Opponibilità al fallimento: quando un contratto può provarsi (anche) per testi

Ai fini dell'ammissione allo stato passivo, a norma dell'art. 2704 c.c. la scrittura privata priva di data certa non è opponibile al curatore del fallimento, con la conseguenza che la prova dell'anteriorità al fallimento del negozio contenuto nella scrittura non può desumersi da quest'ultima. Tuttavia, l'inopponibilità di cui all'art. 2704 c.c. non riguarda il negozio, ma la data della scrittura e non attiene all'efficacia dell'atto, ma alla prova di esso che si intende dare a mezzo della scrittura.

Ove, dunque, il documento contrattuale non sia munito di data certa, la prova del negozio e della sua stipulazione anteriore al fallimento può essere fornita, prescindendo dal documento contrattuale, con tutti gli altri mezzi consentiti, anche nei confronti dei terzi e del curatore, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall'oggetto del negozio. Con la pronuncia del 19 febbraio 2018, n. 3956, il S.C. chiarisce, con riferimento alla portata dell’art. 2704 c.c., i limiti dell’opponibilità di un dato fatto storico al fallimento, ammettendo che lo stesso possa essere oggetto anche di prova secondo i mezzi previsti dall’ordinamento processuale. Il caso. La vicenda decisa dal S.C. con la sentenza in commento riguarda la richiesta di ammissione al passivo fallimentare di alcuni crediti derivanti da un rapporto di lavoro subordinato. In riforma del progetto di stato passivo reso esecutivo dal Giudice delegato, il Tribunale ammette una serie di credito sul rilievo che, comunque, da quanto emerso nel corso dell’istruttoria, la prestazione lavorativa in favore della società fallita era stata ritualmente provata. Tale decisione è impugnata dalla curatela, ma la Cassazione conferma la decisione del Tribunale precisando che l’inopponibilità, per difetto di data certa ex art. 2704 c.c., non riguarda il negozio il contratto , ma la data certa della scrittura prodotta e che pertanto il negozio e la sua stipulazione possono essere oggetto di prova, prescindendo dal documento, con tutti gli altri mezzi consentiti dall’ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto del negozio stesso. Data certa e opponibilità al fallimento la regola generale. Secondo la prevalente giurisprudenza, l'accertamento del passivo fallimentare è diretto a verificare la sussistenza dei crediti verso il fallito, la loro anteriorità rispetto alla dichiarazione di fallimento, la loro opponibilità alla massa dei creditori, soggetti terzi rispetto ai rapporti da cui i crediti derivano. Pertanto, i documenti che il creditore intenda porre a sostegno della propria pretesa non sono utilizzabili nei confronti del fallimento se privi di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento secondo il disposto dell'art. 2704 c.c Mancanza di data certa eccezione in senso lato. Analogamente, si è osservato che la mancanza di data certa nelle scritture prodotte dal creditore che proponga, ad esempio, una istanza di ammissione al passivo fallimentare, si configura come fatto impeditivo all'accoglimento della domanda ed ha natura giuridica di eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile anche di ufficio dal giudice Mancanza di data certa sì alla prova per testi. Fermo quanto precede, vi è però da precisare che la data certa attiene ad un profilo diverso che non riguarda il negozio in sé con riferimento a quest’ultimo, peraltro, la mancanza di data certa dei documenti attestanti la prova dell’adempimento non è di ostacolo all'ammissione della prova per testi ovvero all'ordine di esibizione di documenti, tesi a dimostrare un fatto idoneo a stabilire in modo ugualmente certo l'anteriorità della fornitura rispetto alla dichiarazione di fallimento. In assenza delle situazioni tipiche di certezza contemplate dall'art. 2704, comma 1, c.c., la data della scrittura privata è opponibile ai terzi se sia dedotto e dimostrato un fatto idoneo a stabilire in modo ugualmente certo l'anteriorità della formazione del documento Data