Se il giudizio per accertare il credito è ancora pendente, l’unico modo per evitare la decadenza è l’ammissione al passivo con riserva

Il creditore che intenda far valere nel fallimento un credito oggetto di accertamento in un procedimento pendente in appello, può evitare di incorrere nella decadenza prescritta dall’art. 101, ultimo comma, l. fall. solo chiedendone l’ammissione con riserva non oltre il termine di 12 mesi dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7426/15 depositata il 13 aprile. Il caso. Il Tribunale di Santa Maria C.V., condividendo il provvedimento del giudice delegato, respingeva con decreto l’opposizione allo stato passivo del Fallimento di una società per azioni proposta da un ingegnere per l’ottenimento delle differenze retributive a lui spettanti per le prestazioni lavorative rese a favore della società. Il provvedimento motivava la pronuncia di inammissibilità della domanda di insinuazione nel passivo facendo leva sulla tardività della stessa la domanda era stata presentata dopo oltre un anno dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo , nonché sull’impossibilità di giustificare tale ritardo sulla base della pendenza del giudizio di appello diretto all’accertamento del credito per le prestazioni professionali. Il professionista impugna la pronuncia innanzi alla Cassazione, lamentando la violazione della normativa fallimentare, nonché il mancato riconoscimento di una causa di inimputabilità del ritardo della domanda, consistente nella decisione del giudice d’appello di non dichiarare interrotto il procedimento per l’avvenuta ammissione della società all’amministrazione straordinaria e, poi, per la dichiarazione di fallimento. L’ammissibilità della domanda tardiva e l’opponibilità della sentenza. I motivi del ricorso, esaminati congiuntamente, risultano infondati. La Cassazione evidenzia la confusione, in cui è incorso il ricorrente, tra i distinti temi dell’ammissibilità della domanda di insinuazione proposta dopo il decorso del termine annuale dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo e dell’opponibilità al Fallimento della sentenza d’appello posta a fondamento di tale domanda. Quest’ultima questione può essere risolta alla luce dell’art. 101, l. fall. che non contempla altra eccezione, alla regola dell’ammissibilità delle domande presentate oltre il termine annuale, che quella del ritardo incolpevole. Non è possibile dunque rinvenire alcuna norma che faccia salva l’ammissibilità delle domande ultratardive” qualora alla data di dichiarazione del fallimento [] il giudizio volto all’accertamento del credito sia già pendente in grado d’appello, ma non sia ancora stata emessa la relativa sentenza , come accaduto nel caso di specie. La richiesta di ammissione con riserva. In conclusione, sulla base del consolidato indirizzo giurisprudenziale che ammette un’interpretazione estensiva dell’ art. 96, comma 2, n. 3 , l. fall. secondo il quale sono ammessi al passivo con riserva i crediti accertati con sentenza di primo grado non passata in giudicato ma pronunciata prima della dichiarazione di fallimento , la Cassazione afferma che il creditore che intenda far valere nel fallimento un credito oggetto di accertamento in un procedimento ordinario pendente in appello, può evitare di incorrere nella decadenza prescritta dall’art. 101, ultimo comma, l. fall. solo chiedendone l’ammissione con riserva non oltre il termine di 12 mesi dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo. La pendenza dell’appello non costituisce dunque causa di esonero dal rispetto del termine previsto per la presentazione della domanda di insinuazione nel passivo. Per questi motivi, la Suprema Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 20 gennaio – 13 aprile 2015, n. 7426 Presidente Di Palma – Relatore Cristiano Fatto e diritto E’ stata depositata la seguente relazione 1 Il Tribunale di Santa Maria C.V., con decreto del 19.4.013, ha respinto l'opposizione allo stato passivo del Fallimento dell'Azienda Casertana di Mobilità & amp Servizi in seguito, per brevità, ACMS s_p.a. proposta dall'ing. I.T. per ottenere l'ammissione del credito di € 120.076,81, vantato a titolo di differenze retributive per prestazioni lavorative rese, in favore della società poi fallita, fra l'agosto del '78 ed il maggio del '96 ed accertato con sentenza della Corte d'appello di Napoli del 14.3.012. Il tribunale ha condiviso il provvedimento del G.D., che aveva dichiarato inammissibile la domanda di insinuazione, rilevando i che il credito, avente sicura natura concorsuale, era stato insinuato tardivamente, oltre l'anno dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo e che il ricorrente non aveva neppure dedotto che il ritardo non gli era imputabile ii che, in particolare, il ritardo non poteva trovare giustificazione nella pendenza del procedimento d'appello, in quanto fatto costitutivo del credito insinuato era il pregresso rapporto di lavoro e non la sentenza dalla corte territoriale, peraltro non opponibile al Fallimento perché emessa nei confronti della ACMS in bonis in data successiva a quella di ammissione della società alla procedura di Amministrazione Straordinaria apertasi il 7.10.09 senza che fosse stato chiamato in causa il Commissario iii che il disposto dell'art. 96 1. fall. imponeva al T. di proporre domanda di ammissione al passivo con riserva o, quantomeno, di coinvolgere gli organi della procedura nel giudizio di appello, al fine di estendere agli stessi gli effetti della sentenza. Il decreto è stato impugnato da Luigi T. con ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui il Fallimento ACMS ha resistito con controricorso. 