Il mancato soddisfacimento minimo dei creditori incide sulla revoca del concordato?

Il decisum in rassegna pone al centro dell’attenzione il tema della risoluzione del concordato preventivo, ex art. 186 l. fall Nello specifico, si tratta di stabilire se il concordato preventivo possa, o meno, essere risolto, qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione minimale di soddisfare in qualche misura i creditori chirografari, nonché, integralmente i creditori privilegiati ove non falcidiati.

I Giudici della I Sezione Civile di Piazza Cavour sentenza n. 20652/19, depositata il 31 luglio chiariscono che in tema di procedure concorsuali, il concordato preventivo deve essere risolto, a norma dell’art. 186 l. fall., qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione di soddisfare i creditori nella misura promessa, a meno che l’inadempimento non abbia scarsa importanza. Infatti, per tale verifica, la percentuale di soddisfacimento, che sia stata eventualmente indicata dal debitore, non è vincolante, salva l’assunzione di una specifica obbligazione intesa a garantirla e tuttavia essa funge da criterio di riferimento utile ad apprezzare l’importanza dell’inadempimento ne consegue che il concordato preventivo deve essere risolto, ex art. 186 l. fall., solo qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione necessaria di soddisfare in una qualche misura i creditori chirografari e, integralmente, i creditori privilegiati, ove non falcidiati. Il fatto. Il Tribunale di Genova, su istanza del fallimento Beta s.r.l. in liquidazione e della Banca Omega s.p.a., dichiarava la risoluzione per grave inadempimento del concordato preventivo di Alfa s.p.a. in liquidazione, omologato con decreto del 18 giugno 2010, nonché il fallimento della medesima società. In particolare, l’impossibilità di pagare i creditori chirografari in misura non simbolica, e per l’intero tutti i privilegiati, integrava, per i primi giudici, un inadempimento di non scarsa importanza tale da giustificare la risoluzione del concordato. A contrario la Corte d’Appello della Lanterna, constatava che il decreto di omologa, il cui contenuto decisorio era idoneo ad assumere definitività con efficacia assimilabile a quella del giudicato, qualificava la procedura come quella di un concordato con cessione di beni, senza l’assistenza di alcuna specifica garanzia in ordine al soddisfacimento dei creditori in una predeterminata misura di conseguenza la circostanza che potesse ricavarsi dalla vendita dei beni oggetto della cessione una somma, anche notevolmente, differente da quella necessaria a garantire il pagamento dei crediti nella percentuale indicata non poteva essere apprezzata quale grave inadempimento idoneo a giustificarne la risoluzione, in quanto l’oggetto dell’obbligazione nel concordato con cessione era unicamente l’obbligo di mettere i beni dell’impresa, liberi da vincoli, a disposizione dei creditori, mentre risultava irrilevante la misura di effettivo soddisfacimento dei creditori privilegiati e ipotecari. In virtù di questi argomenti, la corte territoriale respingeva le originarie domande di risoluzione presentate dal fallimento Beta s.r.l. in liquidazione e dalla Banca Omega s.p.a. e, di conseguenza, revocava, la dichiarazione di fallimento della Alfa s.p.a. Avverso quest’ultima decisione, il predetto fallimento della Alfa s.p.a. ricorreva in cassazione prospettando due motivi di doglianza. In particolare, con il primo gravame, il ricorrente denunciava la violazione e la falsa applicazione degli artt. 186, 160 comma 2, 177 l. fall la Corte d’Appello, pur dando per pacifico che il concordato di Alfa s.p.a. in liquidazione non sarebbe stato in grado di soddisfare per intero i creditori privilegiati e neppure in minima parte i creditori chirografari, avrebbe erroneamente ritenuto che il concordato con cessione di beni si esaurisse nella mera messa a disposizione dei beni da parte del debitore, mentre risultava del tutto irrilevante l’entità della successiva soddisfazione dei creditori con il ricavato della liquidazione. E, gli Ermellini, accogliendo il ricorso chiariscono che l’indicazione di una percentuale di soddisfacimento dei creditori non incide sull’ammissibilità del concordato, che deve essere