La cancellazione della società dal registro delle imprese determina l’interruzione del processo solo se il difensore lo dichiara in giudizio

La cancellazione, anche della società di persone, dal registro delle imprese, dà luogo a un fenomeno estintivo che priva la stessa della capacità di stare in giudizio, costituendo un evento interruttivo la cui rilevanza processuale è subordinata, ove la parte sia costituita a mezzo di procuratore, stante la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, alla dichiarazione in udienza ovvero alla notificazione dell’evento alle altre parti.

Così stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con ordinanza n. 18250 pubblicata il 2 settembre 2020. Il caso appello di sentenza di primo grado, dichiarato inammissibile a seguito dell’intervenuta cancellazione della società appellata dal registro delle imprese, nelle more del giudizio di primo grado. Un lavoratore agiva in giudizio nei confronti della società s.a.s. sua datrice di lavoro, al fine di ottenere il pagamento di T.F.R. e differenze retributive. Il Tribunale adito rigettava la domanda. Proponeva allora appello, ma la Corte d’Appello lo dichiarava inammissibile, poiché nelle more del giudizio di primo grado la società convenuta era stata cancellata dal registro delle imprese e di conseguenza l’appello avrebbe dovuto essere proposto nei confronti degli ex soci della s.a.s. o comunque dei soggetti responsabili per i debiti gravanti sulla società estinta. Il lavoratore ricorreva in Cassazione. Gli effetti della cancellazione della società. Il ricorrente censura la sentenza resa dalla Corte territoriale, poiché sarebbe in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza, di giusto processo e di diritto di difesa. La decisione dei giudici d’appello graverebbe la parte dell’onere di procedere ad una permanente consultazione del registro delle imprese, al fine di consentirle la semplice gestione del processo . Il Supremo Collegio ripercorre l’evoluzione giurisprudenziale in tema di estinzione delle società a seguito della cancellazione dal registro delle imprese. Vengono richiamate le pronunce delle Sezioni n. 4060/2010 e n. 6070/2013 . Con la prima decisione si era affermato che in virtù del novellato art. 2495, comma 2, c.c., nel testo introdotto dall'art. 4 d.lgs. n. 6/2003, la cancellazione della società dal registro delle imprese ne produce l'estinzione, indipendentemente dall'esistenza di crediti insoddisfatti o di rapporti ancora non definiti la norma non costituisce interpretazione della disciplina previgente, ma è innovativa e ultrattiva, sicché trova applicazione anche alle cancellazioni iscritte prima dell'1 gennaio 2004, data di entrata in vigore della disciplina, ma l'effetto estintivo si produce non già dalla iscrizione ma soltanto dal momento dell'entrata in vigore della nuova disciplina Cass., SS.UU., n. 4060/2010 . Con la seconda decisione citata, la Corte di legittimità aveva affermato che la cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l'estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Se l'estinzione della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli art. 299 e ss. c.p.c., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l'evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l'impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d'inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta Cass., SS.UU., n. 6070/2013 . Detti principi sono applicabili sia alle società di capitale che a quelle di persone. La dichiarazione in giudizio dell’evento interruttivo. Richiamando e facendo propri i principi dettati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 6070/2013, la Corte d’Appello decideva il gravame proposto dal lavoratore ricorrente, dichiarandolo inammissibile, poiché non spiegato nei confronti dei soci personalmente. Ma gli Ermellini non condividono la tesi del Collegio di merito, affermando che occorre andare oltre i principi dettati dalle citate massime n. 4060/2010 e n. 6070/2013, al fine di garantire la stabilità del processo. Proprio per assicurare tale finalità stabilizzante, la Suprema Corte, dopo le decisioni prima citate, ebbe a pronunciarsi nuovamente sul tema, richiamandosi alla teoria dell’ultrattività del mandato alla lite ed al principio secondo cui in caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l'omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest'ultimo comporta che il difensore continui a rappresentare la parte come se l'evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata rispetto alle altre parti ed al giudice nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell'impugnazione. Tale principio giurisprudenziale trova applicazione anche in ambito societario, posto che la cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese, costituita in giudizio a mezzo di procuratore che tale evento non abbia dichiarato in udienza o notificato alle altre parti nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., comporta, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che detto procuratore continua a rappresentare la parte come se l’evento interruttivo non si fosse verificato, con conseguente ammissibilità della notificazione dell'impugnazione presso di lui, ex art. 330, comma 1, c.p.c., senza che rilevi la conoscenza aliunde ” dell’avvenuta cancellazione da parte del notificante. In conclusione, secondo il Supremo Collegio la Corte territoriale, nella sentenza impugnata, si è limitata a far proprio il principio di cui alla sentenza n. 6070/2013, senza recepire gli ulteriori arresti dettati dalla Corte di Cassazione. Errando di conseguenza nel dichiarare inammissibile l’appello proposto dal lavoratore. Il ricorso è stato così accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio ad altra corte d’appello, per la decisione conforme al principio di diritto sopra enunciato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 24 giugno – 2 settembre 2020, n. 18250 Presidente Raimondi – Relatore Lorito Rilevato che Il Tribunale di Salerno con sentenza depositata il 9/6/2014, respingeva le domande proposte da S.A. nei confronti della s.a.s. Linea C informatica di N.V. e c. nonché di G.G. , volte a conseguire il pagamento della somma di Euro 19.455,57 a titolo di differenze retributive e TFR spettanti in relazione alla attività di programmatore informatico espletate alle dipendenze della predetta società nel periodo 2/1/2004 - 3/3/2005. Avverso tale decisione S.A. interponeva gravame innanzi alla Corte distrettuale che, con sentenza resa pubblica il 19/4/2016, lo dichiarava inammissibile. A fondamento del decisum, la Corte distrettuale osservava che la società appellata era risultata cancellatala registro delle imprese in data 17/3/2010, nelle more del giudizio di primo grado instaurato, nell’anno 2008. Essendosi verificato un fenomeno estintivo della società, in base ai principi espressi in sede di legittimità dalla sentenza resa a Sezioni Unite n. 6070/2013, l’appellante avrebbe, dovuto spiegare atto di gravame nei confronti degli ex soci della s.a.s. o comunque dei soggetti responsabili per debiti eventualmente gravanti sulla società estinta . L’evocazione in giudizio della società ormai estinta ridondava in termini di inammissibilità del ricorso. La cassazione di tale sentenza è domandata da S.A. sulla base di unico motivo. La parte intimata non ha svolto attività difensiva. Il Procuratore Generale ha concluso, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., per il rigetto del ricorso. Considerato che 1. Con unico motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Si criticano gli approdi ai quali è pervenuto il giudice del gravame in tema di effetti processuali conseguenti alla cancellazione della società dal registro delle imprese. Si prospetta la contrarietà ai principi costituzionali della ragionevolezza, del giusto processo e del diritto di difesa, propri della soluzione adottata dalla Corte distrettuale sul tema delibato viene ritenuto oltremodo gravoso, per la parte interessata all’impugnazione, l’onere di procedere ad una permanente consultazione del registro delle imprese al fine di consentirle la semplice gestione del processo . Si deduce quindi che l’applicazione della regola della immediata estinzione della società, per effetto di una volontaria cancellazione dal registro delle imprese, contrasta con l’orientamento giurisprudenziale S.U. n. 19509/2010 secondo cui occorre operare un attento bilanciamento tra esigenze del soggetto che intenda impugnare la decisione sfavorevole e quelle del soggetto protagonista di una vicenda modificatrice della capacità di stare in giudizio, dallo stesso voluta . 