Scientia decoctionis: irrilevante l’affidamento dell’accipiens sui “buoni propositi” del debitore

In tema di revocatoria fallimentare ex art. 67, comma 2, l. fall. ai fini della configurabilità della scientia decoctionis non assume rilievo l’affidamento riposto dal terzo in ordine ai buoni propositi e alle rassicurazioni fornite dal debitore. Al contrario rileva la possibilità di rendersi oggettivamente conto della capacità del debitore di far fronte regolarmente alle sue obbligazioni.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 26061/17, depositata il 2 novembre. Il caso. Il curatore fallimentare di una s.p.a. esperiva azione revocatoria fallimentare ex art. 67, comma 2, l. fall. nei confronti di un istituto di credito per la dichiarazione di inefficacia di due rimesse bancarie effettuate dalla società nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento. Il Tribunale accoglieva la domanda, mentre in appello la Corte territoriale ribaltava la decisione sostenendo non fosse stata provata la conoscenza dello stato di insolvenza da parte della banca convenuta. Il curatore fallimentare proponeva allora ricorso in Cassazione e la Banca resisteva con controricorso Revocatoria fallimentare. Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte riguarda un’azione revocatoria fallimentare ex art. 67, comma 2, l. fall. nell’ambito della quale il curatore deve dimostrare la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore da parte dell’ accipiens destinatario dell’atto di disposizione patrimoniale compiuto dall’imprenditore stesso nei 6 mesi un anno secondo la versione dell’art. 67, comma 2, l. fall. applicabile ratione temporis al caso in commento anteriori al fallimento. Come correttamente ricordato dalla Corte d’Appello, la scientia decoctionis deve essere effettiva e non solo potenziale. Per i Giudici di secondo grado però gli elementi portati dal curatore a sostegno della propria azione non erano sufficienti. Scientia decoctionis. In particolare il bilancio della s.p.a. dell’anno di riferimento, pur evidenziando una crisi finanziaria, era accompagnato da una relazione dalla quale emergevano possibilità di ripresa. Il decreto ingiuntivo emesso a carico della società non era rilevante giacché conoscibile solo attraverso una specifica ispezione ipotecaria. Le riunioni interbancarie per la predisposizione del piano di risanamento si erano svolte nel periodo compreso tra l’effettuazione delle due rimesse oggetto del giudizio e non vi era alcuna prova della data del piano di risanamento stesso e dell’esito degli incontri. Inoltre la lettera con cui la società chiedeva una dilazione nella restituzione dei prestiti concessi veniva letta in chiave favorevole poiché prospettava una condizione di difficoltà meramente transeunte. Il Curatore nei motivi di ricorso in Cassazione contestava simile valutazione sottolineando al contrario la rilevanza degli elementi addotti. Si trattava di presunzioni gravi, precise e concordanti che potevano certamente fondare la prova della conoscenza dello stato di decozione, mentre la contraria valutazione della Corte d’Appello doveva ritenersi viziata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Più precisamente il bilancio rivelava un ingente indebitamento verso banche e fornitori e le riunioni per la predisposizione del piano di risanamento dimostravano una situazione allarmante per il sistema bancario. Irrilevanti ai fini invece della inscientia decoctionis erano le buone intenzioni” di ripresa della società. La Cassazione considera fondate le censure del ricorrente sulla effettiva conoscenza dello stato di insolvenza. In ordine alla prova per indizi e presunzioni, come noto, sono rilevanti solo gli elementi gravi, precisi e concordanti e la loro valutazione si compone di un duplice apprezzamento. In primo luogo occorre esaminare distintamente i singoli elementi indiziari al fine di eliminare quelli privi di rilevanza e conservare solo quelli caratterizzati dalla gravità e precisione. In questa fase si evidenziano quindi quelli dotati di una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria . Successivamente bisogna compiere un giudizio complessivo di tutti gli elementi così isolati per vedere se sono concordanti e se la loro combinazione può dare luogo effettivamente ad una prova presuntiva. Nel caso di specie la sentenza impugnata era viziata da errore di diritto censurabile in Cassazione per due ragioni. In primo luogo i Giudici hanno omesso di compiere una valutazione complessiva degli indizi raccolti, confutando” solo elemento per elemento le considerazioni del Tribunale. Sotto altro profilo, secondo la Cassazione, la corte territoriale ha attribuito alle circostanze citate un significato irrazionale e palesemente contrario al senso comune . Infatti, pur avendo giustamente ricordato che la prova della scientia decoctionis deve essere effettiva e non potenziale