Il rigetto della domanda di omologazione non è più conseguenza automatica di fallimento d’ufficio

Al centro dell’attenzione l’illegittimità del fallimento dichiarato d’ufficio, ex art. 173, primo comma, l.fall. nella formulazione originaria anteriore alle modifiche introdotte dal correttivo , conseguente al previo rigetto della domanda di omologazione di concordato preventivo ed alla successiva inammissibilità di una nuova domanda di concordato per l’esistenza di fatti ostativi.

A seguito delle modifiche introdotte dal decreto correttivo n. 169/2007, il fallimento richiede o l’iniziativa del debitore, di uno o più creditori o del pubblico ministero e l’accertamento in concreto sia dei requisiti di cui all’art. 1 l.fall. sia dello stato di insolvenza dell’imprenditore, di cui all’art. 5 l.fall Pertanto, è illegittima la dichiarazione di fallimento ex officio in mancanza di un ricorso o di un’istanza dei soggetti legittimati a formulare tale richiesta, ai sensi dell’art. 6 l.fall. Il fatto. Il caso trae origine dall'impugnazione per cassazione presentata da parte di una società in liquidazione avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello aveva rigettato la sua impugnazione contro la sentenza dichiarativa del fallimento d’ufficio della stessa. Difatti, il Tribunale di Milano aveva dapprima ammesso la società alla procedura di concordato preventivo, quindi, promosso il giudizio di omologazione, poi respingeva la domanda di concordato, nella riscontrata esistenza di fatti ostativi ai sensi dell’art. 173 l.fall. e fissava udienza per l’audizione della società debitrice ex art. 15 l.fall., all’esito della quale, una volta dichiarata inammissibile una nuova domanda di concordato, ne dichiarava il fallimento. Pertanto, la predetta società lamenta che la Corte territoriale, una volta dichiarata inammissibile la nuova domanda di concordato, avrebbe dovuto rimettere gli atti al pubblico ministero, perché valutasse la sussistenza dei presupposti per una sua eventuale iniziativa, mentre procedendo sostanzialmente ad una dichiarazione di fallimento d’ufficio, è incorsa in una violazione dell’art. 6 l. fall. ciò tanto più che il testo vigente degli artt. 162 e 163 impongono, per la dichiarazione di fallimento susseguente alla inammissibilità od alla reiezione della domanda di concordato, la previa istanza dei creditori o la previa richiesta del pubblico ministero. Gli Ermellini accolgono in toto la censura annullando senza rinvio la sentenza impugnata. In particolare la Prima sezione, richiamando ex pluribus un recente precedente Cass. civ., 5657/2012 , ribadisce che la composizione di antinomie con alcuni articoli della legge fallimentare tra cui l’art. 162, secondo comma, e appunto l’art. 173, che, invece hanno continuato a prevedere ipotesi di dichiarazione di fallimento d’ufficio fintantoché non sono stati sostituiti ed armonizzati con l’art. 6 da alcuni articoli del predetto decreto correttivo n. 169/2007 va risolta nel senso della abrogazione tacita per incompatibilità delle norme della legge fallimentare contrastanti con l’art. 6, nella parte in cui ha soppresso l’istituto del fallimento d’ufficio. Potere istruttorio officioso del Tribunale ante riforma. Prima della riforma del 2006 l’iniziativa ex officio era ricondotta ad un potere di carattere generale riconosciuto in capo all’Ufficio fallimentare territorialmente competente si riteneva che il Tribunale dovesse agire tutte le volte in cui fosse pervenuta un’informazione qualificata, cioè una notizia ufficiale dello stato di insolvenza dell’imprenditore derivante, non solo dall’attività ordinaria del Tribunale fallimentare, ma anche da altre fonti quali ad esempio la trasmissione del bollettino dei protesti cambiari prevista dall’ormai abrogato art. 13 l.fall. e, naturalmente, dall’attività di altro Giudice civile secondo quanto disposto dall’art. 8 l. fall Nella prospettiva tracciata dall’art. 111 Cost., l’iniziativa officiosa prevista dall’art. 6 l.fall. tuttavia non trascurava di