Dall’illegittima apposizione del termine ad un contratto di lavoro alla mora accipiendi della società fallita

La pronuncia in commento interviene sulla problematica concernente i rapporti tra lavoro subordinato e fallimento nello specifico, si tratta dell’illegittimità del termine apposto ad un contratto di lavoro di un dipendente da parte di una società successivamente fallita dal quale, pertanto, consegue tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Con l’ordinanza n. 22057 del 26 settembre 2013, gli Ermellini, conformandosi a due precedenti di legittimità, precisano che, nel caso di scadenza di contratto di lavoro a termine illegittimamente stipulato, la disdetta con la quale il datore di lavoro, allo scopo di evitare la rinnovazione tacita del contratto, comunica al dipendente la scadenza del termine illegittimamente apposto, configura un atto meramente ricognitivo, non una fattispecie di recesso, e la prestazione lavorativa cessa in ragione dell’esecuzione che le parti danno alla clausola nulla. Ne consegue l’inapplicabilità degli artt. 6, l. n. 604/1966 e 18, l. n. 300/1970, benché la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato dia al dipendente il diritto al ripristino del rapporto di lavoro e, ove negato, il diritto alla tutela risarcitoria cfr. Cass. 23756/2009 . Il lavoratore cessato dal servizio, non ha quindi l’onere di attivarsi entro il termine di decadenza dettato con esclusivo riferimento alle ipotesi di impugnativa del licenziamento, ma può far valere, con azione di mero accertamento, i diritti consequenziali alla perdurante sussistenza del rapporto e richiedere, in caso di impossibilità della prestazione per ingiustificato rifiuto del datore di lavoro, il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale ex art. 1223 c.c., costituendo in mora il datore di lavoro, nelle forme di cui all’art. 1217 c.c., con la messa a disposizione delle energie lavorative ovvero mediante intimazione di ricevere la prestazione cfr. Cass. 12333/2009 . Il fatto. Il caso di specie origina dall'impugnazione per cassazione, presentata da parte di un lavoratore, avverso la decisione del Tribunale di Napoli, che, aveva rigettato l’opposizione allo stato passivo ex art. 98 l. fall. del fallimento di una s.p.a. attiva nel settore della tutela ambientale proposta dal predetto lavoratore. Quest’ultimo, in particolare, in sede di legittimità, contestava sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale il decreto impugnato laddove questo, dopo avere ritenuto che in virtù di precedente sentenza definitiva del tribunale di Napoli si era accertato che il contratto di lavoro del ricorrente alle dipendenze della fallita s.p.a. era a tempo indeterminato, aveva poi contraddittoriamente ritenuto che la comunicazione del datore di lavoro circa la scadenza del termine costituiva comunque un atto di licenziamento che doveva essere oggetto di specifica impugnazione. E, gli Ermellini, accogliendo il ricorso, precisano che è pacifico che la sentenza definitiva del tribunale di Napoli aveva accertato che la clausola relativa al termine apposto al contratto di lavoro era nullo e che pertanto il rapporto era di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Inoltre, precisano i Supremi giudici, il Tribunale aveva erroneamente ritenuto che la comunicazione del datore di lavoro del ricorrente avesse integrato gli estremi di un licenziamento avendo tale atto la natura di una mera dichiarazione ricognitiva. Peraltro – concludono gli Ermellini – il lavoratore per poter ottenere il riconoscimento della retribuzione e dell’eventuale risarcimento del danno deve dimostrare di avere offerto al datore di lavoro la prestazione lavorativa determinando una mora accipiendi . Così concluso i Giudici di Piazza Cavour cassano il decreto impugnato e rinviano anche per le spese al Tribunale di Napoli in diversa composizione. L’art. 18 Stat. Lav. non si applica nel caso di termine illegittimamente apposto al contratto. L’ipotesi statisticamente più importante di risoluzione illegittima del contratto di lavoro diversa dal licenziamento è quella della cessazione del rapporto di lavoro alla scadenza del termine apposto illegittimamente. Sul punto l’orientamento maggioritario della giurisprudenza, ribadito peraltro nella pronuncia che qui ci occupa v. ut supra Cass. 23756/2009 , è l’inapplicabilità alla fattispecie della normativa sui licenziamenti. Non ha pertanto trovato seguito l’opinione secondo cui l’apparato sanzionatorio dell’art. 18, l. n. 300/1970, e in particolare la reintegrazione nel posto di lavoro, previsti per l’ipotesi di licenziamento, sono applicabili anche agli altri casi in cui l’interruzione del sinallagma funzionale sia imputabile al datore di lavoro, come quando la continuità del rapporto sia venuta meno per la scadenza di un