e pur affermando la necessità di concreti elementi di collegamento tra la banca convenuta i sintomi rilevatori del dissesto, i giudici di secondo grado non hanno poi fatto uso corretto dei principi enunciati. Nello specifico per la Cassazione la sentenza impugnata non aveva messo in correlazione gli indizi evidenziati con la natura di agente economico qualificato della convenuta. In pratica, trattandosi di un istituto di credito, lo stesso ha una peculiare capacità di percepire, nella situazione in cui si era trovata concretamente ad operare, i segnali della situazione di dissesto in cui versava la società debitrice . La banca aveva quindi a disposizione tutti gli elementi necessari per leggere e analizzare i bilanci della s.p.a. rendendosi pienamente conto della grave crisi finanziaria in atto. Quanto sopra tenuto conto anche della richiesta di dilazione del rimborso del prestito e del tentativo di proporre un piano di risanamento con le relative riunioni interbancarie. La convenuta/resistente inoltre aveva la disponibilità di mezzi ed informazioni tali da permetterle di verificare in modo autonomo e tecnicamente qualificato il carattere realistico o meno delle aspettative di ripresa paventate ma evidentemente infondate dagli organi della società. Insomma, secondo l’ordinanza in commento simili incongruenze inficiano la coerenza logica del ragionamento della sentenza impugnata e finiscono per minare in radice anche la correttezza giuridica della decisione. Infatti i Giudici di secondo grado hanno elevato a prova di una crisi solo momentanea e dell’assenza quindi di una definitiva decozione la volontà” e l impegno” della società debitrice di far fronte ai propri obblighi nei confronti dei debitori. Tali segnali però sono irrilevanti perché da essi non è possibile dedurre la sussistenza della capacità effettiva di compiere quanto nelle intenzioni”. Oltretutto, ai fini dell’azione ex art. 67, comma 2, l. fall. e della dimostrazione per così dire a discolpa” della non conoscenza dello stato di insolvenza è ininfluente l’affidamento riposto dal terzo sui buoni propositi” e sulle rassicurazioni” fornite dal debitore importa al contrario la possibilità concreta di rendersi conto della capacità del debitore di far fronte alle proprie obbligazioni. La sentenza viene quindi cassata con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione affinché decida la vicenda attenendosi ai principi enunciati dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 7 giugno – 2 novembre 2017, n. 26061 Presidente Didone – Relatore Mercolino Fatti di causa 1. Il curatore del fallimento della S.p.a. convenne in giudizio la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., per sentir dichiarare inefficaci, ai sensi dell’art. 67, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, due rimesse bancarie dell’importo di Lire 124.015.138 e Lire 108.236.453, effettuate dalla società fallita nell’anno anteriore all’ammissione alla procedura di amministrazione controllata che aveva preceduto la dichiarazione di fallimento. Si costituì la Banca, e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto. 1.1. Con sentenza del 28 giugno 2005, il Tribunale di Palermo accolse la domanda, condannando la Banca alla restituzione della somma complessiva di Euro 119.947,93, oltre interessi. 2. L’impugnazione proposta dalla Banca è stata accolta dalla Corte di appello di Palermo, che con sentenza del 22 giugno 2010 ha rigettato la domanda. Premesso che, in tema di revocatoria fallimentare, la conoscenza dello stato d’insolvenza dell’imprenditore da parte del terzo, la cui prova è posta a carico del curatore, dev’essere effettiva e non meramente potenziale, a tal fine occorrendo la dimostrazione di concreti collegamenti tra il terzo ed i sintomi conoscibili dello stato d’insolvenza, la Corte ha ritenuto insufficienti gli elementi presi in considerazione dal Tribunale. Ha rilevato infatti che il bilancio di chiusura dell’anno 1992, che evidenziava una grave crisi finanziaria in atto, era accompagnato da una relazione in cui, pur segnalandosi la necessità di ulteriore fabbisogno finanziario a fronte di una situazione di pesante indebitamento, si prevedeva un incremento degli ordini e del fatturato. Ha aggiunto che l’avvenuta emissione di un decreto ingiuntivo in favore della Banca Commerciale Italiana era conoscibile soltanto attraverso ispezioni ipotecarie, non risultanti da una consultazione della Centrale dei Rischi compiuta poco tempo dopo, osservando inoltre che anche una lettera prodotta in giudizio, con cui una consociata della società fallita aveva chiesto una dilazione nella restituzione di un prestito concesso anche all’ , poteva essere interpretata in senso più favorevole alla debitrice ha infatti rilevato che tale richiesta, oltre ad essere stata accolta dai creditori, era stata giustificata con la prospettazione di una condizione di difficoltà meramente transeunte e comunque garantita dall’esistenza di crediti nei confronti di terzi. Ha affermato infine che le riunioni interbancarie convocate per la predisposizione di un piano di risanamento della società fallita e della sua consociata si erano svolte nel periodo compreso tra l’effettuazione delle due rimesse impugnate, mentre non vi era alcuna prova della data del predetto piano e dell’esito della riunione, né delle ricadute del piano ai fini della conoscenza dello stato d’insolvenza in riferimento alla data di effettuazione delle rimesse. 