apprezzato sotto il profilo dell’effettiva realizzabilità della causa concreta perseguita con il procedimento, con il suo obiettivo specifico, senza alcun contenuto fisso e determinato, correlato al tipo di proposta formulata ed inserito in un più generale quadro volto, da un lato, al superamento della situazione di crisi dell’impresa e, dall’altro, all’assicurazione del soddisfacimento, pur ipoteticamente modesto e parziale, dei suoi creditori Cass. civ., SS. UU., 1521/2013 . Tuttavia, precisano ulteriormente i Giudici di legittimità, una cosa è l’assenza di alcun obbligo di rigoroso rispetto delle percentuali di soddisfazione indicata nella proposta e nel piano, in mancanza di una specifica obbligazione in tal senso, un’altra è la frustrazione dell’intento satisfattivo dei creditori che il concordato giocoforza persegue. Ne discende che nell’ambito del concordato con cessione di beni la semplice messa a disposizione dei beni promessi non impedisce l’applicazione dell’art. 186 l. fall., che funge da strumento di controllo a posteriori del fatto che il concordato abbia assolto nella sostanza – dunque a prescindere da inadempimenti di scarsa importanza - la funzione che gli è propria. La risoluzione del concordato preventivo si connette al mancato raggiungimento degli obiettivi prestabiliti. Prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 169/2007, in virtù del rinvio operato all’art. 137 l. fall. dall’art. 186, comma 1, l. fall., la risoluzione poteva essere richiesta quando non fossero state costituite conformemente alla proposta le garanzie ivi previste ovvero quando il proponente non avesse adempiuto regolarmente agli obblighi derivanti dal concordato o dal decreto di omologazione. Invero, la disciplina della risoluzione era regolata in rapporto alle modalità esplicative del concordato preventivo, che poteva esprimersi nelle forme del concordato con garanzia ovvero con cessione dei beni. Secondo l’attuale disciplina, invece, l’autonomia riconosciuta al debitore nella determinazione dei contenuti della proposta di concordato, modulabile secondo schemi e modelli non rigidamente vincolati, come accadeva in passato, a paradigmi normativi predefiniti, si presta a rendere più complesse ed articolate le dinamiche secondo le quali si svolge la fase esecutiva della procedura, non senza potenziali riflessi sulle vicende risolutorie. In quest’ottica, il presupposto essenziale della risoluzione continua ad essere integrato dall’inosservanza degli obblighi derivanti dal concordato omologato. Pertanto, la risoluzione si connette al mancato raggiungimento degli obiettivi cui il concordato tende, conseguente alla violazione degli impegni declinati nella proposta ovvero all’inosservanza delle prescrizioni contenute nel piano o nel decreto di omologazione. Sicché, in linea generale, al di là dell’ipotesi che integri un inadempimento di scarsa importanza”, può assumere rilievo, come nel caso che qui ci occupa, tanto il mancato raggiungimento dei risultati promessi ai creditori, privilegiati e chirografari, in ordine al grado di soddisfazione dei rispettivi crediti ed ai tempi dell’adempimento, quanto l’omissione di azioni e, in senso più ampio, l’inosservanza delle modalità di attuazione del concordato, che, proprio in funzione del conseguimento di tali risultati, siano previste dal piano o dal provvedimento omologatorio. Le disposizioni contenute nell’art. 186 l. fall. evocano i principi codicistici in materia di inadempimento contrattuale, ma non sono applicabili tout court alla risoluzione del concordato. Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità ex multis , Cass. 4398/2015 , rispetto al disposto dell'art. 186 l. fall. nella sua formulazione non più in vigore, il concordato preventivo con cessione dei beni - salva previsione espressa di totale, immediata liberazione del debitore - deve essere risolto ove emerga che esso sia venuto meno alla sua naturale funzione. Questo orientamento mantiene la sua attualità anche rispetto alla vigente formulazione dell'art. 186 l. fall., che, pur utilizzando una terminologia propria delle generale disciplina della risoluzione dei contratti, non può far dimenticare che il concordato preventivo non è un contratto a prestazioni