ciò l'azione risarcitoria doveva ritenersi prescritta essendo decorsi più di 5 anni. La Cassazione astrattamente condivide l'impostazione dei ricorrenti sottolineando che un bilancio di esercizio che segnali una situazione patrimoniale negativa sia idoneo a rendere manifesto lo stato di incapienza della società Cass. 20476/2008 . In concreto però mancava la prova in giudizio che il bilancio fosse stato effettivamente pubblicato. Da ciò la Cassazione ha dedotto che la conoscibilità dello stato patrimoniale della società da parte di terzi non poteva essere utilmente affermata e quindi non risultava provato il decorso del termine di prescrizione quinquennale sopra indicato. Il ricorso viene quindi respinto.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 23 maggio – 4 settembre 2019, n. 22077 Presidente Didone – Relatore Falabella Fatti di causa 1. - Con citazione notificata il 24 dicembre 1998 il fallimento omissis s.p.a. conveniva in giudizio i componenti del consiglio di amministrazione della società in bonis che si erano avvicendati tra il 1991 e il 1993, tra cui A.R. , S.L. e Z.C.A. . Deduceva la curatela che la fallita aveva costituito nel 1989 una società di diritto francese, partecipata nella misura del 99,6%, denominata omissis rilevava che omissis s.p.a. aveva finanziato la detta società francese a fine di acquistare un terreno edificabile nell’isola di e di realizzare ivi un insediamento turistico il 20 novembre 1992, poi, la partecipazione societaria era stata ceduta a una società terza, omissis SA, al prezzo complessivo di L. 3.827.748.464, da pagarsi ratealmente a mezzo di effetti all’epoca, peraltro, la società poi fallita vantava un credito di L. 16.172.251.536 nei confronti della partecipata e la cessionaria si era impegnata a che omissis rilasciasse a tal fine dei titoli in favore della cedente. La curatela imputava agli amministratori della società in bonis che l’iniziativa avente ad oggetto l’operazione immobiliare era stata condotta con estrema negligenza, sostenendo costi eccessivi e attuando, da ultimo, una cessione di quote in favore di una società di diritto lussemburghese che non era stata in grado di offrire garanzie con riguardo al pagamento del debito di omissis . In esito al giudizio di primo grado, il Tribunale di Treviso respingeva l’eccezione di prescrizione sollevata dai convenuti e condannava tre di questi, tra cui A. e S. , al risarcimento del danno nella misura di Euro 1.678.484,92, oltre interessi somma da cui doveva detrarsi la quota parte di risarcimento corrisposta da altri evocati in lite in forza di un accordo transattivo da questi concluso col fallimento. 2. - Era proposto gravame, che la Corte di appello di Venezia rigettava con sentenza del 17 ottobre 2013. 3. - Contro tale pronuncia ricorrono per cassazione, con quattro motivi, illustrati da memoria, A. , S. e Z. . Resiste con controricorso la curatela fallimentare. Ragioni della decisione 1. - Deve anzitutto darsi atto della rinuncia al ricorso da parte di Z. rinuncia che risulta accettata dalla curatela. Ne discende che il giudizio, con riferimento alla posizione del detto ricorrente, deve ritenersi estinto senza statuizione in punto di spese, giusta l’art. 391 c.p.c., comma 4. 2. - Il primo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2394 c.c. per non aver la Corte di appello di Venezia rilevato la carenza del presupposto richiesto da detta norma per l’esercizio dell’azione di responsabilità da parte dei creditori sociali, costituito dall’insufficienza del patrimonio sociale. Viene dedotto che nell’azione ex art. 2394 c.c. è necessario che il pregiudizio patrimoniale ai creditori sociali di cui è domandato il risarcimento sia correlato, secondo un rapporto di causalità, agli atti di mala gestio degli amministratori. È spiegato che nella fattispecie l’azione di responsabilità promossa dal fallimento risultava fondarsi sulla contestazione dei suddetti atti di mala gestio e che la curatela non aveva dimostrato che i danni derivanti dall’operazione addebitata agli istanti avessero prodotto lo stato di insufficienza patrimoniale. Il secondo mezzo prospetta la falsa applicazione degli artt. 2394 e 2949 c.c. e della L. Fall., art. 146 R.D. n. 267 del 1942 . Vi si sostiene