La PEC relativa all’esito della domanda di insinuazione al passivo fa decorrere il termine per l’opposizione

Viene rigettato il ricorso proposto dal creditore di un Fallimento la cui opposizione al passivo era stata dichiarata tardiva dal Tribunale. Inutile infatti invocare la necessità che il curatore proceda ad una doppia comunicazione, a mezzo telefax e PEC, circa l’esito della richiesta di insinuazione al passivo.

La vicenda. Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20638/19, depositata il 31 luglio, pronunciandosi nell’ambito di una vicenda relativa ad un’opposizione al passivo, proposta dopo il rigetto della richiesta di insinuazione, rigettata dal Tribunale per tardività. La società creditrice nel proporre il ricorso lamenta che le comunicazioni endofallimentari potevano essere facoltativamente trasmesse in modo congiunto a mezzo telefax o PEC, mentre il Fallimento ritiene che tali modalità siano alternative tra loro. Secondo la ricorrente, tale premessa, avrebbe dovuto portare il Tribunale a considerare tempestiva l’opposizione alla stato passivo essendo la relativa comunicazione pervenuta entro il termine a mezzo telefax. Comunicazione. Il Collegio, ritenendo infondato il ricorso, sottolinea che la richiesta di una doppia modalità congiunta di comunicazione non è consentita dalla legge . Secondo l’art. 97, comma 2, l. fall., nel testo vigente ratione temporis, la comunicazione dell’esito della domanda e del deposito in cancellerai dello stato passivo è data a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento ovvero tramite telefax o PEC quando il creditore abbia indicato tale modalità di comunicazione. Dalla data della comunicazione decorre il termine perentorio di 30 giorni previsto dall’art. 99 l. fall. per impugnare lo stato passivo. Secondo la società ricorrente il curatore avrebbe l’obbligo di eseguire una doppia comunicazione secondo le indicazioni del creditore ma tale ipotesi non trova alcun fondamento nelle norme citate. Inoltre la preferenza per il carattere alternativo delle due forme di comunicazione risponde al principio generale di conservazione degli atti giuridici che impone di preferire, tra due possibili interpretazioni, quella secondo cui l’atto sia valido, essendo conforme a legge, piuttosto che quella che ne comporterebbe l’illegittimità e la conseguente invalidità . In conclusione, l’invio della PEC, regolarmente ricevuta dal creditore, era idoneo a rendere conoscibile l’esito della richiesta di insinuazione al passivo fallimentare, con decorrenza dei termini per l’eventuale opposizione. Per questi motivi, il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 12 marzo – 31 luglio 2019, n. 20638 Presidente De Chiara – Relatore Solaini Rilevato in fatto che Il Giudice delegato al fallimento di omissis S.p.A. in seguito ammetteva al passivo della procedura in via chirografaria il credito vantato da Simest SpA di Euro 277.439,81, ancorché munito di garanzia ipotecaria iscritta il 7.10.11, e ciò perché alla data di presentazione della richiesta di ammissione alla procedura di concordato preventivo del 15.11.11, poi dichiarato inammissibile, con conseguente fallimento dichiarato il 16.4.12, l’ipoteca non si era consolidata, in quanto gli effetti della dichiarazione di fallimento retroagivano al momento di presentazione dell’istanza di concordato per il cd. principio di consecuzione delle procedure. Il Tribunale di Bari rigettava l’opposizione della Simest SpA perché tardiva in quanto proposta oltre il termine di 30 gg. di cui alla L. Fall., art. 99, dalla comunicazione di cui alla L. Fall., art. 97, comma 2, nel testo vigente ratione temporis. Ricorre per cassazione avverso questo decreto la Simest SpA, affidandosi a due motivi di impugnazione, illustrati da memoria. L’intimato fallimento di resiste con controricorso. Considerato in diritto che Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce il vizio di omesso esame di una questione di fatto discussa tra le parti art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 , e cioè, che aveva indicata come facoltà congiuntiva per le comunicazioni endofallimentari sia il telefax che la posta elettronica certificata, mentre il fallimento resistente aveva ritenuto che fosse alternativa, e dal mancato esame della suddetta questione dipendeva la decisione