2. Il motivo è fondato e va accolto per le ragioni di seguito esposte. La questione oggetto di attuale delibazione, attinente agli effetti processuali connessi alla vicenda estintiva che può investire le società, è stata oggetto di ripetuti interventi da parte della giurisprudenza di legittimità, che nel suo sviluppo evolutivo ha tracciato, come da più parti osservato, una storia infinita , dipanatasi attraverso modalità di pendolarismo giurisprudenziale . In tale contesto, per richiamare le soluzioni più recentemente delineatesi, vanno considerati i noti arresti giurisprudenziali del 2010 e del 2013 Cass. S.U. 22/2/2010 n. 4060 e Cass. S.U. 12/3/2013 n. 6070 , coni quali è stato innanzitutto fugato ogni dubbio sul fatto che, sia pure con riferimento al nuovo art. 2495 c.c. introdotto dalla riforma del diritto societario del 2003, in sostituzione dell’art. 2456 , l’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese comporta l’estinzione della società, superandosi così l’orientamento, pluridecennale e assolutamente prevalente, formatosi in relazione alla vecchia disciplina, secondo il quale la cancellazione non determinava l’estinzione della società ove e sino a che non fossero esauriti tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo. La cancellazione, infatti, determina il venir meno dell’ente, indipendentemente dall’esistenza di crediti insoddisfatti o di rapporti ancora non definiti, la relativa disposizione avendo portata innovativa e non interpretativa della disciplina previgente. 3. Va poi in via ulteriore rimarcato che i principi enunciati dalle Sezioni Unite nel 2010 e nel 2013 riguardano non soltanto le società di capitali, ma anche le società di persone. Alla pubblicità del regime che presiede alla cancellazione dal registro delle imprese, di natura dichiarativa, secondo gli approdi ai quali è pervenuta la più avvertita dottrina, è comunque connessa una presunzione, opponibile ai creditori sociali, del venir meno della capacità giuridica cfr. Cass., sez. un., 12/3/2013, n. 6070, Cass. 13/11/2009, n. 24037 , della soggettività e della legittimazione della società. La soluzione trova giustificazione nella necessità di trattare in maniera omogenea situazioni sostanzialmente identiche e nell’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme che regolano le società di persone Corte Cost. 21 luglio 2000, n. 319 , da leggere in parallelo ai nuovi effetti costitutivi della cancellazione di quelle di capitali v. Cass. S.U. n. 4060/2010 . A fronte del nuovo dettato normativo di cui all’art. 2495 c.c., il diritto vivente è, dunque, concorde nel ritenere che la cancellazione comporta l’estinzione della società e ha effetto costitutivo, valendo, quindi, anche nel caso in cui la società estinta abbia assunto le forme della società di persone, il binomio cancellazione-estinzione. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, infatti, già con la sentenza n. 4060/2010, avevano affermato il principio per cui in tema di società, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2495 c.c., comma 2, come modificato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4, nella parte in cui ricollega alla cancellazione dal registro delle imprese l’estinzione immediata delle società di capitali, impone un ripensamento della disciplina relativa alle società commerciali di persone, in virtù del quale la cancellazione, pur avendo natura dichiarativa, consente di presumere il venir meno della loro capacità e soggettività limitata, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali, rendendo opponibile ai terzi tale evento, contestualmente alla pubblicità nell’ipotesi in cui essa sia stata effettuata successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 6 del 2003, e con decorrenza dal 1 gennaio 2004 nel caso in cui abbia avuto luogo in data anteriore conf. Cass. n. 9032/2010 Cass. n. 20878/2010 Cass. n. 26196/2016, in motiv., Cass. 9/10/2017 n. 23563 . 