che il giudice di secondo grado avrebbe mancato di valorizzare la circostanza per cui il bilancio al 30 giugno 1993, approvato dall’assemblea dei soci l’11 ottobre dello stesso anno, era stato regolarmente pubblicato e depositato. In conseguenza, la condizione di insufficienza patrimoniale della società doveva ritenersi conoscibile fin da allora poiché con la pubblicazione del bilancio i creditori erano stati posti nella condizione di prendere atto dell’incapienza del patrimonio sociale, da tale momento doveva farsi decorrere il termine prescrizionale. I due mezzi sono inammissibili. La Corte di merito ha preso specificamente in esame il tema dell’insufficienza patrimoniale allorché ha vagliato la fondatezza del motivo di gravame afferente la prescrizione del diritto al risarcimento del danno. Sul punto, il giudice distrettuale ha osservato come l’azione di responsabilità esperita dal curatore della società poi fallita nei confronti degli amministratori ex art. 2394 c.c. era soggetta alla prescrizione quinquennale decorrente dal momento in cui l’insufficenza del patrimonio sociale si era manifestata ed era divenuta conoscibile dai creditori poiché, poi, non vi era prova in atti che il bilancio semestrale di esercizio approvato l’11 ottobre 1993 fosse stato pubblicato, doveva escludersi - secondo la Corte di appello -che potesse assumere rilievo il dato dell’insufficienza patrimoniale attestato nel detto documento onde, in assenza di ulteriori elementi rappresentativi della conoscibilità, in capo ai terzi, dell’incapienza del patrimonio sociale per fatto imputabile agli amministratori tali non potendo essere considerati nè la pronuncia di decreti ingiuntivi a carico della società fallita, nè la revoca degli affidamenti bancari a questa concessi, nè il mancato rispetto di un piano di rientro concordato dalla stessa OMISSIS con i propri fornitori , doveva ritenersi che l’azione di responsabilità spettante ai creditori non fosse preclusa dall’eccepita prescrizione. Ciò detto, la prima delle censure svolte ha ad oggetto una questione - quella attinente al nesso di causalità tra la condotta di mala gestio e l’insorgenza dell’insufficienza patrimoniale della società - che la sentenza impugnata non prende specificamente in esame e che gli istanti non indicano quale tema della precorsa fase di merito. Ebbene, ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione Cass. 9 agosto 2018, n. 20694 Cass. 13 giugno 2018, n. 15430 Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675 cfr. pure Cass. 28 luglio 2008, n. 20518 Cass. 26 febbraio 2007, n. 4391 Cass. 12 luglio 2006, n. 14599 Cass. 2 febbraio 2006, n. 2270 . Per quel che attiene, invece, alla dedotta conoscibilità dell’insufficienza patrimoniale, che è materia del secondo motivo di ricorso, deve premettersi che l’azione sociale di responsabilità, pur quando sia esercitata dal curatore del fallimento, si prescrive nel termine di cinque anni, con decorrenza dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti Cass. 4 dicembre 2015, n. 24715 Cass. 12 giugno 2014, n. 13378 cfr. pure Cass. 22 aprile 2009, n. 9619 la prescrizione decorre, cioè, dal momento in cui l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti risulti da qualsiasi fatto che possa essere conosciuto Cass. 14 dicembre 2015, n. 25178 . Come si è rilevato, la Corte di appello ha rimarcato mancasse la prova circa la pubblicazione del bilancio approvato l’11 ottobre 1993 sicché la non conoscibilità della ircapienza patrimoniale da parte dei terzi è stata argomentata sulla scorta di un dato oggettivo, il cui accertamento sfugge, come è evidente, al sindacato di legittimità. Vero è, pertanto, che un bilancio di esercizio che segnali una situazione patrimoniale in negativo è idoneo a rendere manifesto lo stato di incapienza della società così Cass. 25 luglio 2008, n. 20476, citata dai ricorrenti ma è altrettanto indubbio che se il bilancio non è oggetto di pubblicazione, a norma dell’art. 2435 c.c., la conoscenza della situazione patrimoniale deficitaria resta circoscritta agli organi sociali e la sua conoscibilità da parte dei terzi non può essere utilmente affermata. 