Nessuna interferenza tra la confisca dell’ intero capitale sociale e la fallibilità della società

Il problema di rapporti tra fallimento e misura di prevenzione non si pone quando il sequestro ha per oggetto non il complesso dei beni, bensì le quote o le azioni di una società fallita. La confisca sulle quote non determina alcuna interferenza rispetto alla fallibilità del soggetto societario, il cui patrimonio non è esente dal dover subire gli effetti della dichiarazione di fallimento, la quale. prescinde programmaticamente dalla disponibilità e liquidabilità dei beni che ne compongono il patrimonio.

Lo ricorda la sentenza n. 8238/12 della Cassazione Civile, con deposito del 24 maggio. Sequestro del complesso dei beni e delle quote sociali differenze. Al centro dell’attenzione la vexata questio dei rapporti tra fallimento e misura di prevenzione. Invero, il problema del contrasto tra le due procedure non si pone affatto per il caso in cui il sequestro di prevenzione ha avuto per oggetto non il complesso dei beni costituiti in azienda ma le quote o le azioni di una società a sua volta dichiarata fallita. In questo caso, difatti, le due procedure hanno oggetti completamente diversi il fallimento ha per oggetto il complesso dei beni della società fallita, la confisca ha per oggetto le quote e/o le azioni della società fallita, le quali sono chiaramente beni estranei al patrimonio della società e di proprietà invece di soggetti giuridici terzi. Ne consegue che, come sottolinea la Prima Sezione civile nel decisum in commento, i beni aziendali, cui è impressa la destinazione a creare valore, contribuiscono tutt’al più per la loro redditività a costituire il risultato utile dell’attività d’impresa societaria, che unicamente entra nella esclusiva disponibilità del soggetto indiziato di appartenere al sodalizio mafioso o equiparato. Nessuna interferenza la confisca sulle quote determina perciò ed innanzitutto rispetto alla fallibilità del soggetto societario, il cui patrimonio - salvo ogni altro coordinamento tra le due procedure di fallimento e di prevenzione e poi amministrazione finanziaria dei beni - non è esente dal dover subire gli effetti della dichiarazione di fallimento, la quale viene pronunciata nei confronti di un soggetto imprenditore ai sensi dell’art. 1 l. fall. e prescinde programmaticamente dalla disponibilità e liquidabilità dei beni che ne compongono il patrimonio, limitandosi a rilevarne l’insolvenza. Il fatto. Il caso in esame riguarda una società della quale il Tribunale di Palermo dichiarava il fallimento. Per di più l’intero capitale sociale della predetta società veniva confiscato con conseguente acquisizione della stessa all’Agenzia del Demanio. L’agire civilmente di una banca, terzo creditore, verso lo Stato divenuto titolare dei beni oggetto di confisca esigeva l’esperimento con successo dell’incidente di esecuzione, che tuttavia non aveva fatto acquisire alla stessa la qualificazione di buona fede dell’acquisto del proprio credito ipotecario rispetto ai beni aziendali. La Corte d’Appello revocava, quindi, il fallimento della predetta società, accogliendone il relativo reclamo. Avverso quest’ultima sentenza proponeva ricorso in cassazione il summenzionato istituto di credito facendo valere tre distinti motivi ed in particolare, contestando la pretesa identità tra i beni colpiti dalla misura di prevenzione antimafia e quelli sui quali lo stesso vantava diritti di credito e connesse garanzie reali. Gli Ermellini, richiamando un recente precedente giurisprudenziale Cass. n. 10095/2007 , accolgono il gravame, precisando che il tenore letterale del provvedimento di confisca fa riferimento esplicito all’intero capitale sociale, per esso dovendosi pertanto intendere le quote di partecipazione, senza alcuna possibilità di confusione con il patrimonio della società. Inoltre - prosegue la Suprema Corte - non rileva che l’incidente di esecuzione non avesse fatto conseguire all’istituto di credito la qualificazione di buona fede dell’acquisto del proprio credito ipotecario rispetto ai beni aziendali, invero non colpiti in modo diretto, al pari della società in sé considerata. Tale qualità del credito, difatti, non assume