Assistente in contemporanea per due parlamentari: legittimo il recesso

Confermata la decisione presa dall’onorevole che per prima aveva scelto la lavoratrice come assistente. Legittima la chiusura della collaborazione. Niente risarcimento per l’assistente, che, secondo i Giudici, ha violato diligenza e buonafede nel rapporto di lavoro.

Assistente in contemporanea per due diverse parlamentari. Pur mancando il cosiddetto vincolo di esclusiva nel contratto, è legittima la decisione, presa dalla deputata che per prima l’ha scelta come collaboratrice, di interrompere il rapporto Corte di Cassazione, sez. Lavoro ordinanza, n. 10155/21, depositata il 16 aprile . In primo grado la lavoratrice vede riconosciuta l’illegittimità del recesso comunicato dalla onorevole in merito al contratto di collaborazione per compiti di assistenza all’ attività parlamentare . Di conseguenza, le viene anche accordato un adeguato risarcimento del danno. In Appello, invece, i rapporti di forza vengono ribaltati i Giudici ritengono non censurabile il comportamento tenuto dalla parlamentare, che, a loro dire, ha giustamente chiuso la collaborazione, una volta preso atto che la collaboratrice le aveva taciuto la contemporanea attività di assistenza in favore di altra parlamentare, dedita a settore diverso dalla parlamentare che per prima l’aveva scelta come assistente. Per i Giudici di secondo grado è evidente la giusta causa di recesso dal contratto di collaborazione , poiché, nonostante la mancanza del vincolo di esclusiva , è lampante la violazione dei canoni di correttezza e buonafede compiuta dalla lavoratrice. Inutile il ricorso proposto in Cassazione dall’assistente delle due parlamentari. In terzo grado la donna ritiene insensato parlare di recesso per giusta causa , anche perché, a fronte di un lavoro a progetto , salta agli occhi l’assenza perfino di una ragione nella lettera di recesso messa nero su bianco dalla parlamentare, che si è limitata a richiamare la cessazione del bisogno della sua gentile collaborazione . Allo stesso tempo, la lavoratrice sottolinea un’altra stonatura, cioè il riconoscimento del preavviso di quindici giorni, non previsto dal contratto tra le parti, contratto che concedeva ad esse il diritto di recedere in qualsiasi momento, ricorrendo l’ipotesi di giusta causa . I Giudici del ‘Palazzaccio’ ribattono ricordando che anche per i contratti a progetto la risoluzione per giusta causa resta regolata dai principi generali in materia, secondo cui è consentito al datore di lavoro di risolvere, senza preavviso, il rapporto quando si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto stesso per essere venuto meno l’elemento fiduciario . Per quanto concerne, poi, l’inosservanza da parte della collaboratrice degli obblighi di correttezza e fedeltà , i Giudici ritengono evidente come ella abbia violato l’obbligo di diligenza , come previsto dal contratto con la parlamentare, creando di nascosto un rapporto con una seconda parlamentare.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro ordinanza 21 ottobre 2020 – 16 aprile 2021, n. 10155 Presidente Berrino – Relatore Patti Rilevato che 1. con sentenza 5 novembre 2015, la Corte d’appello di Roma rigettava le domande di Z.A.R. di illegittimità del recesso intimatole dall’On. le P.P. , con lettera del 17 dicembre 2009 e decorrenza dal 3 gennaio 2010, dal contratto di collaborazione per compiti di assistenza all’attività parlamentare stipulato il 24 aprile 2008 e di risarcimento del danno così riformando la sentenza di primo grado, che le aveva invece accolte 2. in esito ad argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie, la Corte territoriale riteneva la giusta causa di recesso dal contratto di collaborazione, nonostante la mancanza in esso del vincolo di esclusiva, per la violazione dei canoni di correttezza e buona fede e degli obblighi stabiliti dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 64, comma 2 espressamente richiamati dalla clausola n. 6 del contratto tra le parti, per avere la collaboratrice taciuto alla committente la contemporanea attività di assistenza in favore di altra parlamentare On. le S.S. , dedita a settore diverso da quello della prima commissione lavoro 3. con atto notificato il 31 dicembre 2015 5 gennaio 2016 , la collaboratrice ricorreva per cassazione con tre motivi, cui la committente resisteva con controricorso 4. entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c Considerato che 1. la ricorrente deduce violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 67 per difetto di previa contestazione di un recesso qualificato erroneamente dalla Corte territoriale per giusta causa, nell’inosservanza dei principi in materia di licenziamento disciplinare nel rapporto di lavoro subordinato, applicabili anche in caso, come quello in oggetto, di lavoro a progetto, in assenza perfino di una tale ragione nella lettera di recesso della committente del 17 dicembre 2009 motivato con la cessazione del bisogno della Sua Gentile collaborazione e con un preavviso di quindici giorni non previsto dal contratto tra le parti che concedeva ad esse il diritto di recedere in qualsiasi momento, ricorrendo l’ipotesi di giusta causa , comunque incompatibile con essa primo motivo 2. esso è infondato 2.1. anche per i contratti a progetto la risoluzione per giusta causa, espressamente prevista dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 67, comma 2 resta regolata dai principi generali in materia, secondo cui è consentito al datore di lavoro di risolvere, senza preavviso, il rapporto quando si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, dello