La società ha avuto problemi con i macchinari? Colpa del certificatore disattento

Con l’attività di certificazione di qualità marcatura CE , un soggetto verificatore esterno all’impresa e autorizzato fornisce attestazione scritta che un prodotto o un processo produttivo risulti conforme ai requisiti specificati da norme tecniche, garantendone perciò la validità nel tempo. Qualora l’ente certificato domandi l’inadempimento desumendolo dalla non conformità dei prodotti, comprovata da controlli istituzionali ad hoc, l’onere probatorio della bontà dell’attestazione grava sul certificatore.

Un collage di prodotti di origine diversa. Una s.r.l., con sede legale a Rescaldina, impiegata nell’attività di costruzione e di vendita di presse meccaniche, esponeva di aver ottenuto nel 1994 una certificazione obbligatoria secondo la Direttiva Macchine 89/392 CEE. L’attestato, in particolare, proveniva da un’altra s.r.l. con sede nel piacentino, ente autorizzato dal DD.MM. 28 luglio 1994 a intervenire in questo campo. L’Amministratore unico della società attrice spiegava che i modelli così certificati erano costituiti in parte da presse meccaniche con barriere comprate da un’altra azienda milanese, la quale si riforniva a sua volta in Francia. A seguito delle risultanze di un’ispezione della Cassa Regionale Assicurazione Malattie effettuata oltre le Alpi, la s.r.l di Rescaldina apportava alcune modifiche e poi provvedeva a ottenere un nuovo certificato. All’esito di tali interventi, accadeva che il Ministero francese del Lavoro incaricava un ente italiano di procedere ad ulteriori verifiche. S.r.l. fermata e arrabbiata. La perizia, con esito negativo, faceva sì che l’impresa emiliana si vedesse bloccata, in relazione ad alcuni modelli, l’attività di vendita e importazione dei macchinari. Per questo la società esponeva che, a causa degli errori di certificazione nei quali era incorsa la convenuta, si era dovuta dapprima sobbarcare costosi contenziosi in Francia, poi ingenti esborsi per ottenere certificazioni ad hoc e omologazioni nel nostro paese. Da qui la decisione di convenire la s.r.l. che, all’inizio della vicenda, in qualità di ente autorizzato a rilasciare attestazioni conformi alla Direttiva Macchine 89/932 CEE, aveva emesso il certificato. La convenuta contesta l’accusa di aver agito negligentemente, nega profili di responsabilità e afferma di aver lavorato, ai tempi del fatto, nel rispetto delle disposizioni all’epoca vigenti. La condanna. Il Tribunale di Piacenza accoglie la domanda della s.r.l. di Rescaldina. La società certificatrice è quindi condannata al pagamento di un’ingente somma di denaro a titolo di danno da responsabilità contrattuale. Con l’attività di certificazione di qualità marcatura CE un soggetto verificatore esterno all’impresa fornisce attestazione scritta che un prodotto ovvero un processo produttivo a seguito di valutazione, risulti conforme ai requisiti specificati da norme tecniche, garantendone perciò la validità nel tempo. Obbligazione di certificazione di marcatura CE. Rientra a tutti gli effetti nell’ambito della categoria dei contratti atipici. La prestazione principale del contratto è quella di fornire un’informazione completa ed attendibile circa la presenza di determinate qualità del macchinario, all’esito dell’esame della documentazione tecnica necessaria con assoluto divieto per il certificatore di suggerire eventuali soluzioni progettuali per rendere conformi i prodotti che non lo siano. Obbligazione di mezzi, di risultato oppure ibrida? Gli aspetti caratterizzanti rientrano in ambo le tipologie il professionista incaricato, da un lato, adempie a un’obbligazione di mezzi con riguardo all’attività di organizzazione dei controlli dall’altro, di risultato nel momento in cui si impegna ad attestare l’esattezza o meno della corrispondenza del prodotto allo standard previsto dalla normativa vigente. È quindi onere del certificatore – qualora l’ente certificato domandi l’inadempimento desumibile dalla non conformità dei prodotti – fornire la prova della conformità complessiva allo standard di riferimento ovvero far emergere che l’inadempimento è dipeso da impossibilità sopravvenuta a lui non imputabile.

Tribunale di Piacenza, sentenza n. 297/12 depositata il 3 maggio Estensore Sciaffino Fatto e diritto Con atto di citazione ritualmente notificato la s.r.l. C. Ce. da ora Ce. s.r.l. ,con sede legale in Rescaldina, in persona dell’Amministratore Unico, dopo aver premesso di svolgere attività di costruzione e di vendita di presse meccaniche fin dal 1955 esponeva che in data 21 dicembre 1994 aveva ottenuto dalla s.r.l. I.C.E.P.I., con sede legale in Pontenure PC ,quale ente autorizzato con DD.MM 28 luglio 1994 e 18 gennaio 1994 notificato CEE con il nr 0066, certificazione obbligatoria secondo la Direttiva Macchine 89/392 CEE , .dei macchinari da lei prodotti destinati al mercato europeo Esponeva,in particolare, che i modelli così certificati erano costituiti da presse meccaniche munite di barriere di protezione immateriali” che aveva acquistato dalla società EL.IND.CO di Lissone MI e che aveva in buona parte esportato in territorio francese. A seguito di un’ispezione effettuata dalla CRAM Cassa Regionale Assicurazioni Malattie in tale Stato detto Ente aveva, peraltro, rilevato alcune non conformità sul sistema elettrico di comando dei macchinari in oggetto , a causa delle quali le era stata imposta una serie di interventi di modifica che aveva eseguito , provvedendo a far di nuovo certificare le presse sempre da I.C.E.P.I. s.r.l. che, per la seconda volta , aveva emesso il relativo certificato di conformità dei macchinari così modificati . All’esito di tali interventi ,sempre secondo la prospettazione dell’attrice, era però accaduto che il Ministero Francese del Lavoro aveva incaricato l’Istituto Nazionale di Ricerca e della Sicurezza I.N.R.S. di eseguire una perizia sulle presse modello CCR-F 40 e 80 prodotte dalla s.r.l. Ce. . Poiché anche tale controllo aveva avuto esito negativo la società esponeva di aver subito dal Ministero Francese del Lavoro un arretè di divieto dell’esposizione ,della vendita ovvero dell’importazione dei macchinari con riguardo ad alcuni modelli di sua realizzazione, con contestuale avvio presso la Commissione Europea di Bruxelles di una clausola di salvaguardia ai sensi della previsione di cui all’art 7 della Direttiva 89/392/CEE. In sintesi la s.r.l. Ce. esponeva che, a causa degli errori di certificazione nei quali era incorsa la convenuta , essa si era vista costretta, dapprima ad affrontare costosi contenziosi in Francia e, quindi, a concludere una transazione con l’utilizzatore finale di un macchinario affrontando spese ingentissime , sia per ottenere la certificazione CEE in due versioni differenti da parte della s.r.l. I.C.E.P.I., risultata in entrambi i casi comunque, non regolare, e, sia per ottenere l’omologazione finale da parte di altro distinto soggetto certificatore, l’ I.N.R.S., essendosi, inoltre, dovuta attivare per restituire ai clienti francesi il prezzo delle presse a loro vendute avendo gli acquirenti risolto i relativi contratti di compravendita affrontando ulteriormente, consistenti costi per spese legali e per varie voci a suo avviso tutti addebitabili alla convenuta atteso il grave inadempimento contrattuale da lei posto in essere, rilevante anche quale illecito extracontrattuale. Poiché la s.r.l. I.C.E.P.I. si era rifiutata di riconoscere qualsivoglia responsabilità a suo carico, la s.r.l. Ce. esponeva di essersi vista costretta ad agire nei suoi confronti in sede contenziosa. Nel procedimento si costituiva la convenuta la quale contestava di aver agito in modo negligente, negava ogni profilo di responsabilità evidenziando di aver operato nel rispetto delle disposizioni all’epoca in vigore ,avendo rilasciato il proprio giudizio di conformità dei singoli macchinari in modo del tutto corretto. La convenuta chiedeva, comunque, di essere autorizzata a chiamare in causa la propria assicurazione La Previdente s.p.a. presso la quale aveva stipulato una polizza assicurativa R.C. rischi diversi proprio per essere, in caso di soccombenza, da essa manlevata. Autorizzata dal Giudice la citazione della terza chiamata,si costituiva a sua volta la Milano Assicurazioni s.p.a. già La Previdente Assicurazioni s.p.a., la quale contestava qualsivoglia profilo di responsabilità contrattuale della convenuta .Prospettava ,inoltre, l’inoperatività nel caso di specie della polizza a suo tempo stipulata con lei dato che la copertura assicurativa copriva eventuali danni causati a terzi tra i quali non poteva essere ricompresa la società certificata. Nel corso del procedimento,ammesse le prove dedotte dalle parti,venivano sentiti in qualità di testi M.P., A.G.E., S.M. ed U.Mo. mentre il legale rappresentante dell’attrice rendeva l’interrogatorio formale. Disposta dal Giudice c.t.u. al fine di accertare la sussistenza o meno degli errori di certificazione marcatura CE lamentati dall’attrice e al fine di quantificare gli eventuali danni da essa patiti,veniva nominato per l’incombente l’ing.Prof. S.Ca Eseguita l’indagine tecnica e forniti