certa e incarico professionale. Con riferimento, ad esempio, all’ipotesi di cui sopra, il S.C., proprio nella sentenza in commento, ha affermato che il mandato professionale per l'espletamento di attività di consulenza e comunque di attività stragiudiziale non deve essere provato necessariamente con la forma scritta, ad substantiam ” ovvero ad probationem ”, potendo essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti e potendo il giudice - nella specie in sede di accertamento del relativo credito nel passivo fallimentare - tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza, ammettere l'interessato a provare, anche con testimoni, sia il contratto che il suo contenuto. Di conseguenza, l'inopponibilità, per difetto di data certa ex art. 2704 c.c., non riguarda il negozio, ma la data della scrittura prodotta, pertanto il negozio e la sua stipulazione in data anteriore al fallimento possono essere oggetto di prova, prescindendo dal documento, con tutti gli altri mezzi consentiti dall'ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall'oggetto del negozio stesso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 12 ottobre 2017 – 19 febbraio 2018, numero 3956 Presidente Ambrosio – Relatore Di Virgilio Fatto e diritto La Corte Rilevato che Con decreto depositato il 2/5/2012, il Tribunale di Forlì, in riforma dello stato passivo reso esecutivo il 10/6/2011, ha ammesso al passivo del Fallimento s.p.a. il credito vantato da G.M. in privilegio ex articolo 2751 bis numero 2 cod. civ., per la somma di Euro 7.891,79, al netto delle ritenute fiscali e previdenziali per le retribuzioni dei mesi di ottobre, novembre e dicembre 2010, e per Euro 9688,34, per t.f.r., al lordo delle ritenute di legge, ed ha condannato il Fallimento alle spese di lite. Nello specifico e per quanto ancora rileva, il Tribunale, posto che occorreva accertare la reale prestazione dell’attività lavorativa del ricorrente per la società fallita, piuttosto che verificare la data certa del contratto di lavoro, che non necessita di forma scritta, ha considerato provata, sulla base delle prove orali espletate, la regolare prestazione lavorativa nei mesi indicati, per il normale orario giornaliero, come indicato nelle buste paga prodotte, prestazione consistente nella gestione del settore commerciale del ramo d’azienda tubi ha quindi ammesso al passivo in privilegio ex articolo 2751 bis numero 1 cod. civ. gli importi indicati, non specificamente contestati dal Curatore, oltre interessi e rivalutazione monetaria dei singoli crediti dalla maturazione alla data di deposito della pronuncia, modificativa dello stato passivo ha condannato la Curatela alle spese, come liquidate in dispositivo, secondo le tariffe di cui al d.m. 8/4/2004, numero 127, aventi valore di uso normativo ex articolo 2233 cod. civ., in attesa dell’emanazione del decreto ministeriale previsto dall’articolo 9 del d.l. 24/1/2012, numero 1. Ricorre avverso detta pronuncia il Fallimento, con ricorso affidato a quattro motivi, illustrato con memoria. L’intimato, dopo essersi costituito, ha depositato la memoria ex articolo 380 bis.1., da ritenersi ammissibile, alla stregua del principio affermato nella pronuncia del 24/5/2017, numero 13093. Considerato che Col primo motivo, il Fallimento si duole dell’avere il Tribunale ritenuto provata l’esistenza del contratto e L’opponibilità del relativo contenuto a mezzo di inammissibili prove storiche e critiche sostiene che il Tribunale, volta che il G. aveva allegato l’esistenza del contratto concluso per iscritto, avrebbe dovuto constatare, in mancanza di autenticazione o registrazione della scrittura, la carenza dei fatti certi idonei ad attribuire data certa, ex articolo 2704 cod. civ. Col secondo, il Fallimento sostiene che il Tribunale ha violato o falsamente applicato l’articolo 2697 cod. civ. ed è incorso in vizio motivazionale, per avere ritenuto che il contratto e la stipulazione dello stesso anteriormente al fallimento potessero essere provati con altri mezzi di prova che comunque, quanto