portata generale al punto da precludere l’azione fallimentare del suo titolare ai sensi dell’art. 6 l. fall La confisca di prevenzione. La figura fondamentale e più importante di confisca è quella prevista dall’art. 2 ter della l. n. 575/1965 introdotto dalla l. n. 646/1982 e più volte modificato . La confisca è un provvedimento ablativo che comporta la devoluzione dei beni allo Stato e deve essere necessariamente preceduta dal sequestro, pure disciplinato dalla stessa norma essa può avere per oggetto ogni tipo di bene fabbricati, terreni, autovetture, complessi aziendali, quote o azioni di società di capitali, diritti di credito, ecc. di cui la persona nei cui confronti è iniziato il procedimento per l’applicazione della misura di prevenzione personale risulta poter disporre direttamente o indirettamente . La disponibilità dei beni non deve necessariamente concretarsi in situazioni giuridiche formali, essendo sufficiente che il soggetto possa di fatto utilizzarli come se ne fosse il vero proprietario, anche se i beni formalmente appartengono a terzi. Tale disponibilità è presunta, senza necessità di specifici accertamenti, nei confronti del coniuge, dei figli e delle persone conviventi nell’ultimo quinquennio, poiché l’art. 2 bis della l. n. 575/65 considera separatamente questi soggetti rispetto a tutte le altre persone fisiche e giuridiche. Per questi altri soggetti, invece, devono emergere elementi di prova che denotino la intestazione fittizia dei beni e la disponibilità degli stessi da parte del proposto basta peraltro provare che il proposto possa in qualsiasi modo determinare la destinazione o l’impiego del bene. La buona fede” del creditore. Condizione imprescindibile perché l’ordinamento appresti tutela ai diritti dei terzi a fronte di un provvedimento di confisca è che si tratti di terzi di buona fede . È sempre presente infatti la preoccupazione di impedire che il soggetto indiziato possa procurarsi - mediante prestiti bancari e con il sistema di precostituirsi una schiera di creditori di comodo muniti di titoli con data certa - denaro di provenienza illecita sottraendo poi alla confisca i beni vincolati a garanzia di terzi creditori Cass. n. 12535/99 . Ciò vale per tutti i creditori, siano essi persone fisiche, siano essi istituti di credito tanto gli uni quanto gli altri possono essere in concreto collusi o consapevolmente e colpevolmente indifferenti alla mafiosità dell’impresa debitrice possono agire per inerzia e desiderio di quieto vivere, ovvero per desiderio di facile e sicuro guadagno o addirittura come consapevoli strumenti di riciclaggio. Incidente di esecuzione ex art. 666 c.p.p L’incidente di esecuzione avanti il giudice della prevenzione è il mezzo previsto dall’ordinamento per consentire al terzo rimasto estraneo al giudizio di prevenzione di far valere le sue ragioni. Il giudice ha pienezza di poteri ed è garantita la presenza del Pubblico Ministero e dell’interessato da individuare nel singolo creditore e non nel curatore, che rappresenta la massa e ben difficilmente potrebbe sostenere la buona fede del terzo . L’incidente, inoltre, può essere proposto solo avverso un provvedimento di confisca definitivo. La procedura ex art. 666 segg. c.p.p. è, per sua natura, caratterizzata da notevole celerità dato che il giudice provvede con rito camerale, all’istruzione senza particolari formalità e definisce il giudizio con ordinanza, revocabile e altresì ricorribile in Cassazione. Coordinamento tra le due procedure di fallimento e di prevenzione. Laddove ad esito di un incidente di esecuzione, come esemplificato nella vicenda che qui ci occupa, non emerga la buona fede da parte del terzo, nella specie di un istituto di credito, quest’ultimo rimarrà sempre titolare dell’azione fallimentare ai sensi dell’art. 6 l. fall Gli Ermellini ribadiscono la piena legittimazione del creditore bancario, la cui presa di garanzia pare essere discussa nella sola e limitata vicenda dell’opponibilità nell’ambito della confisca delle quote societarie non invece nella sede concorsuale civilistica. A questa compete, concludendo, ogni autonoma valutazione sui presupposti di legittimazione dell’istante per la dichiarazione di fallimento.