stesso per essere venuto meno l’elemento fiduciario Cass. 1 ottobre 2013, n. 22396 2.2. tuttavia, non si configura per essi alcun obbligo di contestazione preventiva delle ragioni poste a base del recesso per giusta causa, e quindi preclusione della deduzione successiva di fatti diversi da quelli contestati, che opera per il rapporto di lavoro subordinato e per quello di agenzia, data l’analogia dei due rapporti, ma in relazione solo al recesso del datore di lavoro o del preponente Cass. 16 dicembre 2004, n. 23455 Cass. 19 novembre 2019, n. 30063 e ciò si spiega per la diversa natura del contratto di lavoro a progetto, disciplinato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61 che prevede una forma particolare di lavoro autonomo, caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale determinati dal committente, ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione Cass. 25 giugno 2013, n. 15922 Cass. 6 settembre 2016, n. 17636 2.3. sicché, non sussiste una soggezione del collaboratore ad un potere disciplinare del committente, che tanto meno debba essere procedimentalizzato, a norma della L. n. 300 del 1970, art. 7 3. la ricorrente deduce poi violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2, per la deduzione per la prima volta in appello dell’eccezione dalla committente di inosservanza dalla collaboratrice degli obblighi di correttezza e fedeltà, diversi dal dovere di fedeltà dedotto in primo grado secondo motivo 4. anch’esso è infondato 4.1. come noto, nel rito del lavoro il divieto di nuove eccezioni in appello stabilito dall’art. 437 c.p.c., comma 2 concerne soltanto le eccezioni in senso proprio, relative a fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto fatto valere in giudizio, non rilevabili d’ufficio e non anche le cosiddette eccezioni improprie o mere difese, dirette soltanto a negare l’esistenza dei fatti posti a fondamento della domanda o a contestare il valore probatorio dei mezzi istruttori esperiti in primo grado Cass.14 luglio 2004, n. 13076 Cass. 21 maggio 2007, n. 11774 Cass. 20 marzo 2017, n. 7107 la preclusione in appello di un’eccezione nuova sussiste allora nel solo caso in cui la stessa, essendo fondata su elementi e circostanze non prospettati nel giudizio di primo grado, abbia introdotto in secondo grado un nuovo tema d’indagine, così alterando i termini sostanziali della controversia e determinando la violazione del principio del doppio grado di giurisdizione Cass. 15 marzo 2016, n. 5051 4.2. d’altro canto, il Tribunale ha pure esaminato la violazione, oltre che degli obblighi di fedeltà previsti dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 64, comma 2 anche dei doveri di correttezza e buona fede secondo quanto riportato al penultimo capoverso di pg. 1 della sentenza deduzione che peraltro non integra un’eccezione in senso proprio, riguardando comunque l’obbligo di diligenza della collaboratrice, secondo la previsione dell’art. 6 del contratto stipulato con la committente parlamentare 4.3. in ogni caso, la parte ricorrente non ha neppure allegato, avendo introdotto un tema di indagine che non risulta affrontato nella sentenza, la sua avvenuta deduzione nel giudizio di merito, anche indicando in quali atti essa sia avvenuta Cass. 31 agosto 2007, n. 18440 Cass. 9 agosto 2018, n. 20694 Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804 5. la ricorrente deduce, infine, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, travisamento dei fatti ed erronea valutazione delle risultanze istruttorie, in ordine alla collocazione temporale, in epoca successiva a quella prestata alla deputata P. , della collaborazione con la deputata S.S. , secondo quanto riferito dalla medesima sentita come teste terzo motivo 6. esso è inammissibile 6.1. in realtà, la Corte territoriale ha proceduto all’esame, di cui si lamenta l’omissione, del fatto storico della collocazione temporale della collaborazione della ricorrente con le due parlamentari, ritenuta parzialmente coincidente, alla luce di una complessiva valutazione probatoria, non riguardante soltanto la collocazione cronologica dell’inizio della seconda settembre 2009, anziché fine 2008 , ma circostanze ulteriori, riferite dalla medesima teste S. e da altro teste al terz’ultimo e quart’ultimo capoverso di pg. 2 della sentenza 6.2. sicché, il motivo si risolve in una contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale e in una diversa ricostruzione del fatto, incensurabile in sede di legittimità, laddove congruamente argomentata Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404 , come nel caso di specie per le ragioni esposte dal quint’ultimo capoverso di pg. 2 al quinto di pg. 3 della sentenza 6.3. nè ricorre alcun travisamento di fatti, comunque deducibile non già con ricorso per cassazione ma quale errore revocatorio Cass. 17 maggio 2012, n. 7772 Cass. 8 febbraio 2019, n. 3867 , ma neppure della prova, non implicante una valutazione dei fatti, ma la constatazione o l’accertamento che un’informazione probatoria, utilizzata dal giudice ai fini della decisione, sia contraddetta da uno specifico atto processuale, così che, a differenza del travisamento del fatto, può essere fatto valere mediante ricorso per cassazione, ove incida su un punto decisivo della controversia Cass. 25 maggio 2015, n. 10749 Cass. 21 gennaio 2020, n. 1163 7. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere rigettato, con la statuizione sulle spese secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la collaboratrice alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.