d’inammissibilità dell’opposizione. Con il secondo motivo, la società ricorrente deduce il vizio di omesso esame, o comunque, di violazione dell’art. 112 c.p.c., e della L. Fall., art. 93, commi 3 e 5, e L. Fall., art. 97, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in merito alla legittimità o meno e alla rilevanza della scelta della Simest d’indicazione congiunta di entrambe le modalità di comunicazione degli atti endofallimentari, sia a mezzo telefax che a mezzo posta elettronica certificata, di talché il Tribunale avrebbe dovuto considerare che la decorrenza del termine per proporre opposizione allo stato passivo decorreva dal 21 dicembre 2012, data di ricezione della seconda comunicazione a mezzo telefax. Infine, la società ricorrente ha chiesto la decisione nel merito della controversia, ex art. 384 c.p.c., comma 2, trattandosi di controversia esclusivamente documentale, in via principale, con ammissione del credito in privilegio ipotecario, in via subordinata, con ammissione del credito in privilegio generale mobiliare, ex art. 2746 c.c Il primo e secondo motivo, che possono essere oggetto di un esame congiunto, perché connessi, sono infondati. Va anzitutto dichiarata inammissibile la denuncia di omesso esame, da parte del tribunale, del fatto decisivo costituito, secondo la ricorrente, dalla interpretazione dell’indicazione del carattere cumulativo, e non alternativo, delle due modalità di comunicazione pec e fax . L’interpretazione degli atti processuali, a fronte di una denuncia di error in procedendo, come nella specie, rientra infatti nei poteri della corte di legittimità Cass. Sez. U. 8077/2012, Cass. Sez. I 16164/2015 e successive conformi , onde la denuncia del vizio di motivazione non ha autonoma rilevanza. Nella specie, l’interpretazione da dare alla richiesta di una doppia modalità congiunta di comunicazione non è consentita dalla legge. Infatti, a mente della L. Fall., art. 97, comma 2, nel testo vigente ratione temporis la comunicazione dell’esito della domanda e dell’avvenuto deposito in cancelleria dello stato passivo è dato a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, ovvero tramite telefax o posta elettronica quando il creditore abbia indicato tale modalità di comunicazione mentre, dalla data della comunicazione decorre il termine di 30 gg. previsto dalla L. Fall., art. 99, per impugnare lo stato passivo, termine ritenuto perentorio. È evidente, come la tesi della società ricorrente, secondo la quale il curatore aveva l’obbligo di eseguire una doppia comunicazione secondo le vincolanti indicazioni del creditore non trova alcun fondamento nelle norme testé citate, e la preferenza per il carattere alternativo manifestata implicitamente dal Tribunale, si giustifica in base al principio generale di conservazione degli atti giuridici, che impone di preferire, tra due possibili interpretazioni, quella secondo cui l’atto sia valido, essendo conforme a legge, piuttosto che quella che ne comporterebbe l’illegittimità e la conseguente invalidità oltre che costituire un ingiustificato aggravio procedurale che avrebbe come unico risultato quello di creare incertezza su quale debba ritenersi il dies a quo ai fini della proposizione dell’opposizione in caso, d’invio non contestuale , con l’imposizione al curatore di una doppia comunicazione del medesimo atto al medesimo destinatario. Pertanto, nel caso di specie, l’invio della pec in data 6.11.12, modalità scelta dal creditore, come riportato dalla fallimento resistente alla p. 15 del proprio controricorso , che risulta regolarmente ricevuta, era idoneo a far conoscere legalmente l’esito della richiesta d’insinuazione al passivo fallimentare e, quindi, a far decorrere il termine per l’opposizione come riscontrato dalla successiva missiva di dicembre, dove si richiamava la precedente comunicazione via pec, che veniva nuovamente allegata per comodità di lettura, né quest’ultima poteva avere l’effetto di rimettere in termini la società creditrice riaprendo termini perentori oramai scaduti. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La corte suprema di cassazione Rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente a pagare alla curatela controricorrente, le spese di lite del presente giudizio che liquida nell’importo di Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.