Con un decreto del 7 maggio 2018 il Tribunale di Torino, nell’ambito di una procedura di sovraindebitamento, ha modo di applicare un principio che – se l’orientamento giurisprudenziale dovesse consolidarsi – dovrà essere tenuto a mente nel momento in cui si elaborano e propongono i piani del consumatore o gli accordi di composizione della crisi.
Il creditore ipotecario non soddisfatto Il punto delicato affrontato dal Tribunale di Torino riguarda la sorte dell’ipoteca iscritta sull’immobile del debitore allorquando il creditore ipotecario non risulterà, in base alla proposta, soddisfatto interamente. deve consentire alla cancellazione? Ed infatti, nella proposta di piano sottoposta alla sua attenzione, il punto centrale della stessa riguardava proprio la vendita, in regime privatistico, dell’immobile di proprietà del debitore sul quale risulta iscritta un’ipoteca di primo grado a favore di un istituto bancario. Istituto che, però, aveva già dichiarato di non voler prestare il proprio assenso alla cancellazione dell’ipoteca iscritta. Secondo il debitore, il creditore iscritto non avrebbe dovuto necessariamente prestare il proprio consenso ed infatti, per la parte che non avrebbe potuto essere soddisfatta dalla vendita dell’immobile, egli avrebbe visto quella parte di credito “degradare” a chirografario e, quindi, avrebbe potuto votare nell’adunanza dei creditori. Per il debitore, quindi, il Giudice avrebbe dovuto convocare l’adunanza dei creditori e, in caso di voto positivo, avrebbe dovuto ordinare, all’esito della vendita la cancellazione dell’ipoteca iscritta. Nessuna cancellazione. Senonché, per il Tribunale, il Giudice non ha il potere di ordinare la cancellazione delle formalità pregiudizievoli prevista dall’articolo 13 qualora nel piano del consumatore o nell’accordo con i creditori il ricorrente inserisca nel proprio piano di uscita dalla crisi una vendita privatistica. Secondo il Tribunale la ragione risiederebbe in ciò che in base al primo comma dell’articolo 7 legge numero 3/2012 laddove prevede che «è possibile prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi». Tuttavia, in base a quella norma – prosegue il Tribunale - pur dovendosi ritenere il sovraindindebitamento come disciplina autonoma dalle procedure concorsuali, tenuto conto che il fine perseguito è diverso, tuttavia un provvedimento così grave e definitivo quale le cancellazioni delle formalità pregiudizievoli è possibile solo se si svolge una procedura competitiva con le regole ad essa propria. Infatti, il riferimento al «valore di mercato» presuppone una procedura competitiva di offerta al rialzo del prezzo proposto nel piano. Ecco allora che alla cancellazione potrà giungersi soltanto «ove i crediti con privilegio immobiliare sussidiario siano stati soddisfatti nella misura massima possibile». Del resto, solo se effettuata a seguito di procedura competitiva, infatti, la vendita potrebbe considerarsi giudiziale, in analogia all’orientamento della giurisprudenza di legittimità che tale natura riconosce alle procedure indette ai sensi dell’articolo 107, comma 1, l.fall Da quanto sopra, il Tribunale ha ritenuto di non procedere all’adunanza dei creditori e di procedere, siccome chiesta in via subordinata dal debitore all’atto della domanda, la liquidazione del patrimonio. Liquidazione del patrimonio che, per la vendita dell’immobile da parte del liquidatore, prevede il ricorso proprio alla vendita comparativa. Qualche considerazione finale. Sin qui il ragionamento del Tribunale di Torino che, tuttavia, lascia qualche dubbio. Ed infatti, il ricorso alla vendita comparativa è previsto soltanto, come visto, per la procedura di liquidazione. Viceversa, nel caso di piano del consumatore e dell’accordo di composizione della crisi la tutela del creditore ipotecario nel senso che la sua opposizione è garantita è limitata alle ipotesi in cui la vendita del bene sul quale insiste la garanzia è ipotizzata ad un prezzo più basso rispetto all’ipotesi di vendita a prezzi di mercato «attestato dagli organismi di composizione della crisi». Il che significa – o almeno così mi sembra – che nella composizione della crisi diversamente dalla liquidazione potrebbe non essere neppure necessario procedere sempre e comunque alla vendita dell’immobile pur gravato da ipoteca quindi, a maggior ragione, non è richiesta la procedura competitiva. Ecco allora che l’interpretazione del Tribunale di Torino aggrava la posizione del debitore, ma soprattutto nega la possibilità che sulla proposta si possa poi esprimere il ceto creditorio nel suo complesso ivi compreso il creditore iscritto per la parte degradata non avendo consentito la convocazione dell’adunanza dei creditori pure richiesta in subordine dal debitore .
