Il socio quanto tempo ha per proporre reclamo contro la dichiarazione di fallimento?

Il socio della società fallita può proporre reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, ai sensi dell’art. 18, comma 4, l. fall., nel termine di trenta giorni decorrente dall’iscrizione della sentenza dichiarativa nel registro delle imprese.

È il principio affermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20913/17 depositata il 7 settembre. La vicenda. La Corte d’Appello di Bologna riteneva inammissibile per tardività il reclamo avverso la dichiarazione di fallimento di una s.r.l. proposto dall’amministratore giudiziale nominato in seguito al sequestro e alla confisca delle quote sociali. La pronuncia viene impugnata in Cassazione per la violazione dell’art. 18 l. fall. Reclamo . Reclamo. Il comma 4 dell’art. 18 l. fall. citato prevede due ipotesi di decorrenza del termine per la proposizione del reclamo, di cui la prima consente al debitore di agire a partire dalla data della comunicazione della sentenza da parte della cancelleria e la seconda per i soggetti interessati che possono proporre reclamo a decorrere dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese. Ed è in quest’ultima fattispecie che rientra il socio ex-amministratore della società quale soggetto interessato la cui conoscenza del provvedimento può considerarsi presunta nel momento definito dal legislatore. La giurisprudenza ha poi chiarito che tra i soggetti parti del procedimento come destinatari della convocazione del tribunale non rientra il socio della società di capitali dichiarata fallita, premessa dalla quale discende il principio di diritto secondo cui in tema di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, ai sensi dell’art. 18, comma 4, l. fall., il socio della società fallita, pur titolare di posizioni giuridiche che potrebbero essere pregiudicate dalla dichiarazione di fallimento e, potendo, quindi, essere legittimato alla partecipazione al procedimento prefallimentare nonché alla proposizione del reclamo, ha l’onere di proporlo, indipendentemente dalla partecipazione al procedimento di primo grado, nel termine di trenta giorni decorrente dalla iscrizione della sentenza dichiarativa nel registro delle imprese . Per questi motivi la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 7 luglio – 7 settembre 2017, n. 20913 Presidente Genovese – Relatore Nazzicone Rilevato - che la parte ricorrente ha proposto ricorso, sulla base di un unico motivo, avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, la quale ha ritenuto inammissibile il reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento della s.r.l., su istanza in proprio della medesima, avanzata dall’amministratore giudiziale nominato in seguito al sequestro e confisca delle quote sociali - che la pronuncia impugnata ha ravvisato la tardività del reclamo, proposto oltre il termine di trenta giorni dalla iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese, di cui all’art. 18 legge fall., reputando applicarsi tale dies a quo in presenza di reclamo proposto, come nella specie, dall’unico socio non amministratore, estraneo al procedimento pre-fallimentare, pur avendovi egli preso parte - che non svolgono difese gli intimati - che è stata ravvisata la sussistenza dei presupposti per la trattazione camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. Considerato - che il ricorso - il quale lamenta la violazione dell’art. 18 legge fall. - è manifestamente infondato - che, invero, l’art. 18, comma 4, legge fall. prevede due distinte decorrenze del termine ai fini della proposizione del reclamo il primo per il debitore a partire dalla data della comunicazione della sentenza da parte della cancelleria ed il secondo per i soggetti interessati, che decorre dalla data di iscrizione della sentenza stessa nel registro delle imprese - che il socio ex-amministratore della società rientra nella categoria dei soggetti interessati, onde per il medesimo si applica la seconda decorrenza, posto che l’espressa disposizione di legge in tal senso comporta la prevalenza del dato formale infatti, il legislatore ha stabilito un termine preciso ed definito a partire dal quale la conoscenza deve ritenersi presunta per tutti i temi interessati senza possibilità di deroghe in ragione di situazioni obiettive o soggettive che potrebbero altresì ingenerare situazioni di disparità di trattamento