Può dichiararsi il fallimento in pendenza degli accordi di ristrutturazione dei debiti?

Il decisum pone al centro dell’attenzione gli accordi di ristrutturazione dei debiti. In particolare, si tratta di stabilire se la presentazione della domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti implichi, o meno, la sospensione della procedura fallimentare.

E, i Giudici della Prima Sezione civile di Piazza Cavour, con la sentenza n. 13850/19, ribadiscono il principio per cui la presentazione della domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti non implica la sospensione della procedura prefallimentare, non potendo a ciò condurre una interpretazione estensiva dell’art. 182- bis , comma 6, l. fall., laddove vieta l’inizio o la prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari in presenza dell’istanza di sospensione proposta dal debitore da un lato, infatti, il procedimento prefallimentare non ha natura esecutiva e cautelare, ma natura cognitiva e piena e, dall’altro, la menzionata interpretazione non sarebbe coerente con il sistema, che non consente la sospensione, ex art. 295 c.p.c., della procedura prefallimentare a seguito della presentazione di una domanda di concordato preventivo. Nella disciplina di cui all’art. 182- bis , cit., può dirsi, perciò solo, indeterminata, sicché è manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata in relazione agli artt. 27 e 111 Cost. v., Cass. 24969/13 . Gli Ermellini precisano ulteriormente che deve ritenersi che nulla osti alla procedibilità di una domanda di fallimento presentata, dopo l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, da un creditore che ad esso sia rimasto estraneo. Diversamente opinando, si finirebbe infatti per privare quest’ultimo - che a quell’accordo ha legittimamente scelto di non aderire - di una fondamentale forma di tutela del proprio credito, da coordinare con interessi degli altri creditori aderenti all’accordo, in funzione della garanzia patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c. e del correlato principio della par condicio creditorum di cui all’art. 2741 c.c Inoltre, si consentirebbe una compressione dei suoi diritti tanto più inammissibile in quanto l’istituto degli accordi ex art. 182- bis l. fall., fa perno proprio sul presupposto della loro idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei fatte salve la dilazione di cui al primo comma della norma citata e la possibilità della deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c. prevista dall’art. 182- septies l. fall., cui fanno eco i più ampi Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa introdotti dall’art. 61 c.c.i. , i quali perciò si pongono, rispetto all’accordo, in posizione analoga ai creditori non vincolati dagli effetti obbligatori del concordato omologato ex art. 184 l. fall Il fatto. Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato il reclamo proposto dalla Beta s.r.l. e dal suo amministratore Sempronio, con l’intervento adesivo della Omega s.r.l. ed ancora dello stesso Sempronio in qualità di amministratore anche di quest’ultima, avverso la sentenza con cui il Tribunale di Avellino aveva dichiarato il fallimento della Beta s.r.l. su ricorso della Gamma s.r.l., respingendo le eccezioni di improcedibilità della domanda di fallimento fondate sull’avvenuta omologazione, in data 13/11/2013, dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, ex art. 182- bis l. fall., proposto dalla Beta s.r.l., nonché sulla sospensione dei termini ai sensi dell’art. 20, comma 7, l. n. 44/1999. In particolare, la Corte territoriale osservava che l’omologazione dell’accordo non costituiva impedimento alla dichiarazione di fallimento sulla base di un debito, scaduto e certo, il cui inadempimento era indice dello stato di insolvenza, a nulla rilevando la circostanza dedotta dei pagamenti per oltre sessantamila Euro effettuati dalla debitrice dopo l’omologa. Avverso la decisione del giudice di seconde cure, le società Beta e Omega nonché Sempronio, quale legale rappresentante di entrambe, hanno proposto ricorso per cassazione. I ricorrenti deducevano che la società non era né insolvente né