Tribunale di Torino, sez. VI Civile, decreto 3 – 7 maggio 2018, numero 105 Giudice Istruttore Cecilia Marino Il G.I. dato delle conclusioni precisate da S. con la memoria del 15.2.2018, di seguito riportate - in via principale fissare l’adunanza, ai sensi dell’articolo 11 l. numero 3/2012, onde consentire il voto dei creditori sulla proposta di accordo meglio dettagliata in narrativa ed in particolare contenuta alle pagine 2 e 3 della nota dell’OCC in data 2 febbraio 2018 qui allegata sub docomma 55 ipotesi C/3, ciò sulla base dell’elenco dei creditori di cui alla pagina 10 della precedente nota del medesimo OCC in data 10 ottobre u.s. qui docomma 56 - in via subordinata, ove non ritenesse di condividere le valutazioni svolte dall’OCC e condivise dalla scrivente difesa, fissare analogamente l’adunanza dei creditori, onde consentire il voto dei creditori sulle proposte B/2 o, ancora in subordine, A/1, sempre di cui alle succitate note dell’OCC nominato - in via ulteriormente subordinata, ove – come si nega – si ravvisassero motivi impedienti alla prosecuzione del procedimento in forma di accordo del debitore, disporne la conversione nella procedura liquidatoria di cui agli articolo 14-ter ss. l. numero 3/2012. -rilevato che allo stato non risulta acquisito il consenso del creditore ipotecario alla cancellazione dell’ipoteca a seguito della vendita dell’immobile sito in Torino che verrebbe effettuata in via privatistica dal ricorrente Premesso Nucleo centrale dell’accordo con i creditori è la vendita dell’immobile di proprietà del signor S. in regime privatistico su tale immobile è iscritta ipoteca di primo grado a favore di Bnl s.p.a., istituto bancario che ha già dichiarato che non presterà il proprio assenso alla cancellazione dell’ipoteca. Afferma il signor S. che, anche in difetto di assenso del predetto creditore alla cancellazione dell’ipoteca, si possa procedere comunque all’adunanza dei creditori, alla luce del fatto che la soddisfazione del creditore vantante ipoteca di I grado sia ai fini della procedura da parificarsi alla soddisfazione integrale nei limiti di quanto si ricaverebbe dalla liquidazione , e il creditore concorrerebbe comunque e con diritto di voto, senza bisogno di rinunciare alla causa di prelazione, per il credito chirografario originario e per il residuo degradato, ma non avrebbe diritto di votare alcunché in merito al credito ipotecario, mentre al Giudice competerebbe, in caso di omologazione, il compito di ordinare la cancellazione di ogni iscrizione dai registri. Ciò in quanto, per le ragioni sopra esposte, non sarebbe previsto nessun assenso preventivo in merito da parte del ceto ipotecario ed in ogni caso, quand’anche si ritenesse necessaria la rinuncia del creditore ipotecario all’ipoteca, questa potrà indubbiamente fornirsi, esplicitamente od anche implicitamente, con il proprio voto alla proposta, e la rinuncia avrebbe in ogni caso effetti limitati alla presente procedura nonché, ovviamente, condizionati al suo buon esito perdendone in caso di non omologazione, come pure di revoca, cessazione, ecc. detta conclusione sarebbe supportata dalla considerazione che l’articolo 11 della l. numero 3/2012 si limita a prevedere che “I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca dei quali la proposta prevede l'integrale pagamento non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto di esprimersi sulla proposta, salvo che non rinuncino in tutto o in parte al diritto di prelazione”, nulla dicendo quanto ai modi della rinuncia. Per identificare la soluzione più appropriata, si dovrebbe peraltro muovere dalla sicura applicabilità in via analogica dei principi emergenti dalle norme relative al concordato preventivo ed al concordato fallimentare, sicché per assoluta identità di rationes nonché di testi normativi e “contingenze” sistematiche, la interpretazione dell’attuale testo dell’articolo 11 l. numero 3 non può che effettuarsi in base alla interpretazione giurisprudenziale univoca che si forniva vuoi del vecchio testo dell’articolo 177 L. Fall. in tema di concordato preventivo prima delle modifiche apportate dal d.lgs. numero 169/2007 vuoi, in assoluta assonanza, dell’articolo 127 prima della riformulazione operatane dal d.lgs. numero 5/2006 , in tema di concordato fallimentare. Difatti, che i testi normativi dell’epoca, allo stesso modo dell’attuale testo dell’articolo 11 l. numero 3, nulla precisavano in ordine ai modi della rinuncia a. cfr. articolo 177 previgente “ I creditori che hanno diritto di prelazione sui beni del debitore non partecipano al voto a meno che rinuncino al diritto di prelazione. La rinuncia può essere anche parziale purché non sia inferiore alla terza parte dell'intero credito tra capitale e accessori. Gli effetti della rinuncia cessano se il concordato non ha luogo o è posteriormente annullato o risoluto. Il voto di adesione dato senza dichiarazione di limitata rinuncia importa rinuncia all'ipoteca, al pegno o al privilegio per l'intero credito” b. cfr. articolo 127 previgente “I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, ancorché la garanzia sia contestata, non hanno diritto al voto se non rinunciano al diritto di prelazione. La rinuncia può essere anche parziale, purché non inferiore alla