capitolato a prova testimoniale non era idoneo a provare lo svolgimento di attività lavorativa da parte del G. , figlio del socio ed amministratore unico della società, a carattere familiare, da sempre coinvolto attivamente nella gestione, né la prova del contratto e la sua opponibilità al Fallimento potevano essere date dalle buste paga. Col terzo, il ricorrente sostiene che il Tribunale è incorso nei vizi ex articolo 360 nnumero 3 e 5 cod. proc. civ. meramente labiale è nella rubrica il richiamo del vizio ex articolo 360 numero 4 cod. proc. civ. , per avere derogato all’articolo 2721, comma 2, cod. civ., in ogni caso senza indicare le ragioni della deroga. Col quarto, il Fallimento si duole della pronuncia in punto spese di lite, sostenendo che doveva esserne gravato il G. , per avere dato causa al giudizio di opposizione, non avendo allegato alla sua istanza il titolo contrattuale, e che, a tutto concedere, le spese dovevano essere compensate. I primi tre motivi di ricorso, da valutarsi unitariamente in quanto strettamente connessi, vanno respinti, per le ragioni che si vanno ad esporre. Deve in primis ritenersi non corretto il principio dal quale è partito il Tribunale, ovvero che in sede di opposizione allo stato passivo, non richiedendo il contratto di lavoro la forma scritta, né ad substatiam né ad probationem, dovesse essere meramente provato lo svolgimento di attività lavorativa da parte del G. . Ed infatti, così opinando, il Tribunale ha sostanzialmente mutato il titolo della domanda di ammissione al passivo, dato che il G. aveva fatto valere, a fondamento della propria richiesta, il contratto di lavoro concluso per iscritto il 1/10/2008 pur tuttavia, è corretta la conclusione a cui è pervenuto il Giudice del merito. Come affermato nella recente pronuncia del 25/2/2011, numero 4705 conf. la successiva 2319/2016 nel caso del mandato professionale per l’espletamento di attività di consulenza e comunque di attività stragiudiziale, lo stesso non deve essere provato necessariamente con la forma scritta, ad substantiam ovvero ad probationem , potendo essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti e potendo il giudice - nella specie in sede di accertamento del relativo credito nel passivo fallimentare - tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza, ammettere l’interessato a provare, anche con testimoni, sia il contratto che il suo contenuto inoltre, l’inopponibilità, per difetto di data certa ex articolo 2704 cod. civ., non riguarda il negozio, ma la data della scrittura prodotta, pertanto il negozio e la sua stipulazione in data anteriore al fallimento possono essere oggetto di prova, prescindendo dal documento, con tutti gli altri mezzi consentiti dall’ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto del negozio stesso. Ora, il Tribunale ha ritenuto che le prove orali provassero adeguatamente lo svolgimento delle attività lavorative, l’orario, le prestazioni, che trovavano correlativa conferma nelle buste paga a fronte di detta valutazione, la contestazione sulla non certezza del contenuto attiene allo specifico profilo della valutazione della prova, costituente specifico profilo di merito, sostanziandosi in un controllo sulla valutazione della prova, che non è consentito ai sensi del novellato articolo 360 numero 5 cod. proc. civ. così le pronunce Sez.U., 8053 e 8054 del 2014, Sez. U. 16598/2016, 11892/2016 a fronte della censura che le prove assunte hanno avuto ad oggetto le attività svolte e non il titolo in base al quale sono state svolte, è sufficiente rilevare come le stesse ben abbiano avvalorato il convincimento della sussistenza del titolo e della sua anteriorità quanto alla doglianza di ammissione oltre i limiti di valore sanciti dall’articolo 2721 cod. civ., senza specifica motivazione, va rilevato che, come ritenuto nella pronuncia 3959/2012, detti limiti non attengono all’ordine pubblico, ma sono dettati nell’esclusivo interesse delle parti private, con la conseguenza che, qualora la prova venga ammessa in primo