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 27 marzo – 24 maggio 2012, numero 8238 Presidente Plenteda – Relatore Ferro Il processo La ricorrente impugna la sentenza 21.10.2009, numero 1638 della Corte d'Appello di Palermo che, in riforma della sentenza del Tribunale di Palermo del 22 maggio 2009, numero 55, revocò il dichiarato fallimento della società Sele Immobiliare s.r.l,, così accogliendo il relativo reclamo ai sensi dell'articolo 18 l.fall. La sentenza dichiarativa di fallimento era stata una prima volta chiesta dal creditore attuale ricorrente, ma il Tribunale di Palermo rigettò il ricorso, nel presupposto del difetto dello stato di insolvenza ed il relativo decreto venne fatto oggetto di reclamo ex articolo 22 l.fall. avanti alla locale Corte d'Appello che, nell'accoglierlo, evidenziò l'inesistenza di ragioni ostative al concorso del fallimento con l'applicazione della misura di prevenzione antimafia [di cui alla legge 31 maggio 1965, numero 575] e dettò il criterio di scrutinio dello stato di insolvenza per la società debitrice in liquidazione, concludendo per la sussistenza di esso e rimettendo così gli atti al Tribunale per la conseguente dichiarazione di fallimento, alfine emessa. Nella decisione qui impugnata si da conto dell'inesigibilità verso lo Stato del credito dell'istante Sicilcassa s.p.a. e dell'inidoneità conseguente a dimostrare l'insolvenza della società debitrice, in quanto assente l'accertamento della buona fede di esso creditore garantito da ipoteca su immobili della fallita da parte del competente giudice dell'esecuzione penale, adito ex articolo 666 cod.proc.penumero A carico della società debitrice, dal marzo 2007, era invero divenuta definitiva la confisca dell'intero capitale sociale [della Sele Immobiliare s.r.l.], con conseguente acquisizione della società all'Agenzia del Demanio e dunque l'agire civilmente del terzo verso lo Stato, divenuto titolare dei beni oggetto di confisca , esigeva l'esperimento con successo del predetto incidente di esecuzione, lo strumento apprestato per il terzo che, previa dimostrazione della sua buona fede ai sensi dell'articolo 2-ter della l. numero 575/1965, volesse far valere le sue ragioni su tale patrimonio. Precisò la Corte d'Appello che nessuna differenza poteva sussistere tra esecuzione individuale o collettiva, forme nella disponibilità del creditore che intenda far valere i suoi diritti sui beni confiscati. Il ricorso è affidato a tre motivi e resistito con controricorso dalla sola Sele Immobiliare s.r.l. parte ricorrente ha depositato memoria l’articolo 378 cod.proc.civ I fatti rilevanti della causa e le ragioni della decisione Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli articolo 2462, 2468, 2471, 2471-bis, 2740 e 832 cod.civ., articolo 5 l.fall., articolo 2-ter, 2-sexies e 2-novies l. 31.5.1965, numero 575 e 666 cod.proc. penumero , oltre che omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatto controverso e decisivo ex articolo 360, co.l, nnumero 3 e 5 cod. proc. civ., contestando la pretesa identità tra i beni colpiti dalla misura di prevenzione antimafia disposta nel procedimento a carico del proposto Vincenzo Piazza e quelli su cui Sicilcassa vanta diritti di credito e connesse garanzie reali invero la confisca ha colpito le quote sociali della Sele Immobiliare s.r.l., già intestate a A.M. , G.G. e Ca.Gi. e non i beni di proprietà della società stessa e dunque l'eventuale accertamento della buona fede del creditore riguarderebbe semmai l'ipotesi della banca che intendesse aggredire le quote della società nei confronti dei suoi soci, non gli immobili che costituiscono il patrimonio della sola società. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli articolo 5 e 15 l.fall., oltre che ancora omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatto controverso e decisivo, ex articolo 360, co. 1, nnumero 3 e 5 cod. proc. civ., avendo la sentenza impugnata fatto malgoverno dei principi di rilevazione dello stato di insolvenza di società in liquidazione, oggettivamente desumibile dall'eccedenza del passivo sull'attivo, nel caso di specie ritenuta dalla stessa Corte d'Appello in sede di accoglimento di primo reclamo ex articolo 22 l.fall. irrilevante sarebbe inoltre ogni questione sull'esistenza del credito. Con il terzo motivo si deduce omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatto controverso e decisivo, ex articolo 360, co. 1, numero 5 cod. proc. civ., avendo la sentenza impugnata omesso di pronunciarsi sull'eccezione, sollevata dalla ricorrente, circa l'inammissibilità del reclamo promosso da Sele Immobiliare s.r.l. e con cui venne chiesto un mutamento di decisione rispetto ad altra statuizione già adottata ed inequivoca nel ritenere lo stato d'insolvenza inviando gli atti al tribunale per la dichiarazione di fallimento. La controricorrente avversa la domanda respingendo, perché infondati, tutti i motivi. 1. Il primo motivo è fondato. Il tenore letterale del provvedimento di confisca [trascritto nel ricorso, pag. 8] già disposto dal Tribunale di Palermo il 17.4.1997, fa riferimento esplicito, quanto alla società Sele Immobiliare s.r.l., e premessane la sede identificativa, allo intero capitale sociale , per esso dovendosi pertanto intendere le quote di partecipazione, senza alcuna possibilità di confusione con il patrimonio della società Cass. 10095/2007 . Né è possibile pervenire a siffatta interpretazione estensiva invocando — secondo la suggestione del controricorrente - le ragioni della prevenzione”, con una disinvoltura logica che abbracci l'intera forma organi-dativa attraverso cui vengano effettivamente esercitati i diritti spettanti ai soci, e, solo così, in ultima analisi, la persona giuridica stessa . La misura di prevenzione e poi la confisca definitiva possono infatti, in astratto, concernere ogni bene che faccia capo al proposto persona fisica e sia ritenuto in connessione con la sua attività illecita, ma la relativa identificazione puntuale, titolo per la segregazione di tale patrimonio, ne costituisce il limite oggettivo ad ogni effetto, da ricavarsi dal tenore descrittivo dell'atto. Tanto è vero che il concetto di disponibilità del bene sottoposto a confisca introdotto dall'articolo 2 ter della legge 575/1965 comprende una gamma di ipotesi diversificate che possono andare dal diritto di proprietà vero e proprio a situazioni di intestazione fittizia ad un terzo soggetto, in virtù ad esempio di un contratto simulato o fiduciario, fino a situazioni di mero fatto basate su una posizione di mera soggezione in cui si trovi il terzo titolare del bene nei confronti del sottoposto alla misura di sicurezza personale. Di qui la necessità che quest'ultimo, qualora intenda impugnare il provvedimento di confisca di un bene intestato ad un terzo, ai fini di dimostrare la propria legittimazione affermi innanzitutto il proprio diritto sulla cosa ed, inoltre, provveda a qualificarlo poiché, ad esempio, una situazione di mera disponibilità di fatto non supportata dalla esistenza di un titolo giuridico non potrebbe comunque costituire fonte di legittimazione alla impugnazione e così la Corte ha precisato, con riferimento alla posizione del socio di una società di capitali dotata di personalità giuridica, che l'eventuale controllo che il socio possa esercitare sulla società in virtù della disponibilità del pacchetto azionario o delle quote comporta una disponibilità indiretta e di fatto, oltre che sulla società in quanto tale, anche sui beni della stessa senza però che il medesimo possa affermare di avere su questi ultimi una titolarità giuridica qualificata che gli consenta di impugnare il provvedimento di confisca in vece degli organi societari a ciò legittimati Cass. penumero 1520 del 17/03/2000 Cc. dep. 06/04/2000 Rv. 215834 . Ne consegue che, in difetto di una misura che, sul presupposto che il prevenuto-socio dispone, anche indirettamente e come cosa propria, dell'intero patrimonio sociale, si sia ad esso esplicitamente riferita, va concluso che i beni aziendali, cui è impressa la destinazione a creare valore, contribuiscono tutt'al più per la loro redditività a costituire il risultato utile dell'attività d'impresa societaria, che unicamente entra nella esclusiva disponibilità del soggetto indiziato di appartenere al sodalizio mafioso o equiparato. Nessuna interferenza la confisca sulle quote determina perciò ed innanzitutto rispetto alla fallibilità del soggetto societario, il cui patrimonio — salvo ogni altro coordinamento tra le due procedure, di fallimento e di prevenzione e poi amministrazione finanziaria dei beni - non è esente dal dover subire gli effetti della dichiarazione di fallimento, la quale viene pronunciata nei confronti di un soggetto imprenditore ai sensi dell'articolo 1 l.fall., e prescinde programmaticamente dalla disponibilità e liquidabilità dei beni che ne compongono il patrimonio, limitandosi a rilevarne l'insolvenza. 