Equitalia, la limitatezza riproduttiva degli estratti della cartella preclude al concessionario la qualità di depositario del ruolo

Al centro dell’attenzione la problematica concernente l’ammissibilità al passivo fallimentare di un credito tributario da parte di Equitalia sulla base di estratti di cartella dichiarati conformi agli originali da parte dello stesso concessionario e di correlati avvisi di ricevimento postale parimenti in copia dichiarata conforme dal medesimo soggetto.

E, i giudici della Suprema Corte, risolvono la quaestio precisando che l’affermazione del giudice di merito secondo cui la nozione di estratto, riproduttiva di una o più parti della cartella precluderebbe la forza probatoria in punto di notifica della più ampia cartella non è decisa in sé e per sé considerata e dunque come principio di esclusione programmatica, in capo al concessionario, della qualità di pubblico ufficiale, ma in quanto discende da uno specifico e preliminare difetto del ricorso de quo . Il fatto. A seguito del fallimento di una società pugliese, attiva nel campo dei concimi e fertilizzanti, Equitalia ne chiede l’ammissione allo stato passivo, tuttavia, la sua domanda viene dichiarata inammissibile. Il Tribunale di Taranto, difatti, respinge l’opposizione, proposta da Equitalia avverso il decreto del giudice delegato, sulla base della insufficienza della documentazione a supporto della domanda. In particolare, il predetto decreto aveva rigettato la domanda non avendo Equitalia dimostrato in modo certo di aver tempestivamente e regolarmente notificato al contribuente il titolo legittimante l’imposizione fiscale. Equitalia ricorre quindi in cassazione con un unico gravame contestando che il decreto abbia omesso di considerare il concessionario come un depositario del ruolo che gli viene rilasciato dall’ufficio territorialmente competente in via telematica, con il potere, in quanto soggetto debitamente autorizzato e per quanto non pubblico ufficiale, di emettere idonea certificazione di detto ricevimento. Gli Ermellini invero rilevano che prima ancora di una disamina aggiornata della latitudine dei poteri asseverativi del concessionario non risulta scalfita da coerente critica la statuizione del giudice di merito ove ha osservato che è proprio la nozione di estratto, riproduttiva di una o più parti della cartella, eliminate a discrezione della parte attestatrice e che però se ne vuole avvalere in giudizio, a precluderne la forza probatoria in punto della più ampia cartella. I giudici della Suprema Corte, pertanto, dopo aver evidenziato che nel ricorso proposto da Equitalia è mancata una puntuale ed autosufficiente critica alla ragione giustificativa del diniego di forza probatoria dell’estratto della cartella ne dichiarano l’inammissibilità. Concessionario depositario del ruolo. Ai fini dell’ammissione al passivo del credito tributario, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che il concessionario per la riscossione dei tributi debba allegare all’istanza di insinuazione il ruolo di imposta che, ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. n. 46/1999, costituisce l’unico titolo esecutivo che legittima la riscossione coattiva delle entrate dello Stato, anche diverse dalle imposte sui redditi e di quelle degli altri enti pubblici, anche previdenziali, esclusi quelli economici . Con riferimento al ruolo, l’orientamento prevalente precisa che, ai fini dell’ammissione al passivo, documento idoneo è la copia dell’estratto di ruolo, vale a dire del documento compilato dallo stesso concessionario che riassume gli elementi del ruolo relativi al contribuente interessato, purché tale copia sia munita della dichiarazione di conformità all’originale resa dal collettore delle imposte secondo la giurisprudenza, tale copia costituisce infatti prova del credito, ai sensi dell’art. 2718 c.c. secondo cui le copie parziali o le riproduzioni per estratto, rilasciate nella forma prescritta da pubblici ufficiali che ne sono depositari e sono debitamente autorizzati, fanno piena prova solo per quella parte dell’originale che riproducono letteralmente , atteso che il collettore