dal c.t.u. i richiesti chiarimenti, all’udienza del giorno 25 ottobre 2011 ,infine,le parti precisavano le rispettive conclusioni ed il Giudice,concessi i termini di legge per il deposito delle comparse conclusioni e delle eventuali repliche, tratteneva la causa in decisione. All’esito del giudizio ritiene il Tribunale di poter considerare sufficientemente accertate le seguenti emergenze processuali. A seguito dell’entrata in vigore a livello europeo in data 1° dicembre 1993 della c.d. Direttiva Macchine Direttiva n 89/392 CEE che imponeva requisiti essenziali di sicurezza per tutti i macchinari destinati alla commercializzazione nell’Unione Europea, direttiva recepita in Italia nel luglio del 1996 con D.P.R. 24 luglio 1996 n 459,la s.r.l. Ce., società produttrice di presse meccaniche, richiedeva in data 8 settembre 1994 alla s.r.l. ICEPI, Ente ufficialmente a ciò abilitato dal Ministero, il rilascio di certificazione CE per alcuni macchinari di sua produzione. In particolare emerge dai documenti prodotti dall’attrice doc 1-21 che la convenuta certificava in data 21 dicembre 1994, la conformità CE delle presse CCR-F modello 40,60,80,120 e 150, I1R modello 35,60,80,120 e 150, F2R 180,F1R 250 , CCRIF 45,60,80,120,150,70, modello IV,35,60 e 80 Detta società provvedeva,quindi, a rilasciare una seconda certificazione di conformità CE dopo che Ce. s.r.l. aveva apportato alcune modifiche al sistema elettrico di comando delle presse nella primavera del 1996 avendo in data 12 aprile 1996 la CRAM Cassa Regionale d’Assistenza Malattie francese notificato alla società SICMA di Issodun,che aveva acquistato dei macchinari dell’attrice,l’irregolarità del sistema elettrico di comando delle presse CCRF modelli 40 e 80 certificate da ICEPI con le relazioni n 144 e 146 del 1994 doc 1 e 3 attrice . Nel giugno seguente il Ministero del Lavoro francese trasmetteva alla convenuta note relative alle non conformità richiedendo i relativi fascicoli tecnici con specifico riferimento alle presse meccaniche CCRIF ,modello 45, certificate con relazione n 163 del 1994 doc 20 attrice ,1IR, modello 80, certificata con relazione n 53 del 1996 ,modello CCRF 60,certificato con relazione n 52 del 1996. A seguito di trasmissione di tale nota anche al Ministero dell’Industria del Commercio e dell’Artigianato ,detta Amministrazione richiedeva ulteriore documentazione ad entrambe le parti con specifico riguardo alle presse CCRIF 45,CCRF 80,40,1R 80,CCRF 60. doc 26 attrice ed incaricava l’INRS ,preposto alla verifica dei requisiti di sicurezza delle macchine ,di sottoporre a controllo i macchinari della serie CCRF modelli 40 e 80,per un complessivo numero di tre presse , presso le società SICMA di Issoudun e Hydroalluminium di Chateauroux, all’esito del quale l’INRS formulava una valutazione di non conformità rispetto alla Direttiva Macchine 89/392 CEE allegato IV doc 22-24 attrice . A seguito di tali valutazioni il Ministero del Lavoro francese trasmetteva al Ministero del Lavoro italiano e a ICEPI tre dossier inerenti alle verifiche svolte e in data 31 gennaio 1997 il Ministero francese emetteva un arretè vietando l’esportazione,la vendita e ogni forma di commercializzazione delle presse meccaniche dell’attrice relativamente alle serie CCRF mod 40,60,80,120 e 150,CCRIF modello 45,70,130 IV modelli 35,60 e 80 e I1R modelli 35,60,80,120 e 150 doc 25 attrice In data 10 marzo 1997 il Ministero del Lavoro francese avviava presso la Commissione Europea la procedura di cui all’art 7 della Direttiva macchine, cosiddetta clausola di salvaguardia , con riferimento alle presse CCRF modello 40,CCRF modello 80 CCRIF modello 45,CCRF modello 60,I1R modello 80. segnalando tale procedura agli altri Stati membri e al Ministero dell’Industria Italiano il quale incaricava l’ISPESL ,Istituto Superiore di Prevenzione Sicurezza Lavoro, di esaminare la pressa CCRF modello 80. Anche tale verifica si concludeva con esito negativo avendo l’ISPESL accertato delle non conformità sulla singola pressa esaminata,anche se non coincidenti con quelle rilevate da INRS doc 27 attrice . A sua volta nell’ambito del procedimento di verifica della legittimità della clausola di salvaguardia azionata dal Ministero del Lavoro francese , la Commissione Europea in data 29 maggio 1998 incaricava l’organismo certificatore AIB-Vincotte belga,di esaminare una pressa CCRF modello 80,verifica all’esito della quale l’Organismo indicato rilevava a sua volta l’esistenza di non conformità. A seguito del provvedimento del Ministero del lavoro francese la s.r.l. Ce. instaurava innanzi al Consiglio di Stato francese un giudizio per ottenerne l’annullamento con accoglimento della domanda a fronte di ciò, peraltro, il Ministero del Lavoro francese in data 9 giugno 1999 emetteva un secondo analogo provvedimento relativo alle presse CCRIF ,tutti i modelli, doc 29 attrice , mentre a sua volta la Commissione Europea,viste le conclusioni dell’organo di certificazione belga, in data 5 luglio 1999 , confermava gli stessi risultati valutando come fondato il provvedimento del Ministero francese con riguardo alle presse serie I1R tutti i modelli,serie CCRIF modelli 45 e 70 e CCRF tutti i modelli,prima e seconda certificazione ICEPI, ritenendo, invece, non giustificato,il provvedimento di interdizione quanto a tutti i modelli serie IV, ai modelli serie CCRIF modello 130 doc 30 attrice . Il Ministero del Lavoro, quindi, procedeva a far verificare le barriere immateriali installate dalla s.r.l. Ce. sulle presse meccaniche,e anche con riguardo ad esse l’INRS formulava giudizio di non conformità, pur a fronte di una certificazione CE peraltro non rilasciata da ICEPI doc 31 attrice . Analogo giudizio di non conformità veniva, formulato dal Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali Italiano e da ISPESL doc 32 e 33 attrice . Con specifico riguardo alla normativa di riferimento all’epoca dei fatti in contestazione si osserva che in data 1° dicembre 1993 a livello europeo entrava in vigore la Direttiva Macchine n 89/392 CEE che imponeva i requisiti essenziali di sicurezza che tutti i tipi di macchina avrebbero dovuto possedere per la commercializzazione nell’Unione Europea. A seguito dell’emanazione delle Direttive 89/392/CEE del Consiglio del 14 giugno 1989, 91/368/CEE del Consiglio del 20 giugno 1991, 93/44/CEE del Consiglio del 14 giugno 1993 e 93/68/CEE del Consiglio del 22 luglio 1993 art 6 in tema di riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine, veniva successivamente emanato il Regolamento per l’attuazione di dette Direttive con DPR n 459 del 1996 pubblicato sulla G.U. in data 6 settembre 1996 Con specifico riguardo,quindi,alla normativa di riferimento nelle more del DPR 459 del 1996 entrato in vigore a quasi due anni di distanza dall’emanazione della Direttiva in esame, si rileva che la stessa normativa comunitaria, all’art 13, espressamente prevedeva che gli Stati membri avrebbero consentito sino al 31 dicembre del 1994 l’immissione sul mercato o la messa in servizio delle macchine che fossero state conformi alle normative nazionali in vigore nel loro territorio alla data del 31 dicembre 1992. In ossequio all’art 5 della Direttiva macchine venivano successivamente emanante le varie norme di prodotto armonizzate relative alle specifiche norme tecniche di sicurezza previste per singole tipologie di macchine vedasi allegato E del c.t.u.,riportante l’elenco delle norme di interesse ,tra le quali, la norma armonizzata EN 692 presse meccaniche e sicurezza” inerente le specifiche tecniche per le presse recepita con decreto 12 marzo 1998. Ancora la stessa Direttiva prevedeva che in assenza di norme armonizzate gli Stati membri prendono le disposizioni che ritengono necessarie affinché siano comunicate alle parti interessate le norme e le specificazioni tecniche nazionali esistenti che sono considerate come documenti importanti o utili per l’applicazione corretta dei requisiti essenziali di sicurezza e sanitari dell’allegato 1” Da ultimo la previsione di cui al punto 166 della Normativa comunitaria sulle macchine,commento alla direttiva 98/37/CE , precisava che il principio generale enunciato chiaramente nel diritto comunitario ,ed,in particolare nella risoluzione del 7 maggio 1985 e nelle direttive di nuovo approccio è che le norme tecniche sono sempre facoltative la mancata conformità non è mai una inadempienza in sé,in quanto il concetto di inadempienza comporta sempre l’esistenza di un obbligo.La conformità ad una norma armonizzata comporta una presunzione di conformità alla normativa ed essendo un atto volontario,diventa un comportamento degno di merito da parte del fabbricante ,di cui le autorità deputate al controllo tengono conto nella politica di sorveglianza del mercato che conducono.Il mancato rispetto della norma non consente comunque di trarre la conclusione che il prodotto non sia conforme alla regolamentazione il fabbricante è infatti libero di prendere provvedimenti diversi da quelli stabiliti dalla norma.Va infatti sottolineato che le norme non sono infallibili tutte comportano i rischi caratteristici a tutti i documenti oggetto di lunghe trattative o di