Attività d’impresa cessata? No, se dal registro non risulta la cancellazione

L’iscrizione nel registro delle imprese del decreto di cancellazione che, ex art. 2191 c.c., dispone la cancellazione della precedente cancellazione di una società dal medesimo registro, avendo effetto retroattivo, fa presumere - sino a prova contraria - la continuazione dell’attività d’impresa.

Questo il principio di diritto confermato dalla I sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza 11410/12. Il caso. Il Tribunale di Bologna dichiarava il fallimento della società AP.D. in liquidazione, che proponeva reclamo innanzi alla Corte d’Appello di Bologna. La Corte territoriale rigettava il ricorso, stabilendo che non fosse decorso il termine annuale previsto dall’art. 10 l.fall. dalla data della cancellazione della società dal registro delle imprese era, infatti, intervenuta la revoca di tale formalità, avente efficacia ex tunc. La Società impugnava per cassazione la sentenza d’appello. Doppia cancellazione. La questione sottoposta al giudice di legittimità verte sulla valutazione del rapporto tra revoca della cancellazione dal registro delle imprese e decorso del termine di cui all’art. 10 l.fall. in particolare, se, trascorso detto termine, sia configurabile una violazione dell’art. 3 Cost. derivante dalla conferma del decisum impugnato. La Suprema Corte, ritenuta manifestamente infondata la questione di costituzionalità così delineata e condividendo la valutazione del giudice d’appello, respinge il ricorso. Infatti, sulla base della giurisprudenza precedente sul tema cfr. Cassazione SS.UU., sent. n. 8426/10 , il decreto con cui il giudice ordina - ex art. 2191 c.c. - la cancellazione della precedente cancellazione dal registro delle imprese della società iscritta fa presumere fino a prova contraria la continuazione dell’attività. Dato che l’iscrizione del decreto determina solo la opponibilità ai terzi della insussistenza delle condizioni che avevano dato luogo alla cancellazione della società alla data in cui era stata iscritta , tale iscrizione determina la cancellazione con effetto retroattivo della estinzione della società.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 23 aprile – 6 luglio 2012, n. 11410 Presidente Vitrone – Relatore Cultrera Svolgimento del processo La Corte d'appello di Bologna con sentenza n. 539 depositata il 20 aprile 2009, ha disposto il rigetto del reclamo proposto dalla società AP Design s.r.l. in liquidazione avverso la sentenza del Tribunale di Bologna n. 119/20087 che ne aveva dichiarato il fallimento, sostenendo, per quel che rileva in questa sede, che non fosse decorso il termine annuale previsto dall'art. 10 legge fall., dalla data della cancellazione della società dal R.I. essendo intervenuta la revoca di tale formalità con effetto ex tunc e conseguente permanenza dell'iscrizione. La società AP Design ha impugnato la statuizione con ricorso per cassazione affidandolo ad unico motivo ulteriormente illustrato con memoria difensiva depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c., non resistito né dal curatore fallimentare né al creditore istante s.p.a. Filippo Fochi. Motivi della decisione La ricorrente pone la questione di diritto, confluita nel duplice quesito di diritto, lamentandone errata soluzione da parte della Corte del merito, se in caso di revoca della cancellazione di società dal R.I., il termine di cui all'art. 10 legge fall., sia irrimediabilmente decorso e, in caso di risposta negativa, comportante conferma del decisum” impugnato, se sia ravvisabile violazione dell'art. 3 della Costituzione. La questione controversa è stata risolta da questa Corte con la sentenza delle S.U. n. 8426/2010 che hanno affermato che In tema di dichiarazione di fallimento di una società, ai fini del rispetto del termine di un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, previsto dall'art. 10 legge fall., l'iscrizione nel registro delle imprese del decreto con cui il giudice del registro, ai sensi dell'art. 2191 cod. civ., ordina la cancellazione della pregressa cancellazione della società già iscritta nello stesso registro, fa presumere sino a prova contraria la continuazione delle attività d'impresa, atteso che il rilievo, di regola, solo dichiarativo della pubblicità, se avvenuta in assenza delle condizioni richieste dalla legge, comporta che la iscrizione del decreto, emanato ex art. 2191 cod. civ., determina solo la opponibilità ai terzi della insussistenza delle condizioni che avevano dato luogo alla cancellazione della società alla data in cui questa era stata iscritta e, di conseguenza, la stessa cancellazione, con effetto retroattivo, della estinzione della società, per non essersi questa effettivamente verificata né è di ostacolo a tale conclusione l'estinzione della società per effetto della cancellazione dal registro delle imprese, a norma dell'art. 2495 cod. civ., introdotto dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, atteso che la legge di riforma non ha modificato la residua disciplina della pubblicità nel registro delle opere . A questo principio si è ineccepibilmente ispirato il giudice del reclamo la cui decisione risulta pertanto immune dai vizi denunciati. La questione di costituzionalità, articolata con riguardo alla lesione dei principi di ragionevolezza e della certezza dei rapporti giuridici e argomentata in maniera non specifica, risulta manifestamente infondata. Tutto ciò premesso, deve disporsi il rigetto del ricorso senza provvedere al governo delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.