2 Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 43 e 93 Lfall. e 53 d. Igs. n. 270199, assume che la sentenza della corte d'appello che aveva accertato il credito, emessa anteriormente a quella dichiarativa del Fallimento di ACSM, era opponibile alla procedura. Deduce a tale riguardo che nel corso dei giudizio di appello, iniziato prima dei 2008, il procuratore di ACSM aveva dichiarato che la società era stata ammessa alla procedura di A.S., ma che la Corte d'appello aveva correttamente ritenuto che la circostanza non comportasse l'interruzione del processo, non essendo presente, nel d. Igs. n. 270199, una norma corrispondente all'art. 43 I. fall. rileva, in subordine, che avrebbe dovuto trovare applicazione nella specie l'art. 96 I. fall., che prevede la prosecuzione del giudizio nella sede ordinaria di impugnazione qualora, come nella specie, l'evento interruttivo si sia verificato dopo l'emissione della sentenza di primo grado. 3 Coi secondo motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione della sentenza impugnata, assume la ricorrenza di una causa di inimputabilità del ritardo, costituita dalla decisione del giudice d'appello di non dichiarare interrotto il processo per l'avvenuta ammissione di ACSM alla procedura di A.S. che, quand'anche errata in diritto, avrebbe comunque ingenerato in lui un autorevole affidamento in ordine alla successiva opponibilità della pronuncia, e lamenta che il tribunale non abbia tenuto conto di tale circostanza, ancorché da lui specificamente dedotta ai fini della verifica dell'ammissibilità della domanda di insinuazione ultratardiva . 4 Non appaiono fondate le eccezioni di inammissibilità del ricorso svolte dal Fallimento in via preliminare di rito non si ravvisano, infatti, violazioni dell'art. 366 1 comma n. 6 c.p.c., atteso che il primo motivo di impugnazione verte su una questione di mero diritto e che il secondo, pur denunciando un vizio di motivazione, implica anch'esso la soluzione di una questione di diritto ovvero se sia o meno imputabile al creditore il ritardo nella proposizione della domanda di insinuazione qualora questa venga depositata dopo l'emissione della sentenza d'appello pronunciata all'esito del giudizio sull'accertamento dei credito già pendente nel grado contro l'impresa debitrice in bonis e non dichiarato interrotto alla data di ammissione di questa alla procedura di A.S. . Va per altro verso rilevato come l'accertata novità di questioni di fatto decisive poste a fondamento di una specifica censura comporterebbe l'inammissibilità della stessa, ma non dell'intero ricorso. 5 Ciò premesso, i motivi, che sono fra loro connessi e possono essere congiuntamente esaminati, risultano, prima facie, infondati. II ricorrente confonde i due distinti temi dell'ammissibilità - ai sensi dell'art. 101 l.fall della domanda di insinuazione proposta dopo -il decorso dell'anno dalla data di dichiarazione dell' esecutività dello stato passivo e dell'opponibilità al Fallimento della sentenza d'appello posta a fondamento di tale domanda. In realtà la seconda questione attiene al merito della decisione e, nel caso di specie, é stata inutilmente affrontata dal tribunale, che si sarebbe dovuto arrestare al rilievo della tardività della domanda del T. e della conseguente intervenuta sua decadenza dal diritto a partecipare al concorso , non essendovi prova che il ritardo fosse dipeso da causa a lui non imputabile. L'ultimo comma dell'ari. 101 cit., infatti, non contempla altra eccezione, alla regola dell'inammissibilità delle domande presentate oltre il termine di cui al primo comma, che quella del ritardo incolpevole. In particolare, non v'è alcuna disposizione che faccia salva l'ammissibilità delle c.d. domande ultratardive qualora alla data di dichiarazione de[ fallimento o, come nella specie, dell'ammissione dell'impresa debitrice alla procedura di A.S. il giudizio volto all'accertamento del credito sia già pendente in grado d'appello, ma non sia stata ancora emessa la relativa sentenza in tale ipotesi trova infatti applicazione l'art. 96 II comma n. 3 della LfalL, che stabilisce che sono ammessi al passivo con riserva i crediti accertati con sentenza di primo grado non passata in giudicato ma pronunciata prima della predetta data. Val la pena di aggiungere