3. - Il terzo motivo oppone la contraddittoria e insufficiente motivazione in ordine alla qualificazione della vendita della controllata OMISSIS come decisione futura . La censura investe l’affermazione della Corte di merito secondo cui dall’assunzione della carica di amministratore derivava l’assunzione della responsabilità per le successive determinazioni della società. Si obietta che l’operazione di cessione era stata deliberata dai precedenti amministratori e che il dato dell’impossibilità, da parte dei nuovi consiglieri, di prendere visione delle decisioni assunte prima del loro insediamento appariva del tutto plausibile, considerando il limitato lasso di tempo intercorso tra l’assunzione della carica e il trasferimento della partecipazione societaria. Inoltre - si deduce -, i ricorrenti si trovavano ad operare in un settore in cui operava la delega di funzioni ed essi non avevano gli elementi per poter vigilare sulla gestione dell’affare di cui trattasi. Col quarto motivo viene dedotta l’omessa motivazione in ordine al concreto esame della mancata diligenza degli amministratori. Sostengono gli istanti di dover rispondere della sola omissione di cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per la determinazione da assumere in conseguenza, il giudice distrettuale avrebbe dovuto motivare espressamente le mancanze addebitabili agli odierni ricorrenti, pena la censura di una mera valutazione discrezionale dell’amministrazione . Anche tali motivi, che ineriscono al tema della negligenza attribuita agli amministratori nell’operazione di cessione delle quote della partecipata di diritto francese, sono inammissibili. La motivazione spesa dalla Corte di appello per dar ragione della responsabilità dei ricorrenti non è censurabile in questa sede. È noto, difatti, che nella nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, risultante dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, è mancante ogni riferimento letterale alla motivazione della sentenza impugnata, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053 Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054 la pronuncia impugnata non evidenzia alcuno di tali vizi ed è, al contrario, del tutto perspicua. Si legge nella sentenza della Corte veneta che l’operazione di cessione venne deliberata il 19 novembre 1992, successivamente all’assunzione della carica di amministratori da parte degli odierni ricorrenti, intervenuta il precedente 29 ottobre e che, pertanto, questi dovevano rispondere delle determinazioni assunte nel periodo successivo al loro insediamento così dovendosi evidentemente intendere l’assunzione di responsabilità per le decisioni future . Del tutto intellegibile è, poi, l’ulteriore rilievo, svolto nella pronuncia, secondo cui la prospettata mancata conoscenza dei problemi connessi alla gestione non potrebbe costituire un’esimente per gli stessi istanti. Ogni ulteriore considerazione sul punto risulterebbe esorbitante rispetto all’area che può oggi assegnarsi alla censura motivazionale e finirebbe per tradurre il controllo di legittimità in un sindacato su valutazioni che sono riservate al giudice del merito. È solo il caso di aggiungere che la deduzione incentrata sulla delega di funzioni, oltre a riflettere una questione che i ricorrenti non spiegano come sia stata veicolata in appello, risulta comunque inconferente nei termini in cui è stata svolta infatti, l’art. 2392 c.c., nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 6 del 2003, impone a tutti gli amministratori di società per azioni un dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione, che non viene meno nella ipotesi di attribuzioni proprie di uno o più amministratori, restando anche in tal caso a carico dei medesimi l’onere della prova di essersi diligentemente attivati per porre rimedio alle illegittimità rilevate per tutte Cass. 21 marzo 2018, n. 6998 . 4. - Il ricorso di A. e S. va dunque dichiarato inammissibile. 5. - Le spese del giudizio tra i ricorrenti non rinuncianti e il controricorrente seguono la soccombenza. P.Q.M . La Corte dichiara estinto il giudizio con riferimento a Z.C.A. e dichiara inammissibile il ricorso quanto agli altri ricorrenti condanna A.R. e S.L. al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di A. e S. , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.