Domanda di revoca di rimesse bancarie, rito ordinario o camerale?

La Cassazione afferma che in virtù del principio tempus regit actum gli atti processuali sono regolati dalla legge sotto il cui imperio sono posti in essere.

Così ha deciso la Suprema Corte con l’ordinanza n. 22585/17, depositata il 27 settembre. Il caso. Il Tribunale dichiarava l’inammissibilità della domanda di revoca di rimesse bancarie avanzata dal Fallimento di una società contro la Banca BNL nelle forme del rito camerale. La Corte d’Appello respingeva il gravame proposto dal soccombente avverso il provvedimento del Tribunale. Verso tale pronuncia il Fallimento ricorreva in Cassazione, lamentando la piena ammissibilità dell’azione revocatoria da esso proposta nelle forme del rito camerale ai sensi dell’art. 24, comma 2, l. fall. Competenza del tribunale fallimentare , vigente alla data di emanazione della sentenza dichiarativa, che assoggettava le controversi derivanti dal fallimento alle norme di cui agli artt. 737/742 c.p.c. Forma della domanda e del provvedimento/Revocabilità dei provvedimenti . Il rito camerale. Il ricorrente proseguiva sostenendo che l’abrogazione della disposizione di cui all’art. 24, comma 2, l. fall. ad opera dell’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 169/07 non comportasse un’applicazione della nuova disposizione anche a quei procedimento che fossero già aperti alla data di entrata in vigore della norma, per i quali sarebbe rimasto in vigore il rito camerale. Reputando il ricorrente che l’azione del caso di specie rientri nell’alveolo delle procedure concorsuali ritiene applicabile quanto contenuto nell’art. 22 del correttivo, il quale dispone che le disposizioni transitorie si applicano alle procedure concorsuali aperte successivamente alla entrata in vigore del correttivo. La Cassazione afferma che in virtù del principio tempus regit actum gli atti processuali sono regolati dalla legge sotto il cui imperio sono posti in essere. Nel caso di specie, pensare di applicare, in deroga a tale principio, la disciplina previgente porterebbe all’assurdo risultato di vedere regolato il processo secondo il rito di una norma abrogata ancora prima che il processo abbia avuto inizio. Va escluso, inoltre, a parere della Corte, che la procedura in esame possa rientrare nella definizione di procedura concorsuale, la quale, infatti, non ricomprende le controversie originate dal fallimento, ma solo quelle tipicamente interne allo stesso. Per questo motivo la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 27 aprile – 27 settembre 2017, n. 22585 Presidente Dogliotti – Relatore Cristiano Fatti di causa La Corte d’appello di Ancona, con decreto del 3.12.2011, ha respinto il reclamo proposto dal Fallimento della omissis s.r.l. in liquidazione contro il provvedimento del Tribunale di Fermo che aveva dichiarato inammissibile la domanda di revoca di rimesse bancarie, avanzata dalla procedura contro la Banca Nazionale del Lavoro di seguito BNL s.p.a. nelle forme del rito camerale. La corte territoriale ha affermato che, benché la sentenza dichiarativa fosse stata emessa nel dicembre del 2006, e dunque nella vigenza del 2 comma dell’art. 24 L. fall., che prevedeva che a tutte le controversie derivanti dal fallimento si applicassero gli artt. 737/742 c.p.c., la domanda, proposta nel dicembre del 2009, era soggetta al rito di cognizione ordinaria, dovendosi ritenere che il d. lgs. n. 169/07 c.d. decreto correttivo avesse abrogato la predetta disposizione con effetto anche per le procedure concorsuali pendenti alla data della sua entrata in vigore. Il decreto è stata impugnato dal Fallimento della omissis con ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui BNL s.p.a. ha resistito con ivi controricorso. Motivi della decisione Con l’unico motivo di ricorso il Fallimento sostiene la piena ammissibilità dell’azione revocatoria da esso proposta nelle forme del rito camerale, ai sensi del 2 comma dell’art. 24 l. fall. introdotto dal d.lgs. n. 5/06 , vigente alla data di emanazione della sentenza dichiarativa, che assoggettava le controversie derivanti dal fallimento alle norme di cui agli artt. 737/742 c.p.c. Secondo il ricorrente, pur dopo l’abrogazione del predetto comma ad opera dell’art. 3, 1 comma, del d.lgs. n. 169/07, le azioni di cui all’art. 24 cit. promosse da fallimenti dichiarati a partire dal 16.7.06 data di entrata in vigore del d.lgs. n. 5/06 ma anteriormente al 1.1.08 data di entrata in vigore del c. d. decreto correttivo , sarebbero rimaste regolate dal rito camerale, atteso che l’art. 22 del correttivo, che ne detta la disciplina transitoria, stabilisce testualmente che le sue disposizioni si applicano alle procedure concorsuali aperte successivamente alla sua entrata in vigore , con la sola eccezione degli artt. 7, 6 comma modifica del regime delle vendite , 18, 5 comma modifica del concordato per le imprese in LCA e 20 abrogazione della lett. a dell’art. 5, 2 del d. lgs. n. 114/98 , applicabili anche alle procedure pendenti. Sempre a dire del ricorrente, l’espressione procedura concorsuale sarebbe talmente ampia da ricomprendere nel suo ambito anche le azioni, quali quelle di cui all’art. 67 l.fall., che originano dalla procedura medesima e che si inseriscono