che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte formatasi sul corrispondente art. 95 III comma della I. fall. non ancora riformata dal d.lgs. n. 5106 e citata dallo stesso ricorrente , la norma va interpretata estensivamente e va riferita anche al caso in cui la pretesa creditoria sia stata respinta dal primo giudice. Ne consegue che il creditore che intenda far valere nel fallimento il credito di cui si controverte in appello, al fine di non incorrere nella decadenza comminata dall'art. 101 u. comma l.fall. à tenuto a chiederne l'ammissione con riserva non oltre il termine di un anno dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo. li Troianie[lo, pertanto, lungi dal dover attendere l'esito del giudizio pendente dinanzi alla corte territoriale, avrebbe dovuto proporre domanda di ammissione del credito litigioso allo stato passivo della procedura di A.S. entro il predetto termine solo la presentazione di una domanda ammissibile ai sensi della disposizione citata avrebbe infatti potuto consentire al giudice dei merito di scendere alla verifica della fondatezza della tesi del ricorrente, dell'opponibilità alla procedura della sentenza pronunciata in appello. Il T. non può, d'altro canto, invocare a giustificazione del ritardo l'affidamento riposto nella decisione del giudice d'appello di non dichiarare interrotto il giudizio a seguito dell'ammissione di ACMS alla procedura di A.S. tale decisione era infatti strettamente attinente alla questione di merito, de [l'opponibilità della sentenza alla procedura questione che avrebbe potuto porsi, negli identici termini, anche nel caso in cui il procuratore della società in bonis non avesse dato notizia in udienza dell'evento , ma era priva di qualsivoglia incidenza su[ procedimento di accertamento dei crediti previsto dalla legge fallimentare specificamente richiamato dall'art. 53 del d. Igs. n. 270199 e non poteva quindi indurre il ricorrente la cui eventuale ignorantia legis non può costituire scusante a ritenersi esonerato dalla presentazione della domanda entro il termine massimo di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo. Si dovrebbe pertanto concludere per il rigetto dei ricorso, con decisione che potrebbe essere assunta in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 380 bis e 375 n. 1 e 5 c.p.c. Il ricorrente ha depositato memoria. II collegio ha esaminato gli atti, ha letto la relazione e ne condivide le conclusioni, non utilmente contrastate dal Troíaniello nella memoria depositata. Ciò che rileva ai fini della soluzione della questione controversa è che la domanda di ammissione allo stato passivo deve essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall'art. 101 u. comma della legge e che la pendenza in appello del giudizio anteriormente promosso dal preteso creditore nei confronti del debitore ancora in bonis non incide su tale termine non ne determina, cioè, l'automatica sospensione sino all'esito del gravame, e ciò indipendentemente dal fatto che il processo di secondo grado si svolga in contraddittorio col curatore . La pendenza dell'appello non può dunque costituire causa di esonero dal rispetto del termine previsto per la presentazione della domanda di ammissione. Altra, e successiva, questione è quella che concerne i limiti di operatività dell'art. 96 III comma I. fall., norma che non ha natura processuale e che, nel prevedere l'ammissione con riserva di talune categorie di crediti, presuppone pur sempre che le domande ad essi relative siano state presentate nel termine di cui ali' art. 101 u. comma cit. D'altro canto, non spetta al creditore di stabilire se il credito possa o meno essere ammesso allo stato passivo e se l'ammissione debba o meno avvenire con riserva. Ne consegue che la tesi dei ricorrente secondo il quale in fattispecie come quella in esame, di rigetto in primo grado della domanda avanzata contro il debitore ancora in bonis, non vi sarebbe alcun credito da ammettere con riserva allo stato passivo , quand'anche fondata, non condurrebbe a diversa soluzione la domanda di ammissione andrebbe, infatti, comunque proposta nel termine stabilito a pena di decadenza dall'art. 101 e la ritenuta inapplicabilità del Ili comma dell'art. 96 non precluderebbe al giudice del fallimento di decidere dell'opponibilità alla massa della sentenza emessa all'esito del giudizio d'appello pendente in sede di cognizione ordinaria e, pertanto, in caso positivo, di sospendere il procedimento di accertamento, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., ovvero, in caso negativo, di scendere all'esame del merito della domanda, eventualmente pervenendo ad una soluzione diversa da quella assunta nella sentenza impugnata. Il ricorso deve, in conclusione, essere respinto. La novità della questione trattata giustifica la declaratoria di integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater dPR n. 11512002, introdotto dall'art. 1, 17° comma, della I. n. 228 del 24.12.2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.