3. Avverso la predetta sentenza il curatore ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi. La Banca ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 67, secondo comma, della legge fall., degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver negato valore indiziario ad elementi sintomatici della conoscenza dello stato d’insolvenza. Richiama in particolare le risultanze del bilancio della società fallita, la cui conoscenza non è mai stata contestata dalla Banca, osservando che lo stato patrimoniale evidenziava un pesante indebitamento a breve termine nei confronti sia delle banche che dei fornitori, a fronte di crescenti difficoltà nella vendita dei prodotti, ed aggiungendo che la stessa relazione sulla gestione segnalava la necessità di ulteriore fabbisogno finanziario, per effetto delle dilazioni di pagamento concesse alla clientela e dello incremento degli oneri finanziari derivanti dal ricorso al credito. Premesso che ai fini della scientia decoctionis non assumono rilievo le aspettative di ripresa del debitore, ma la sua incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, sostiene che la sentenza impugnata ha confuso l’atteggiamento psicologico del creditore con quello del debitore, rilevando inoltre che, nel dare per scontata la concessione della dilazione di pagamento richiesta alle banche, la Corte di merito non ha tenuto conto di una lettera prodotta in giudizio, da cui emergeva che la predetta dilazione era subordinata al consenso di tutte le banche creditrici, e dell’intervenuto addebito della somma dovuta, a seguito del mancato rimborso. La sentenza impugnata ha infine omesso di considerare che la prosecuzione del rapporto con la debitrice poteva essere stata determinata anche dall’intento di ottenere pagamenti parziali o maggiori garanzie, nonché di rilevare che nel periodo in cui avevano avuto luogo le rimesse il conto corrente aveva fatto registrare solo versamenti volti a diminuire l’esposizione. 2. Con il secondo motivo, il ricorrente ribadisce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 67, secondo comma, della legge fall. e degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., nonché l’omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver escluso la rilevanza delle riunioni interbancarie, senza considerare che la convocazione delle stesse, oltre a presupporre normalmente lo stato di crisi del debitore, era significativa di uno stato di allarme del sistema bancario. Nel negare la valenza indiziaria delle risultanze della Centrale dei Rischi e di un decreto ingiuntivo emesso in favore della Banca Commerciale, la Corte di merito non ha considerato che attraverso la stessa la Banca era in grado, fin da epoca anteriore alla effettuazione delle rimesse impugnate, di acquisire dati in ordine all’esposizione dei propri clienti verso il sistema bancario, ed ha omesso di rilevare che alcune banche avevano già revocato i fidi concessi alla società fallita. La sentenza impugnata ha infine omesso di spiegare perché i predetti elementi, valutati complessivamente, non potevano considerarsi idonei a far presumere la conoscenza dello stato d’insolvenza. 3. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la medesima questione, concernente l’accertamento della scientia decoctionis, sono fondati. In tema di prova per presunzioni, questa Corte ha ripetutamente affermato che il procedimento che occorre necessariamente seguire ai fini della valutazione degl’indizi si articola in un duplice apprezzamento, costituito in primo luogo dalla valutazione analitica di ciascuno degli elementi indiziari, ai fini dell’eliminazione di quelli intrinsecamente privi di rilevanza e della conservazione di quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità, ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria successivamente, occorre invece procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, al fine di accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi. Alla stregua di tale principio, è stata ritenuta viziata da errore di diritto e censurabile in sede di legittimità la decisione di merito in cui il giudice si fosse limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se gli stessi, quand’anche sforniti singolarmente di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento cfr. Cass., Sez. VI, 2/03/2017, n. 5374 Cass., Sez. V, 