compromessi”. In sintesi dal combinato disposto delle disposizioni richiamate emerge come le norme tecniche europee armonizzate costituiscano un fondamentale supporto per il rispetto delle Direttive Comunitarie svolgendo una funzione di riferimento per i produttori in ordine ai criteri da seguire per progettare macchinari pericolosi .L’applicazione delle norme tecniche armonizzate comporta, infatti, che i prodotti realizzati beneficiano automaticamente di una presunzione di conformità, pur mantenendo dette norme tecniche natura volontaria quali traduzione delle regole tecniche . Tanto precisato con specifico riferimento al complesso quadro normativo all’epoca in vigore, si osserva che la difesa di parte attrice ha, innanzitutto, prospettato l’esistenza di profili di responsabilità contrattuale della società convenuta ICEPI s.r.l. per aver essa gravemente violato,fornendo un adempimento inesatto,gli obblighi su di lei gravanti assunti nella sua qualità di ente certificatore della conformità alla normativa CE delle presse meccaniche costruite ed esportate da Ce. s.r.l. nel mercato europeo, avendo, a suo avviso, sostanzialmente,certificato una conformità nel caso di specie insussistente. Il tema così prospettato,per la sua indubbia novità ,anche in relazione alla quasi totale assenza di precedenti di merito unico precedente specifico pubblicato e citato dalle difese delle convenute risulta essere Tribunale Monza, 3 febbraio 2004 n 431 in wwwaltalex.com , pone molteplici problemi interpretativi non appena si consideri la difficoltà stessa di individuare il contenuto degli obblighi gravanti sull’ente certificatore e la natura degli stessi tanto più in assenza,come avvenuto nel caso di specie,di qualsivoglia accordo scritto intercorso tra le parti. Quanto al primo profilo,ritiene questo Giudice di poter ,innanzitutto, condividere la definizione elaborata dalla giurisprudenza amministrativa la quale ha definitivo l’attività di certificazione di qualità come una procedura con la quale un soggetto verificatore esterno all’impresa, terzo e indipendente,che sia a ciò autorizzato,c.d. organismo certificatore, fornisce attestazione scritta che un prodotto ,processo produttivo o servizio,a seguito di valutazione,è conforme ai requisiti specificati da norme tecniche,garantendone la validità nel tempo,attraverso un’adeguata attività di sorveglianza Tar Molise,11 febbraio 2003,n 187 . Detta attività di certificazione trova fondamento e giustificazione nell’attività di normazione in precedenza richiamata,la quale nasce quale risposta all’esigenza di creare modelli di produzione uniformi dovendo il certificatore verificare la conformità dei prodotti a quei modelli secondo la normativa tecnica di riferimento c.d. norme tecniche. L’obbligazione così assunta dal certificatore si pone nell’ambito della categoria dei contratti atipici , espressione del principio di autonomia contrattuale di cui all’art 1322 c.comma , e comporta, quale prestazione principale, lo svolgimento da parte di detto soggetto di una attività di verifica al fine del rilascio,eventuale e non obbligatorio ,del certificato di conformità . al di fuori di qualsivoglia suo rapporto di dipendenza o di subordinazione con l’ente da certificare ,incompatibile con la natura stessa dell’attività di controllo a lui demandata . Se, dunque,proprio per tale ragione si deve escludere che l’attività del certificatore sia assimilabile a quella di un consulente industriale, ovvero a quella propria di un mandatario ,presentando ,invero,elementi che lo avvicinano piuttosto alla prestazione del revisore contabile, che agisce in autonomia, si deve evidenziare come suo obbligo fondamentale sia non già quello di garantire che un bene sia immune da vizi,ma quello di fornire una informazione completa ed attendibile circa l’esistenza di determinate qualità, nel caso di specie,attinenti alla sicurezza,del prodotto certificato,all’esito dell’esame di tutta la documentazione tecnica necessaria con assoluto divieto di suggerire eventuali soluzioni progettuali per rendere conformi prodotti che non lo siano . In considerazione della fonte contrattuale dell’obbligazione assunta dal certificatore consegue ad essa come sia ben ravvisabile una eventuale responsabilità contrattuale del medesimo anche a prescindere dalla circostanza di non aver il prodotto da lui erroneamente certificato come conforme arrecato danni alla persona di terzi ,dal momento che, pur in assenza di un pregiudizio diretto ad essi, si può astrattamente ipotizzare una responsabilità del certificatore nei confronti del soggetto certificato ogni qual volta il primo abbia inesattamente fornito l’attività a lui richiesta dalla quale sia derivato un danno diretto ed immediato a quest’ultimo. Sempre sotto il profilo dell’inquadramento sistematico, si osserva, ancora, che diversamente da quanto ritenuto da altra giurisprudenza di merito Tribunale di Monza cit. con specifico riferimento alla natura dell’obbligazione in esame, la qualificazione di essa quale obbligazione di mezzi appare del tutto riduttiva. Premesso,invero,che la tradizionale distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato ha trovato ormai il suo definitivo superamento nella stessa giurisprudenza della Corte di Legittimità Cass.sez.unite, 28 luglio 2005 n 15781, non appena si consideri come sussistano obbligazioni di risultato in ogni ambito professionale ,anche se con caratteristiche differenziate,a seconda del settore oggetto di valutazione vedasi in materia di responsabilità medica,piuttosto che in tema di responsabilità notarile,ovvero forense,ovvero,ancora in tema di responsabilità di attività proprie di professionisti tecnici Cass 8826/2007 Cass 14759/2007 Cass 16023/2002 Cass 11728/2002 , si deve evidenziare come l’attività di certificazione presenti inscindibili aspetti di entrambe le obbligazioni indicate. Il professionista che fornisce detta prestazione svolge una obbligazione di mezzi con riguardo all’attività di organizzazione dei controlli da effettuare mentre fornisce un’obbligazione di risultato nel momento in cui si impegna ad attestare l’esattezza o meno della corrispondenza del prodotto certificato agli standard previsti dalla normativa di riferimento. Come evidenziato da parte degli studiosi che si sono interessati del tema in oggetto,si è correttamente sottolineato che il certificatore, al termine dei controlli tecnici esperiti, si obbliga in ogni caso a garantire la veridicità dell’informazione resa, sia nell’ipotesi in cui essa consista nel rilascio della relativa certificazione,sia nell’ipotesi in cui la neghi con un giudizio di non conformità, integrando tale risposta sia essa positiva o negativa un risultato contrattualmente dovuto . Consegue a ciò che, attesa la duplice natura dell’obbligazione in oggetto,l’eventuale responsabilità contrattuale del certificatore dovrà essere fatta oggetto di indagine ,secondo i principi generali di cui all’art 1218 c.c., ogni qual volta il creditore, ente certificato, abbia allegato l’inadempimento del certificatore desumibile dalla non conformità dei prodotti da lui inesattamente certificati ad esempio a determinati standard di sicurezza, ,gravando invece , su questi fornire la prova della conformità di essi agli standard di riferimento ovvero provare che l’inadempimento è dipeso da impossibilità sopravvenuta a lui non imputabile . In altri termini, nell’ipotesi di certificazione accertata essere non veritiera si configurerà di per sé l’ inadempimento del debitore certificatore, con la conseguenza che graverà su questi fornire la prova dell’assenza di tale inesatto adempimento ovvero la prova della riconducibilità di essa ad una causa a lui non imputabile in termini con specifico riguardo all’onere della prova,Cass.sez.I,15 luglio 2011,15659 Cass. 13533/2001 , fermo restando ,secondo i principi generali,l’onere a carico del creditore di provare di aver subito, a seguito dell’inesatto adempimento del certificatore, dei danni patrimoniali o non, causalmente riconducibili al suo operato . Procedendo,pertanto,alla verifica di tali assunti con specifico riferimento alla articolata fattispecie in esame, si osserva che al fine dell’accertamento nel caso specifico dell’eventuale inesatto adempimento dell’attività di certificazione richiesta alla s.r.l. Icepi nessun rilievo risolutivo può essere dato alla circostanza temporale costituita dal fatto che, all’epoca delle certificazioni in contestazione,rilasciate nella loro prima versione ,il 21 dicembre 1994, fosse ancora in vigore il cosiddetto periodo transitorio . senza necessità di applicazione delle cosiddette norme armonizzate Ed, invero,il c.t.u. nominato , nel rispondere ai singoli quesiti a lui rivolti dal Giudice, ha,infatti,precisato come i punti di non conformità alla fine individuati quadro di controllo elettrico-elettronico e barriera immateriale di protezione debbano essere considerati tecnicamente tali sia qualora valutati alla luce della normativa precedente che di quella armonizzata. Consegue a ciò,fermo restando la necessità di verificare la correttezza delle singole conclusioni raggiunte dall’esperto, che ai presenti