Carenti e mal curati i reparti del supermercato: legittimo il licenziamento del direttore

Inutile l’opposizione del lavoratore. Confermata la legittimità del drastico provvedimento adottato dall’azienda. Per i Giudici l’inadempimento reiterato da parte del dipendente ha irrimediabilmente leso il rapporto fiduciario con la società proprietaria del ‘punto vendita’.

Fatali al direttore del supermercato la superficialità e la disattenzione nella gestione dell’offerta commerciale relativa ai prodotti presenti nei vari reparti della struttura. Le tante carenze rilevate dalla società proprietaria del ‘punto vendita’ sono sufficienti difatti per legittimare il licenziamento disciplinare del lavoratore Cassazione, sentenza n. 5538/21, sez. Lavoro, depositata il 1° marzo . Riflettori puntati su un supermercato della Capitale. Ad essere scandagliati sono diversi reparti. Alla fine dei controlli vengono alla luce molteplici carenze nell’offerta commerciale dei prodotti , e a finire nel mirino è il direttore della struttura, destinatario di un licenziamento disciplinare per avere contravvenuto ai suoi doveri di responsabile di mercato . In Tribunale il drastico provvedimento aziendale viene censurato, per la gioia del lavoratore. In Appello, però, i Giudici adottano una prospettiva diversa e riconoscono legittimità al licenziamento. In secondo grado vengono ritenuti concreti gli addebiti mossi al direttore del ‘punto vendita’ in merito alle condotte inadempienti nella gestione dei reparti ‘ortofrutta’, ‘scatolame’, ‘scatolame -no food’, ‘macelleria’ e vengono valutati come sufficienti, anche in considerazione del ruolo di responsabile di mercato rivestito dal lavoratore, ad integrare gli estremi della giusta causa . Col ricorso in Cassazione il dipendente prova a ridimensionare gli addebiti a suo carico, ossia le mancanze rilevate presso i reparti del supermercato, come, ad esempio, la presenza di merce pericolosa nel settore ‘ortofrutta’, o i problemi nell’allineamento delle etichette nel settore ‘scatola - no food’. Per i Giudici del ‘Palazzaccio’, però, le obiezioni proposte dal legale del lavoratore sono assolutamente inutili. Ciò perché, a fronte degli specifici addebiti mossi dall’azienda e alla luce di dichiarazioni testimoniali e prove documentali, legittimamente si è ritenuto certo un diffuso e reiterato inadempimento, da parte del lavoratore, degli obblighi che, ai sensi della disciplina collettiva applicabile, a lui incombevano quale responsabile del ‘punto vendita’ e altrettanto logicamente, concludono dalla Cassazione, si è ritenuto tale inadempimento sufficiente a pregiudicare il vincolo fiduciario particolarmente intenso che connota il ruolo di responsabile del supermercato. Definitivo, quindi, il licenziamento.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 ottobre 2020 – 1 marzo 2021, n. 5538 Presidente Raimondi – Relatore De Marinis Fatti di causa Con sentenza del 4 maggio 2018, la Corte d’Appello di Roma, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Roma, rigettava la domanda proposta da P.G. nei confronti della GS S.p.A., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimato al P. per aver contravvenuto ai suoi doveri di responsabile di mercato stante le carenze ravvisate nell’offerta commerciale dei prodotti presso diversi reparti. La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto specificamente contestati e sussistenti gli addebiti mossi con riguardo alle condotte inadempienti registrate con riguardo alla gestione dei reparti ortofrutta, scatolame, scatolame-no food, macelleria, sufficienti le stesse, anche in considerazione del ruolo di responsabile di mercato rivestito dal P. , ad integrare gli estremi della giusta causa in quanto, complessivamente considerati, suscettibili di essere ricondotti all’ipotesi contemplata nel codice disciplinare all’art. 225, n. 5, del CCNL per il settore commercio, che prevede l’irrogazione della massima sanzione a fronte di infrazioni alle norme di legge circa la sicurezza per la lavorazione, il deposito, la vendita ed il trasporto di merci o di gravi violazioni degli obblighi di cui al precedente art. 220 del CCNL. Per la cassazione di tale decisione ricorre il P. , affidando l’impugnazione a nove motivi, cui resiste, con controricorso, la Società, la quale a sua volta propone ricorso incidentale condizionato, articolato su un unico motivo, in relazione al quale il P. non ha svolto alcuna attività difensiva. La Società controricorrente ha poi presentato memoria. Ragioni della decisione Il ricorrente articola la propria impugnazione formulando gruppi di motivi con riferimento agli addebiti mossi relativamente alle mancanze rilevate presso i distinti reparti, così volendo seguire tale impostazione, si rileva come, quanto alla decisione circa gli addebiti riferiti al reparto ortofrutta, il ricorrente solleva due motivi di censura, rubricati rispettivamente con riguardo alla violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, ed alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., deducendo da un lato