corrispettive, ma un istituto caratterizzato da una natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici e conduce, all'esito dell'omologa, alla cristallizzazione di un accordo di natura complessa ove una delle parti la massa dei creditori ha consistenza composita e plurisoggettiva. Dunque, benché l'intervento legislativo operato con il d.lgs. n. 169/2007 abbia inteso uniformare la disciplina in materia con quella prevista in tema di concordato fallimentare e rendere applicabili, in coerenza con l'accentuata natura privatistica del concordato preventivo, principi generali in materia di inadempimento contrattuale, la peculiare natura del concordato impedisce una traslazione tout court in questo ambito delle categorie proprie dell'inadempimento contrattuale. In particolare la non imputabilità al debitore dell'inadempimento non rileva ai fini della risoluzione del concordato poiché l'art. 186 l. fall. intende valorizzare il mancato avveramento del piano, ove non di scarsa importanza, secondo una logica ben diversa da quella dell'art. 1218 c.c., a mente del quale l'inadempimento costituisce un fatto causativo di responsabilità a carico della parte inadempiente. È necessario quindi verificare oggettivamente la prospettiva della impossibilità di realizzare la promessa soddisfazione dei creditori valorizzando l'inadempimento nella sua dimensione e consistenza piuttosto che l'aspetto soggettivo dell'ascrivibilità di un simile infruttuoso risultato al debitore, a prescindere da eventuali profili di colpa imputabili al debitore. In altri termini conta il mancato raggiungimento del risultato satisfattivo a cui il concordato era mirato, a prescindere dal perché un simile insuccesso si sia verificato. Il concordato non si può risolvere se l’inadempimento ha scarsa importanza”, ex art. 186, comma 2, l. fall Il Tribunale potrà vagliare l’importanza dell’inadempimento, non pronunciando risoluzione ove lo stesso sia di minima consistenza. L’intervento legislativo operato con il d.lgs. n. 169/2007 ha dettato una disciplina uniforme a quella prevista per il concordato fallimentare. Di notevole importanza è la predetta disposizione, contenuta nel novellato art. 186 l. fall., che, in coerenza con l’accentuata natura privatistica del concordato preventivo, condiziona la risoluzione del concordato alla non scarsa importanza dell’inadempimento. Si chiarisce, difatti, in aderenza ai principi generali, che il concordato preventivo non si può risolvere se l’inadempimento risulta essere di scarsa importanza. Si recuperano, in questo modo, tutti i principi sull’importanza dell’inadempimento contrattuale elaborati con riferimento all’art. 1455 c.c. La corretta esecuzione del concordato allora non può prescindere dal rispetto delle regole indicate nel piano, con il vantaggio, però, per il debitore di poter incorrere in inadempimenti di scarsa importanza senza che ne derivi la risoluzione del concordato. Parte della dottrina collega la scarsa importanza dell’inadempimento nei confronti del singolo creditore, anche se per ipotesi tutti gli altri siano stati integralmente soddisfatti, mentre altri accentuano il carattere collettivo della procedura e fanno riferimento alle modalità di adempimento dell’intero concordato. La natura non meramente negoziale del concordato induce a preferire la seconda soluzione, anche quando il concordato abbia avuto integrale attuazione, ad eccezione di pochissimi creditori, soddisfatti magari solo in minima parte, con evidente maggiore appetibilità della procedura per il debitore e minor rischio di veder sfumare gli sforzi ed i costi per lo svolgimento delle varie fasi procedimentali. In conclusione. Il concordato preventivo non può quindi che essere risolto, a norma dell’art. 186 l. fall., nella sua attuale formulazione, qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione minimale di soddisfare in una qualche misura i creditori chirografari e, integralmente, i creditori privilegiati, ove non falcidiati.