Il mancato tentativo di riscuotere il proprio credito non esclude l’insolvenza

La prova dell’insolvenza dell’imprenditore può emergere da molteplici elementi e non richiede il preventivo, infruttuoso esperimento di azioni coattive di recupero del credito.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 14768/13, depositata il 12 giugno scorso. Il caso. La Corte di appello respingeva il reclamo proposto da una s.r.l. avverso la sentenza del tribunale dichiarativa del fallimento della reclamante e, per questo, la stessa società si è rivolta ai giudici di Cassazione. Giudici che, però, non hanno ritenuto meritevoli di accoglimento i motivi proposti. Sede legale chiusa e amministratore irreperibile. Infatti, da una parte, la ricorrente contesta che vi sia prova del suo stato di insolvenza, essendosi la creditrice limitata a depositare titoli di credito senza aver prima tentato di procedere alla loro riscossione in via di esecuzione forzata dall’altra, la S.C. ritiene manifestamente infondata la doglianza. Questo perché, si legge nell’ordinanza, la prova dell’insolvenza dell’imprenditore può emergere da molteplici elementi e non richiede il preventivo, infruttuoso esperimento di azioni coattive di recupero del credito , che, tra l’altro, nella specie, la creditrice istante non avrebbe neppure potuto tentare, attese la chiusura della sede legale della debitrice e l’irreperibilità del suo amministratore.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 15 aprile – 12 giugno 2013, n. 14768 Presidente Di Palma – Relatore Cristiano In fatto 1 La Corte d'Appello di Firenze, con sentenza del 19.7.011, ha respinto il reclamo proposto da Centro Italia Carni s.r.l. avverso la sentenza del tribunale dichiarativa del fallimento della reclamante. 2 La Corte territoriale ha ritenuto valida la notifica dell'istanza di fallimento effettuata dall'unica creditrice istante, SAB - Società Agricola Bresciana s.r.l., ai sensi dell'art. 143 c.p.c., presso l'ultima residenza dell'A.U. della debitrice, dopo che erano state inutilmente tentate sia la notifica presso la sede sociale sia la notifica ex art. 138 e segg. c.p.c. all'amministratore ha dichiarato irricevibile, in quanto non oggetto di traduzione giurata, la documentazione in lingua rumena prodotta dalla reclamante per dimostrare il suo asserito trasferimento in ha comunque rilevato che, se davvero il trasferimento vi fosse stato, la società avrebbe dovuto cancellarsi dal R.I 3 Centro Italia Carni s.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza, sulla base di tre motivi. 4 La creditrice istante e il curatore del Fallimento della Centro Italia Carni s.r.l. non hanno svolto attività difensiva. In diritto 1 Con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità assoluta e/o la giuridica inesistenza della notifica dell'istanza di fallimento, eseguita in luogo diverso dalla sua sede legale e, successivamente, a persona diversa da chi, all'epoca, rivestiva la carica di amministratore. Deduce che il sig. G R. , destinatario della notifica eseguita da SAB, era stato rimosso dall'incarico di amministratore sin dai primi giorni del maggio 2010 e che sin dal 6 luglio 2010 la società era stata volturata così, letteralmente, nel ricorso al nuovo amministratore osserva, ancora, che poiché presso la Camera di Commercio risultava il trasferimento della sede all'estero, l'istanza avrebbe dovuto esserle notificata ai sensi dell'art. 142 c.p.c Sotto altro profilo, contesta che vi sia prova del suo stato di insolvenza, essendosi la SAB limitata a depositare titoli di credito senza aver prima tentato di procedere alla loro riscossione in via di esecuzione forzata. La prima delle due distinte censure nelle quali si articola il motivo appare inammissibile, in quanto fondata su asserzioni che, oltre ad essere smentite dai contrari accertamenti compiuti dalla Corte territoriale, non risultano accompagnate dall'indicazione degli specifici documenti che varrebbero a provarle che si dicono genericamente prodotti in atti , né dalla denuncia della loro omessa verifica da parte del giudice del merito. La seconda censura appare invece manifestamente infondata, in quanto la prova dell'insolvenza dell'imprenditore può emergere da molteplici elementi e non richiede il preventivo, infruttuoso esperimento di azioni coattive di recupero del credito che nella specie, peraltro, la creditrice istante non avrebbe neppure potuto tentare, attese la chiusura della sede legale della debitrice e l'irreperibilità del suo amministratore . 2 Il secondo ed il terzo motivo, con i quali denunciando rispettivamente violazione degli artt. 101 c.p.c. e 24 Cost. la ricorrente sostiene, sul presupposto dell'inesistenza della notifica dell'istanza di fallimento, che il Tribunale prima e la Corte d'Appello poi avrebbero pronunciato violando il principio del contraddicono ed il suo diritto di difesa, appaiono assorbiti dal rigetto del primo motivo. Tanto potrebbe essere affermato in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c La ricorrente ha depositato memoria. Il collegio condivide e fa proprie le conclusioni della relatrice, tenuto conto che le tardive allegazioni contenute nella memoria depositata dalla ricorrente non possono far venir meno le rilevate ragioni di inammissibilità del primo motivo di ricorso. Poiché le parti intimate non hanno svolto attività difensiva, non v'è luogo alla liquidazione delle spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.