Il datore di lavoro deve pagare i contributi anche in caso di sospensione dell’attività

In caso di sospensione dell’attività lavorativa, seppur pattuita da datore di lavoro e lavoratori, permane l’obbligo di contribuzione minimale in capo alla parte datoriale. L’obbligazione contributiva è infatti autonoma e svincolata dalla retribuzione effettivamente corrisposta.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 21479/20, depositata il 6 ottobre. La Corte d’Appello di Bologna, in riforma della pronuncia di prime cure, accoglieva la domanda del datore di lavoro avente ad oggetto l’opposizione ad un verbale ispettivo dell’INPS per alcuni contributi previdenziali non versati . Veniva infatti accertata la sospensione dell’attività , disposta dal datore di lavoro e accettata dai dipendenti, e della corrispettiva obbligazione contributiva. L’INPS ha proposto ricorso in Cassazione dolendosi per la violazione dell’art. 1, d.l. n. 338/1989, conv. in l. n. 389/1989, per aver la sentenza impugnata escluso la contribuzione nonostante l’ autonomia del rapporto contributivo rispetto a quello lavorativo. La censura risulta fondata. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo riconosciuto l’autonomia del rapporto contributivo rispetto a quello lavorativo, con la conseguente affermazione della regola del c.d. minimale contributivo secondo cui sussiste un obbligo datoriale, a prescindere da eventuali pattuizioni individuali difformi nell’ambito del rapporto di lavoro , di rispetto della misura dell’obbligo contributivo previdenziale in riferimento ad una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiori all’orario normale previsto dalla contrattazione collettiva. E’ stato anche affermato che la regola del cd. minimale contributivo opera sia con riferimento all’ammontare della retribuzione c.d. contributiva , sia con riferimento all’orario di lavoro da prendere a parametro, che dev’essere l’ orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva o dal contratto individuale se superiore, atteso che è evidente che se ai lavoratori vengono retribuite meno ore di quelle previste dal normale orario di lavoro e su tale retribuzione viene calcolata la contribuzione, non vi può essere il rispetto del minimo contributivo nei termini sopra rappresentati Cass.Civ. n. 15120/19 . La Cassazione esclude dunque ogni dubbio sul fatto che la contribuzione è dovuta anche in caso di assenze o di sospensione concordata della prestazione che non trovino giustificazione nella legge o nel contratto collettivo, bensì in un accordo tra le parti che derivi da una libera scelta del datore di lavoro . Il ricorso viene in conclusione accolto con la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 8 luglio – 6 ottobre 2020, n. 21479 Presidente Manna – Relatore Buffa Rilevato che 1. Con sentenza del 28.1.14, la Corte d’Appello di Bologna, in riforma di sentenza del tribunale di Forlì, ha accolto la domanda del datore di lavoro indicato in epigrafe volta ad opporsi a verbale ispettivo INPS e ad accertare negativamente la sussistenza del debito per contributi previdenziali nei confronti dell’INPS, con riferimento al periodo 1.1.02-30.6.02, per importo complessivo di oltre Euro 100.228,00. 2. In particolare, la corte territoriale ha affermato l’inesistenza del debito contributivo in questione in ragione della sospensione -disposta dal datore ed accettata dai dipendenti - del lavoro, per mancanza di commesse, e della corrispettiva obbligazione retributiva. 3. Avverso tale sentenza ricorre l’INPS per un motivo il datore è rimasto intimato. Considerato che 4. Con unico motivo di ricorso - proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - si deduce violazione del D.L. n. 338 del 1989, art. 1 conv. in L. n. 389 del 1989, per avere la sentenza impugnata escluso la contribuzione nonostante l’autonomia del rapporto contributivo rispetto a quello lavorativo. 5. Il motivo è fondato. 6. La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato l’autonomia del rapporto contributivo rispetto a quello lavorativo Cass. Sez. L, Sentenza n. 3491 del 14/02/2014 . 7. Da tale principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto alle vicende dell’obbligazione retributiva deriva la regola del cd. minimale contributivo, che prevede l’obbligo datoriale - a prescindere da eventuali pattuizioni individuali difformi nell’ambito del rapporto di lavoro - di rispetto della misura dell’obbligo contributivo previdenziale in riferimento ad una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario normale di lavoro stabilito dalla contrattazione collettiva, secondo il riferimento ad essi fatto con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale – dal D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1 convertito in L. 7 dicembre 1989, n. 389 . 8. Il principio ha fondamento nelle stesse finalità pubblicistiche della contribuzione previdenziale, posto che - come evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza 20 luglio 1992, n. 342 - una retribuzione imponibile non inferiore a quella minima è necessaria per l’assolvimento degli oneri contributivi e per la realizzazione delle finalità assicurative e previdenziali, in quanto , se si dovesse prendere in considerazione una retribuzione imponibile inferiore, i contributi determinati in base ad essa risulterebbero tali da non poter in alcun modo soddisfare le suddette esigenze . 9. In relazione a ciò, questa Corte Cass. Sez. L -, Sentenza n. 15120 del 03/06/2019, Rv. 654101 - 01 ha già avuto modo di affermare, in via generale ed a prescindere dal settore di attività del datore, che la, regola del cd. minimale contributivo opera sia con riferimento all’ammontare della retribuzione c.d. contributiva, sia con riferimento all’orario di lavoro da prendere a parametro, che dev’essere l’orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva o dal contratto individuale se superiore, atteso che è evidente che se ai lavoratori vengono retribuite meno ore di quelle previste dal normale orario di lavoro e su tale retribuzione viene calcolata la contribuzione, non vi può essere il rispetto del minimo contributivo nei termini sopra rappresentati. 10. Ne deriva che la contribuzione è dovuta anche in caso di assenze o di sospensione concordata della prestazione che non trovino giustificazione nella legge o nel contratto collettivo, bensì in un accordo tra le parti che derivi da una libera scelta del datore di lavoro v. Cass. n. 21700 del 13/10/2009, Cass. n. 9805 del 04/05/2011 e successive conformi, che hanno superato la diversa soluzione adottata da Cass. n. 1301 del 24/01/2006, ed altre precedenti . 11. Va infatti esclusa la libertà delle parti di modulare l’orario di lavoro e la stessa presenza al lavoro con effetto sull’obbligazione contributiva, considerato che quest’ultima è svincolata dalla retribuzione effettivamente corrisposta e dev’essere connotata dai caratteri di predeterminabilità, oggettività e possibilità di controllo. 12. Ciò vale anche nel caso di attenuazione o cessazione temporanea dell’attività lavorativa per insussistenza di commesse, essendo tali eventi ricompresi nell’ambito del rischio imprenditoriale che grava sul datore di lavoro in via esclusiva, senza che ciò possa riflettersi sull’obbligo contributivo. 13. La sentenza impugnata deve dunque essere cassata in parte qua e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione, anche per le spese di lite. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata in parte qua e rinvia alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.