inadempiente, in quanto nei due anni dall’omologa dell’accordo di ristrutturazione, che prevedeva adempimenti fino al 2021, erano già stati pagati circa settecentomila Euro di crediti, anche se poi la Beta s.r.l. aveva cessato i pagamenti perché intervenuta la sospensione e proroga ex lege . La curatela controricorrente, eccepiva, invece, tra l’altro, il difetto dì specificità delle censure. E gli Ermellini, con l’odierna decisione, respingono in toto il ricorso. Nello specifico la prima censura risulta infondata, non solo perché il procedimento prefallimentare non si sospende ai sensi dell’art. 20 l. n. 44/99, ma anche perché lo stato di insolvenza va accertato tenendo conto di tutti i debiti, fatta salva l’inesigibilità solo di quelli concretamente afferenti il reato denunziato. È parimenti infondato il gravame circa la non ammissibilità dell’istanza di fallimento in pendenza di un accordo di ristrutturazione omologato e non risolto. La disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti. L’imprenditore in stato di crisi può domandare l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, depositando la documentazione indicata dall’art. 161 l. fall., unitamente alla relazione redatta da un professionista designato dal debitore con il contenuto descritto nella medesima disposizione. Dalla data di pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese e per 60 giorni, i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, né acquisire titoli di prelazione se non concordati. Il legislatore, con il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, art. 33, comma 1, lett. e , n. 5, convertito in legge con provvedimento del 7 agosto 2012, n. 134, ha previsto che nella relazione allegata all’accordo di ristrutturazione, depositato ai fini dell’omologazione, deve essere rappresentata la veridicità dei dati aziendali, nonché l’attuabilità dell’accordo con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei, nel rispetto dei termini previsti dal comma 1 dell’art. 182- bis l. fall Dalla disposizione de qua deriva, da un lato, un vincolo contenutistico per la relazione del professionista che deve contenere dati sull’attuabilità dell’accordo e, dall’altro, un vincolo contenutistico dell’accordo stesso che deve essere idoneo ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei, nel rispetto dei termini previsti. Al di fuori dei vincoli contenutistici e finalistici espressamente previsti dal legislatore, l’accordo di ristrutturazione è liberamente determinabile dalle parti, le quali possono discrezionalmente stabilire le modalità di ristrutturazione del debito. Le modifiche introdotte dal codice della crisi e dell’insolvenza d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 . La legge fallimentare vigente non disciplina né la fase esecutiva né un procedimento per la risoluzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ex art. 182- bis , l. fall Tale lacuna è stata colmata in parte dal legislatore attraverso l’art. 58, comma 2, c.c.i. che disciplina l’ipotesi delle modifiche sostanziali del piano resesi necessarie dopo l’omologazione – imponendo l’attestazione della loro idoneità ad assicurare l’esecuzione degli accordi, nonché la pubblicazione nel registro delle imprese e la possibilità di opposizione dei creditori entro trenta giorni dalla ricezione dell’avviso appositamente inviato a mezzo raccomandata. La libera determinazione contenutistica dell’accordo rileva sul piano soggettivo. L’imprenditore può scegliere le controparti creditorie e concordare uno specifico trattamento con ognuna di esse che possono, o meno, aderire individualmente alla proposta, la quale può presentare delle caratteristiche peculiari per ogni singolo debitore, senza l’esigenza di rispettare un trattamento paritario per classi e senza dover ripetere lo stesso trattamento per creditori che si trovino in tutto o in parte omogenee. La mancata previsione del rispetto del principio della par condicio, invero da ritenersi applicabile per i creditori estranei all’accordo, esalta l’autonomia privata. In conclusione. I creditori rimasti estranei all’accordo di ristrutturazione possono presentare una domanda di fallimento. Argomentando diversamente, si finirebbe infatti per privare il creditore estraneo - che a quell’accordo ha legittimamente scelto di non aderire - di una fondamentale forma di tutela del proprio credito, da coordinare con interessi degli altri creditori aderenti all’accordo, in funzione della garanzia patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c. e del correlato principio della par condicio creditorum di cui all’art. 2741 c.c

