Il contratto in frode alla par condicio creditorum non è di per sé nullo

L’intento comune delle parti di alterare, attraverso la stipulazione di un contratto, la par condicio creditorum di una possibile futura procedura concorsuale non può essere considerato di per sé motivo illecito comune, tale da determinare la nullità del contratto stesso. Giustificazione di tale assunto è che non esiste, all’interno del nostro ordinamento, una disposizione che sancisca in via generale l’invalidità del contratto in frode ai terzi, avverso il quale, invece, sono previsti specifici rimedi come ad esempio l’azione revocatoria , distinti dalla nullità.

Così ha ribadito la Corte di Cassazione sentenza n. 19196/16, depositata il 28 settembre. La vicenda. Una banca aveva proposto ricorso ex art. 101 l.fall. per essere tardivamente ammessa in via ipotecaria al passivo del fallimento di una s.r.l., per il credito derivante da un contratto di mutuo edilizio garantito da ipoteca. Il Fallimento negava la possibilità di ammettere il credito ed eccepiva la nullità del contratto in questione affermando che questo fosse stato stipulato esclusivamente al fine di determinare una situazione d’indebito vantaggio per la banca in vista di una possibile e futura procedura concorsuale. Secondo il Fallimento il contratto si basava su una causa illecita, ossia la volontà di alterare la par condicio creditorum , tale da integrare un’ipotesi di bancarotta preferenziale in concorso con la banca. Il Tribunale di Terni riteneva validi i rilievi del Fallimento e dichiarava la nullità sia del contratto di mutuo che della relativa iscrizione di ipoteca, ritenendo lo stesso stipulato per il comune e illecito motivo di alterare la par condicio creditorum . La banca proponeva appello rilevando l’impossibilità di dichiararne la nullità di tale contratto essendo prevista e possibile, come rimedio specifico al caso di specie, l’azione revocatoria ex articolo l.fall. La Corte di appello respingeva il ricorso ritenendo sussistenti le cause di nullità già rilevate in primo grado, alle quali aggiungeva l’elusione di norme imperative ex art. 1344 c.c. La cessionaria di tale credito ricorre in cassazione contestando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1343, 1345, 1418 c.c. in riferimento alla nullità del contratto di mutuo e dell’iscrizione di ipoteca per violazione della par condicio creditorum , e violazione e falsa applicazione dell’art. 1344 c.c Il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non è, di per sé, illecito. La Suprema Corte accoglie il ricorso. Riprendendo passate pronunce Cass. Civ. 20576/2010 Cass.Civ. 10603/1993 , la Corte ribadisce che in assenza di una norma che vieti, in via generale, di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non è, di per sé, illecito, sicché la sua conclusione non è nulla per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinate comune alle parti, apprestando l’ordinamento, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, dei rimedi speciali , e diversi dalla nullità. Un contratto stipulato con la volontà di alterare la par condicio creditorum di una possibile successiva procedura concorsuale non può essere dichiarato nullo perché di per sè non determina né violazione di né violazione di una norma imperativa, né elusione della legge, non essendoci una disposizione che prevede in via generale l’invalidità del contratto in frode ai terzi. Bancarotta preferenziale e illiceità della causa di un contratto. Con riferimento al richiamo all’ipotesi di bancarotta preferenziale ai fini dell’accertamento dell’illiceità della causa del contratto, la decisione impugnata non è condivisa dal Collegio di legittimità. Infatti, la violazione dell’art. 216, comma 3, l.fall. non determina la nullità del contratto, ma è presupposto per il differente rimedio della revocazione degli atti lesivi della par condicio creditorum . Fonte www.ilfallimentarista.it

