La quietanza rilasciata dal fallito in bonis non vale come confessione stragiudiziale

Il decisum in commento affronta la questione della valenza probatoria da attribuire alla dichiarazione di quietanza. Nello specifico si tratta di stabilire se la quietanza rilasciata da un creditore, poi fallito, al debitore all’atto del pagamento abbia, o meno, l’efficacia vincolante della confessione stragiudiziale, ex art. 2375 c.c

E, i Giudici della Sesta sezione Civile di Piazza Cavour, con l’ordinanza n. 15591/18, depositata il 14 giugno, conformandosi ad un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità v. da ultimo, Cass., 24690/17 , chiariscono che nei confronti del curatore del fallimento che nel caso di specie resisteva alla domanda attorea ponendosi anche a tutela degli interessi del ceto creditorio, ed al fine di recuperare il bene alla massa fallimentare la quietanza rilasciata dal creditore poi fallito al debitore all’atto del pagamento non ha l’efficacia vincolante della confessione stragiudiziale, ex art. 2375 c.c., ma unicamente il valore di documento probatorio dell’avvenuto pagamento, apprezzabile dal giudice al pari di qualsiasi altra prova desumibile dal processo, atteso che il curatore, anche laddove si ponga nell’esercizio del diritto del fallito, nella stessa posizione di quest’ultimo, è una parte processuale diversa dal fallito medesimo conf., Cass., 21258/14 Cass., 4288/05 . Il fatto. Tizio conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria la curatela del fallimento della Beta s.a.s., affinché fosse accertato e dichiarato il suo diritto di proprietà su di una determinata unità immobiliare, accertando altresì che il fallimento non vantava alcun diritto sul bene. In particolare, Tizio deduceva che il bene de quo era stato oggetto di un preliminare di compravendita con la società ancora in bonis , e che pur avendo versato parte del prezzo la promittente venditrice non era addivenuta alla stipula del definitivo, costringendo l’attore a promuovere un giudizio ex art. 2932 c.c., la cui domanda era stata trascritta in data 10 aprile 1997, rilevando altresì che l’immobile era stato anche oggetto di pignoramento da parte di una banca creditrice della società. Il Tribunale reggino, all’esito del giudizio di esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, aveva disposto il trasferimento della proprietà del bene all’attore, subordinando l’effetto traslativo al versamento del residuo prezzo. In seguito, in data 9 gennaio 2003 era intervenuta la sentenza di fallimento della società venditrice e la curatela si era avvalsa della facoltà di cui all’art. 107 l.fall. sostituendosi ai creditori pignoranti ed a quelli intervenuti nella procedura esecutiva pendente, sostenendo che, non essendo intervenuto il versamento del saldo, il bene era ancora di proprietà della società fallita, pretendendo di includere quindi l’appartamento dell’attore tra i beni della massa fallimentare. Nella resistenza della curatela il Tribunale di Reggio Calabria accoglieva la domanda di Tizio, dichiarando che l’immobile oggetto di causa era di sua esclusiva proprietà. Parimenti, la Corte territoriale rigettava l’appello della curatela fallimentare. Quest’ultima ricorreva quindi in cassazione facendo valere quattro distinti motivi di gravame. In particolare con il terzo motivo il fallimento lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in ordine all’attribuzione di valenza probatoria alla dichiarazione di quietanza, trascurando la sua inopponibilità alla curatela, ed imponendo a quest’ultima di dover provare la natura simulata della stessa, proponendo apposita domanda, laddove invece è onere del debitore, in questo caso interessato a documentare il pagamento al fine di dimostrare anche il verificarsi dell’evento al quale era condizionato il trasferimento della proprietà, provare l’effettività del versamento del saldo del prezzo. E, gli Ermellini accogliendo in toto il ricorso precisano che la quietanza rilasciata dal creditore, poi fallito, al debitore all’atto del pagamento non ha l’efficacia vincolante della confessione stragiudiziale ex art. 2375 c.c., ma unicamente il valore di documento probatorio dell’avvenuto pagamento, apprezzabile dal giudice al pari di qualsiasi altra prova desumibile dal processo. La natura giuridica della quietanza secondo la teoria della natura confessoria. La quietanza rilasciata dal creditore al debitore all’atto del pagamento, ha natura di confessione stragiudiziale di un fatto estintivo dell’obbligazione, secondo la previsione dell’art. 2375 c.c. e, come tale, essa solleva il debitore dal relativo onere probatorio, vincolando il giudice circa la verità del fatto stesso, sempre che sia fatta valere nella controversia in cui siano parti, anche in senso processuale, gli stessi soggetti autore e destinatario di quella dichiarazione di scienza. In questa prospettiva, il rilascio al debitore, da parte del creditore, della quietanza non determina una semplice inversione dell’onere della prova dell’avvenuto pagamento, poiché al creditore che ha attestato il fatto del ricevuto