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 14 febbraio – 22 maggio 2019, n. 13850 Presidente Didone – Relatore Vella Fatti di causa 1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Napoli ha rigettato il reclamo proposto dalla società s.r.l. e dal suo amministratore M.L., con l’intervento adesivo della . s.r.l. e del suo amministratore M.L., avverso la sentenza del 15/11/2015 con cui il Tribunale di Avellino aveva dichiarato il fallimento della s.r.l. su ricorso della omissis s.r.l., respingendo le eccezioni di improcedibilità della domanda di fallimento fondate sull’avvenuta omologazione, in data 13/11/2013, dell’accordo di ristrutturazione dei debiti L. Fall., ex art. 182-bis proposto dalla , nonché sulla sospensione dei termini ai sensi della L. n. 44 del 1999, art. 20, comma 7, a seguito di denuncia del 16/11/2015. 2. La Corte territoriale ha osservato, con riguardo al primo aspetto i che la omissis era creditore estraneo all’accordo, per cui il suo credito di circa ottantamila Euro al netto dell’acconto pagato di circa ventimila Euro avrebbe dovuto essere soddisfatto entro centoventi giorni dall’omologa ii che vi era idonea prova del credito, stante il pagamento dell’acconto e la mancata sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo da parte del giudice dell’opposizione iii che il procedimento per la dichiarazione di fallimento non rientra tra le azioni esecutive o cautelari oggetto di sospensione ex art. 182-bis, comma 3, L. Fall. iv che l’omologazione dell’accordo non costituiva impedimento alla dichiarazione di fallimento sulla base di un debito, scaduto e certo, il cui inadempimento era indice dello stato di insolvenza, a nulla rilevando la circostanza dedotta ma non provata dei pagamenti per oltre sessantamila Euro effettuati dalla debitrice dopo l’omologa. 3. Con riguardo al secondo aspetto, il giudice a quo ha rilevato i che il provvedimento di sospensione dei termini era stato emesso dalla Procura della Repubblica, su denuncia della per i reati di estorsione ed usura a carico di una banca, in data 23/02/2016, quando ormai il credito della omissis era già scaduto trattandosi di fatture del 2011 e 2012 portate da decreto ingiuntivo e precetto notificati nel 2015 ii che la L. n. 44 del 1999, art. 20 non comporta una moratoria generalizzata, ma solo la proroga di trecento giorni delle scadenze dei termini - ricadenti entro un anno dalla data dell’evento lesivo - relativi ad adempimenti amministrativi, pagamento di ratei dei mutui ed ogni altro atto avente efficacia esecutiva, mentre il comma 4 di detta disposizione prevede solo la sospensione dei termini del processo esecutivo, non anche del procedimento per la dichiarazione di fallimento iii che comunque la sospensione ex art. 20 cit. riguarda solo la scadenza dei crediti connessi al reato denunciato dalla vittima di usura o estorsione, senza precludere l’accertamento dell’insolvenza. 4. Avverso detta sentenza le società ed nonché il M. quale legale rappresentante di entrambe hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo articolato su cinque profili, cui il Fallimento s.r.l. ha resistito con controricorso, mentre la omissis non ha svolto difese. 5. Con ordinanza interlocutoria n. 15730 del 2018 la sezione Sesta-1 ha rimesso la causa alla sezione semplice per la trattazione in pubblica udienza. Ragioni della decisione 6. I ricorrenti lamentano una serie di vizi così testualmente rubricati 1 Nullità della sentenza per Violazione e falsa applicazione della normativa ex L. n. 44 del 1999, ex art. 20, primo e comma 4. Termini sospesi e prorogati 2 Nullità della sentenza per Violazione e falsa applicazione della normativa legge fallimentare R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 1 e 15 3 Omessa, insufficiente e carente motivazione nel ritenere applicabile la norma in questione al processo fallimentare sulla base dell’erronea interpretazione di un precedente giurisprudenziale di legittimità 4 la violazione della medesima disposizione per aver ritenuto superfluo il parere del pm ivi descritto 5 la carenza di motivazione nell’omesso accertamento dello stato oggettivo di insolvenza della srl . 