evidenziare alcuni dubbi di legittimità costituzionale per un prospettato contrasto con i principi di imparzialità e terzietà del giudice quale soggetto che, nell’impianto della legge fallimentare, promuove, istruisce e decide se assoggettare a fallimento l’imprenditore, con ciò configurando una violazione del principio della domanda che governa il processo civile. La Consulta cfr. Corte Cost. 15 luglio 2003 n. 240 , risolvendo il prospettato contrasto, aveva dichiarato non fondate le questioni di legittimità quando il Giudice, pur se il procedimento sia promosso d’ufficio, conservi una posizione di soggetto super partes ed equidistante rispetto agli interessi coinvolti. Tale principio, nell’interpretazione del Giudice delle leggi, non poteva dirsi compromesso ove la conoscenza di una situazione di fatto riconducibile allo stato d’insolvenza derivasse da una fonte qualificata, perché formalmente acquisita nel corso di un procedimento del quale il Tribunale era, come tale, investito. In queste ipotesi il Tribunale, conoscendo legittimamente del procedimento innanzi a sé pendente nel quale era parte l’imprenditore, recepiva la notitia decoctionis nella quale si fossero profilati i presupposti di cui agli artt. 1 e 5 l.fall., ed era tenuto ad aprire il procedimento fallimentare per accertare l’effettiva sussistenza di tali presupposti, esclusa ogni valutazione discrezionale al riguardo. Abolizione del fallimento d’ufficio. Tuttavia, la riforma del 2006 ha previsto l’eliminazione del potere officioso del tribunale il legislatore ha ritenuto in questo modo di risolvere il contrasto di quel potere con il principio del giusto processo, ed in particolare con i principi di imparzialità e terzietà del giudice, di cui all’art. 111 Cost. più volte richiamato criticamente dalla maggior parte della dottrina. Invero, la legge delega che ha introdotto la riforma non conteneva alcuna indicazione in questo senso, il che potrebbe far ritenere la soppressione viziata d’incostituzionalità. E, difatti, di recente lo stesso tribunale meneghino lo scorso 31 maggio ha sottoposto tale questione alla Corte Costituzionale. Abrogazione tacita delle norme della legge fallimentare contrastanti con l’art. 6. Concludendo, la Suprema Corte ribadisce l’abrogazione tacita, per incompatibilità, delle norme della legge fallimentare contrastanti con l’art. 6, nella parte in cui ha soppresso l’istituto del fallimento d’ufficio.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 28 maggio - 10 settembre 2012, n. 15070 Presidente Carnevale – Relatore Di Palma Svolgimento del processo 1. - Con ricorso al Tribunale ordinario di Milano del 4 agosto 2006, la s.r.l. Computer Support Italcard C.S.I. in liquidazione chiese di essere ammessa alla procedura di concordato preventivo, ai sensi degli artt. 160 e seguenti della legge fallimentare e successive modifiche. Al riguardo, dedusse che, sussistendo uno stato di crisi dell'impresa, aveva programmato e pressoché attuato un piano di liquidazione dei beni azienda, immobile in condotto in locazione finanziaria, macchinari, partecipazioni in società collegate estere, crediti, materie prime mediante una serie di contratti conclusi con diversi acquirenti, tutti condizionati all'omologazione del richiesto concordato e che, se perfezionati, avrebbero consentito il pagamento, in misura integrale, dei creditori privilegiati e, in percentuale variabile tra il ventiquattro ed il ventotto per cento, dei creditori chirografari. Con decreto del 28 settembre 2006 il Tribunale adito dispose l'ammissione della Società alla procedura di concordato, dichiarandola aperta e fissando l'adunanza dei creditori, all'esito della quale la proposta venne approvata dal 58,15 % dei crediti ammessi. Promosso il giudizio di omologazione, il Tribunale, con decreto del 19-20 aprile 2007, respinse la domanda di concordato, nella riscontrata esistenza di fatti ad esso ostativi ai sensi dell'art. 173 della legge fallimentare, decreto che fu impugnato dalla Società. Con lo stesso decreto del 19-20 aprile 2001, il Tribunale fissò l'udienza del 10 maggio 2007 per l'audizione della Società debitrice ai sensi dell'art. 15 della stessa legge fallimentare, all'esito della quale - ritenuta inammissibile la nuova domanda di concordato depositata dalla Società il giorno precedente e riscontrati sia i requisiti dimensionali di cui all'art. 1 sia lo stato di insolvenza -, dichiarò il fallimento della s.r.l. Computer Support Italcard con la sentenza n. 229/07 del 31 maggio 2007. 