esercita le stesse funzioni dell’esattore, di cui è coadiutore art. 130, D.P.R. 15 maggio 1963, n. 858 , e che l’esattore, pur non rientrando tra i pubblici depositari – cui la legge attribuisce la funzione di tenere gli atti a disposizione del pubblico e che sono obbligati, ex art. 743 c.p.c., a rilasciare copia degli atti anche a chi non ne è parte – è tuttavia un depositario del ruolo, datogli in consegna dall’intendente di finanza art. 24, D.P.R. n. 602/1973 , ed inoltre è autorizzato a rilasciare copia, ai sensi dell’art. 14 della legge 4 gennaio 1968, n. 15 secondo cui l’autenticazione delle copie,anche parziali, può essere fatta dal pubblico ufficiale presso il quale è depositato l’originale . Ha pregio, in proposito, osservare che nel caso che qui ci occupa si tratta appunto di estratti di cartella notificati dichiarati conformi agli originali da parte dello stesso concessionario e di correlati avvisi di ricevimento postale parimenti in copia dichiarata conforme dal medesimo soggetto. Il dubbio sulla reale avvenuta notifica della cartella promana dalla contestata limitazione attestativa, quanto a fidefacienza, che spetterebbe al concessionario il quale manterrebbe una potestà di autenticazione di atti da lui formati ovvero depositati ma solo se, all’apparenza, rilasciatagli da terzi. Limitatezza riproduttiva degli estratti della cartella. Nel decisum in commento, invero, il credito si vorrebbe qui dimostrato non con copia dell’estratto di ruolo bensì con un estratto della cartella. Il giudice di merito osserva che la nozione di estratto riproduttiva di una o più parti della cartella, eliminate a discrezione della parte attestatrice e che però se ne vuole avvalere in giudizio, ne preclude la forza probatoria in punto di notifica della più ampia cartella. Tale limitatezza riproduttiva - osservano gli Ermellini - non è decisiva in sé e per sé considerata, tanto che Equitalia avrebbe potuto contestarla mediante una descrizione precisa degli elementi della cartella contenuti nell’estratto prodotto, così da permettere il raffronto rispetto alla interezza di quel documento ed alla sufficienza esplicativa dell’estratto stesso. E’ invece mancata del tutto la trasposizione negli atti processuali di un contenuto minimo della cartella di pagamento che, al fine di esaurire l’offerta documentale degli elementi essenziali della cartella stessa e della sua avvenuta notificazione, ne permettesse perciò la disamina alla stregua del confronto di completezza con il precetto legale, così conclude la Prima Sezione della Suprema Corte.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 18 settembre - 4 ottobre 2012, numero 16929 Presidente Fioretti – Relatore Ferro Fatto e diritto IL PROCESSO. Il ricorrente Equitalia Pragma s.p.a. [Equitalia] impugna il decreto Trib. Tarante 19.1.2011 con cui, in conferma del decreto reiettivo sul punto del competente giudice delegato, venne rigettata la sua opposizione ai sensi dell'articolo 98 l.fall., volta all'ammissione allo stato passivo di quella procedura del credito, richiesto in privilegio ex artt. 2752 cod.civ. per Euro 19.971,61 ed in chirografo per 5.484,10. In particolare, il tribunale pugliese confermò la integrale non ammissione al passivo disposta dal giudice delegato per la non raggiunta prova della notifica tempestiva e rituale delle cartelle afferenti ai tributi , rigettando l'istanza sulla base dunque della insufficienza della documentazione a supporto della domanda. In particolare, il decreto qui avversato rigettò la domanda non avendo Equitalia dimostrato in modo certo di aver tempestivamente e regolarmente notificato al contribuente il titolo legittimante l'imposizione fiscale. 