fini non appare significativa la circostanza temporale costituita dall’intervenuto rilascio delle singole certificazioni poi contestate nell’ambito del c.d. periodo transitorio . Una volta richiamata la normativa di riferimento procedendo,quindi,all’esame delle valutazioni esposte dal c.t.u. nel suo elaborato si osserva che questi ha innanzitutto evidenziato come la normativa 89/392 CEE ,Direttiva Macchine, non indichi,quantificandoli, gli standard di sicurezza che devono essere rispettati dai macchinari,sancendo solo il principio generale secondo il quale le componenti di sicurezza devono essere conformi ai requisiti essenziali che,pertanto, può essere soddisfatto attraverso la scelta da parte del progettista e del costruttore di soluzioni tecniche anche notevolmente differenziate tra di loro. In particolare il c.t.u. ha evidenziato che la Direttiva Macchine non fissa neppure il livello minimo di probabilità di sicurezza di un macchinario al fine di considerare l’oggetto da certificare conforme o non conforme, e, quindi accettabile per l’apposizione del marchio CE, con la conseguenza che, non essendo codificate valutazioni intermedie ma solo un giudizio di conformità o di non conformità finale ben si può comprendere come il confronto tra le analisi svolte dai vari Enti certificatori si possa essere svolto nel caso di specie evidenziando ognuno di loro aspetti tecnici differenti anche dello stesso macchinario variamente valutati al fine della formulazione di un giudizio complessivo di sicurezza o meno della medesima macchina utensile. In tale contesto indubbiamente complesso il c.t.u. .secondo un criterio di analisi che questo Tribunale intende condividere,in quanto fondato su argomentazioni sistematiche, ha quindi, adottato quale criterio interpretativo quello di catalogare le eventuali non conformità accertate secondo tre distinte categorie di non conformità,così come operato dall’Ente certificatore belga AIB Vincotte, secondo il grado di maggior o minor pericolo per la sicurezza del lavoratore derivante astrattamente dalle non conformità medesime. L’ing.S.Ca. ha così distinto le non conformità in categoria A, significativa di non conformità caratterizzate da consistente probabilità di produrre danni importanti a cose e a persone, in categoria B, che contraddistingue le non conformità formali,con riguardo a situazioni produttive di rischi molto poco probabili e rivolti a danni di modesta entità solo a cose, e in categoria C che identifica difformità migliorabili ,relative a piccole variazioni ,ridondanze o accessori tecnicamente consigliabili, evidenziando come in presenza anche di una sola non conformità di tipo A, significativa di probabilità o di gravità di danno,non possa essere conferito il marchio CE, che neppure potrà essere conferito in presenza di un numero consistente di non conformità di tipo B , dal momento che, pur rappresentando esse singolarmente un rischio modesto,nella quantità potrebbero produrre combinazioni spesso di difficile prospettazione, tali da favorire l’insorgere di rischi di entità ben maggiore. Con riguardo,quindi, alle singole non conformità esaminate sotto il profilo strettamente tecnico si osserva che il c.t.u. le ha catalogate in quattro classi differenti a seconda che fossero relative a 1 carenze di forniture,2 ad una progettazione migliorabile ma non sostanzialmente errata,3 ad una progettazione errata ma facilmente rimediabile e 4 ad una progettazione errata da rifare ,per poi concentrare la sua attenzione con riferimento a due specifici temi valutati in maniera concorde da tutti gli Enti di controllo, sia italiani che esteri che se ne erano interessati ,dopo la certificazione rilasciata dalla società convenuta, costituiti da problemi di natura tecnica inerenti il quadro di controllo elettrico-elettronico e la barriera immateriale di protezione delle presse meccaniche prodotte dalla s.r.l. Ce. e certificate nel loro complesso con marcatura CE da Icepi Orbene,,con riferimento al sistema di controllo elettrico-elettronico, si deve innanzitutto subito escludere qualsivoglia rilievo per un giudizio di non conformità del macchinario,diversamente da quanto sostenuto dalla difesa di parte attrice, alla circostanza valutata invece quale idonea a sorreggere un giudizio di non conformità della macchina da parte dell’Ente di controllo francese INRS di aver il costruttore impiegato nelle presse un PLC controllore logico programmabile per assicurare le funzioni di sicurezza diretta punto 2.2. della relazione di INRS allegato K c.t.u. . .Ed, invero,sul punto il c.t.u. ,procedendo ad una valutazione cauta, ha sottolineato come l’impiego indicato non giustifichi di per sé un giudizio di non conformità del macchinario che affidi a tale sistema il controllo delle sue funzioni di sicurezza, occorrendo verificare,come invece non risulta essere stato effettuato dall’Ente francese , a tal fine anche le funzioni di autodiagnostica del sistema medesimo in grado ,in presenza di una progettazione corretta, di provocare comunque il blocco immediato dell’alimentazione di potenza e quindi,il congelamento di ogni movimento con segnalazione di allarme in emergenza,pur apparendo opportuno che il livello di sicurezza ultimo sia realizzato in logica cablata assegnando al PLC funzioni meno pericolose. Se,dunque tale elemento tecnico non è stato valutato dal c.t.u. come da solo significativo per un giudizio di non conformità, si osserva,quindi,che questi ,invece, , con riguardo al quadro elettrico elettronico montato sulle presse meccaniche prodotte da parte attrice è giunto a significative conclusioni, pur avendo precisato di non aver potuto svolgere alcun controllo della sua funzionalità, non avendo avuto a disposizione nessuna delle presse meccaniche in contestazione. In particolare l’ing.S.Ca., all’esito dell’esame delle fotografie messe a sua disposizione doc 22,23 ha rilevato come sulla portina del quadro elettrico non sia effettivamente opportuno installare ,come invece risulta essere stato fatto nel caso di specie, apparecchiature delicate a causa delle vibrazioni che si possono manifestare sul quadro medesimo e ha, inoltre,rilevato come appaia eccessiva la densità dei dispositivi ivi installati ,.dal momento che uno spazio maggiore per la loro collocazione consente ed agevola interventi di controllo per la ricerca di guasti o per la manutenzione. Ancora ha osservato che se effettivamente non avendoli potuti controllare direttamente il quadro elettrico non avesse presentato i riferimenti su certi cavi e la messa a terra corretta tale quadro sarebbe risultato non conforme per la normativa elettrica, così come non conformi apparivano gli schemi elettrici forniti a corredo allegato J alla c.t.u. risultati poco leggibili e non utilizzabili in caso di intervento di urgenza ,e così mantenuti immutati nelle loro caratteristiche per quanto redatti in ben tre versioni diverse nel corso del tempo. Con riguardo a dette problematiche il c.t.u. ha,quindi, precisato che pur non essendo esse riconducibili ,sotto il profilo tecnico, nell’ambito della categoria A, tali non conformità proprie del quadro di controllo sono nel loro complesso idonee a sorreggere un giudizio di non conformità finale della pressa meccanica . L’ing.S.Ca. ha,pertanto,ritenuto di poter affermare che ICEPI,anche assumendo che abbia seguito correttamente la procedura di certificazione ,nel merito e,quindi,con riguardo alla decisione assunta di attribuire il marchio CE ha sistematicamente errato,appunto in riferimento allo stato del quadro di controllo elettrico-elettronico”. Orbene, ritiene il Tribunale di dover condividere le valutazioni di natura tecnica sul punto espresse dal c.t.u. ,in quanto fondate su un attento esame di tutti i documenti a lui sottoposti, non avendo invece rilievo le obiezioni svolte a riguardo da parte convenuta la quale,in particolare,ha contestato le valutazioni di natura tecnica così raggiunte evidenziando come esse siano state svolte sulla base di un mero esame visivo di fotografie ovvero sulla base di schemi elettrici acquisiti dal consulente nel corso delle sue indagini oltre i termini istruttori di legge. Le censure così articolate non possono,infatti, trovare accoglimento .non appena si consideri come gli schemi elettrici siano stati acquisiti dal c.t.u. al fine di fornire una compiuta risposta di natura esclusivamente tecnica ai quesiti a lui posti dal Giudice senza che, inoltre, con riguardo ad essi, siano state svolte nel corso del giudizio formali e tempestive eccezioni ma solo contestazioni generiche da parte di ICEPI e non appena si tenga presente come l’esperto abbia potuto formulare le proprie valutazioni all’esito di un esame diretto anche delle fotografie che evidenziavano tali risultanze Procedendo,quindi, all’esame delle conclusioni raggiunte dall’esperto con riferimento alle barriere immateriali , da lui indicate come il secondo tema di indagine concordemente ritenuto significativo in termini negativi da parte di tutti gli Enti di controllo che si erano interessati della vicenda in oggetto,si osserva che il c.t.u. ha in primo luogo evidenziato come detta barriera costituisca