6.1. In sostanza - per quanto riesce a ricavarsi dall’unitario e confuso svolgimento dei vizi denunziati - i ricorrenti deducono che la società non era nè insolvente nè inadempiente, in quanto i al momento dell’istanza di fallimento 05/06/2016 il creditore istante omissis non era legittimato, essendo titolare di un credito inesigibile, poiché da considerare scaduto alla data di emissione del decreto ingiuntivo 28/04/2015 , ossia entro l’anno dall’evento lesivo novembre 2015 e quindi soggetto a proroga e sospensione L. n. 44 del 1999, ex art. 20, commi 1 e 3 in ogni caso, l’esecutività del decreto ingiuntivo era stata parzialmente sospesa dal giudice dell’opposizione in data 04/08/2016, sicché il credito non era nè certo, nè liquido nè esigibile ii nei primi due anni dall’omologa dell’accordo di ristrutturazione, che prevedeva adempimenti sino al 2021, erano stati già pagati circa settecentomila Euro di crediti, anche se poi la aveva cessato i pagamenti perché intervenuta la sospensione e proroga ex lege , senza che però l’accordo fosse stato mai risolto iii non vi erano protesti, se non ridotti a tre , e la debitoria era scesa da circa 7,5 milioni di Euro del 2013 a circa 6,5 milioni di Euro nel 2015. 6.2. Per concludere, i ricorrenti affermano che in sintesi, è vero che la procedura pre-fallimentare non deve essere sospesa . per il fatto che il debitore abbia chiesto i benefici antiusura, dal momento che essa non ha la natura esecutiva presupposta dalla norma . bensì natura di cognizione . ma nella specie, sicuramente ed in ogni caso andava prorogata, ai sensi del comma 1 dell’art. 20, la scadenza del debito nei confronti del creditore istante, con la conseguenza che si deve ritenere quest’ultimo carente di legittimazione a chiedere il fallimento. Pertanto è evidente l’abnormità della sentenza . 7. La curatela controricorrente eccepisce, tra l’altro, il difetto di specificità delle censure, la novità del vizio denunziato con il punto 4 relativamente al parere del p.m. e l’inconsistenza del punto 3, contenente una mera enunciazione. 8. Nonostante la non ortodossa formulazione del ricorso - che prospetta una pluralità di vizi di diversa natura, senza svilupparli chiaramente in singoli motivi - è possibile enucleare le due censure principali escluse, in quanto inammissibili, le questioni nuove e cioè I il difetto di esigibilità del credito del creditore istante omissis , portato da decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo notificato con precetto del 25/05/2015, opposto e parzialmente sospeso in data 04/08/2016, a causa dell’applicabilità della sospensione ai sensi della L. n. 44 del 1999, a seguito della denuncia dei reati di usura ed estorsione in data 16/11/2015 II la possibilità di dichiarare il fallimento della , su ricorso presentato il 05/06/2016 dalla omissis creditore estraneo all’accordo di ristrutturazione dei debiti della , in pendenza dell’esecuzione dell’accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis L. Fall., omologato ma mai risolto. 9. La prima censura è infondata, non solo perché come invero riconosciuto dagli stessi ricorrenti il procedimento prefallimentare non si sospende ai sensi della L. n. 44 del 1999, art. 20, ma anche perché lo stato di insolvenza va accertato tenendo conto di tutti i debiti, fatta salva l’inesigibilità solo di quelli concretamente afferenti il reato denunziato v. Cass. 22756/2012, espressamente richiamata dalla Corte territoriale . 