2. - Avverso tale sentenza dichiarativa di fallimento la s.r.l. C.S.I. propose appello dinanzi alla Corte d'Appello di Milano, deducendone l'illegittimità in quanto essa 1 era stata emanata in pendenza dell'impugnazione del decreto del 19-20 aprile 2007 con il quale era stato respinta la domanda di concordato 2 era stata assunta nonostante che, in sede di audizione ai sensi dell'art. 15, non fosse stato contestato alla Società alcun atto di frode tra quelli contemplati dal menzionato art. 173, che pure era stato richiamato nella stessa sentenza dichiarativa di fallimento unitamente alla sussistenza dello stato di insolvenza 3 era stata deliberata previa dichiarazione di inammissibilità della nuova domanda di concordato preventivo depositata il 9 maggio 2007, inammissibilità che - invece - avrebbe dovuto essere preceduta dalla sottoposizione della nuova proposta all'adunanza dei creditori 4 era stata pronunciata d'ufficio nonostante l'incompatibilità dell'iniziativa officiosa di dichiarazione del fallimento - assunta dal Tribunale dopo il diniego di omologa del concordato - con il sistema riformato dal d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, nonostante cioè l'incompatibilità con tale sistema di una pronuncia dichiarativa di fallimento che consegua d'ufficio, sia pure nei casi espressamente previsti da disposizioni della legge fallimentare rimaste immutate, quale per l'appunto l'art. 173. La Corte adita, con la sentenza n. 2684/07 del 30 ottobre 2007, ha rigettato l'appello. In particolare, la Corte a quanto al motivo d'appello sub 3 , ha affermato Le censure così formulate [ ] non colgono il nucleo essenziale della ratio decidendi , che si incentra sul rilievo per cui al rigetto della domanda di omologazione, pronunciato nella riscontrata esistenza di una delle cause ostative contemplate dall'art. 173 l. fall., deve necessariamente far séguito la dichiarazione di fallimento della società proponente, ove ne risulti accertato lo stato di insolvenza, secondo quanto espressamente previsto dalla norma e nel rispetto della procedura dalla stessa delineata. Ha osservato, invero, il primo giudice partendo dal presupposto, incontestato, della persistente vigenza nel sistema della suddetta disposizione normativa, non modificata dalla novella - che, una volta intervenuto il giudizio negativo in merito alla omologazione del concordato preventivo e accertata, nel rispetto del diritto di difesa ex art. 15 l. fall., l'esistenza di uno stato di crisi economica con i connotati dell'irreversibilità, il Tribunale ha il dovere di dichiarare il fallimento dell'imprenditore , come avveniva nel regime previgente, non potendo neppure prendere in considerazione una nuova proposta eventualmente presentata nelle more tra il rigetto dell'omologazione e la convocazione del debitore, in presenza di una disposizione - l'art. 175, rimasto anch'esso immutato a séguito delle modifiche legislative - che nell'interpretazione giurisprudenziale maggioritaria individua il termine ultimo per la modificazione della proposta concordataria nel momento dell'adunanza dei creditori” inoltre, ha ritenuto inammissibile ogni ulteriore censura formulata al riguardo dall'appellante in una memoria, per di più non autorizzata, depositata in cancelleria il giorno antecedente all'udienza di discussione e nel corso di questa illustrata oralmente”, ciò alla stregua dell'effetto limitatamente devolutivo che il mezzo di impugnazione in oggetto ha nel vigente ordinamento processuale” viene richiamata