la prima protezione per l’operaio che lavori presso il macchinario ,avendo la finalità di bloccare in presenza di un corpo che l’attraversi,la discesa della mazza. Proprio in considerazione di tale delicatissima finalità ha , pertanto, sottolineato come detta componente assuma un rilievo di portata predominante ai fini della tutela del lavoratore,ben potendo derivare da un suo errato funzionamento danni altamente probabili e gravi alla sua persona, tali da giustificare l’inquadramento della eventuale non conformità della sua realizzazione nell’ambito della categoria A . Ciò precisato il c.t.u. ha precisato che nel caso in esame le presse meccaniche sono state assemblate con l’impiego di un tipo di barriera elettrosensibile a raggi infrarossi attivi , costruita ad opera della s.r.l. EL.IND.CO . Ancora ha evidenziato come detta componente presentasse una serie di difetti significativi, chiaramente illustrati nella relazione predisposta da INRS allegato K pagg 15 e 16 e ha chiarito come con riguardo a dette componenti l’Ente di certificazione Icepi si sia limitata ad utilizzare l’autocertificazione rilasciata dalla ditta costruttrice secondo una facoltà prevista dalla normativa di riferimento, pur in presenza di errori tecnici gravi quanto alla regolarità di loro funzionamento ,senza svolgere alcun diretto ulteriore controllo. Una volta così esaminate le carenze tecniche accertate dal c.t.u., delicata questione interpretativa sottoposta all’esame del Tribunale è,innanzitutto,quella di verificare se le valutazioni espresse dall’esperto .,in alcuni punti di non immediata comprensione,siano significative in modo univoco di un inesatto adempimento della società convenuta per aver essa certificato la conformità di presse risultate ,invece,non meritevoli della marcatura CE, ovvero,al contrario, come sostenuto dalla difesa della convenuta, dell’assenza di qualsivoglia suo inadempimento. Ed,invero,tale problema interpretativo si pone non appena si consideri che sia con riferimento alle difformità del quadro elettrico-elettronico,sia con riguardo alle difformità delle barriere immateriali di sicurezza in precedenza analizzate, il c.t.u. ha operato un distinguo terminologico nel suo elaborato evidenziando come in entrambi i casi la convenuta ,nella sua veste di ente certificatore abbia operato in modo formalmente” corretto,quanto alla procedura di certificazione seguita, ma abbia commesso violazioni sostanziali” gravi, quanto al rispetto delle regole tecniche del settore , avendo ,in sostanza, certificato come conformi macchine potenzialmente pericolose per la sicurezza del lavoratore Ritiene il Tribunale che tale apparente contraddizione terminologica possa e debba trovare soluzione facendo riferimento alla natura e alla finalità dell’attività richiesta al certificatore CE . Una volta chiarito,come esaminato in precedenza,come l’attività che il certificatore deve fornire sia essenzialmente quella di svolgere tutte le verifiche del caso al fine di attestare la conformità o la non conformità di un determinato prodotto,nel caso di specie presse meccaniche,agli standard di sicurezza richiesti nel settore, non pare dubitabile come l’attività svolta dal medesimo non si possa esaurire nell’avere questi materialmente fatto dei controlli ,seguendo un determinato iter ,ovvero verificando sulla base di documenti che altri soggetti li abbiano fatti,ma debba necessariamente consistere in un controllo effettivo sotto il profilo tecnico della sicurezza del macchinario esaminato, tanto più qualora, come precisato nel suo elaborato dal c.t.u. , gli elementi risultati non conformi siano tali anche secondo la normativa interna non ancora armonizzata. Nel caso di specie si osserva che l’ing. S.Ca. ,sia pure con cautela ,ha dovuto affermare come con specifico riferimento alle barriere immateriali e al quadro elettrico-elettronico delle presse meccaniche in contestazione ,quanto meno sotto il profilo degli schemi elettrici e della realizzazione del quadro, siano ravvisabili profili di non conformità dei macchinari medesimi agli standard di riferimento, significativi per la sicurezza degli operatori, tanto da dover alla fine concludere nel senso che detti macchinari per come erano stati assemblati, non avrebbero dovuto ottenere il certificato di marcatura CE invece rilasciato pur avendo la convenuta svolto formalmente” l’attività di controllo a lei richiesta . A fronte di tali valutazioni che questo Giudice intende far proprie,in quanto fondate su un’attenta analisi di tutti gli atti a disposizione,per una differente conclusione al fine di escludere l’inadempimento della s.r.l. Icepi non può essere condivisa l’obiezione della sua difesa nella parte in cui essa ha evidenziato come le barriere immateriali fossero state prodotte e certificate conformi da altro distinto soggetto rispetto alla convenuta, l’Istituto di Ricerche e collaudi M.Masini s.r.l. di Rho solo nei confronti del quale l’attrice avrebbe eventualmente dovuto muovere le proprie censure doc 31 difesa attrice . Ed,invero,sebbene ,come evidenziato dalla difesa della s.r.l. Icepi, gli organismi notificati possano accettare certificati rilasciati da altri organismi notificati per la stessa macchina e o da altri organismi che sono accreditati per un campo specifico,occorre osservare che avendo l’attività della convenuta lo scopo di accertare la conformità o meno dell’intero macchinario alle norme di sicurezza essenziali,necessariamente il suo controllo avrebbe dovuto nuovamente riguardare anche dette singole componenti già verificate,peraltro,con una semplice autocertificazione da altro soggetto, dovendo esse comunque interagire con un macchinario ben più complesso Direttiva macchine allegato x barriere art 4 punto 6 . Ed,ancora,quanto alle difformità del quadro elettrico elettronico, si deve evidenziare che, pur avendo il c.t.u. dichiarato di non poter formulare alcuna valutazione in ordine alla funzionalità di esso, non avendo avuto materialmente a disposizione,all’esito dell’esame visivo dei documenti prodotti ,fotografie e schemi elettrici, questi è stato comunque in grado di esprimere conclusioni univoche anche sul punto. All’esito delle valutazioni esposte ritiene ,pertanto,questo Giudice di dover affermare,come prospettato da parte attrice, la sussistenza di un inesatto adempimento da parte della convenuta per aver essa certificato macchinari che non avrebbero,invero,potuto conseguire la marcatura CE, per le ragioni di ordine tecnico ben descritte dallo stesso c.t.u., e come già in precedenza rilevato anche dalle Autorità estere che di tale problematica si sono a vario titolo interessate ,senza dover,invece, procedere a qualsivoglia esame anche della domanda di risarcimento dei danni per responsabilità extracontrattuale della convenuta,avanzata dall’attrice in maniera del tutto generica senza allegazioni di sorta. Procedendo,quindi, all’esame delle richieste di contenuto risarcitorio articolate dalla s.r.l. Ce. si osserva che essa le ha sostanziamente suddivise in dodici voci sul punto vedasi riepilogo allegato O alla c.t.u. In particolare, in atto di citazione, ha chiesto la condanna della s.r.l. Icepi a risarcire l’esborso da lei affrontato per aver dovuto concludere una transazione con la società Sicma francese che aveva acquistato un macchinario erroneamente certificato Ce doc 34-36 attrice , corrispondendo l’importo di euro 76.002,00 per definire l’azione giudiziaria promossa nei confronti della venditrice innanzi al Tribunale di Bourges dalla S.C.M. S.A. e dalla S.V.M. s.a.r.l. , proseguita in appello e in tale sede definita in tali termini in favore dell’utilizzatore finale SICMA. Ha, quindi, chiesto il ristoro dell’esborso di euro 148.531,13 così inizialmente quantificato doc 37-95 per spese di studio, di progettazione, e di realizzazione del fascicolo tecnico per l’ottenimento dell’omologazione Icepi, nelle due versioni da essa certificate,nonché per i costi di realizzazione di impianti e di prototipi secondo il fascicolo tecnico della convenuta . Ha,quindi,inizialmente quantificato in euro 147.071,52 doc 96-142 i costi per lo studio la realizzazione,il dossier la progettazione del fascicolo tecnico per ottenere l’omologazione da parte dell’Ente certificatore francese INRS e ha chiesto il risarcimento per un importo pari ad euro 226.487,99 con riguardo alle spese affrontate per lo studio,la progettazione e la realizzazione del dossier tecnico per la messa a norma secondo le disposizioni del Ministero del lavoro francese e delle indicazioni del Ministero italiano dell’industria ,nonché per la realizzazione dei prototipi INRS e ISPESL doc 143-182 . Ancora ha inizialmente chiesto la condanna della convenuta a corrisponderle l’importo di euro 171.576,77 doc 183-188 per l’esborso affrontato per restituire alle società francesi il prezzo delle presse meccaniche da loro rifiutate una volta risultate non conformi e ha chiesto il rimborso di euro 72.326,96 doc 189-210 per spese legali affrontate con riguardo a tutte le procedure sia contenziose che di natura amministrative che aveva dovuto instaurare per ottenere le nuove certificazioni da parte