9.1. Valga al riguardo il consolidato orientamento di questa Corte, in base al quale la procedura prefallimentare ha natura non già esecutiva, bensì cognitiva, poiché prima della dichiarazione di fallimento non può dirsi iniziata l’esecuzione collettiva, così come prima del pignoramento non può ritenersi cominciata l’esecuzione individuale di conseguenza, il procedimento per la dichiarazione di fallimento non è soggetto alla sospensione dei procedimenti esecutivi prevista dalla L. n. 44 del 1999, art. 20, comma 4, in favore delle vittime di richieste estorsive e dell’usura Cass. 8432/2012, 6309/2014, 10172/2016, 29245/2018 . 9.2. Va inoltre ricordato che la disciplina dettata dai primi quattro commi della L. n. 44 del 1999, art. 20, mirando a realizzare, attraverso la sospensione dei termini sostanziali e processuali rispettivamente, per il pagamento e per l’accertamento dei debiti pecuniari - un bilanciamento tra l’interesse dei creditori all’adempimento e l’esigenza di verificare il nesso eziologico tra la difficoltà dell’adempimento e la genesi criminale del debito, determina un’indubbia alterazione delle ordinarie relazioni civili, la cui operatività, però - pur trovando giustificazione nell’interesse pubblico alla tutela delle posizioni debitorie - va necessariamente circoscritta ad ipotesi tassative. Conseguentemente, la proposizione della domanda di elargizione delle provvidenze di cui alla suddetta legge comporta il riconoscimento della sospensione prevista dall’art. 20, comma 1, con riguardo ai singoli crediti implicati, ma non pregiudica il doveroso riscontro dello stato d’insolvenza L. Fall., ex art. 5, da valutarsi in relazione alla situazione generale dell’imprenditore ed alla sussistenza di altri inadempimenti o debiti ex multis, Cass. 1582/2017, di conferma della sentenza di merito che, pur non negando la rilevanza della sospensione ad incidere sull’accertamento dello stato di insolvenza di una società, poi dichiarata fallita, ha ritenuto non provata l’applicabilità della sospensione ai crediti scaduti di detta società, nonché la capacità della stessa di far fronte con mezzi normali all’adempimento delle obbligazioni non colpite dalla predetta misura . 9.3. Orbene la Corte d’appello, dopo aver correttamente rilevato che la L. n. 44 del 1999, art. 20 non determina una moratoria generalizzata in favore della parte beneficiaria del provvedimento di tutela ivi previsto - consentendo esclusivamente la proroga, per trecento giorni, delle scadenze relative ad adempimenti amministrativi, pagamento dei ratei di mutuo e ogni altro atto avente efficacia esecutiva, se ricadenti entro l’anno dall’evento lesivo - ha rilevato che nel caso di specie il credito in questione, originato da fatture emesse negli anni 2011 e 2012, era già scaduto a tutto voler concedere nel maggio 2015, laddove il provvedimento ex art. 20 cit. era stato emesso dal pubblico ministero il 23/02/2016, a seguito di denuncia per estorsione ed usura presentata dalla nei confronti di una banca in data 16/11/2015. 10. Anche la seconda censura, afferente l’ammissibilità dell’istanza di fallimento in pendenza di un accordo di ristrutturazione omologato e non risolto, è infondata. 10.1. La Corte territoriale, nel ritenere ammissibile detta istanza, ha richiamato il precedente di questa Corte per cui la presentazione della domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti non implica la sospensione della procedura prefallimentare, non potendo a ciò condurre un’interpretazione estensiva della L. Fall., art. 182 bis, comma 6, laddove vieta l’inizio o la prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari in presenza dell’istanza di sospensione proposta dal debitore da un lato, infatti, il procedimento prefallimentare non ha natura esecutiva e cautelare, ma natura cognitiva piena e, dall’altro, la menzionata interpretazione non sarebbe coerente con il sistema, che non consente la sospensione ex art. 295 c.p.c. della procedura prefallimentare a seguito della presentazione di una domanda di concordato preventivo. Nè la disciplina di cui all’art. 182 bis cit., può dirsi, per ciò solo, indeterminata, sicché è manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata in relazione agli artt. 27 e 111 Cost. Cass 24969/2013 . Tuttavia la fattispecie concreta, caratterizzata da una situazione inversa istanza di fallimento successiva all’omologazione dell’accordo di ristrutturazione , richiede ulteriori considerazioni. 