la sentenza della Corte di Cassazione n. 6335 del 1998 b quanto al motivo d'appello sub 2 , ha affermato In assenza di qualsivoglia contestazione in merito alla correttezza della ricostruzione, nei suddetti termini, del sistema normativo, e, segnatamente, in merito all'individuazione di una rigida sequenza logico-giuridica temporale tra rigetto della domanda di omologazione per una delle ragioni indicate nell'art. 173 , accertamento di una situazione di insolvenza e dichiarazione di fallimento sia pure previa convocazione del debitore per l'esercizio del diritto di difesa , ne risulta palese l'incoerenza dell'addebito riguardante l'omessa contestazione, in sede di convocazione ai sensi dell'art. 15 l. fall., degli atti di frode, in senso lato, che hanno costituito la ragione del mancato accoglimento della domanda di omologazione del concordato, come pure di quello concernente l'individuazione, nello stato di insolvenza, dell'elemento fondante della dichiarazione di fallimento” c quanto al motivo d'appello sub 1 , ha affermato [ ] va detto che né l'art. 173, né altra norma di diritto positivo subordina l'attivazione della procedura per la dichiarazione di fallimento al passaggio in giudicato del provvedimento di diniego dell'omologa. Laddove agli inconvenienti di ordine pratico paventati dalla difesa dell'appellante sotto il profilo di una possibile vanificazione della proposta di concordato è possibile ovviare con i rimedi apprestati dall'ordinamento, ai quali la C.S.I. ha fatto nelle more ricorso, ottenendo, ex art. 19 l. fall., il richiesto provvedimento di sospensione della liquidazione fallimentare” d quanto al motivo d'appello sub 4 , ha affermato [ ] l'apparente antinomia tra il conservato tenore della suddetta disposizione normativa [art. 173] e l'art. 6 riformato in realtà non sussiste, essendosi con questa unicamente inteso delimitare il senso di una norma a tal punto indefinita nel prevedere la possibilità di pervenire ad una declaratoria d'ufficio, da rendere invalse interpretazioni ampiamente estensive, estese a tutte le ipotesi di acquisita conoscenza del dissesto di un imprenditore, e non già interferire su tassative ipotesi applicative volta a volta tuttora sancite nell'ambito della legge fallimentare”. 3. - Avverso tale sentenza la s.r.l. Computer Support Italcard C.S.I. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura, illustrati con memoria. Il Fallimento della s.r.l. Computer Support Italcard C.S.I. in liquidazione, benché ritualmente intimato, non si è costituito né ha svolto attività difensiva. 4. - Il Procuratore generale ha concluso per l'accoglimento del secondo motivo, con assorbimento degli atri. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo con cui deduce Violazione e falsa applicazione degli artt. 160, 162 e 163 l. fall., omessa e carente motivazione” , la ricorrente critica la sentenza impugnata cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera a , anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la domanda di concordato preventivo depositata il 9 maggio 2007, e - sul rilievo che tale pronuncia è stata la premessa necessaria e indispensabile per l'avvio del procedimento volto alla dichiarazione di fallimento” - sostiene che i Giudici a quibus hanno illegittimamente omesso - prima di dichiarare il fallimento - di sottoporre la nuova proposta di concordato alla votazione dei creditori, ciò in contrasto con le scelte del legislatore della riforma, il quale ha optato per una gestione fortemente privatistica delle crisi d'impresa, privilegiando la volontà della maggioranza dei creditori favorevoli alla soluzione concordataria. Con il secondo motivo con cui deduce Violazione e falsa applicazione della norma dell'art. 6 l. fall. - nel testo modificato dal D. Lgs. n. 5/06 -, e, occorrendo, del disposto dell'art. 15 delle preleggi con riferimento al rapporto tra l'art. 6 e l'art. 173 l. fall. ” , la ricorrente critica la sentenza impugnata cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera d , sostenendo che i Giudici dell'appello hanno illegittimamente dichiarato il fallimento in assenza di un ricorso o di un'istanza dei soggetti legittimati a formulare tale richiesta ai sensi dell'art. 6 della legge fallimentare debitore, uno o più creditori, pubblico ministero al riguardo, rileva che nella specie la Corte, una volta dichiarata inammissibile la nuova domanda di concordato, avrebbe dovuto rimettere gli atti al pubblico ministero, perché valutasse la sussistenza dei presupposti per una sua eventuale iniziativa, mentre, procedendo sostanzialmente ad una dichiarazione di fallimento d'ufficio, è incorsa nella violazione dell'art. 6 della legge fallimentare ciò, tanto più che il testo vigente degli artt. 162 e 163 impongono, per la dichiarazione di fallimento susseguente alla inammissibilità od alla reiezione della domanda di concordato, la previa istanza dei creditori o la previa richiesta del pubblico ministero. Con il terzo motivo con cui deduce Violazione del diritto di difesa - art. 24 Cost. - e del contraddittorio, non essendo stato elevata in sede di dichiarazione di fallimento - art. 15 l. fall. - la contestazione della commissione di nessun atto di frode ai sensi dell'art. 173 l. fall. omessa motivazione su di un fatto decisivo per il giudizio ” , la ricorrente critica la sentenza impugnata cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera b , anche sotto il profilo del vizio di motivazione, sostenendo che i Giudici dell'appello, per un verso, hanno violato il diritto di difesa della Società debitrice - omettendo di considerare che il Tribunale non le aveva contestato, in sede di udienza di convocazione della stessa Società di cui all'art. 15 della legge fallimentare, gli atti di frode , impeditivi dell'accoglimento della domanda di concordato preventivo e, conseguentemente, idonei alla promozione della dichiarazione di fallimento, ai sensi dell'art. 173, primo comma, della stessa legge fallimentare - e, per altro verso, hanno sostanzialmente omesso sia di esaminare i prodotti documenti riguardanti la procedura concordataria sia di motivare sul motivo di appello concernente la dedotta violazione del diritto di difesa. 2. - Per evidenti ragioni di priorità logico-giuridica, deve essere esaminato per primo il secondo motivo, con il quale si denuncia l'illegittimità della dichiarazione di fallimento della Società ricorrente ex officio , in mancanza di un ricorso o di un'istanza dei soggetti legittimati a formulare tale richiesta, ai sensi dell'art. 6 della legge fallimentare debitore, uno o più creditori, pubblico ministero . Il motivo merita accoglimento. Deve premettersi che, ai fini della individuazione della disciplina applicabile, la fattispecie è caratterizzata da questa sequenza processuale a la domanda della s.r.l. Computer Support Italcard, di ammissione alla procedura di concordato preventivo, è stata proposta con ricorso depositato il 4 agosto 2006 b il decreto con cui è stata disposta l'ammissione alla richiesta procedura è datato 28 settembre 2006 c il decreto che, all'esito del giudizio di omologazione, ha respinto la domanda di concordato - per l'esistenza dei fatti ostativi di cui testo originario del primo comma dell'art. 173 della legge fallimentare - ed ha fissato l'udienza di audizione degli organi della Società, ai sensi dell'art. 15 della stessa legge fallimentare, è del 19-20 aprile 2007 d la sentenza dichiarativa di fallimento della Società è stata pubblicata in data 31 maggio 2007 c il ricorso in appello della Società è stato depositato in data 20 luglio 2007 f la sentenza d'appello, come già rilevato, è stata pubblicata in data 30 ottobre 2007 g il ricorso per cassazione della stessa Società è stato notificato in data 12 dicembre 2007. Ciò premesso, non v'è dubbio che la dichiarazione di fallimento della Società ricorrente è stata pronunciata ai sensi dell'art. 173, primo comma, della legge fallimentare nel testo originario, anteriore alla sostituzione dell'intero testo dello stesso art. 173, ad