dell’Ente francese INRS. Ha chiesto poi il risarcimento dell’ulteriore importo di euro 127.927,71 doc 211-233 relativo all’esborso per l’acquisto delle barriere immateriali risultate non conformi oltre il ristoro per euro 162.683,92 computato in via equitativa con riguardo ai costi in economia affrontati per la realizzazione di tutti i prototipi richiesti ai fini del rilascio della marcatura CE sia dalla s.r.l. Icepi che dall’ INRS ,oltre l’importo di euro 224.137,73 doc 234-336 per l’acquisto dei materiali e delle componenti necessarie per la messa a norma di 23 presse vendute in Francia . Ha chiesto la liquidazione dell’ulteriore importo di euro 37.230,86 per spese di trasferimento presso i vari Enti per definire le svariate problematiche derivate dall’errore di certificazione CE doc 337-389 oltre,infine, la liquidazione in via equitativa in suo favore del danno patito all’immagine commerciale della sua società nonché per la riduzione del fatturato nel corso degli anni 1997-2002 a causa della vicenda in contestazione, per un importo complessivo ,relativo solo alle voci con riguardo alle quali ha indicato una somma determinata, , pari ad euro 1.251.769,80. A fronte di tali iniziali richieste occorre evidenziare che l’esperita c.t.u. ha innanzitutto ampiamente ridimensionato,all’esito di un controllo analitico di tutta la documentazione prodotta, sotto il profilo quantitativo, le richieste dell’attrice dal momento che l’ing.S.Ca., ha accertato la presenza tra i documenti prodotti dalla s.r.l. Ce. di fatture ripetute con duplicazione degli importi esempio doc.173,doc.174 rideterminando, pertanto, le singole voci di danno in un importo complessivo ben inferiore, pari ad euro 941.061,49 a prescindere, in quanto relativa ad una valutazione equitativa, dall’esame delle e voci inerenti alla transazione, al danno all’immagine ,alla perdita di fatturato,ovvero ai costi interni quantificati in economia da parte attrice, l’eventuale determinazione dei quali deve essere necessariamente di tipo equitativo. Fatta tale premessa procedendo all’esame delle singole richieste articolate da parte attrice ,e tenuto conto della previsione generale di cui agli articolo 1223 e 1227 c.c., secondo le quali può essere risarcito solo il danno che integri una conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del debitore , dovendo tale voce essere ulteriormente ridotta qualora, anche d’ufficio, il Giudice accerti l’esistenza di circostanze significative di un concorso colposo del danneggiato nella causazione del danno medesimo Cass.sez.III, 25 maggio 2010, 12714 Cass.sez.III,28 novembre 2007,24733 Cass.sez.III,15 marzo 2006,5677 si osserva quanto segue. Deve essere certamente esclusa quale voce risarcibile quella inerente il prospettato danno per perdita di fatturato non appena si consideri come sul punto l’attrice nulla abbia provato essendosi solo limitata a produrre in corso di consulenza dei parziali riferimenti a relazioni di bilancio senza,invece, provvedere a produrre , come sarebbe stato necessario,copia dei bilanci medesimi da sottoporre all’esame del Tribunale per le opportune interpretazioni. Per analoghe ragioni deve essere ,quindi, escluso qualsivoglia risarcimento per l’importo di euro 34.824,28 come rideterminato dal c.t.u., con riferimento alla voce di danno costituita,ad avviso dell’attrice, dalle spese da lei affrontate per continui spostamenti in Francia determinati dalle vicende processuali innescate dagli errori di certificazione CE nella quale era incorsa la convenuta. Ed,invero, a riguardo si deve condividere l’analitica contestazione svolta dalla difesa di Icepi s.r.l. con specifico riguardo alle fatture prodotte dall’attrice a sostegno di tale richiesta doc 337-389 , non appena si consideri che esse sono risultate del tutto generiche ,prive di diretto collegamento con le vicende medesime , come ben attestato, a titolo esemplificativo, dal fatto che buona parte di esse sono relative a spese interne dell’attrice per viaggi in Olanda,in Francia , in Portogallo piuttosto che in Belgio del tutto sfornite di riferimenti circostanziati alle vicende in esame , e con riguardo alle quali neppure sono state articolate specifiche istanze di prova orale. Nessuna liquidazione deve essere,quindi,effettuata neppure con riferimento ad asseriti costi pari ad euro 162.683,92 per spese in economia non appena si consideri come sul punto la s.r.l. Ce. nulla abbia documentato, non fornendo neppure alcun oggettivo parametro di riferimento ovvero elementi circostanziati in ordine all’organizzazione della produzione . Ed, ancora, nessun risarcimento può essere riconosciuto in favore di parte attrice con riguardo all’esborso di euro 76.002,00 doc 34-36 da lei effettuato in favore di una società francese utilizzatrice di una pressa meccanica da lei venduta con marcatura CE ovvero con riguardo ad ulteriori spese per controversie instaurate all’Estero inerenti problemi di certificazione delle stesse doc 189-210 per euro 72.326,96 non appena si consideri come la convenuta non sia stata in alcuni casi neppure partecipe di tali procedure e come,in altri casi, essa non sia stata neppure condannata ad operare alcuna refusione delle spese medesime in favore dell’attrice avendo,anzi , in un caso la Corte d’Appello di Bourges addirittura condannato proprio l’attrice a rifondere le spese di lite alla convenuta doc 35 Ce. . La s.r.l. Ce. ha, quindi, chiesto la condanna di Icepi s.r.l. al pagamento degli importi di euro 129.159,16 ,di euro 147.071,52 ,e di euro 91.070,22 come riquantificati sotto un profilo puramente contabile dal c.t.u. in sede di relazione, per spese da lei asseritamente affrontate per lo studio,la progettazione dei fascicoli tecnici e per la realizzazione di prototipi per l’omologazione da parte di Icepi e di INRS doc 37-182 Con riguardo a tali voci, ritiene questo Giudice di dover procedere ad un distinguo. Ed, invero,certamente nessun importo deve essere liquidato in favore di parte attrice con riguardo ad eventuali spese per la realizzazione di prototipi o per la progettazione di non meglio precisati fascicoli tecnici , non appena si consideri come tale eventuale attività esuli certamente dalle competenze dell’Ente certificatore il quale è tenuto a svolgere esclusivamente una verifica finale di quanto realizzato dal costruttore sulla base di proprie scelte tecniche e sulla base delle indicazioni fornite dal proprio progettista,tanto più ove si consideri come nel caso di specie parte attrice non abbia fornito prova di sorta in ordine alla realizzazione di prototipi delle presse meccaniche . Oltre a ciò occorre evidenziare come la predisposizione del fascicolo tecnico rientri nelle attività proprie del costruttore a prescindere dallo svolgimento di qualsivoglia attività di certificazione da parte dell’Ente a ciò deputato, non avendo l’attrice neppur provato di aver effettuato qualsivoglia messa a norma di tutte o di parte delle presse prodotte a seguito di richieste in tal senso di ISPESL o del Ministero dell’industria Italiano. Ciò precisato,ritiene, peraltro, il Tribunale di dover giungere a differenti conclusioni sul punto ,con esclusivo riferimento ai costi affrontati dall’attrice per la realizzazione dei quadri elettrici risultati non conformi all’esito delle puntuali dichiarazioni rese a riguardo dal teste U.Mo . Questi, sentito all’udienza del giorno 11 maggio 2006, dopo aver precisato di operare quale collaboratore esterno per parte attrice con specifico riguardo al settore delle vendite all’Estero,ha dichiarato di ricordare con specifico riferimento agli schemi elettrici, che , poiché la s.r.l. Ce. non riusciva a realizzarli nel rispetto dei parametri del settore , era accaduto che si fosse attivata in tal senso la convenuta la quale aveva fornito all’attrice degli schemi elettrici da lei predisposti da utilizzare ,nel corso di numerose riunioni tecniche tenute presso la s.r.l. Ce., alle quali aveva partecipato anche il teste ,oltre al capofficina,al signor Tarantola,elettricista della società, all’ingegner M. per conto di Icepi,ed altri. Orbene, ritiene il Tribunale che tale deposizione, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa della convenuta, appaia pienamente attendibile non solo in quanto resa in modo circostanziato da un soggetto non legato da rapporti di dipendenza con la società attrice,ma anche in quanto del tutto coerente con alcuni documenti prodotti dalla stessa difesa che, invero, fanno riferimento ad una numerosa serie di interventi di natura elettrica eseguiti da tale Tarantola Mario in attuazione delle indicazioni fornite dall’ing.M. doc 82,84,86,87,88,93,90, relativi a fatture emesse in un periodo certamente non sospetto da Mario Tarantola, nonché doc 42,55,emesse dalla società della quale questi era accomandatario, nonché docomma 48 e 65,relativi ad altri interventi effettuati,come riportato nella relativa causale,sempre su indicazioni Icepi . Né,sul punto,per una differente valutazione,possono essere utilmente considerate le deposizioni del teste M.P.,e del teste A.G.E., entrambi dipendenti della convenuta , non appena si consideri come gli stessi non abbiano potuto