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 30 maggio 28 settembre 2016, n. 19196 Presidente Nappi Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che 1. Con ricorso ex art. 101 L.F. del 28 novembre 1997 la Banca di Roma s.p.a. ha chiesto l’ammissione in via ipotecaria al passivo del fallimento omissis s.r.l. del proprio credito di 1.459.313.026 Lire di cui 1.436.597.718 per saldo capitale del contratto di mutuo edilizio del 28 gennaio 1994, concesso da Banca di Roma a omissis s.r.l. e garantito da ipoteca iscritta, per 4.350.000.000 di Lire, il 29 gennaio 1994, e Lire 22.715.308 a titolo di interessi, maturati sino al 13 febbraio 1996, al tasso convenzionale dell’11.75%. 2. Il Fallimento costituendosi in giudizio ha negato la possibilità di ammettere il credito al passivo e comunque di ammetterlo in via ipotecaria. Ha infatti eccepito la nullità del contratto di mutuo perché stipulato al solo fine, comune a entrambe le parti, di precostituire una situazione di indebito vantaggio in favore della banca in vista della ritenuta prossima apertura di una procedura concorsuale, con ricorrenza di una causa illecita in quanto corrispondente alla volontà di alterare la par condicio creditorum e tale da realizzare, pur non essendo ciò essenziale ai fini del riconoscimento della nullità del contratto, una ipotesi di bancarotta preferenziale in concorso con la banca. La curatela fallimentare ha inoltre prospettato la nullità del contratto, in relazione alla sua natura di mutuo di scopo edilizio, perché all’epoca della stipula la costruzione dell’immobile oggetto del finanziamento era pressoché ultimata e la somma mutuata era stata in realtà destinata al pagamento di crediti chirografari della OMISSIS verso la stessa Banca di Roma e altri creditori la simulazione del contratto in relazione alla sua natura di mutuo edilizio e alla iscrizione di ipoteca a fronte della reale volontà delle parti di estinguere le preesistenti obbligazioni e di sostituire crediti ipotecari a crediti altrimenti chirografari. Il Fallimento ha altresì contestato l’ammontare del credito rilevando l’incremento del capitale rispetto alla somma che la banca aveva dichiarato di erogare 1.150.000.000 Lire e contestando la quantificazione degli interessi. 3. Il Tribunale di Terni, con sentenza n. 150/2006, ha dichiarato la nullità del contratto di mutuo e della iscrizione di ipoteca ex artt. 1345 e 1418 c.c. ritenendo la stipulazione del contratto avvenuta con il comune e illecito motivo di alterare la par condicio creditorum . 4. Ha proposto appello Banca di Roma rilevando che non esisteva un motivo determinante comune, consistente nel voler alterare la par condicio creditorum , dato che il mutuo era stato utilizzato, oltre che per coprire l’esposizione verso Banca di Roma, anche per pagare tutti i creditori o per soddisfare esigenze imprenditoriali di omissis consistenti nella ultimazione dell’immobile cui faceva riferimento il mutuo. Ha contestato in ogni caso la dichiarazione di nullità del contratto essendo in ipotesi esperibile l’azione revocatoria ex art. 67 L.F 5. La Corte di appello di Perugia, con sentenza n. 285/10, ha respinto l’appello ritenendo sussistenti le cause di nullità già rilevate in primo grado e quella ulteriore di elusione di norme imperative di cui all’art. 1344 c.c 6. Ricorre per cassazione ASPRA FINANCE s.p.a. e, premesso che il credito ipotecario di Banca di Roma è quindi da Unicredit s.p.a. incorporante per fusione di Capitalia , che lo ha ceduto a ASPRA FINANCE s.p.a., e, propone due motivi di impugnazione, illustrati con memoria difensiva, con i quali deduce a violazione e falsa applicazione degli artt. 1343, 1345, 1418 c.c. in ordine alla pretesa nullità del contratto di mutuo edilizio e della iscrizione di ipoteca per violazione della par corsatela credi tonni b violazione e falsa applicazione dell’art. 1344 c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla presunta frode alla legge della costituzione di ipoteca e alla sua rilevanza penale. 1. Si difende con controricorso il Fallimento omissis . Ritenuto che 2. Il ricorso è fondato. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che in assenza di una norma che vieti, in via generale, di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo del diritti o delle aspettative dei creditori non è, di per sé, illecito, sicché la sua conclusione non è nulla per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinante comune alla parti, apprestando l’ordinamento, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, dei rimedi speciali che comportano, in presenza di particolari condizioni, l’applicazione della sola sanzione dell’inefficacia Cass. civ., sez. III, n. 23158 del 31 ottobre 2014 . Il motivo illecito che, se comune e determinante, determina la nullità del contratto, si identifica con una finalità vietata dall’ordinamento perché contraria a norma imperativa, ai principi dell’ordine pubblico o del buon costume, ovvero poiché diretta ad eludere, mediante detta stipulazione, una norma imperativa. Pertanto, l’intento delle parti di recare pregiudizio ad altri - quale quello di attuare una frode ai creditori, di vanificare un’aspettativa giuridica tutelata o di impedire l’esercizio di un diritto - non è illecito, ove non sia riconducibile ad una di tali fattispecie, non rinvenendosi nell’ordinamento una norma che sancisca in via generale come per il contratto in frode alla legge l’invalidità del contratto in frode dei terzi, per il quale, invece, l’ordinamento accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di pregiudizio che essi possano risentire dall’altrui attività negoziale Cass. civ. sez. I, n. 20576 del 4 ottobre 2010, Cass. civ. S.U. n. 10603 del 25 ottobre 1993 . 3. Anche sotto il profilo della rilevanza, nella specie, della ipotesi di bancarotta preferenziale ai fini dell’accertamento della illiceità della Causa la decisione impugnata non appare condivisibile in quanto la violazione di una norma imperativa, nella specie la invocata disposizione dell’art. 216, comma 3, della legge fallimentare, non dà luogo alla nullità del contratto ma costituisce il presupposto per la revocazione degli atti lesivi della par condicio creditorum . L’art. 1418 primo comma del codice civile, con l’inciso salvo che la legge disponga diversamente impone infatti all’interprete di accertare se il legislatore, anche nel caso di inosservanza del precetto, abbia consentito la validità del negozio predisponendo un meccanismo idoneo a realizzare gli effetti voluti dalla norma cfr. Caso. civ. sez. III del 12 ottobre 1982 n. 5270, n. 6668 del 1 agosto 1987 . 4. Va pertanto accolto il ricorso e cassata, con rinvio alla Corte di appello di Perugia, la sentenza impugnata che ha dichiarato la nullità, ex artt. 1344, 1345 e 1418 c.c., dei contratti su cui si è fondata l’istanza di ammissione per le ragioni sin qui esposte. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Perugia in diversa composizione.