termine illegittimamente apposto al contratto di lavoro. Atto meramente ricognitivo, non una fattispecie di recesso. La ragione sostanziale della non assimilabilità dell’estromissione per scadenza del termine illegittimo al licenziamento riposa sulla circostanza che in caso di scadenza del termine le parti non fanno che conformarsi alle regole del rapporto. L’interruzione del rapporto di lavoro trae origine da tale regola, prevista nel contratto, e non da un autonomo atto datoriale, animato da una propria volontà estintiva. La comunicazione del datore di lavoro della cessazione del rapporto ha pertanto natura meramente ricognitiva perciò non negoziale. Ribadita la ricostruzione delle SS.UU. n. 7471/1991. Ha pregio osservare il richiamo effettuato dall’odierno Giudicante ad un grand arrêt delle Sezioni Unite n. 14381/2002, che peraltro ribadiscono un precedente delle Sezioni Unite n. 7471/1991. La giurisprudenza del supremo consesso di legittimità chiariva già allora che nel caso di scadenza di un contratto di lavoro a termine illegittimamente stipulato e di comunicazione da parte del datore di lavoro della conseguente disdetta, non sono applicabili – tenuto conto della specialità della disciplina della legge n. 230/1962 sul contratto di lavoro a tempo determinato rispetto a quella della legge n. 604/1966 relativa all’estinzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e della qualificabilità dell’azione diretta all’accertamento dell’illegittimità del termine non come impugnazione del licenziamento ma come azione imprescrittibile di nullità parziale del contratto – né la norma dell’art. 6, l. n. 604/1966, relativa alla decadenza del lavoratore dall’impugnazione dell’illegittimo recesso, né la norma dell’art. 18, l. n. 300/1970 relativa alla reintegrazione nel posto di lavoro, ancorché la conversione del rapporto a termine nel rapporto a tempo indeterminato dia ugualmente al dipendente il diritto di riprendere il suo posto e di ottenere il risarcimento del danno qualora ciò gli venga negato. Le Sezioni Unite sottolinearono anche che questa ricostruzione non opera nei casi in cui il datore di lavoro anziché limitarsi a comunicare, con un atto nel quale non è assolutamente ravvisabile un licenziamento, la disdetta per scadenza del termine, abbia intimato - nel presupposto dell’intervenuta conversione del rapporto a termine in un rapporto a tempo indeterminato - un vero e proprio licenziamento da quest’ultimo rapporto. In queste ipotesi, pertanto, applicandosi l’art. 18 Stat. Lav. diviene applicabile il rito speciale per i licenziamenti. Mora accipiendi del datore di lavoro. Anche nel rapporto di lavoro può determinarsi la mora del creditore. In forza del sinallagma la mancata prestazione del lavoratore comporta la mancata prestazione del datore di lavoro mancata corresponsione della retribuzione . Tuttavia la mancata prestazione del lavoratore può comportare in taluni casi la persistenza dell’obbligo di retribuzione, mentre in altri l’obbligo verrà meno. Così nel caso di impossibilità della prestazione lavorativa dovuta ad eventi non imputabili al datore di lavoro inondazione o altri eventi naturali non sussisterà l’obbligo di retribuzione. In caso invece di rifiuto della prestazione, da parte del datore di lavoro, senza motivo legittimo o nel caso che il datore di lavoro non adempia agli obblighi accessori o strumentali, si configurerà la mora accipiendi . E, nel caso in commento, è stato chiarito che al dipendente che cessi l’esecuzione della prestazione lavorativa per attuazione di fatto del termine nullo non spetta la retribuzione finché non provveda ad offrire la prestazione stessa, determinando una situazione di mora accipiendi del datore di lavoro.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 24 maggio – 26 settembre 2013, n. 22057 Presidente Di Palma – Relatore Ragonesi Fatto e diritto La Corte, rilevato che sul ricorso n. 13468/12 proposto da E.F. nei confronti del Fallimento Multiservizi Igiene Tutela Ambientale M.I.T.A. s.p.a. il consigliere relatore ha depositato ai sensi dell'art. 380 bis cpc la relazione che segue. Il relatore Cons. Ragonesi, letti gli atti depositati RILEVATO. che E.F. ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di due motivi avverso il decreto emesso in data 17.04.2012 e depositato in data 23.04.2012 nel giudizio n. 8313/2011 R.G. con cui il Tribunale di Napoli ha rigettato l'opposizione allo stato passivo ex artt. 98 l.f. del fallimento della Multiservizi Igiene Tutela Ambientale M.I. T.A. s.p.a. proposta dal ricorrente che l'intimato non ha svolto alcuna attività difensiva. Osserva. Con i due motivi di ricorso il ricorrente contesta sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale il decreto impugnato laddove questo, dopo avere ritenuto che in virtù di precedente sentenza definitiva n. 11837/11 del tribunale di Napoli si era accertato che il contratto di lavoro del ricorrente alle dipendenze della fallita Mita spa era a tempo indeterminato, ha poi ritenuto contraddittoriamente che la comunicazione del datore di lavoro del 5.11.07 circa la scadenza del termine costituiva comunque un atto di licenziamento che doveva essere oggetto di specifica impugnazione. Il ricorso appare fondato nei termini che seguono. È pacifico che la sentenza definitiva del tribunale di Napoli ha accertato che la clausola relativa al termine apposto al contratto di lavoro era nullo e che pertanto il rapporto era di lavoro subordinato a tempo indeterminato. La giurisprudenza di questa Corte ha affermato a tale proposito che nel caso di scadenza di un contratto di lavoro a termine illegittimamente stipulato, la disdetta con la quale il datore di lavoro, allo scopo di evitare la rinnovazione tacita del contratto, comunica al dipendente la scadenza del termine illegittimamente apposto, configura un atto meramente ricognitivo, non una fattispecie di recesso, e la prestazione lavorativa cessa in ragione dell'esecuzione che le parti danno alla clausola nulla. Ne consegue l'inapplicabilità degli artt. 6 della legge n. 604 del 1966 e 18 della legge n. 300 del 1970, benché la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato dia al dipendente il diritto al ripristino del rapporto di lavoro e, ove negato, il diritto alla tutela risarcitoria Cass. 23756/09 . Il lavoratore cessato dal servizio, non ha quindi l'onere di attivarsi entro il termine di decadenza dettato con esclusivo riferimento alle ipotesi di impugnativa del licenziamento, ma può far valere, con azione di mero accertamento, i diritti conseguenziali alla perdurante sussistenza del rapporto - di eseguire la prestazione lavorativa, riprendendo il servizio, e di ricevere le prestazioni patrimoniali - e richiedere, in caso di impossibilità della prestazione per ingiustificato rifiuto del datore di lavoro, il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale ex art. 1223 cod. civ., costituendo in mora il datore di lavoro, nelle forme di cui all'art. 1217 cod. civ., con la messa a disposizione delle energie lavorative ovvero mediante intimazione di ricevere la prestazione. Cass. 12333/09 . Peraltro è stato ulteriormente chiarito che al dipendente che cessi l'esecuzione della prestazione lavorativa per attuazione di fatto del termine nullo non spetta la retribuzione finché non provveda ad offrire la prestazione stessa, determinando una situazione di mora accipiendi del datore di lavoro, situazione, questa, che non è di per sé integrata dalla domanda di annullamento del licenziamento illegittimo con la richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro in base allo stesso principio si deve escludere anche il diritto del lavoratore ad un risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni perdute per il periodo successivo alla scadenza, così come, dalla regola generale di effettività e corrispettività delle prestazioni nel rapporto di lavoro, deriva che, al di fuori di espresse deroghe legali o contrattuali, la retribuzione spetta soltanto se la prestazione di lavoro viene eseguita, salvo che il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei confronti del dipendente. Cass. 14381/02 SEZ UN . Nel caso di specie, pertanto il Tribunale ha erroneamente ritenuto che la missiva del 5.11.07 del datore di lavoro del ricorrente abbia integrato gli estremi di un licenziamento avendo tale atto la natura di una mera dichiarazione ricognitiva. Il ricorrente non aveva pertanto alcun obbligo di impugnare tale dichiarazione come se si fosse trattato di un licenziamento. Peraltro in ragione di quanto affermato da questa Corte e dianzi ricordato, il lavoratore per potere ottenere il riconoscimento della retribuzione e dell'eventuale risarcimento del danno deve dimostrare di avere offerto al datore di lavoro la prestazione lavorativa determinando una mora accipiendi. Il motivo appare quindi fondato, restando assorbito quello relativo alla formazione del giudicato e restando comunque rimesso al giudice di merito in sede di un eventuale rinvio l'accertamento della sussistenza di una mora accipiendi della società successivamente fallita. Ove si condividano i testé formulati rilievi, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all’art. 375 cpc. PQM. Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio Roma 8.4.13. Il Cons. rel . Considerato che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra che pertanto il ricorso va, accolto con conseguente cassazione del decreto impugnato e rinvio anche per le spese al Tribunale di Napoli in diversa composizione. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia anche per le spese al Tribunale di Napoli in diversa composizione.