riferito nulla per scienza diretta,non avendo partecipato alle riunioni dell’epoca, dovendo, infine, essere considerata con particolare cautela, attesa la posizione ricoperta, la dichiarazione resa dal teste M. Stefano il quale ha negato di aver fornito indicazioni di sorta in ordine alle modalità di realizzazione del quadro elettrico evidentemente rendendosi conto di come siffatta iniziativa contrastasse con la posizione di ente verificatore propria della s.r.l. Icepi. All’esito delle valutazioni esposte ritiene,pertanto,il Tribunale di dover riconoscere in favore di parte attrice a titolo di danno risarcibile l’importo documentato dalle fatture richiamate relativo ad esborsi che la stessa aveva all’epoca affrontato per realizzare dei quadri elettrici risultati non conformi proprio sulla base delle indicazioni,che,invece,la convenuta non avrebbe dovuto fornire, da essa date per un importo complessivo di lire 81.492.800 pari ad euro 42.087,51 come quantificato sulla base dei documenti in precedenza richiamati. Parte attrice ha,quindi,chiesto il ristoro dei danni a suo avviso subiti, quantificati nell’esborso di euro 186.999,82 doc 234-336 , affrontato a suo avviso per l’acquisto di materiali vari per la messa a norma di 23 presse meccaniche vendute in territorio francese,nonché di euro 171.881,50 doc 183-188 per spese a suo avviso affrontate per restituire il prezzo delle presse vendute in Europa e risultate non conformi per le ragioni in precedenza esaminate, ,a seguito della risoluzione dei relativi contratti richiesta dagli acquirenti doc 183-188 . Con riguardo alla prima voce di danno quantificata in euro 186.999,82 ritiene il Tribunale che nessuna liquidazione debba essere riconosciuta in favore dell’attrice. Ed,invero,dalla lettura dei documenti sul punto prodotti da parte attrice non emerge alcun sicuro e diretto collegamento tra gli acquisti in essi descritti,molto variegati, ed i fatti oggetto di causa, né, tanto meno, alcun collegamento specifico con determinate presse risultate non conformi al ripristino delle quali sarebbero stati destinati i materiali acquistati ed elencati nelle fatture prodotte a riguardo,con la conseguenza che nessuna prova di un nesso causale tra detti acquisti e le non conformità in esame può essere desunta dalla loro produzione. Con riguardo,quindi,all’importo di euro 171.881,50 richiesto dalla difesa della s.r.l. Ce. a titolo di danno patito per aver dovuto restituire agli acquirenti esteri il prezzo delle presse risultate non conformi alla marcatura CE ritiene il Tribunale di dover approfonditamente valutare le conclusioni sul punto raggiunte dal c.t.u. Questi,all’esito dell’esame delle fatture a lui prodotte dall’attrice allegato L relative a tutte le presse vendute in Europa dal 10 febbraio 1995 al 10 aprile 1997 in numero pari a 34, ha operato in primo luogo una distinzione nel senso che ha separato in due gruppi le presse medesime, secondo un criterio temporale, distinguendo le presse,pari a 14 vendute dalla s.r.l. Ce. nell’arco temporale intercorso tra il 10 febbraio 1995 e il 12 marzo 1996 da quelle vendute nel periodo successivo durante il quale detta società aveva venduto altre 20 presse meccaniche. In particolare l’ing.S.Ca. ha evidenziato come l’attrice abbia proseguito nelle vendite in Europa senza alcuna sospensione anche successivamente alla data del 17/18 giugno 1996 e addirittura anche dopo il blocco del 31 gennaio 1997 allegato P , quando essendo già insorte le prime contestazioni a seguito dei controlli disposti dagli Organismi di controllo francese fin dall’ottobre del 1995 , la società costruttrice era stata già posta a conoscenza dell’esistenza di contestazioni in ordine alla conformità dei macchinari in corso di esportazione. Sulla base di tale rilievo il c.t.u. ha,quindi, prospettato la tesi secondo la quale a far tempo dal marzo del 1996 l’attrice avrebbe dovuto sospendere le esportazioni e procedere ad ulteriori verifiche con la conseguenza che gli eventuali danni subiti con riferimento alle vendite dei macchinari effettuate nel periodo seguente ed i costi affrontati per il loro adeguamento nonchè gli esborsi corrisposti alle ditte acquirenti alle quali avrebbe restituito il prezzo dei macchinari medesimi, non potrebbero essere a lei riconosciuti avendo ,sia pure limitatamente a tali importi dato causa a tale pregiudizio per propria scelta del tutto autonoma . Ritiene il Tribunale che l’impostazione così seguita possa trovare accoglimento .Come evidenziato dall’ing.S.Ca. la società attrice, pur essendo già emersi nell’arco temporale dall’ottobre del 1995 ai primi mesi dell’anno seguente, evidenti contrasti con Enti esteri in ordine all’effettiva conformità delle presse meccaniche da lei esportate con certificazione CE , piuttosto che sospendere l’esportazione per le verifiche del caso con l’eventuale contributo di altro Ente certificatore distinto dalla società convenuta già direttamente coinvolta, ha proseguito in tale attività così dando causa alle conseguenze dannose poi ulteriormente verificatesi. In considerazione di tali emergenze,riconducibili nell’ambito di una iniziativa del tutto autonoma della società danneggiata,si deve ritenere che la stessa non possa pretendere il ristoro dei danni eventualmente subiti nel prosieguo essendo essi direttamente riconducibili a sue scelte autonome. Procedendo,pertanto, alla verifica delle conclusioni sul punto raggiunte dal c.t.u.,limitatamente all’esame delle 14 presse meccaniche vendute dall’attrice fino al mese di marzo del 1996 allegato L, N e T della relazione si impongono ,in accoglimento di alcuni rilievi critici svolti dalla difesa della convenuta e non smentiti da opposte considerazioni di parte attrice,le seguenti specificazioni. Il c.t.u. ha ricompreso nell’elenco in oggetto 14 presse meccaniche delle quali tre vendute dalla s.r.l. Ce. in Belgio, cinque in Francia, quattro in Italia,e due in Olanda. Dal prospetto elaborato dall’esperto sulla base dei documenti a lui forniti dalla s.r.l. Ce., ad integrazione di quelli prodotti nel corso del procedimento, emerge peraltro, che questi ha ricompreso in tale elenco anche 3 presse meccaniche modello IV 35 vendute due in Belgio ed una in Francia con riguardo alle quali non risulta essere stato emesso alcun provvedimento definitivo di interdizione da parte degli Organi competenti , non appena si consideri come la Commissione delle Comunità Europee doc 30 attrice avesse ritenuto legittimo tale modello escludendolo da qualsivoglia iniziativa interdittiva. Ne consegue che con riguardo alle presse meccaniche di cui ai punti 1,6 e 7 dell’elenco allegato T ,redatto dal c.t.u. nessun risarcimento deve essere liquidato non giustificandosi il loro ritiro né,tanto meno,la loro eventuale messa in conformità. Deve essere, quindi, anche escluso il ristoro di pretesi danni da parte della stessa società anche con riferimento alle presse da lei vendute in Italia in numero di quattro come da fattura 209/1995 e 295 /1995 ,in favore della s.r.l. SAICO Impianti Industriali di Legnano posizione 9,10,13 e 14 dell’elenco .Dagli stessi documenti prodotti dalla s.r.l. Ce. è infatti emerso come dette presse non fossero destinate al mercato estero dato che nei documenti indicati, a differenza di quanto avvenuto con riguardo ad altre fatture prodotte,effettivamente riportanti l’indicazione della intervenuta marcatura CE sulle presse esportate,non risulta alcun riferimento alla presenza su di esse di tale certificazione , all’epoca delle relative vendite non ancora obbligatoria in Italia. Ne consegue che, anche con riguardo a dette presse si deve escludere che Ce. s.r.l. abbia provato di aver subito qualsivoglia pregiudizio per aver dovuto riacquistare i macchinari o ripristinarli a seguito dell’errata certificazione effettuata dalla convenuta non avendo provato tale attività con riguardo ad esse da parte sua. Da ultimo ,così come evidenziato dalla difesa della s.r.l. ICEPI, si deve escludere il ristoro dei danni in favore dell’attrice anche con riferimento alla pressa venduta in Francia con fattura n 229 matricola 9510125 posizione 11 dell’elenco allegato T dal momento che la s.r.l. Ce. non ha in alcun modo documentato di aver provveduto con riguardo ad essa alla messa in conformità non avendo prodotto sul punto documentazione di sorta. All’esito delle valutazioni esposte non contrastate da qualsivoglia analitica differente argomentazione da parte attrice , si impone la rideterminazione del risarcimento a lei dovuto con riguardo a solo 6 presse meccaniche delle quali due vendute in Olanda, tre in Francia ed una in Belgio, non già nella misura quantificata dal c.t.u. di euro 64.482,55 ma in quella minore di euro 23.483,84 determinata eliminando dall’importo quantificato dal c.t.u. , quello relativo alle presse vendute in Italia euro 24.967,53 ed escludendo l’importo relativo alle ulteriori quattro presse in precedenza indicate il costo delle quali viene rideterminato dividendo l’importo complessivo computato dal c.t.u. per le presse vendute nei singoli Stati per il loro numero euro 10.566,71 per le presse vendute in Belgio diviso per il loro numero pari