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 4 giugno – 31 luglio 2019, n. 20652 Presidente Genovese – Relatore Pazzi Fatti di causa 1. Con sentenza n. 101/2014 il Tribunale di Genova, su istanza del fallimento s.r.l. in liquidazione e della Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., dichiarava la risoluzione per grave inadempimento del concordato preventivo di omissis s.p.a. in liquidazione, omologato con decreto del 18 giugno 2010, e il fallimento della medesima società. In particolare il Tribunale, ritenendo che il concordato omologato prevedesse la cessione con garanzia di pagamento dei creditori in misura e tempi predeterminati, rilevava che l’attivo concordatario, originariamente previsto per un ammontare di Euro 19.026.900,54, risultava invece essere pari, al netto delle spese, a Euro 8.623.036,65, con la conseguenza che i creditori privilegiati sarebbero stati soddisfatti solo nella misura del 92,18%, piuttosto che integralmente, come previsto nella proposta, mentre nessuna risorsa sarebbe stata disponibile per i creditori chirografari. L’impossibilità di pagare i creditori chirografari in misura non simbolica, e per l’intero tutti i privilegiati, integrava, a giudizio dei primi giudici, un inadempimento di non scarsa importanza tale da giustificare la risoluzione del concordato. 2. A seguito dei reclami presentati da omissis s.p.a. in liquidazione e T.P. e, in via autonoma, da T.R. , la Corte d’appello di Genova constatava che il decreto di omologa, il cui contenuto decisorio era idoneo ad assumere definitività con efficacia assimilabile a quella del giudicato, qualificava la procedura come quella di un concordato con cessione di beni, senza l’assistenza di alcuna specifica garanzia in ordine al soddisfacimento dei creditori in una predeterminata misura di conseguenza la circostanza che potesse ricavarsi dalla vendita dei beni oggetto della cessione una somma, anche notevolmente, differente da quella necessaria a garantire il pagamento dei crediti nella percentuale indicata non poteva essere apprezzata quale grave inadempimento idoneo a giustificarne la risoluzione, in quanto l’oggetto dell’obbligazione nel concordato con cessione era unicamente l’obbligo di mettere i beni dell’impresa, liberi da vincoli, a disposizione dei creditori, mentre risultava irrilevante la misura di effettivo soddisfacimento dei creditori privilegiati e ipotecari. In virtù di questi argomenti la corte territoriale, con sentenza del 26 novembre 2014, respingeva le originarie domande di risoluzione presentate dal fallimento s.r.l. in liquidazione e dalla Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. e, di conseguenza, revocava la dichiarazione di fallimento di omissis s.p.a. in liquidazione, perché pronunciata a seguito dell’erronea risoluzione del concordato preventivo in precedenza omologato. 3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il fallimento di omissis s.p.a. in liquidazione prospettando due motivi di doglianza, ai quali hanno resistito con controricorso omissis s.p.a. in liquidazione e T.P. e, in via autonoma, T.R. . Gli intimati, fallimento s.r.l. in liquidazione e Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., non hanno svolto difese. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta sollecitando l’accoglimento del primo motivo di ricorso con assorbimento dell’ulteriore mezzo. Tutte le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c Ragioni della decisione 4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. Fall., art. 186, art. 160, comma 2, e art. 177 la Corte d’appello, pur dando per pacifico che il concordato di omissis s.p.a. In liquidazione non sarebbe stato in grado di soddisfare per intero i creditori privilegiati e neppure in minima parte i creditori chirografari, avrebbe erroneamente ritenuto che il concordato con cessione di beni si esaurisse nella mera messa a disposizione dei beni da parte del debitore, mentre risultava del tutto irrilevante l’entità della successiva soddisfazione dei creditori con il ricavato della liquidazione al contrario, la circostanza di fatto presa a base dell’argomentare del collegio del reclamo non poteva che condurre alla risoluzione del concordato stesso, stante il venir meno dei presupposti funzionali della procedura e tenuto conto dell’impossibilità di falcidiare i diritti dei creditori privilegiati, i quali, non essendosi pronunciati in alcun modo sulla proposta concordataria, dovevano vedere i loro diritti soddisfatti per intero. 