grado oltre i limiti predetti, essa deve ritenersi ritualmente acquisita se la parte interessata non ne abbia tempestivamente eccepito l’inammissibilità in sede di assunzione o nella prima difesa successiva entro lo stesso grado di giudizio in questo caso, la relativa nullità, essendo rimasta sanata, non può essere eccepita per la prima volta in sede di appello, neppure dalla parte che sia rimasta contumace nel giudizio di primo grado, e, a maggior ragione, non può essere eccepita per la prima volta in sede di legittimità. E nel caso, si deve rilevare che il Fallimento si è limitato a genericamente dedurre di avere contestato l’inammissibilità delle prove pag. 12, richiamo alle pagine 7 e 9 del ricorso , senza indicare specificamente di avere sollevato l’eccezione in oggetto. Quanto al motivo sulle spese, è infondata la denuncia di violazione dell’articolo 91 cod.proc.civ Nella vigenza della normativa fallimentare ante riforma, questa Corte, con la pronuncia 10854/2003 si è espressa nel senso di ritenere che, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, il regolamento delle spese processuali è ispirato, ricorrendo la medesima ratio di evitare che il ritardo nella documentazione del credito possa risolversi in pregiudizio per la massa dei creditori, allo stesso principio - ricavabile dall’articolo 101, ult. comma, legge fall. - che regola la materia nel giudizio sulla dichiarazione tardiva di credito, principio in base al quale deve assumersi a criterio del regolamento delle spese il ritardo del creditore, secondo che esso si riveli colpevole o non che pertanto, anche nel giudizio di opposizione a stato passivo, il regolamento delle spese non pub prescindere dalla valutazione della condotta del creditore opponente e dalla eventuale sua responsabilità, tutte le volte cha a lui si possa o si debba ascrivere di aver dato causa, ad esempio, con la tardiva produzione della documentazione giustificativa del credito, o di aver reso necessario il giudizio di opposizione stesso, pur se di esito favorevole ad esso opponente. Ora, detto orientamento, incentrato sul principio desunto dall’articolo 101 u.c. legge fall., è stato superato dalla pronuncia 28443/2011, che ha ritenuto che l’articolo 101 legge fall. nel testo ratione temporis vigente prima delle modifiche del d.lgs. 9 gennaio 2006, numero 5 , nel disporre che, nel caso di dichiarazione tardiva di credito, il creditore sopporta le spese conseguenti al ritardo della domanda, salvo che il ritardo sia dipeso da causa a lui non imputabile, si ispira all’esigenza di tenere indenne l’amministrazione del fallimento da spese dovute a colpa del creditore che si insinui tardivamente questa esigenza sussiste esclusivamente per quelle spese all’insinuazione tardiva che non siano richieste all’insinuazione tempestiva, perché soltanto tali spese possono ritenersi causate dal ritardo e quindi giustificano una responsabilità del creditore essa non ricorre, invece, per le spese del procedimento contenzioso che sia eventualmente promosso con l’opposizione dall’insinuazione tardiva, trovando applicazione in tal caso, per la soccombenza della curatela, la regola ordinaria di cui all’articolo 91 cod. proc. civ., per la quale le spese del giudizio debbono far carico alla parte che ad esso ha dato ingiustamente causa. Con la modifica dell’articolo 101 legge fall., è venuta meno ogni possibilità di ritenere che la regolamentazione delle spese nel giudizio di opposizione allo stato passivo resti sottratta all’applicazione del principio generale di cui all’articolo 91 cod. proc. civ. Deve infine ritenersi inammissibile la richiesta avanzata in subordine, di compensazione delle spese di lite, per il principio tra le ultime espresso nella pronuncia 8421 del 2017, secondo cui in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, numero 3 cod.proc.civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso condanna il Fallimento alle spese, liquidate in Euro 3200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie ed accessori di legge.