Cass., ord. 5 giugno 2014, n. 12654, ciò affermando anche in presenza della comunicazione eventualmente attuata della sentenza di fallimento da parte del curatore all’amministratore - che, inoltre, questa Corte ha ancora ribadito come, tra i soggetti parti del procedimento, individuati dall’art. 15, secondo comma, legge fall. debitore e creditori istanti quali destinatari della convocazione del tribunale, non possa annoverarsi il socio della società di capitali dichiarata fallita, il quale, pur essendo titolare di posizioni giuridiche che potrebbero risultare pregiudicate dalla dichiarazione di fallimento, non è destinatario della relativa istanza, né del decreto di convocazione emesso dal tribunale, dei quali non è prevista la notificazione anche nei suoi confronti e, da ciò, ha tratto la conclusione che pur non potendosi disconoscere la sua legittimazione a proporre reclamo avverso la sentenza di fallimento, indipendentemente dalla sua partecipazione al procedimento di primo grado, deve escludersi che egli sia dispensato dall’osservanza del termine di cui all’art. 327, comma 1, c.p.c. , non potendosi al medesimo applicare invece l’art. 327, comma 2, c.p.c. Cass. 23 maggio 2016, n. 10632 - che ne deriva allora, con riguardo alla questione oggetto del giudizio, che il socio ha l’onere di proporre reclamo entro il termine di trenta giorni decorrente dalla iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese, indipendentemente dall’avere egli preso parte, o no, al procedimento prefallimentare - che, dunque, va enunciato il principio di diritto secondo cui, in tema di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, ai sensi dell’art. 18, 4 comma, legge fall., il socio della società fallita, pur titolare di posizioni giuridiche che potrebbero essere pregiudicate dalla dichiarazione di fallimento e potendo, quindi, essere legittimato alla partecipazione al procedimento prefallimentare nonché alla proposizione del reclamo, ha l’onere di proporlo, indipendentemente dalla partecipazione al procedimento di primo grado, nel termine di trenta giorni decorrente dalla iscrizione della sentenza dichiarativa nel registro delle imprese - che quanto sinora esposto dà ragione anche di un giudizio di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata in subordine dal ricorrente con riguardo all’art. 18, quarto comma, legge fall., ai sensi degli artt. 3, 24 e 111 cost. - che, infatti, nessuna violazione del suo diritto di difesa ed al contraddittorio, né del diritto di uguaglianza, è perpetrata dal su esposto sistema il quale, al contrario, si legittima proprio per la ricerca di una soluzione equilibrata che, da un lato, assicura la massima tutela a tutti i soggetti interessati fra i quali, il socio ex-amministratore della società in proprio , nonché il rispetto del principio di uguaglianza, essendo diversa e privilegiata la posizione del debitore e dei creditori rispetto a quella dei singoli soci o ex-amministratori, i cui interessi trovano riconoscimento nella previsione della possibilità di proporre reclamo e, dall’altro lato, garantisce la certezza del diritto, mediante la previsione di un termine che decorre, per il debitore, dalla data della notificazione della sentenza, e, per tutti gli altri interessati , dalla data dell’iscrizione nel registro delle imprese della sentenza di fallimento, indipendentemente da una loro diversa soggettiva conoscenza né tale decorrenza è incongrua, poiché s’inscrive in una disciplina, quale quella fallimentare, caratterizzata dall’esigenza di privilegiare la tutela del soggetto fallendo, mentre la tutela ad altri interessati è fornita dalla facoltà di reclamo entro il medesimo termine con una decorrenza non irragionevole, essendo la pubblicità sul registro delle imprese, di cui all’art. 2193 c.c., appositamente deputata a fornire notizia legale dei fatti ivi iscritti mentre neppure sussiste una disparità di trattamento tra debitore/creditori e soggetto terzo, che fruiscono dell’identico termine per approntare le loro difese, sebbene solo per i secondi decorrente dalla predetta pubblicità erga omnes - che non vi è luogo alla condanna alle spese, non svolgendo difese gli intimati - che va emessa la dichiarazione di cui all’art. 13 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Dichiara che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla legge n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.