pagamento, non è poi consentito eccepire che il pagamento non sia amai avvenuto, a meno che non alleghi e dimostri che la quietanza fu rilasciata per errore di fatto o violenza. La confessione stragiudiziale e la quietanza non possono essere sovrapposte v., SS.UU., 19888/2014 . La quietanza, quale autonomo mezzo di prova documentale, non è tout court identificabile con la confessione stragiudiziale. Difatti, la quietanza rappresenta in primis un atto dovuto ed il suo rilascio da parte del creditore è configurato come un diritto del solvens , laddove la confessione è libera e spontanea e non inquadrabile nell’ambito di un rapporto giuridico. Peraltro, mentre la confessione può riguardare fatti di ogni genere, purché sfavorevoli alla parte che la pone in essere, la caratteristica della quietanza è quella di avere un contenuto tipico e predeterminato dall’oggetto del rapporto fondamentale. Ne deriva quindi che la quietanza è un atto unilaterale assimilabile alla confessione stragiudiziale, ma non del tutto sovrapponibile a questa ciononostante, secondo le Sezioni Unite, nel valorizzare gli indiscutibili punti di contatto tra i due istituti, è possibile procedere ad un’applicazione analogica degli artt. 2732 e 2735 c.c., in tema di regime di invalidazione e di efficacia di piena prova della dichiarazione resa. La quietanza, al pari del confessione, infatti, reca l’asseverazione di un fatto a sé sfavorevole e favorevole al solvens . La valenza probatoria della quietanza. Tuttavia, la produzione in giudizio di quietanza liberatoria attestante l’avvenuto pagamento effettuato in data anteriore alla dichiarazione di fallimento non esplica valore probatorio nel giudizio promosso, avverso il creditore, dal curatore fallimentare, in quanto la suddetta quietanza è suscettibile di produrre effetti vincolanti solo fra le parti originarie della stessa e, dunque, fra l’autore ed il destinatario mentre, nel giudizio instaurato dal curatore, quest’ultimo, pur ponendosi nella medesima posizione sostanziale del fallito, è di fatto una parte processuale diversa per cui, nei suoi confronti, la quietanza non può essere fatta valere. In conclusione. Il decisum che qui ci occupa chiarisce che la quietanza, avente data certa in quanto rilasciata con scrittura con firma autenticata, emessa dal legale rappresentante della società ancora in bonis, e relativa appunto al pagamento del saldo in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, non ha l’efficacia vincolante della confessione stragiudiziale ai sensi dell’art. 2375 c.c., ma unicamente il valore di documento probatorio dell’avvenuto pagamento, apprezzabile dal giudice al pari di qualsiasi altra prova desumibile dal processo, atteso che il curatore, anche laddove si ponga nell’esercizio del diritto del fallito, nella stessa posizione di quest’ultimo, è una parte processuale diversa dal fallito medesimo.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 10 maggio – 14 giugno 2018, n. 15591 Presidente Lombardo - RelatoreCriscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione S.R. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria la curatela del fallimento della S.a.s., affinché fosse accertato e dichiarato il suo diritto di proprietà sull’unità immobiliare meglio specificata in citazione, accertando altresì che il fallimento non vantava alcun diritto sul bene. In tal senso deduceva che il bene era stato oggetto di un preliminare di compravendita con la società ancora in bonis, e che pur avendo versato parte del prezzo la promittente venditrice non era addivenuta alla stipula del definitivo, costringendo l’attore a promuovere un giudizio ex art. 2932 c.c., la cui domanda era stata trascritta in data 10 aprile 1997. Rilevava altresì che il bene era stato anche oggetto di pignoramento da parte della creditrice della società, la BNL S.p.A., con atto trascritto in data 15 maggio 1997. Il Tribunale di Reggio Calabria, all’esito del giudizio di esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, aveva emesso la sentenza n. 772 del 2001, passata altresì in cosa giudicata, che aveva disposto il trasferimento della proprietà del bene all’attore, subordinando l’effetto traslativo al versamento del residuo prezzo. Successivamente, in data 9 gennaio 2003 era intervenuta la sentenza di fallimento della società venditrice e la curatela si era avvalsa dalla facoltà di cui all’art. 107 l. fall. sostituendosi ai creditori pignoranti ed a quelli intervenuti nella procedura esecutiva pendente, sostenendo che, non essendo intervenuto il versamento del saldo, il bene era ancora di proprietà della società fallita, pretendendo quindi di includere l’appartamento dell’attore tra i beni della massa fallimentare. Nella resistenza della curatela il Tribunale di Reggio Calabria con la sentenza del 28 aprile 2010 accoglieva la domanda del S. , dichiarando che l’immobile oggetto di causa era di sua esclusiva proprietà. La Corte d’Appello di Reggio Calabria con la sentenza n. 181 del 20/3/2017 ha rigettato l’appello della curatela fallimentare, condannando l’appellante anche al