nel suo alveo, formando con essa un unicum inscindibile e l’assunto troverebbe indiretta conferma sia nella sentenza n. 2692/07 delle S.U. di questa Corte, che ha affermato che la legge da applicare all’azione che promana da una procedura concorsuale è quella in base alla quale la procedura si svolge, sia nell’ordinanza n. 170/09 della Corte Costituzionale che, nel respingere la q.l.c. dell’art. 24 II comma l. fall. sollevata sotto il profilo della violazione dell’art. 76 Cost., ha osservato come le espressioni semplificare la disciplina del fallimento attraverso l’accelerazione delle procedure applicabili alle controversie in materia , contenute nella legge delega n. 80/05, avessero una valenza semantica talmente ampia da ricomprendere nel loro ambito il riferimento a tutti i processi che, come quelli di revocatoria, originano dalla procedura fallimentare. Come già affermato da questa Corte Cass. n. 13165/016 la complessa censura sin qui sintetizzata non merita accoglimento. Va ricordato che, in virtù del principio tempus regit actum , gli atti processuali sono regolati dalla legge sotto il cui imperio sono posti in essere Corte Cost., sent. n. 155/90 . Vero è che il principio può trovare eccezioni, nel caso di disposizioni transitorie che prevedano che i processi già in corso continuano ad essere disciplinati dal rito vigente alla data di proposizione della domanda, ma nel caso di specie l’interpretazione della lettura della disposizione transitoria offerta dal ricorrente condurrebbe al paradossale risultato di veder regolato il processo secondo il rito previsto da una norma abrogata ancor prima che il processo abbia avuto inizio. Non può, d’altro canto, concordarsi col Fallimento laddove sostiene che l’espressione procedure concorsuali è nozione talmente ampia da ricomprendere anche le azioni di cui all’art. 24 al contrario, secondo l’interpretazione letterale la norma transitoria non può che intendersi riferita alla disciplina propria di tali procedure e perciò, sul piano processuale, ai soli procedimenti interni che tipicamente si innestano nel corso delle stesse quali ad es., quello per l’accertamento del passivo , ma non anche alle controversie che, pur originando dal fallimento, non sono regolate dalla legge speciale se non per quanto riguarda l’esclusiva competenza a conoscerle del tribunale che ha emesso la sentenza dichiarativa. Va escluso, poi, che l’assunto del ricorrente trovi conforto nell’ordinanza n. 170/09 della Corte Costituzionale, che ha respinto la q.l.c. dell’art. 24 II comma sulla scorta dell’esegesi di una proposizione assai più specifica procedure applicabili alle controversie in materia di fallimento - comunque contenuta nella diversa legge delega n. 80/05 - o nella sentenza n. 2692/07 delle S.U. di questa Corte, emessa in sede di regolamento di giurisdizione, la quale si è limitata ad accertare qual è la lex loci sostanziale da applicare nel caso di domanda revocatoria proposta, dal Fallimento dichiarato in Italia, contro un soggetto straniero. La definitiva conferma dell’infondatezza della tesi del ricorrente si ricava dalla relazione illustrativa al decreto correttivo, nella quale si afferma che la modifica di cui all’art. 3, 1 comma, viene a sopprimere una grave disarmonia, non giustificabile con particolari esigenze della procedura , atteso che tali controversie sono cause aventi ad oggetto diritti soggettivi che, pur derivando dal fallimento , si svolgono al di fuori della procedura concorsuale, nei confronti di terzi estranei al fallimento, che verrebbero privati delle garanzie dei due gradi di cognizione piena, di cui di regola possono usufruire tutti i soggetti dell’ordinamento e si sottolinea che la soppressione è imposta dal rispetto dei principi di cui all’art. 3 e 24 Cost come è stato correttamente osservato dal giudice a quo, a fronte di un’espressa valutazione di incostituzionalità della disposizione di cui all’art. 24, 2 comma l. fall., risulterebbe del tutto incongruo attribuire al legislatore della riforma del 2007 la volontà di mantenere ferma l’operatività della norma ritenuta incostituzionale con riguardo ai soli fallimenti soggetti alla c.d. disciplina intermedia ovvero a quelli dichiarati fra il 16.7.06 ed il 31.12.07 . Va aggiunto, con rilievo che appare dirimente, che è la stessa relazione a fornire un’interpretazione della nozione di procedura concorsuale non inclusiva delle azioni di cui all’art. 24 l. fall. laddove precisa che si tratta di controversie che, pur nascendo dal fallimento, si svolgono al di fuori di detta procedura . Infine, poiché il principio tempus regit actum è immanente nel nostro ordinamento, non era necessario che la norma transitoria prevedesse espressamente - al pari di quanto stabilito per gli art. 7, 6 comma, 18, 5 comma e 20 - l’applicabilità dell’art. 3, 1 comma alle procedure concorsuali già pendenti. Il ricorso, che non investe la statuizione di inammissibilità della domanda perché introdotta col rito camerale anziché col rito ordinario, deve in conclusione essere respinto. La novità della questione, sulla quale questa Corte non si era ancora pronunciata alla data di proposizione del ricorso, giustifica, tuttavia, la declaratoria di integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.