4.2 Il motivo è fondato. 4.2.1 La proposta di concordato deve necessariamente avere ad oggetto la regolazione della crisi, secondo modalità che possono assumere concretezza soltanto attraverso l’indicazione delle condizioni di soddisfacimento dei creditori, ricomprendenti le relative percentuali e i tempi di adempimento. L’indicazione di una percentuale di soddisfacimento dei creditori tuttavia non incide sull’ammissibilità del concordato, che deve essere apprezzato sotto il profilo dell’effettiva realizzabilità della causa concreta perseguita con il procedimento, con il suo obiettivo specifico, senza alcun contenuto fisso e determinato, correlato al tipo di proposta formulata ed inserito in un più generale quadro volto, da un lato, al superamento della situazione di crisi dell’impresa e, dall’altro, all’assicurazione del soddisfacimento, pur ipoteticamente modesto e parziale, dei suoi creditori Cass., Sez. U., 1521/2013 . È vero dunque, come già affermato da questa Corte, che quando si tratti di una proposta concordataria con cessione dei beni la percentuale di pagamento eventualmente prospettata non è vincolante, non essendo prescritta da alcuna disposizione la relativa allegazione ed essendo al contrario sufficiente l’impegno a mettere a disposizione dei creditori i beni dell’imprenditore liberi da vincoli ignoti che ne impediscano la liquidazione o ne alterino apprezzabilmente il valore, salva l’assunzione di una specifica obbligazione in tal senso Cass., Sez. U., 1521/2013, Cass. 13817/2011 . La sentenza impugnata tuttavia estremizza questo principio fino a negare al concordato la funzione che gli è propria, cioè quella di consentire il superamento della situazione di crisi dell’impresa a fronte del riconoscimento in favore dei creditori di una sia pur minimale consistenza del credito da essi vantato Cass., Sez. U., 1521/2013 . E perché anche ai creditori chirografari possa essere assicurata, in qualche misura, una soddisfazione non si può che procedere dovendosi osservare l’ordine delle cause legittime di prelazione L. Fall., ex art. 160, comma 2, ultimo periodo, - alla preventiva integrale tacitazione dei creditori privilegiati, i quali, non partecipando al voto, ove non sia prevista la loro falcidia secondo le modalità previste dalla norma appena citata, devono essere pagati per intero. In altri termini, una cosa è l’assenza di alcun obbligo di rigoroso rispetto delle percentuali di soddisfazione indicata nella proposta e nel piano, in mancanza di una specifica obbligazione in tal senso, un’altra è la frustrazione dell’intento satisfattivo dei creditori che il concordato giocoforza persegue. Ne discende che nell’ambito del concordato con cessione di beni la semplice messa a disposizione dei beni promessi non impedisce l’applicazione del disposto della L. Fall., art. 186, che funge da strumento di controllo a posteriori del fatto che il concordato abbia assolto nella sostanza - dunque a prescindere da inadempimenti di scarsa importanza - la funzione che gli è propria. 4.2.2 La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare Cass. 18738/2018 che l’interpretazione già resa si vedano ex multis Cass. 13626/1991, 709/1993, 13357/2007, 7942/2010, 13446/2011 e 4398/2015 rispetto al disposto della L. Fall., art. 186, nella sua formulazione non più in vigore, secondo cui il concordato preventivo con cessione dei beni - salva previsione espressa di totale, immediata liberazione del debitore - deve essere risolto ove emerga che esso sia venuto meno alla sua naturale funzione, mantiene la sua attualità anche rispetto alla vigente lettera dell’articolo in questione. L’attuale assetto normativo infatti, pur utilizzando una terminologia propria delle generale disciplina della risoluzione dei contratti, intende il concordato preventivo non come un contratto a prestazioni corrispettive, ma come un istituto sui generis caratterizzato da una natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici e conduce, all’esito dell’omologa, alla cristallizzazione di un accordo di natura complessa ove una delle parti la massa dei creditori ha consistenza composita e plurisoggettiva. Dunque, benché l’intervento legislativo operato con il D.Lgs. n. 169 del 2007, abbia inteso uniformare la disciplina