rimborso delle spese del grado. In via preliminare riteneva fondata l’eccezione di inammissibilità delle nuove domande ed eccezioni proposte dalla curatela, ed in particolare di quella concernente l’inopponibilità alla stessa curatela della quietanza di pagamento del saldo del prezzo, rilasciata con scrittura privata autenticata avente data certa, dal legale rappresentante della società ancora in bonis. A tal fine rilevava che a fronte della produzione di tale documento già in primo grado, l’appellante non aveva proposto alcuna domanda o eccezione che involgesse la questione della opponibilità della quietanza, che invece risultava sollevata per la prima volta solo in grado di appello. Per l’effetto andava dichiarata l’inammissibilità della deduzione ex art. 345 c.p.c. poiché occorreva avanzare apposita domanda di simulazione. La questione risultava comunque infondata anche nel merito atteso che, stante il principio dell’opponibilità della quietanza alla curatela fallimentare, quale ipotesi di confessione stragiudiziale, era il curatore a dover richiedere già nel corso del giudizio di primo grado che il giudice adito pronunciasse la simulazione della quietanza, fornendo la relativa prova, prova che però non era stata in alcun modo offerta. Ne scaturiva quindi che la quietanza aveva piena valenza probatoria anche nei confronti della curatela, sicché doveva reputarsi che si fosse ormai verificato l’effetto traslativo della proprietà del bene, effetto condizionato dalla sentenza ex art. 2932 c.c., all’effettivo pagamento del saldo prezzo. La sentenza poi disattendeva il terzo motivo di appello con il quale si sottolineava la contraddittorietà della condotta dell’attore che, in relazione alla somma asseritamente versata a saldo prezzo, aveva presentato domanda di insinuazione al passivo, e ciò sul presupposto che il curatore avesse legittimamente esercitato la facoltà di sciogliersi dal preliminare ex art. 72 l. fall Tuttavia, rilevava la sentenza di secondo grado che il provvedimento del Giudice delegato che aveva ammesso il S. al passivo partiva dal presupposto, poi rivelatosi erroneo che il curatore potesse effettivamente sciogliersi dal contratto, con la conseguenza che tale ammissione era destinata a rimanere priva di effetto. La Curatela del fallimento della S.a.s. ha proposto ricorso avverso tale sentenza sulla base di quattro motivi. L’intimato non ha svolto difese in questa fase. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. nella parte in cui la Corte reggina ha ritenuto che la questione concernente l’opponibilità della quietanza rilasciata dalla società in bonis all’attore costituisce una domanda o eccezione nuova che doveva necessariamente essere proposta in primo grado. Si rileva che le eccezioni in senso stretto sono esclusivamente quelle individuate come tali dal legislatore, e tra queste non rientra in alcun modo quella con la quale si mira a contestare la valenza della quietanza nei confronti della curatela, così che si rivela erronea la declaratoria di inammissibilità adottata dal giudice di appello. Il secondo motivo denuncia l’omessa motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello, esaminando comunque nel merito la questione, ha considerato che la quietanza avesse valore probatorio, omettendo di rilevare che secondo la giurisprudenza di legittimità, è invece il debitore a dover dimostrare l’effettività del pagamento interessato dalla dichiarazione di quietanza. Il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. sempre in ordine all’attribuzione di valenza probatoria alla dichiarazione di quietanza, trascurando la sua inopponibilità alla curatela, ed imponendo a quest’ultima di dover provare la natura simulata della stessa, proponendo apposita domanda, laddove invece è onere del debitore, in questo caso interessato a documentare il pagamento al fine di dimostrare anche il verificarsi dell’evento al quale era condizionato il trasferimento della proprietà, provare l’effettività del versamento del saldo del prezzo. Il quarto motivo denuncia infine l’omessa motivazione della sentenza per la mancata valutazione delle risultanze processuali, atteso che la curatela aveva segnalato una serie di elementi che deponevano per l’inattendibilità della quietanza, quali la mancata produzione della stessa nei procedimenti cautelari che avevano preceduto l’introduzione della causa di merito nonché la richiesta di insinuazione al passivo del S. , elementi che sono stati tutti trascurati dal giudice di appello. Ritiene il Collegio che il primo motivo sia fondato. Ed, invero, la questione che costituisce il punto controverso della presente vicenda è rappresentata dall’effettiva dimostrazione del pagamento del saldo prezzo da parte del promissario acquirente in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, trattandosi di evento al quale era condizionata l’efficacia traslativa della sentenza emessa all’esito del giudizio di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare concluso dalla società ancora in bonis. I motivi di ricorso denotano che non è contestata la prevalenza