10.2. Sono noti i consolidati approdi della giurisprudenza di questa Corte in tema di rapporto tra procedimento prefallimentare e concordato preventivo, declinato non già come pregiudizialità tecnico-giuridica bensì come mero coordinamento, nel senso che, pendente il secondo, la dichiarazione di fallimento consegue eventualmente all’esito negativo della pronuncia sul concordato, non potendo ammettersi l’autonomo corso del procedimento di dichiarazione del fallimento che si concluda indipendentemente dal verificarsi di uno degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 L. Fall. - e cioè, rispettivamente, inammissibilità della domanda, revoca dell’ammissione, mancata approvazione, diniego di omologazione fatta salva la possibilità di dichiarare il fallimento durante le eventuali fasi di impugnazione di simili esiti negativi ferma restando, in ogni caso, l’inammissibilità di una domanda di concordato preventivo diretta non a regolare la crisi dell’impresa, ma a procrastinare la dichiarazione di fallimento, come tale integrante gli estremi dell’abuso del processo ex multis, Cass. 30539/2018, 1169/2017, 9050/2016 Cass. Sez. U, 9935/2015 e 1521/2013 . 10.3. Meno consolidati paiono gli approdi di questa Corte sul tema, connesso al precedente, dei rapporti tra domanda di fallimento e concordato preventivo omologato, in fase di esecuzione, che pure sembrerebbero da declinare nei medesimi termini di preclusione/coordinamento sopra illustrati e dunque con procedibilità dell’istanza di fallimento solo dopo la risoluzione del concordato , non solo perché la domanda di concordato rappresenta concettualmente un minus rispetto al concordato omologato, ma anche in considerazione del vincolo obbligatorio creato dalla L. Fall., art. 184, comma 1, non a torto descritto come proiezione concorsuale del principio civilistico di cui all’art. 1372 c.c. , dell’effetto esdebitatorio dell’omologazione cui consegue il ritorno in bonis del debitore , della specialità della disposizione di cui all’art. 186 ivi compreso il termine di decadenza annuale rispetto alla L. Fall., art. 6, e non ultimo dell’interesse concreto dei creditori alla declaratoria di fallimento nella misura originaria dei crediti, piuttosto che nella misura falcidiata, che finirebbe sostanzialmente per comportare solo un incremento dei costi per l’apertura di un’ulteriore procedura concorsuale cfr. Cass. 2695/2016 per cui dopo l’omologazione la procedura concordataria deve ritenersi ancora pendente quando uno dei creditori presenti istanza di risoluzione ai sensi della L. Fall., art. 186 . 10.4. Ebbene, a fronte di un variegato panorama della giurisprudenza di merito sull’argomento, questa Corte ha affermato il principio per cui nell’ipotesi di impresa già ammessa al concordato preventivo poi omologato, ed in caso di inadempimento dei debiti concorsuali, il creditore insoddisfatto può senz’altro avanzarne istanza di fallimento, ai sensi della L. Fall., art. 6, a prescindere dall’intervenuta risoluzione del detto concordato, essendo ormai venuto meno - dopo la riforma della L. Fall., art. 186 introdotta dal D.Lgs. n. 169 del 2007 - ogni automatismo tra risoluzione del concordato e dichiarazione di fallimento e dovendo l’istante proporre la domanda di risoluzione, anche contestualmente a quella di fallimento, solo quando faccia valere il suo credito originario e non nella misura già falcidiata Cass. 17703/2017, 29632/2017 successivamente ha quindi precisato che, qualora il fallimento sia stato dichiarato quando è ancora possibile instare per la risoluzione L. Fall., ex art. 186 della procedura concordataria, i creditori non sono tenuti a sopportare gli effetti esdebitatori e definitivi del concordato omologato, a norma della L. Fall., art. 184, posto che l’attuazione del piano è resa impossibile per l’intervento di un evento, come il fallimento, che, sovrapponendosi al concordato medesimo, inevitabilmente lo rende irrealizzabile Cass. 26002/2018 . 