a tre,uguale ad euro 3.522,23 quale costo medio di ripristino per ogni pressa venduta in Belgio . Da ultimo il c.t.u. sempre con riferimento agli eventuali danni da riconoscere all’attrice ha quantificato in euro 73.818,84 allegato T alla c.t.u. il costo affrontato dalla s.r.l. Ce. per l’acquisto delle barriere immateriali ,risultate non conformi , da lei all’epoca acquistate da altra società fornitrice nonché per la loro successiva messa in conformità una volta accertata l’assenza di sicurezza di detti accessori. Ritiene il Tribunale che anche sul punto si imponga una differente valutazione in ordine a tale quantificazione, anche all’esito delle osservazioni critiche svolte dalla convenuta e degli ulteriori chiarimenti forniti dall’esperto. Dagli stessi documenti prodotti da parte attrice è ,infatti,emerso come detta società abbia acquistato 97 coppie complessive di dette componenti nel periodo ricompreso dall’inizio delle esportazioni al marzo del 1996 , numero notevolmente superiore rispetto a quello delle barriere montate sulle 14 presse meccaniche da lei vendute nello stesso periodo . Oltre a ciò si deve considerare come la messa in conformità delle stesse abbia poi riguardato,per le ragioni esposte ,solo 6 presse meccaniche non avendo , al contrario,parte attrice nulla provato in ordine ad un impiego di tutte le barriere acquistate con i relativi accessori su altre macchine certificate dalla convenuta con marcatura CE e sottoposte a messa in conformità. Consegue a ciò che avendo Icepi erroneamente certificato come conformi presse meccaniche sulle quali erano state montate barriere immateriali non idonee che la s.r.l. avrebbe comunque dovuto verificare una volta assemblate al macchinario, la stessa deve essere condannata al risarcimento dell’importo di euro 4.338,23 pari al numero di sei coppie di barriere immateriali moltiplicato per il costo medio di ogni coppia , quantificato in euro 723,039, come desunto dal prospetto allegato T redatto dal c.t.u. Da ultimo si evidenzia come nessun risarcimento debba essere riconosciuto in favore dell’attrice neppure con riguardo al prospettato danno all’immagine da lei asseritamente subito per la vendita delle presse meccaniche non conformi non avendo neppure sul punto fornito prova di sorta . All’esito di tutte le valutazioni esposte si quantifica, pertanto, in via definitiva il risarcimento del danno dovuto dalla convenuta a seguito dell’inesatto adempimento della obbligazione di certificazione a lei richiesta dall’attrice nell’importo complessivo di euro 69.909,58. Vertendosi nell’ambito di un debito di valore detta somma deve essere ulteriormente incrementata della rivalutazione monetaria secondo gli Indici Istat dal marzo del 1996 ,epoca a far tempo della quale si è concretizzato il danno, ,alla sentenza oltre interessi ponderati sulla somma così rivalutata,quantificati in misura pari al 2,6354 per cento per ogni anno a far tempo dal marzo del 1996 fino alla sentenza oltre interessi legali dalla sentenza al saldo. Procedendo,infine,all’esame delle domande articolate dalla difesa della s.r.l. Icepi nei confronti della terza chiamata Milano Assicurazioni s.p.a. si osserva che la prima ha chiesto , nell’ipotesi in cu il Tribunale la ritenga responsabile , di essere manlevata dalla propria Compagnia di assicurazione con la quale ha stipulato in data 30 gennaio 1997 la polizza n 1014002251235 di responsabilità civile rischi diversi. Con riguardo a tale richiesta ,all’esito dell’esame delle polizze prodotte dalla difesa dell’Assicurazione,ritiene il Tribunale che si imponga una risposta negativa. Premesso che ai sensi della previsione di cui al D.M. 22 marzo 1993 articolo 2 n 6 gli enti di certificazione hanno l’obbligo di stipulare per l’esercizio della loro attività una polizza assicurativa per la responsabilità civile per un importo non inferiore a tre miliardi di lire a copertura dei rischi derivanti dalla stessa attività di certificazione Cee si osserva che correttamente anche nel caso di specie la convenuta ha documentato di aver provveduto a tale incombente Poiché l’attività contestata alla s.r.l. Icepi risulta essersi estrinsecata in momenti successivi attraverso il rilascio da parte sua delle certificazioni del dicembre del 1994 nonché di altre successive nel mese di aprile e di maggio del 1996 ne consegue che,con riguardo ad esse si deve ritenere operassero all’epoca due distinte polizze,la nr 1014000795977 stipulata con al terza chiamata in data 26 ottobre 1994 e,quindi, la n 1014001492800 stipulata in data 1° gennaio 1996. A fronte di tale dato documentale si deve,peraltro,evidenziare,come sottolineato dalla difesa della società di assicurazione, come entrambe le polizze indicate non possano essere utilmente invocate dalla difesa della s.r.l. Icepi nel caso di specie. Ed,invero,entrambe dette polizze, dopo aver premesso che l’assicurazione è prestata per a la responsabilità civile verso terzi derivante all’assicurato dallo svolgimento di tutte le attività istituzionali come da premessa,e,in particolare,dal rilascio di certificato CEE sulla base di autorizzazioni ministeriali notificate alla Comunità europea ,per i prodotti industriali in esse specificate qualora il certificato CEE stesso non corrisponda alle condizioni, forme,modalità,o procedure stabilite dalle vigenti specifiche norme in materia” nel precisare quali soggetti non siano considerati terzi espressamente stabilisce al punto B che non è considerato tale il fabbricante dei prodotti certificati o il suo mandatario ed in ogni caso le Società che rispetto a quelli siano qualificabili come controllanti ,controllate o collegate ai sensi di legge c quando l’assicurato non sia una persona fisica,il legale rappresentante ,il socio a responsabilità illimitata,l’amministratore e le persone che si trovino con loro nei rapporti di cui alla lettera a . Il dettato in esame appare a questo Giudice assolutamente inequivoco e rende,così come prospettato dalla difesa dell’assicurazione, inoperante la polizza con specifico riguardo alla fattispecie in esame inerente proprio all’ipotesi di errata certificazione prestata da parte del certificatore nei confronti dell’ente certificato che lo abbia chiamato a rispondere contrattualmente dei danni subiti. Né, a fronte di ciò, è condivisibile l’obiezione svolta dalla difesa della s.r.l. Icepi la quale ha prospettato addirittura la nullità di detta clausola di esclusione per contrasto con la previsione del DM 22 marzo 1993 che rende obbligatoria la copertura assicurativa per la responsabilità civile. Ed,invero, come ben evidenziato dalla difesa della Compagnia di assicurazione, il DM richiamato non prevede un’ ipotesi di assicurazione obbligatoria ex lege , nè indica, come, invece, avviene nel caso di assicurazione obbligatoria della R.C.A., chi debba essere considerato come terzo,ma stabilisce solamente le condizioni in presenza delle quali può essere riconosciuta dal Ministero ad un determinato soggetto l’autorizzazione amministrativa per l’esercizio dell’attività di certificazione di conformità CEE. Ne consegue che qualora,come nel caso in esame,la polizza specifichi con riferimento a quali soggetti non operi la copertura assicurativa ,escludendo il fabbricante dei prodotti certificati, non residua spazio alcuno per sostenere la nullità della relativa clausola non vertendosi nell’ambito di un esonero contrattuale contrario a norme imperative . Atteso l’esito della lite si impone, pertanto il rigetto delle domande svolte in subordine dalla difesa della s.r.l. Icepi nei confronti della terza chiamata ,con condanna della s.r.l. al pagamento sia delle spese processuali di quest’ultima, sia delle spese processuali della difesa della s.r.l. Ce. liquidate in dispositivo oltre la condanna alla refusione delle spese di c.t.u P.Q.M . Il Tribunale di Piacenza definitivamente pronunciando così provvede condanna la s.r.l. ICEPI in persona del legale rappresentante pro tempore al pagamento a titolo di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale in favore della s.r.l. C. CE. in persona del legale rappresentante pro tempore dell’importo complessivo di euro 69.909,58 oltre rivalutazione monetaria secondo gli Indici Istat dal marzo del 1996 alla sentenza oltre interessi ponderati su tale somma rivalutata ,in misura pari al 2,6354 % annuo dal marzo del 1996 alla sentenza oltre interessi legali dalla sentenza al saldo rigetta le domande articolate in via subordinata dalla s.r.l. ICEPI in persona del legale rappresentante pro tempore nei confronti della s.p.a. MILANO ASSICURAZIONI già LA PREVIDENTE ASSICURAZIONI s.p.a. in persona del legale rappresentante condanna la s.r.l. ICEPI al pagamento delle spese processuali della difesa della s.r.l. C. CE. liquidate in euro 14.000,00 per onorari ed euro 8.000,00 per diritti oltre contributo spese generali ed accessori di legge, nonché al pagamento delle spese di c.t.u. condanna la s.r.l. ICEPI al pagamento delle spese processuali della s.p.a. MILANO ASSICURAZIONI liquidate in euro 18.277,00 dei quali euro 12.600,00 per onorari ed euro 5.239,00 per diritti oltre contributo spese generali ed accessori di legge