2. È pertanto non rilevante che l'incidente di esecuzione promosso ex articolo 666 cod.proc.pen secondo il regime applicabile Cass. penumero numero 15328 del 18/03/2009 Cc. dep. 09/04/2009 Rv. 243610 , non avesse fatto conseguire alla Sicilcassa, all'epoca della sentenza qui impugnata, la qualificazione siccome di buona fede dell'acquisto del proprio credito ipotecario rispetto ai beni aziendali, invero non colpiti da confisca in modo diretto, al pari della società in sé considerata. Infatti, la qualificazione di opponibilità di siffatto credito, ai sensi dell’articolo 2-ter, co.5, della l. 575/1965 ratione temporis vigente, attiene all'efficacia che il terzo creditore voglia far valere rispetto ai beni caduti in confisca e nell'ambito dei conflitti interni a tale sola procedura sempre che per tali beni, rispetto alla procedura di prevenzione e poi alla stessa amministrazione finanziaria, intenda agire, dimostrata la buona fede oggettiva e l'inconsapevole affidamento nella loro acquisizione da parte dell'ente avanti al giudice penale dell'esecuzione, all'esclusivo fine della distrazione di essi dall'ablazione o della liberazione dalle garanzie, ove assentita. Tale qualità del credito o del suo titolo d'acquisto , pertanto, non assume portata generale al punto da precludere l'azione fallimentare del suo titolare ai sensi dell'articolo 6 1.fall, e davanti al tribunale civile, non almeno nel senso della condizione pregiudiziale affermata dalla corte palermitana. 3. Il secondo motivo è papalmente fondato. Erra invero il ricorrente ove deduce l'irrilevanza in assoluto pag.21 dell'esistenza del proprio credito ai fini del procedimento per la dichiarazione di fallimento tale indifferenza non è seriamente sostenibile, scomparsa l'iniziativa officiosa dopo il d.lgs. numero 5 del 2006, essendo invece e proprio riservato al giudice di merito lo scrutinio positivo, e sia pur in termini di delibazione sommaria, della sussistenza degli elementi configuranti il credito, cioè la sua esistenza quale condizione di legittimazione sostanziale del ricorrente privato ai fini della ammissibilità della sua istanza di fallimento Cass. 24309/11 3472/11 . Tale esistenza, peraltro, non è seriamente contestata, almeno nella misura — riportata nella stessa sentenza impugnata - di oltre 2.620.000 Euro oltre interessi dal 1.7.2004 , risultando le contestazioni esclusivamente condotte sotto il già esaminato - e non pertinente - profilo dell'inopponibilità di tale credito verso lo Stato per difetto di buona fede del suo titolare. Va inoltre ribadito che la qualità di creditore, necessaria ai fini della proposizione del ricorso ai sensi dell'articolo 6 legge fall., si estende a tutti coloro che vantano un credito, nei confronti del debitore, ancorché non necessariamente certo, liquido ed esigibile ovvero non ancora scaduto o condizionale, anche alla luce della nuova formulazione della citata norma la quale si è limitata a riportare il giudice in posizione di terzietà, senza restringere l'area della legittimazione al ricorso per la detta dichiarazione, ed alla quale non può attribuirsi significato diverso da quello di cui all'articolo 52 legge fall., che assicura il concorso sul patrimonio del fallito a tutti i creditori per atti o fatti anteriori, compresi, ai sensi dell'articolo 55 legge fall., quelli condizionali Cass. 3472/11 e, conseguendone la piena legittimazione, a proporre il predetto ricorso, in capo al fideiussore non escusso , è possibile, anche per la fattispecie in esame, replicare il medesimo principio che distingue i necessari requisiti minimi di plausibilità del credito ai sensi dell'articolo 6 l.fall. rispetto, tra gli altri, alla sua esigibilità, qualità che, potendo eventualmente difettare nella successiva fase di accertamento per mancato raggiungimento della condizione all'epoca prevista per tali adempimenti, a maggior ragione giustifica la sussistenza di una piena legittimazione del creditore ricorrente bancario, la cui presa di garanzia pare essere discussa nella sola e limitata vicenda della opponibilità nell'ambito della confisca delle quote societarie, non invece nella sede concorsuale civilistica. A questa compete dunque ogni autonoma valutazione sui presupposti di legittimazione dell'istante per la dichiarazione di fallimento. 