l’erroneità del convincimento espresso dalla Corte territoriale circa la specificità della relativa contestazione ed all’ammissibilità del rilievo relativo alla pericolosità della merce non richiamato nella contestazione ed imputando alla Corte medesima di aver posto a fondamento della propria decisione fatti non emersi in sede istruttoria e neppure allegati dalle parti, come il superamento della data di scadenza dei prodotti considerati. Tre motivi sono invece formulati relativamente alla decisione sugli agli addebiti mossi quanto al reparto scatolame, motivi con cui si prospetta, unitamente alla già dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, qui sollevata sotto il profilo ancora della genericità della contestazione ma altresì dello scostamento dal principio dell’immutabilità della contestazione per aver la Corte territoriale travisato le circostanze oggetto degli addebiti mossi, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2106, 2119 c.c., e artt. 115 e 116 c.p.c., per aver la Corte territoriale fondato la propria pronunzia su prove inesistenti nonché il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in una con la violazione e falsa applicazione ancora degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2119 c.c., e artt. 220 e 225 CCNL del settore commercio, per la mancata considerazione di circostanze da ritenersi viceversa provate e tali da escludere l’addebito. Tre motivi sono intesi a censurare la pronunzia resa dalla Corte territoriale in ordine agli addebiti relativi alla gestione del reparto scatolame-no food, motivi che attengono ancora alla violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, ancora riferita alla genericità della contestazione, alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ancora relativa all’idoneità probatoria delle foto prodotte in atti ed all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio dato dall’omessa considerazione delle comprovate difficoltà incontrate dal ricorrente con riguardo all’allineamento delle etichette. Quanto alla decisione in ordine agli addebiti elevati dalla Società a carico del ricorrente con riferimento al reparto macelleria si deduce ancora una volta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., imputando alla Corte territoriale di essersi pronunziata sulla base di prove inesistenti. Dal canto suo la ricorrente incidentale con l’unico motivo, rubricato con riferimento al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, lamenta a carico della Corte territoriale l’omessa considerazione, ai fini della valutazione della rilevanza disciplinare della condotta del ricorrente, di quanto contestato al medesimo in ordine all’assenza dal punto vendita di cui era il solo responsabile nella giornata del 14.12.2014. Nel muovere all’esame dell’impugnazione principale va osservato come la stessa sia identicamente strutturata in modo tale che, relativamente alla decisione assunta dalla Corte territoriale con riguardo agli addebiti mossi in riferimento ai singoli reparti, i motivi riflettano sostanzialmente le medesime censure per cui la Corte territoriale si sarebbe posta in contrasto con la L. n. 300 del 1970, art. 7, nell’escludere la genericità della contestazione e l’immutabilità della stessa, avrebbe basato il suo giudizio su fatti nè allegati nè provati e avrebbe omesso la considerazione di circostanze viceversa comprovate dal ricorrente. Ciò posto la prima censura ribadita con riferimento ad ogni blocco di motivi, fatta eccezione per l’ultimo, deve ritenersi infondata mentre le altre due, sostanzialmente speculari, risultano inammissibili. In effetti, quanto alla prima censura, è a dirsi come il giudizio circa la specificità degli addebiti mossi espressa dalla Corte territoriale con riguardo a ciascuna delle contestazioni distintamente sollevate per reparto è formulato in puntuale contrappunto con la diversa conclusione del primo giudice, esplicitando le ragioni del convincimento maturato, che trova fondamento logico e giuridico nelle dichiarazioni testimoniali e nelle prove documentali liberamente apprezzate come prevalenti rispetto ad altre di segno contrario, iter logico giuridico correttamente seguito nell’accertamento istruttorio di tutti gli addebiti contestati, così da indurre a ritenere l’inammissibilità delle ulteriori censure sollevate dal ricorrente, intese, appunto, a negarne la correttezza opponendovi, peraltro, semplicemente un diverso apprezzamento e la legittimità della conclusione cui perviene la Corte territoriale in ordine ad un diffuso e reiterato inadempimento da parte del ricorrente degli obblighi che, ai sensi della disciplina collettiva applicabile, al medesimo incombevano quale responsabile del punto vendita, tale da pregiudicare il vincolo fiduciario particolarmente intenso che connota il predetto ruolo. Il ricorso va, dunque, rigettato, con assorbimento del motivo di cui al ricorso incidentale in quanto condizionato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale e condanna parte ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.