degli effetti di tale sentenza rispetto sia alla sentenza di fallimento che alla trascrizione del pignoramento, posto che la domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre è stata pacificamente trascritta prima sia della sentenza di fallimento che del pignoramento del bene oggetto di causa, ma la difesa della curatela si incentra sul mancato verificarsi dell’effetto traslativo, in quanto non risulterebbe effettivamente adempiuta l’obbligazione gravante sul promissario acquirente, evento che la sentenza del Tribunale aveva posto come condizione sospensiva dell’efficacia traslativa della proprietà del bene. Posta tale premessa, a fronte della produzione da parte dell’attore della quietanza, avente data certa in quanto rilasciata con scrittura con firma autenticata, emessa dal legale rappresentante della società ancora in bonis, e relativa appunto al pagamento del saldo prezzo in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, i giudici di appello hanno ritenuto che la contestazione circa l’opponibilità di tale quietanza alla curatela costituisse oggetto di una domanda ovvero di un’eccezione in senso stretto, insuscettibile di poter essere proposta per la prima volta in grado di appello, dichiarando quindi inammissibili le deduzioni dell’appellante ai sensi dell’art. 345 c.p.c Orbene, rileva la Corte che, secondo la propria giurisprudenza cfr. Cass. n. 24690/2017 , nei confronti del curatore del fallimento che nel caso di specie resisteva alla domanda attorea ponendosi anche a tutela degli interessi del ceto creditorio, ed al fine appunto di recuperare il bene alla massa fallimentare la quietanza rilasciata dal creditore poi fallito al debitore all’atto del pagamento non ha l’efficacia vincolante della confessione stragiudiziale ex art. 2375 c.c., ma unicamente il valore di documento probatorio dell’avvenuto pagamento, apprezzabile dal giudice al pari di qualsiasi altra prova desumibile dal processo, atteso che il curatore, anche laddove si ponga nell’esercizio del diritto del fallito, nella stessa posizione di quest’ultimo, è una parte processuale diversa dal fallito medesimo conf. Cass. n. 21258/2014 Cass. n. 4288/2005 . Ne deriva pertanto che, stante l’individuata e limitata valenza probatoria della quietanza, il motivo di appello con il quale si intendeva contestare l’opponibilità della stessa alla curatela, con la necessità di dover adeguatamente apprezzare la sua portata, lungi dal porre in essere la proposizione di una domanda o di un’eccezione nuova, si limita a sollecitare il potere del giudice di appello alla corretta valutazione delle risultanze istruttorie, essendo pertanto evidente la non riconducibilità della tesi difensiva dell’appellante nell’ambito di applicazione dell’art. 345 c.p.c., e ciò soprattutto in vista della verifica della ricorrenza di uno degli elementi costitutivi della domanda attorea, il cui accoglimento presupponeva la prova dell’effettivo versamento del corrispettivo della vendita, in data anteriore alla dichiarazione di fallimento. Peraltro, ed essendo evidente che non risulta proposta una domanda nuova, anche a voler qualificare la deduzione di cui al motivo di appello della curatela come contenente la proposizione di un’eccezione, è erronea l’affermazione secondo cui si tratterebbe di un’eccezione in senso stretto. In tal senso occorre fare richiamo alla costante giurisprudenza di questa Corte per la quale cfr. Cass. S.U. n. 10531/2013 Cass. n. 15661/2005 nel nostro ordinamento le eccezioni in senso stretto, cioè quelle rilevabili soltanto ad istanza di parte, si identificano o in quelle per le quali la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o in quelle in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e, quindi, per svolgere l’efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte da sola o realizzabile attraverso un accertamento giudiziale , anche a voler qualificare come eccezione la contestazione circa l’opponibilità della quietanza alla curatela, si tratterebbe, in assenza di una diversa previsione del legislatore, di un’eccezione in senso lato, liberamente suscettibile di deduzione anche in grado di appello, con la conseguente inapplicabilità della previsione di cui all’art. 345 c.p.c La sentenza impugnata non si è pertanto attenuta ai suddetti principi e deve essere cassata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d’Appello di Reggio Calabria. Quanto agli ulteriori motivi di ricorso, gli stessi investono la valutazione di infondatezza nel merito della contestazione mossa dalla curatela alla portata probatoria della quietanza, ma trattasi di censure che attengono ad affermazioni del giudice di appello che hanno fatto seguito ad una preventiva declaratoria di inammissibilità delle doglianze dell’appellante, e devono pertanto reputarsi assorbiti a seguito dell’accoglimento del primo motivo. Al giudice del rinvio è devoluta anche la liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso e, dichiarati assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Reggio Calabria, anche per le spese del presente giudizio.