11 ricorso è affidato ad un motivo, ha resistito con controricorso il Fallimento opposto con deposito di memoria ex articolo 31S cod.proc.civ. da parte della ricorrente. I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE. Con Y unico motivo Equitalia deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2717 e 2718 cod.civ. e dell'articolo 24 del d.P.R. numero 602/1973, oltre che articolo 5, co.5, d.l. 31.12.1996, numero 669 in relazione all'articolo 360 n,3 cod.proc.civ., contestando che il decreto abbia omesso di considerare il concessionario come un depositario del ruolo che gli viene rilasciato dall'ufficio territorialmente competente in via telematica, con il potere, in quanto soggetto debitamente autorizzato e per quanto non pubblico ufficiale, di emettere idonea certificazione di detto ricevimento. Ne conseguirebbe l'avvenuta prova del credito ai fini dell'ammissione al passivo, trattandosi di documenti idonei a certificare l'intervenuta notifica al curatore anche ai fini interruttivi della prescrizione. 1. Va in primo luogo rigettata la doppia eccezione di inammissibilità e di improcedibilità del ricorso, quale sollevata dalla controricorrente procedura concorsuale. La data di deposito del provvedimento impugnato fa riferire invero al regime posteriore alla legge numero 69 del 2009 la disciplina del presente procedimento, con la conseguente assenza dell'obbligo di dotare l'impugnazione dell'abrogato quesito di diritto, a conclusione del motivo [Cass. 21020/2010 20323/2010 7119/2010], derivandone, per questa via, l’ammissibilità del ricorso. Esso è poi ammissibile nonostante altra censura del Fallimento, essendo rimasta in una configurazione del tutto generica e priva di ogni sviluppo esplicativo la pretesa non sussumibilità dei vizi del decreto tarantino alla stregua di violazioni di legge. 2. Nel merito, osserva il Collegio che il decreto impugnato ha espressamente dichiarato l'inammissibilità, per tardività della relativa produzione ai sensi dell'articolo 99 co. 1 numero 4 l.fall., della produzione in originale di tre avvisi di ricevimento postale, così ritenendo di non potere esaminare tali documenti al fine di apprezzare criticamente la valutazione di non assolvimento dell'onere probatorio, sul punto gravante su Equitalia e già non ottemperato alla stregua del primo decreto del giudice delegato. Per tale parte della decisione il thema decidendum radicato avanti al giudice di legittimità non può dirsi ricomprendere la relativa questione, in quanto essa - ancorché trattata criticamente a pag. 10 del ricorso ed avversata a pag.15 del controricorso - non è in alcun modo entrata in modo puntuale e specifico nel motivo di ricorso, risolvendosi pertanto in una richiesta di riesame del tutto inammissibile. 3. Ne consegue che questo giudice deve trattare l'unico vizio ritualmente introdotto, attinente al valore probatorio ascrivibile alla produzione documentale versata in atti da Equitalia e consistente nelle copie delle notifiche relative alle cartelle di pagamento insinuate e degli estratti di cartella notificati e già oggetto di insinuazione. Si è trattato di estratti di cartella dichiarati conformi agli originali da parte dello stesso concessionario e, per i limiti sopra evidenziati, di correlati avvisi di ricevimento postale parimenti in copia dichiarata conforme dal medesimo soggetto. 4. Il dubbio sulla reale avvenuta notifica della cartella e nelle forme prescritte dalla apposita normativa, con un contenuto su cui si segnala altresì il D.M. Finanze 3.9.1999, numero 321 in capo al contribuente e per esso al curatore promana dalla contestata limitazione attestativa, quanto a fidefacienza, che spetterebbe al concessionario il quale, ex articolo 5 co. 5 d.l. numero 669/1996, manterrebbe - a prescindere dal riferimento indiretto all'abrogato articolo 14 della l. 14 gennaio 1986, numero 15 ed ai conseguenti poteri assimilabili a quelli dell'esattore - una potestà di autenticazione di atti da lui formati ovvero depositati ma solo se, all'apparenza, rilasciatigli da terzi. Ai sensi del cit. articolo invero sono validi agli effetti della procedura di riscossione dei tributi i certificati, le visure e qualsiasi atto e documento amministrativo rilasciati, tramite sistemi informatici o telematici, al concessionario del servigio della riscossione dei tributi qualora contengano apposita asseverazione del predetto concessionario della loro provenienza . Nella vicenda, peraltro, rileva la significativa distinzione di fatto rispetto al precedente richiamato in ricorso cui è omogeneo il successivo di Cass. 25962/2011 per cui il