Fino a che punto possono spingersi i Giudici di legittimità per comprendere il contenuto del ricorso?

Il principio di libertà delle forme non ha nulla a che vedere con i requisiti di contenuto del ricorso, contenuto che non può imporre all’interprete operazioni di traduzione in discorso linguistico ovvero l’individuazione delle connessioni logiche tra i documenti che lo corredano, in quanto tali operazioni rimetterebbero al giudice la declinazione dello scritto in forma argomentativa.

Questo il contenuto dell’ordinanza della Suprema Corte n. 26837/20, depositata il 25 novembre. L’attuale ricorrente è un avvocato distrattario delle spese di lite in diversi provvedimenti giudiziali emessi tra il 2000 e il 2002, il quale, dopo avere azionato solo il credito per tali spese e gli accessori fiscali e previdenziali, aveva agito poi con altri atti di precetto per la quota di spese generali non liquidate nei suddetti titoli, per via di un successivo orientamento giurisprudenziale per cui quegli importi potevano ritenersi compresi nel titolo, anche se non espressamente contemplati. Il Tribunale di Roma respingeva l’opposizione dell’avvocato agli atti esecutivi posti in essere dal Giudice dell’esecuzione, sostenendo che l’orientamento a cui si fa riferimento risale al 2003, dunque l’azione esecutiva dell’avvocato intrapresa nel 2011 costituiva un indebito frazionamento di un credito unitario . Il medesimo si rivolge alla Corte di Cassazione. I Giudici di legittimità dichiarano il ricorso inammissibile , rilevando che il ragionamento del ricorrente avrebbe dovuto essere completato con l’indicazione specifica delle date di notificazione dei precetti . Infatti, i contenuti dell’atto di ricorso non recano in modo puntuale ed esatto tali date e non può richiedersi al giudice di effettuare una ricerca tra i documenti e una ricostruzione logica tra gli stessi che non sia stata affermata esplicitamente dalla parte. A tal proposito, gli Ermellini evidenziano che il principio di libertà delle forme ex art. 121 c.p.c. non permette di escludere che nel contesto atto-ricorso per cassazione vengano inseriti documenti con lo scopo di rendere migliore la comprensione del testo , ma tale possibilità non ha nulla a che vedere con i contenuti dell’atto stesso, che deve sostanziarsi nei motivi e nelle argomentazioni espresse attraverso la concatenazione sintattica di parole, frasi e periodi e non attraverso documenti o altre forme che impongono all’interprete operazioni di traduzione in discorso linguistico e magari anche di individuazione delle connessioni logiche tra i documenti stessi . Così facendo, infatti, si rimetterebbe al giudice destinatario dello scritto la declinazione dell’atto in forma argomentativa, il che non è consentito dall’art. 366 c.p.c Per questo motivo, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso proposto dall’avvocato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 15 settembre – 25 novembre 2020, n. 26837 Presidente Tria – Relatore Belle’ Ritenuto che il Tribunale di Roma ha rigettato l’opposizione agli atti esecutivi proposta dall’avv. T.G. avverso l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione aveva a propria volta respinto, per indebita parcellizzazione del credito, l’istanza di assegnazione delle somme pignorate dalla predetta in danno all’I.N.P.S. in fatto è accaduto che l’avv. T. , distrattaria delle spese processuali in vari provvedimenti giudiziali emessi tra il 2000 ed il 2002, dopo avere originariamente azionato esecutivamente il credito per tali spese e gli accessori fiscali e previdenziali, avesse poi agito con ulteriori atti di precetto per la quota di spese generali non liquidate nei predetti titoli, sul presupposto che solo successivamente questa Corte avesse maturato un orientamento secondo cui quegli importi potessero essere ritenuti far parte del titolo sebbene da esso non espressamente contemplati il Tribunale di Roma, nel decidere nei termini di cui sopra, segnalava come dal 2003 l’orientamento giurisprudenziale fosse nel senso del rientrare nel titolo anche delle spese generali, sebbene in esso non menzionate, per concluderne che l’avere proceduto esecutivamente nel 2011 solo per esse costituiva un indebito frazionamento di un credito unitario la T. ha proposto ricorso per cassazione con un unico articolato motivo, resistito da controricorso dell’I.N.P.S Considerato che con l’unico motivo di ricorso la T. afferma art. 360 c.p.c., n. 3 , la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 100 c.p.c. e art. 2697 c.p.c., oltre a vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, argomentando in sostanza rispetto al fatto che, al momento della notificazione del primo precetto, non avrebbe potuto essere richiesta la quota per spese generali, in quanto il relativo diritto è stato riconosciuto come facente parte del titolo solo dalla giurisprudenza successiva il motivo è inammissibile il ragionamento della ricorrente, per essere seguito, avrebbe dovuto essere completato, nel suo contesto discorsivo, dalla specifica affermazione e precisazione delle date di notificazione dei precetti solo tali date potrebbero infatti avvalorare l’affermazione per cui all’epoca non fossero ancora maturati gli orientamenti su cui fondare la richiesta delle spese generali nonostante esse non fossero state contemplate nel provvedimento giudiziale-titolo esecutivo, di modo da escludere altresì la possibilità di ravvisare un abusivo frazionamento, per il fatto che l’esercizio di quella pretesa, per quell’epoca, non avrebbe potuto essere ragionevolmente ipotizzato tuttavia, i contenuti argomentativi del ricorso, i quali devono indispensabilmente emergere dall’atto a pena di inammissibilità c.d. principio di autosufficienza o, meglio, di specificità non recano l’indicazione puntuale ed esatta di tali date, delle quali non può richiedersi al giudice di effettuare una ricerca in uno o più documenti interpolati al ricorso stesso, magari ricostruendo una connessione logica tra essi come ad es. tra atto di precetto e documenti relativi alla sua notificazione non esplicitamente affermata dalla parte il principio di libertà di forme di cui all’art. 121 c.p.c., non permette in effetti di escludere radicalmente che nel contesto dell’atto-ricorso per cassazione siano inseriti documenti come anche grafici o altre forme , finalizzati alla migliore comprensione del testo Cass. 17 maggio 2017, n. 12415 tuttavia, tale possibilità ed il predetto principio non hanno nulla a che vedere con i requisiti di contenuto del ricorso stesso, il quale deve consistere di motivi ed argomentazioni espressi mediante la concatenazione sintattica di parole, frasi e periodi e non attraverso documenti o altre forme che impongono all’interprete operazioni di traduzione in discorso linguistico e magari anche di individuazione delle connessioni logiche tra i documenti stessi altrimenti si rimette totalmente al giudice, quale destinatario dello scritto così formato, la declinazione di esso in forma argomentativa, se non anche l’attribuzione di significato e di rilevanza a fini impugnatori ai segni - quali date, figure, espressioni non consistenti in frasi - in tal modo variamente riprodotti ciò non è consentito dall’art. 366 c.p.c. v. Cass. 4 aprile 2018, n. 8245 Cass. 30 ottobre 2015, n. 22185 e dall’esigenza di specificità ad esso sottesa, la quale è da intendere, in una logica di chiarezza e autoresponsabilità, anche come necessaria espressione completa del senso del ricorso mediante un discorso linguistico organizzato ed interamente percepibile e comprensibile come tale le spese del grado seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controparte le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.