4. È invece accoglibile la doglianza per la parte in cui essa si appunta sulle omissioni della Corte d'appello che, nell'accogli ere il reclamo ex arti 8 l.fall., non ha considerato l'insolvenza, già emergente dagli atti e concernente, come da suo precedente specifico, un consistente divario fra l'attivo ed il passivo accertati, tale dovendo essere il criterio di esame dell'elemento oggettivo ex articolo 5 l.fall. di una società in liquidazione. Si può ripetere infatti il principio, intendendovi dare continuità, per cui quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell'applicazione dell'articolo 5 della legge fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l'eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sodali, e ciò in quanto - non proponendosi l'impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali, previa realizzazione delle attività sociali, ed alla distribuzione dell'eventuale residuo tra i soci - non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte Cass. 15442/11 21834/09 19141/06 . 5. Rilevato il conseguente assorbimento del terzo motivo, nonostante la cassazione della pronuncia impugnata, non appaiono dunque necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai fini della decisione nel merito ai sensi dell'articolo 384, co.2, cod.proc. civ., poiché lo stato di insolvenza, esattamente alla stregua dell'appena considerato criterio, venne accertato, una prima volta in sede di reclamo ex articolo 22 l.fall. dalla corte palermitana, nella misura di uno sbilancio tra attivo e passivo da un minimo di 513.000 Euro circa ad un massimo di 1.430.000 Euro circa decreto 13 marzo 2009 tale accertamento non venne posto in discussione, né consta che se ne sia chiesta la rivisitazione per la sopravvenuta modifica dei presupposti ex articolo 22, co.4, l.fall., così che il tribunale di Palermo, conformandosi alla decisione della Corte d'appello, dichiarò il fallimento il 22 maggio 2009 infine, la revoca del fallimento, disposta dalla sentenza impugnata, venne statuita in accoglimento di un motivo di reclamo vertente su questione pregiudiziale che non investì l'esame dello stato di insolvenza. 6. Il ricorso va dunque accolto, con cassazione della sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, in relazione all'accoglimento dei menzionati motivi, va definitivamente respinto il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata dal Tribunale di Palermo il 22 maggio 2009. Quanto al regolamento delle spese relativo al grado di merito del reclamo se ne dispone la liquidazione, nella misura indicata in dispositivo, secondo le regole della soccombenza, cui parimenti si conformano le spese del giudizio di cassazione, anch'esse liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte accoglie il primo ed in parte il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in ordine alle censure accolte e, decidendo nel merito, definitivamente rigetta il reclamo di Sele Immobiliare s.r.l. avverso la sentenza dichiarativa del suo fallimento pronunciata da Tribunale di Palermo il 22 maggio 2009, numero 55 condanna la reclamante Sele Immobiliare s.r.l. alle spese del giudizio di reclamo avanti alla Corte d'appello di Palermo, che si liquidano in Euro 5.000, di cui Euro 1.100 per diritti, Euro 3.700 per onorari ed Euro 200 per esborsi, oltre a spese generali ed accessori di legge condanna la controricorrente Sele Immobiliare s.r.l. alle spese del giudizio di cassazione in favore della ricorrente, che si liquidano in Euro 4.200, di cui 4.000 per onorari e 200 per spese, oltre a spese generali ed accessori di legge.