in materia con quella prevista in tema di concordato fallimentare e rendere applicabili, in coerenza con l’accentuata natura privatistica del concordato preventivo, i principi generali in materia di inadempimento contrattuale, la peculiare natura del concordato impedisce una traslazione tout court in questo ambito delle categorie proprie del vizio funzionale dell’accordo. In particolare, la non imputabilità al debitore dell’inadempimento non rileva ai fini della risoluzione del concordato poiché la L. Fall., art. 186, intende valorizzare il mancato avveramento del piano, ove non di scarsa importanza, secondo una logica ben diversa da quella dell’art. 1218 c.c., a mente del quale l’inadempimento costituisce un fatto causativo di responsabilità a carico della parte inadempiente. È necessario quindi verificare la prospettiva oggettiva dell’impossibilità di realizzare la promessa soddisfazione dei creditori, apprezzando l’inadempimento nella sua dimensione e consistenza, piuttosto che l’aspetto soggettivo dell’ascrivibilità di un simile infruttuoso risultato al debitore, a prescindere da eventuali profili di colpa a lui imputabili. In altri termini, conta il mancato raggiungimento del risultato satisfattivo a cui il concordato era mirato, a prescindere dal perché un simile insuccesso si sia verificato e, nell’economia di una simile verifica, la percentuale di soddisfacimento eventualmente indicata non è affatto vincolante, come detto, ma funge da punto di riferimento utile ad apprezzare l’importanza dell’inadempimento. Il concordato preventivo non può quindi che essere risolto, a norma della L. Fall., art. 186, nella sua attuale formulazione, qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione minimale di soddisfare in qualche misura i creditori chirografari e, integralmente, i creditori privilegiati, ove non falcidiati. Andrà dunque affermato il seguente principio in tema di procedure concorsuali, il concordato preventivo deve essere risolto, a norma della L. Fall., art. 186, qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione di soddisfare i creditori nella misura promessa, a meno che l’inadempimento non abbia scarsa importanza. Infatti, per tale verifica, la percentuale di soddisfacimento, che sia stata eventualmente indicata dal debitore, non è vincolante, salva l’assunzione di una specifica obbligazione intesa a garantirla e tuttavia essa funge da criterio di riferimento utile ad apprezzare l’importanza dell’inadempimento ne consegue che il concordato preventivo deve essere risolto, L. Fall., ex art. 186, solo qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione necessaria di soddisfare in una qualche misura i creditori chirografari e, integralmente, i creditori privilegiati ove non falcidiati. 5. I superiori rilievi comportano l’inammissibilità del secondo mezzo presentato con cui il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 160, 180, 182 e 186, in quanto la Corte distrettuale, nel qualificare il concordato come concordato con cessione di beni senza garanzia, avrebbe a torto valorizzato il contenuto del decreto di omologazione piuttosto che tenere conto direttamente della proposta in tesi di parte ricorrente, in sede di giudizio di risoluzione L. Fall., ex art. 186, gli obblighi assunti dal debitore dovrebbero essere ricercati ermeneuticamente solo ed esclusivamente nella proposta concordataria e nella documentazione di cui alla L. Fall., art. 161, non potendosi attribuire alcuna portata integrativa al decreto di omologazione, né ritenersi che l’interpretazione ivi contenuta possa cristallizzare sul punto una qualche interpretazione coperta da giudicato . Simili assunti perdono infatti qualsiasi decisività ove si consideri che, a prescindere dal fatto che la cessione dei beni sia avvenuta con specifica garanzia del risultato promesso ai creditori, comunque la fase esecutiva del concordato deve quanto meno garantire, come detto, una sia pur minima soddisfazione dei creditori chirografari e una soddisfazione integrale dei creditori privilegiati. 6. La sentenza impugnata andrà dunque cassata, con rinvio della causa alla corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Appello di Genova in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.