opera dell'art. 14, comma 1, del d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169 -, secondo cui Il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve darne immediata notizia al giudice delegato, il quale, fatte le opportune indagini, promuove dal tribunale la dichiarazione di fallimento ”. Era appunto questo uno dei casi di promozione d'ufficio della dichiarazione di fallimento, ai sensi del previgente testo dell'art. 6 della legge fallimentare, il quale prevedeva che Il fallimento è dichiarato su richiesta del debitore, su ricorso di uno o più creditori, su istanza del pubblico ministero o d'ufficio ”. Ma, alla data della promozione del fallimento d'ufficio da parte del giudice delegato - coincidente con la pubblicazione del su menzionato decreto del 19-20 aprile 2007, con il quale, all'esito del giudizio di omologazione, è stata respinta la domanda di concordato preventivo ed è stata fissata l'udienza di audizione degli organi della Società, ai sensi dell'art. 15 della legge fallimentare - era già da tempo in vigore dal 16 luglio 2006 il nuovo testo dell'art. 6, primo comma, della legge fallimentare, sostituito dall'art. 4 del d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, il quale - nel prevedere che Il fallimento è dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero ” - ha certamente soppresso l'istituto del cosiddetto fallimento d'ufficio . Come sottolinea la relazione ministeriale all'art. 4 del citato d. lgs. n. 5 del 2006, L’articolo si propone la soppressione del fallimento d'ufficio risolvendo in tal senso, dopo lunghe dispute e ripetuti interventi della Corte costituzionale ordinanza n. 411 del 2002 sentenza n. 240 del 2003 , ogni possibile contrasto di tale previsione con il principio del giusto processo sancito dal nuovo art. 111 della Carta costituzionale” . A séguito dell'abrogazione, per nuova disciplina, della Iniziativa per la dichiarazione di fallimento così la immutata rubrica dell'art. 6 e della soppressione dell'istituto del fallimento d'ufficio, si sono determinate - nel periodo dal 16 luglio 2006, di entrata in vigore del d. lgs. n. 5 del 2006, al 1 gennaio 2008, di entrata in vigore del ci. lgs. cosiddetto correttivo n. 169 del 2007 - antinomie tra tale nuova disciplina ed alcuni articoli della legge fallimentare, tra cui l'art. 162, secondo comma, e appunto l'art. 173, che, invece, hanno continuato a prevedere ipotesi di dichiarazione di fallimento d'ufficio fintantoché non sono stati sostituiti ed armonizzati con l'art. 6 da alcuni articoli del d. lgs. n. 169 del 2007. La questione della composizione di tali antinomie è stata affrontata e decisa da alcuni precedenti di questa Corte - che il Collegio condivide e cui intende dare continuità - nel senso della abrogazione tacita, per incompatibilità, delle norme della legge fallimentare contrastanti con l'art. 6, nella parte in cui ha soppresso l'istituto del fallimento d'ufficio cfr. le sentenze n. 18236 del 2009 e 5657 del 2012 . 3. - Alle considerazioni che precedono consegue l'annullamento della sentenza impugnata che, in contrasto con tali precedenti, ha ritenuto nel caso di specie ancora vigente, pur dopo l'entrata in vigore del nuovo testo dell'art. 6, l'art. 173, primo comma, della legge fallimentare. L'annullamento deve essere disposto senza rinvio, ai sensi dell'art. 382, terzo comma, secondo periodo, cod. proc. civ., perché la dichiarazione di fallimento della s.r.l. Computer Support Italcard C.S.I. in liquidazione non poteva essere promossa dal giudice delegato ai sensi del più volte menzionato art. 173, primo comma, della legge fallimentare, da considerarsi tacitamente abrogato. Il primo ed il terzo motivo del ricorso restano assorbiti. 4. - La sostanziale novità della questione trattata giustifica la integrale compensazione delle spese dell'intero giudizio. P.Q.M. Accoglie il secondo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, e cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Compensa le spese dell'intero giudizio.