6/06/2012, n. 9108 Cass., Sez. I, 13/10/2005, n. 19894 . È quanto accaduto nel caso in esame, in cui, peraltro, la Corte di merito non ha soltanto omesso di procedere ad un apprezzamento complessivo degli elementi acquisiti agli atti, limitandosi a criticare punto per punto la valutazione compiuta dalla sentenza di primo grado, ma, nel prendere in esame i singoli indizi, ha attribuito agli stessi un significato irrazionale e palesemente contrario al senso comune. Pur muovendo dalla considerazione, corrispondente al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di revocatoria fallimentare, che la conoscenza dello stato d’insolvenza dev’essere effettiva, e non meramente potenziale, ed affermando pertanto la necessità della prova di concreti elementi di collegamento tra la convenuta ed i sintomi rivelatori dello stato di decozione del debitore cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 19/02/2015, n. 3336 30/07/2014, n. 17286 Cass., Sez. VI, 3/05/2012, n. 6686 , essa non ha fatto buon governo di tale principio, avendo omesso di porre i predetti elementi in relazione con la natura di agente economico qualificato da riconoscersi alla convenuta, tale da consentirle l’acquisizione d’informazioni ordinariamente non accessibili ai comuni operatori, ed avendone pertanto trascurato la peculiare capacità di percepire, nella situazione in cui si era trovata concretamente ad operare, i segnali della situazione di dissesto in cui versava la società debitrice. Pur ammettendo che la Banca era in grado di accedere ai bilanci dell’ , la sentenza impugnata ha infatti escluso che essa potesse rendersi conto dello stato di decozione attraverso una valutazione oggettiva delle relative risultanze, attestanti una grave crisi finanziaria in atto, ponendo in risalto la soggettiva convinzione degli organi sociali di poter superare il momento di difficoltà, emergente dalle ottimistiche previsioni contenute nella relazione di accompagnamento, senza tener conto della disponibilità da parte della convenuta di mezzi ed informazioni tali da permetterle di verificare in modo autonomo e tecnicamente qualificato il carattere realistico di tali aspettative. Tale profilo è stato trascurato anche nella valutazione della vicenda concernente la richiesta di dilazione per il rimborso di un prestito, rivolta dalla società fallita e da un’altra società del medesimo gruppo nel periodo immediatamente anteriore all’effettuazione delle rimesse impugnate, nonché il piano di risanamento sottoposto alle banche in epoca immediatamente successiva, e seguito dall’instaurazione di trattative svoltesi anche attraverso la convocazione di riunioni interbancarie ancora una volta, infatti, la Corte di merito ha conferito illogicamente rilievo all’atteggiamento fiducioso degli organi sociali, emergente da una lettera inviata alle banche, evidenziando inoltre la mancata dimostrazione delle date in cui si erano tenute le predette riunioni e del relativo esito, senza tener conto della gravità del contesto aziendale in cui s’inscrivevano tali iniziative e del significato che le stesse potevano assumere agli occhi di un soggetto esperto e bene informato qual era la Banca convenuta. Le predette incongruenze, oltre ad inficiare la coerenza logica del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, si ripercuotono negativamente sulla stessa correttezza giuridica della decisione, in quanto, costituendo espressione di un orientamento tendente a privilegiare, nella valutazione degl’indizi dello stato d’insolvenza, l’atteggiamento soggettivo del debitore a scapito di quello del creditore, si pongono in contrasto con lo stesso oggetto dell’accertamento richiesto dall’art. 67, secondo comma, della legge fall., consistente nella consapevolezza da parte del terzo dello stato di dissesto in cui versava il fallito all’epoca del compimento dell’atto impugnato significative appaiono in proposito le conclusioni cui è pervenuta la Corte di merito, la quale, nell’affermare che gli elementi acquisiti agli atti potevano essere valutati anche come sintomo di una momentanea e non già strutturale difficoltà dell’impresa, ha posto in rilievo che tale situazione era accompagnata dalla volontà e dall’impegno della medesima di far fronte ai propri obblighi nei confronti dei creditori e, quindi, dal la sussistenza della relativa capacità , come se ai fini della configurabilità della scientia decoctionis assumesse rilievo l’affidamento riposto dal terzo in ordine ai buoni propositi ed alle assicurazioni fornite dal debitore, piuttosto che la possibilità di rendersi oggettivamente conto della capacità del debitore di far fronte regolarmente alle sue obbligazioni. 4. La sentenza impugnata va pertanto cassata, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Palermo, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata rinvia alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.