Gli utili derivanti dalla partecipazione a società di capitali non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi

Tenendo conto, da una parte, che la normativa previdenziale individua come base imponibile sulla quale calcolare i contributi la totalità dei redditi d’impresa e, dall’altra, che il testo unico delle imposte sui redditi include gli utili derivanti dalla mera partecipazione alle società di capitali tra i redditi di capitale, la Corte di Cassazione afferma che questi ultimi non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi.

Così si esprima la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 18594/20, depositata il 7 settembre. La Corte d’Appello di L’Aquila confermava la pronuncia del Giudice di primo grado, il quale aveva annullato l’avviso di addebito notificato all’attuale controricorrente mediante il quale l’INPS intimava il pagamento dei contributi previdenziali relativi alla gestione commercianti sui redditi derivanti dalla partecipazione pro quota ad alcune società a responsabilità limitata. La suddetta decisione viene impugnata dall’INPS, che sottopone al vaglio della Suprema Corte la questione inerente al fatto se il lavoratore autonomo iscritto alla gestione previdenziale debba parametrare o meno il suo obbligo contributivo a tutti i redditi percepiti durante l’anno di riferimento, quindi anche a quelli derivanti dalla partecipazione a società di capitali presso cui svolge attività lavorativa. La Corte di Cassazione richiama, in via preliminare, la recente sentenza n. 21540/19, nella quale è stato rilevato che l’art. 3- bis , d.l. n. 384/1992, prevede che A decorrere dall’anno 1993, l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all’art. 1, l. n. 233/1990, è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono”. I Giudici di legittimità sottolineano, inoltre, che per individuare il reddito di impresa rilevante ai fini contributivi, è necessario fare riferimento alla normativa fiscale, dunque innanzitutto al d.P.R. n. 917/1986, considerando che esso opera una distinzione tra i redditi di impresa e quelli di capitale. Mentre i primi, infatti, ex art. 55, sono quelli derivanti dall’esercizio dell’attività imprenditoriale, l’art. 44, lett. e , ricomprende tra i redditi di capitali gli utili derivanti dalla partecipazione alle società soggette all’attuale IRES. Ora, tenendo conto che le norme previdenziali individuano quale base imponibile su cui calcolare i contributi la totalità dei redditi d’impresa così come definita dalla disciplina fiscale e che, d’altra parte, il testo unico sopra citato include gli utili derivanti dalla partecipazione a società di capitali senza prestazione di attività lavorativa tra i redditi di capitale, la Suprema Corte conclude che questi ultimi non concorrono a costituire la base imponibile a scopo contributivo. Di conseguenza, i Giudici rigettano il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 18 giugno – 7 settembre 2020, n. 18594 Presidente e relatore Esposito Rilevato che La Corte d’appello di L’Aquila confermava la decisione di primo grado che aveva annullato l’avviso di addebito notificato a M.A.F. , con il quale l’Inps aveva intimato alla predetta il pagamento di contribuzione previdenziale relativa alla gestione commercianti sui redditi derivanti dalla partecipazione pro quota ad alcune società a responsabilità limitata rilevava la Corte territoriale che, pur se il D.L. n. 384 del 1992, art. 3 bis, faceva riferimento alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF, il rapporto previdenziale non può prescindere dalla sussistenza di un’attività, di lavoro dipendente o autonomo, che giustifichi la tutela corrispondente, atteso che, diversamente ragionando, ogni conferimento di capitali in società esercente attività d’impresa dovrebbe comportare l’inserimento del reddito corrispondente nell’imponibile contributivo. Ne deriva che il concetto di totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini Irpef deve essere riferito esclusivamente all’impresa commerciale o artigiana in relazione alla quale l’assicurato è iscritto alla corrispondente gestione, non essendo necessariamente soggette a contribuzione ai fini previdenziali eventuali altre fonti di reddito da partecipazione avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’Inps sulla base di unico motivo resiste M.A.F. con controricorso la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alla parte costituita, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio. Considerato che con unico motivo il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 14 novembre 1992, n. 438, art. 3 bis, di conv.ne con modificazioni del D.L. 19 settembre 1992, n. 384, e in connessione con la L. 2 agosto 1990, n. 233 la questione sottoposta al vaglio di questa Corte attiene al fatto se il lavoratore autonomo, iscritto alla gestione previdenziale in quanto svolgente un’attività lavorativa per la quale sussistono i requisiti per il sorgere della tutela previdenziale obbligatoria, debba parametrare o meno il proprio obbligo contributivo a tutti i redditi percepiti nell’anno di riferimento, tenendo conto anche di quelli da partecipazione a società di capitali nella quale egli non svolge attività lavorativa trattasi di questione recentemente affrontata e risolta da Cass. 21540 del 20/8/2019, cui in questa sede si rinvia nella citata pronuncia è stato rilevato che il D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 3 bis, convertito con modificazioni dalla L. 14 novembre 1992, n. 438, ha previsto che A decorrere dall’anno 1993, l’ammontare del contributo annuo dovuto per l’soggetti di cui alla L. 2 agosto 1990, n. 233, art. 1, è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati aì finì IRPEF per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono e che con la nuova disposizione rileva la totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF, non parlandosi più della sola attività che dà titolo all’iscrizione alla gestione della L. n. 233 del 1990, ex art. 1, con una formulazione che realizza un ampliamento della base imponibile contributiva è stato rilevato, altresì, che al fine di individuare quale sia il reddito di impresa rilevante ai fini contributivi, occorre per coerenza di sistema fare riferimento alle norme fiscali, e dunque in primo luogo al testo unico delle imposte sui redditi, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e che il suddetto D.P.R., contiene distinte disposizioni onde qualificare i redditi d’impresa rispetto ai redditi di capitale i primi, a mente dell’art. 55, nel testo post riforma del 2004 sono quelli che derivano dall’esercizio di attività imprenditoriale, mentre l’art. 44, lett. e , nel testo post riforma del 2004 ricomprende tra i redditi di capitale gli utili da partecipazione alle società soggette ad IRPEG ora IRES e poiché la normativa previdenziale individua, come base imponibile sulla quale calcolare i contributi, la totalità dei redditi d’impresa così come definita dalla disciplina fiscale e considerato che secondo il testo unico delle imposte sui redditi gli utili derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa, sono inclusi tra i redditi di capitale, ne consegue che questi ultimi non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi sulla base delle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.