terza parte dell'intero credito fra capitale ed accessori. Il voto di adesione deve essere esplicito ed importa rinuncia al diritto di prelazione per l'intero credito, se è dato senza dichiarazione di limitata rinuncia. Se il concordato non è approvato, non è omologato o viene annullato o risoluto, cessano gli effetti della rinuncia”. Da tali testi, e dalla giurisprudenza formatasi a tal proposito, poteva però e senza alcun dubbio evincersi che la rinuncia alla prelazione potesse essere anche implicita, per il sol fatto di aver votato e, si aggiunga, comunque con effetti limitati ai soli fini della procedura e condizionati al buon esito della stessa come poi il legislatore ha apertis verbis confermato . Sarebbe lampante come il tenore letterale dell’articolo 11 l. numero 3 in parola sia del tutto identico, allo stesso modo del contesto sistematico e di pur “parziale” incompletezza normativa , di quelli che caratterizzavano le norme della Legge Fallimentare poc’anzi citate, dovendone dunque derivare l’applicazione, anche qui come in quei casi, dei principi al tempo pacificamente ed univocamente elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza per colmare le lacune. Ne dovrebbe così derivare, nella presente procedura, la conclusione, quand’anche ritenuta necessaria una rinuncia del ceto ipotecario, che essa possa effettuarsi implicitamente e/o con la sola dichiarazione di voto, e che ciò potrà avvenire coi normali tempi e modi fissati dalla l. numero 3/2012 in riferimento alla scansione temporale segnata dalla data dell’adunanza dei creditori. Ritiene il giudicante che le predette argomentazioni non possano essere condivise. Occorre infatti distinguere tra i diritti del creditore avente un diritto di prelazione e le regole proprie del diritto di voto, che sono norme procedurali che determinano le condizioni per verificare se si è avuto il voto della maggioranza necessaria ai fini dell’approvazione dell’accordo ma non possono incidere sui diritti sostanziali in ogni caso non si può fare riferimento a norme non più in vigore. Così come deciso dal Tribunale di Torino in data 17.4.2018 in sede di reclamo procomma numero 3908/2018 il giudice non ha il potere di ordinare la cancellazione delle formalità pregiudizievoli prevista dall’articolo 13 qualora nel piano del consumatore o nell’accordo con i creditori il ricorrente inserisca nel proprio piano di uscita dalla crisi una vendita privatistica. La ragione di ciò va rinvenuta nell’articolo 7, comma 1, secondo periodo, che afferma «E' possibile prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi». Pur dovendosi ritenere il sovraindindebitamento come disciplina autonoma dalle procedure concorsuali, tenuto conto che il fine perseguito è diverso, tuttavia un provvedimento così grave e definitivo quale le cancellazioni delle formalità pregiudizievoli è possibile solo se si svolge una procedura competitiva con le regole ad essa propria. Infatti, il riferimento al “valore di mercato” presuppone una procedura competitiva di offerta al rialzo del prezzo proposto nel piano. E’ vero che l’ordine di cancellazione delle formalità pregiudizievoli non è – almeno in apparenza – sottoposto a condizioni tuttavia esso non può prescindere dall’accertamento che il credito ipotecario e i crediti con privilegio immobiliare sussidiario siano stati soddisfatti nella misura massima possibile, così come implicitamente previsto dall’articolo 7, che esprima il più generale principio di massimizzazione della utilità per i creditori. Solo se effettuata a seguito di procedura competitiva, infatti, la vendita potrebbe considerarsi giudiziale, in analogia all’orientamento della giurisprudenza di legittimità che tale natura riconosce alle procedure indette ai sensi dell’articolo 107, comma 1, l.f L’accordo proposto è inammissibile per infattibilità giuridica. Vi sono le condizioni di legge per l’apertura di una procedura di liquidazione dei beni ex articolo 14 ter, come richiesto dal debitore in via subordinata. Non vi sono ragioni per non nominare liquidatore l’Occ dott. T., che potrà acquisire gli atti dell’esecuzione immobiliare relativa al bene sito in Torino. Il signor S. può trattenere dal suo reddito euro 200.000 mensili per il mantenimento suo e della famiglia. L’auto Golf può essere esclusa dalla liquidazione potendo servire al predetto per le proprie necessità lavorative e non essendo non conveniente la liquidazione della stessa. P.Q.M. dichiara aperta la procedura di liquidazione nei confronti del signor S. Roberto nomina quale liquidatore il dott. Salvatore T.con studio in Torino esclude dalla liquidazione il reddito mensile del signor S. nella misura di euro 2.000,00 mensili e l’auto marca Golf dispone che, sino al momento in cui il presente provvedimento diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni cautelari o esecutive nè acquistati diritti di prelazione sul patrimonio oggetto di liquidazione da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore ordina la trascrizione del decreto sui beni immobili o mobili registrati, a cura del liquidatore manda altresì per la sua pubblicazione del decreto su www.astelegali.net dispone che il liquidatore invii ogni sei mesi una relazione al Tribunale sullo stato della procedura.