credito si vorrebbe qui dimostrato non con una copia di una parte del ruolo fattispecie per la prima volta considerata sufficiente da Cass. 4426/1994 e nemmeno con una copia della cartella bensì con un estratto della cartella, un'asseverazione che, secondo il provvedimento impugnato, non assume la particolare forza di validità di cui alla menzionata disposizione e, per effetto della diretta contestazione subita quanto alla sua efficacia e per tutto il corso del giudizio, nemmeno rinvia a circostanze che possano dirsi riconosciute o non disconosciute. Ma prima ancora di una disamina aggiornata della latitudine dei poteri asseverativi del concessionario in termini di perdurante richiamo anche solo indiretto alle attestazioni di cui all'articolo 2718 cod.civ., - ove gli si riconoscesse la qualità certa di pubblico ufficiale - non risulta scalfita da coerente critica la statuizione del giudice di merito, ove ha osservato che è proprio la nozione di estratto, riproduttiva di una o più parti della cartella, eliminate a discrezione della parte attestatrice e che però se ne vuole avvalere in giudizio, a precluderne la forza probatoria in punto di notifica della più ampia cartella. Tale affermazione, peraltro ed in via di precisazione cui il Collegio si appresta in ragione dello svolgimento del contraddittorio in questa sede , non è decisiva in sé e per sé considerata e dunque come principio di esclusione programmatica, in capo al concessionario, della qualità di pubblico ufficiale questione autonoma ma logicamente gradata e dunque allo stato di non necessario esame , ma in quanto discende da uno specifico e preliminare difetto del ricorso in esso è mancata una puntuale ed auto sufficiente critica alla ragione giustificativa del diniego di forza probatoria della citata riproduzione documentale, priva - ad avviso del tribunale tarantino — di tutte le indicazioni obbligatoriamente prescritte dall'articolo 25 del d.P.R. numero 602 del 1973, cui si possono aggiungere gli elementi di cui al D.M. 3.9.1999, numero 321. Equitalia, infatti, per dispiegare tale censura nella sede di legittimità avrebbe dovuto indicare, e non vi ha provveduto, in quale parte delle proprie impugnazioni o difese avrebbe contestato tale limitatezza riproduttiva innanzitutto mediante una descrizione precisa degli elementi della cartella contenuti nell'estratto prodotto, così da permetterne il raffronto rispetto alla interezza di quel documento ed alla sufficienza esplicativa ai primi astrattamente ascrivibile. È invece mancata del rutto la trasposizione negli atti processuali di un contenuto minimo della cartella di pagamento che, al fine di esaurire l'offerta documentale degli elementi essenziali della cartella stessa e della sua avvenuta notificazione, ne permettesse perciò la disamina alla stregua del confronto di completezza con il precetto legale, ex articolo 6 D.M. 3.9.1999, numero 321. Il motivo è, per tale parte, inammissibile. Tale difetto si correla alla violazione del principio per cui il ricorso deve assolvere al principio di completezza della funzione individuativa del suo contenuto, dovendo tutelare, a garanzia della difesa dell'intimato, un corretto svolgimento del processo, in quanto la controparte va posta in condizione di conoscere cosa e dove è stato prodotto in sede di legittimità [Cass. 15628/2009]. Se peraltro il ricorso non omette di segnalare che vi sia stata la produzione degli estratti di cartella e delle copie conformi delle notifiche, è invece del tutto assente la loro riproduzione nel ricorso per cassazione ne è mancata l'integrale trascrizione e nemmeno vi si rinviene alcuna riassunzione del contenuto essenziale [Cass. 22303/2008 2966/2011], violandosi pertanto, per questa via, l'articolo 366, co. 1, numero 6 cod.proc.civ 3. Il ricorso va conclusivamente dichiarato inammissibile, con condanna alle spese secondo le regole della soccombenza e liquidazione come da dispositivo, ai sensi dei parametri del D.M. 20 luglio 2012, numero 140. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore della controricorrente, che si liquidano in complessivi Euro 2.700, oltre ad accessori di legge.