10.5. Il riferimento agli orientamenti sopra richiamati si è reso necessario alla luce degli ulteriori approdi della giurisprudenza di questa Corte - argomentati anche con riferimento al diritto Eurounitario - sulla natura concorsuale degli accordi di ristrutturazione dei debiti L. Fall., ex art. 182-bis, in quanto appartenenti al novero degli istituti del diritto concorsuale ovvero - più esplicitamente e a differenza dei piani attestati di risanamento L. Fall., ex art. 67, comma 3, lett. d - delle procedure concorsuali v. Cass. 1182/2018, 1895/2018, 1896/2018, 9087/2018, 12956/2018, 16161/2018, 16347/2018 invero, il consolidarsi dell’orientamento per cui gli accordi di ristrutturazione sono istituto affine al concordato preventivo, nell’ambito delle procedure alternative al fallimento volte alla composizione della crisi d’impresa cfr. Cass. 16950/2016, 2311/2014 , ha reso possibile sia pure entro certi limiti di compatibilità - applicare ad essi, in via estensiva o analogica, i principi generali comuni alle procedure concorsuali cfr. Cass. 9087/2018 e 12956/2018 cit. . 10.6. Nè va trascurato che nel Codice della crisi e dell’insolvenza di futura applicazione D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 - CCI , accordi di ristrutturazione dei debiti e concordato preventivo - disciplinati nel medesimo Titolo IV tra gli Strumenti di regolazione della crisi condividono il Procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza art. 40 e ss. e sono connotati da una significativa comunanza di presupposti, soggettivi e oggettivi, nonché condizioni di accesso cfr. anche l’art. 21, sulla conclusione del procedimento di composizione assistita della crisi, e l’art. 44, comma 4, sulla possibile nomina del commissario giudiziale . 11. Fatte queste doverose premesse sistematiche, la questione in esame va decisa muovendo da due rilievi decisivi, l’uno in diritto, l’altro in fatto in diritto, quello per cui la legge fallimentare vigente non disciplina - a differenza del concordato preventivo - nè la fase esecutiva nè un procedimento per la risoluzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato L. Fall., ex art. 182 bis in fatto, quello per cui il creditore istante per la dichiarazione di fallimento è un creditore estraneo all’accordo omologato. 12. Va altresì segnalato, sul primo aspetto, che il legislatore ha avvertito l’esigenza di colmare in parte la lacuna attraverso l’art. 58, comma 2, CCI - che disciplina l’ipotesi delle modifiche sostanziali del piano resesi necessarie dopo l’omologazione - imponendo l’attestazione della loro idoneità ad assicurare l’esecuzione degli accordi, nonché la pubblicazione nel registro delle imprese e la possibilità di opposizione dei creditori entro trenta giorni dalla ricezione dell’avviso appositamente inviato a mezzo raccomandata. 13. Orbene, alla luce di tutto quanto sopra considerato, deve ritenersi che nulla osti alla procedibilità di una domanda di fallimento presentata, dopo l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, da un creditore che ad esso sia rimasto estraneo. Diversamente opinando, si finirebbe infatti per privare quest’ultimo - che a quell’accordo ha legittimamente scelto di non aderire - di una fondamentale forma di tutela del proprio credito, da coordinare con gli interessi degli altri creditori aderenti all’accordo, in funzione della garanzia patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c. e del correlato principio della par conditio creditorum di cui all’art. 2741 c.c Inoltre, si consentirebbe una compressione dei suoi diritti tanto più inammissibile in quanto l’istituto degli accordi L. Fall., ex art. 182 bis fa perno proprio sul presupposto della loro idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei fatte salve la dilazione di cui al comma 1 della norma citata e la possibilità della deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c. prevista dalla L. Fall., art. 182-septies, cui fanno eco i più ampi Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa introdotti dall’art. 61 CCI , i quali perciò si pongono, rispetto all’accordo, in posizione analoga ai creditori non vincolati dagli effetti obbligatori del concordato omologato L. Fall., ex art. 184. 14. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.