Accolta la richiesta presentata da una lavoratrice di Treviso, caduta rovinosamente tra le mura domestiche mentre era impegnata in una telefonata di lavoro con una collega.
Indennizzo dall’INAIL anche in caso di incidente a casa durante il telelavoro – o, per dirla all’inglese, smartworking –. Il primo storico caso ha riguardato una lavoratrice di Treviso – inquadrata dalla propria azienda come amministrativa – che nel settembre del 2020, mentre lavorava da casa, è rimasta vittima di un brutto capitombolo. In pratica, ella era impegnata in una conversazione telefonica, relativa ad un problema lavorativo, con una collega di lavoro, quando, all’improvviso, è scivolata su un gradino della propria abitazione ed è finita rovinosamente a terra, riportando importanti danni di natura ossea e muscolare, che l’hanno obbligata a fare ricorso alle cure mediche in ospedale. E nel contesto del Pronto Soccorso la donna ha fornito i dettagli della disavventura, dettagli fondamentali anche per la denuncia presentata all’INAIL per ottenere l’indennizzo previsto in caso di infortunio sul lavoro. In prima battuta, però, l’istituto respinge la richiesta della lavoratrice, ritenendo illogico parlare di infortunio collegato all’attività lavorativa. Pronta la reazione della donna, che, grazie alla collaborazione del patronato Inca-Cgil, presenta ricorso amministrativo all’INAIL nel novembre del 2020. Questo passaggio si rivela fondamentale, poiché dall’istituto riprendono in mano la pratica, catalogano l’episodio come infortunio sul lavoro e riconoscono il diritto della donna a percepire un indennizzo, anche tenendo presenti i postumi permanenti da lei riportati a seguito del capitombolo subito tra le mura domestiche. Questione chiusa, quindi, e nessuno strascico giudiziario. Ma la posizione assunta dall’INAIL in questa vicenda può fungere da riferimento per tutti quei dipendenti che, in quest’ultimo anno, a causa del coronavirus, si sono ritrovati obbligati, d’intesa con le rispettive aziende, a lavorare da casa. Il fenomeno del cosiddetto smartworking pare ora strettamente connesso all’emergenza sanitaria provocata dal COVID. Non a caso, i primi dati statistici testimoniano che dal 2019 al 2020 la percentuale di lavoratori impegnati da casa è passata dal 5% al 40%, investendo settori sia pubblici che privati. Ma è logico ipotizzare che il cosiddetto lavoro agile possa divenire col tempo una realtà diffusa e radicata anche in Italia, come già in altri Paesi europei. A quel punto, toccherà fare chiarezza non solo sulla sicurezza ma anche su orario e diritto alla disconnessione, tra l’altro. Intanto, però, la vicenda della lavoratrice di Treviso e la risposta dell’INAIL pare poter già fornire una direzione certa.