4. Muovendo da tali presupposti, lo studio del fenomeno estintivo delle società ha coinvolto, poi, essenzialmente, il tema dell’individuazione della giusta parte, quale corollario del giusto processo, nonché la definizione dei poteri e della legittimazione del difensore della parte stessa, intesi come ineludibili passaggi per addivenire all’approdo di una auspicata stabilizzazione del processo. In tale linea evolutiva un ruolo indubbiamente fondante assume la pronunzia n. 6070/2013 resa dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la quale si è stabilito il principio per cui, in caso di estinzione della società in conseguenza della sua cancellazione dal registro delle imprese, si determina un meccanismo di tipo successorio , in virtù del quale a sul piano sostanziale, l’obbligazione della società non si estingue, poiché ciò sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali, mentre i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore giudiziale o extragiudiziale , il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo b sul piano processuale, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina salva la sola eccezione della fictio iuris contemplata dall’art. 10 L. Fall. un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 c.p.c. e ss., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. se, però, l’evento non è stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, appena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso conf. Cass. n. 20/9/2013 n. 21517, Cass. 19/3/2014 n. 6468 Cass. 13/5/2015 n. 9828 . Questo è, dunque, l’orientamento giurisprudenziale che la Corte di merito ha mostrato di conoscere e condividere esso risulta ispirato alla esigenza di valorizzazione della giusta parte, che a seguito del verificarsi dell’evento menomativo, non sarebbe più quella originaria e che andrebbe tutelata nella sua diversa identità e nell’inestensibilità della disciplina dell’art. 300 c.p.c. alle fasi processuali per le quali non è esplicitamente prevista. 5. Non può, peraltro, tralasciarsi di considerare che le Sezioni Unite, recependo le istanze formulate da molta parte della dottrina, sono in seguito, ritornate sul tema vedi Cass. S.U. 4/7/2014 n. 15295 , assumendo lo sforzo e formulando l’auspicio di offrire alla materia una soluzione che avesse un effetto stabilizzante per il processo e, per stabilizzare il processo, hanno ritenuto che occorresse stabilizzare la parte stessa, così ritornando alla teoria dell’ultrattività del mandato. In particolare, concordando con la maggiore elaborazione giurisprudenziale della tesi in argomento, sviluppata dalle tre sentenze rese dalle Sezioni Unite il 21 febbraio 1984, nn. 1228, 1229 e 1230, si è rilevato che, a norma dell’art. 300 c.p.c., essendo indispensabile la comunicazione formale dell’evento da effettuarsi dai procuratore della parte deceduta o che ha perduto la capacità di stare in giudizio, e non avendo perciò rilevanza la conoscenza che dell’evento le altre parti abbiano aliunde, l’effetto interruttivo del processo è prodotto da una fattispecie complessa costituita dal verificarsi dell’evento e dalla dichiarazione in udienza o dalla notificazione fattane dal procuratore alle altre parti dichiarazione o notificazione del procuratore che, consistendo nell’esteriorizzazione di una determinazione volitiva, al fine di produrre l’effetto interruttivo del processo, si configura come negozio processuale del procuratore legittimato dal potere rappresentativo conferito con la procura ad litem. Finché non vi sia la comunicazione formale del procuratore della parte divenuta incapace, proseguendo l’iter processuale nello stato anteriore, come se la parte fosse ancora in vita o continuasse ad essere capace, si verifica, appunto, il fenomeno dell’ultrattività della procura ad litem, nonostante il verificarsi dell’evento che, per la norma dell’art. 1722 c.c., n. 4, avrebbe dovuto procurarne l’estinzione. Le sezioni Unite hanno chiaramente accolto il richiamato auspicio affermando che Qualora, durante la pendenza del giudizio, sopraggiunga la morte della parte costituita ed il suo procuratore ometta di dichiarare o notificare l’evento nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., la posizione giuridica del soggetto rappresentato rispetto alle altre parti e al giudice resta stabilizzata nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione del giudizio di gravame, sicché è ammissibile l’atto di impugnazione notificato, presso il difensore, alla parte deceduta o divenuta incapace, pur se il notificante abbia avuto aliunde conoscenza dell’evento . Tale linea interpretativa è stata condivisa da questa Corte in ulteriori pronunce espressamente riferite anche al fenomeno societario vedi Cass. 9/10/2017 n. 23563 secondo cui la cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese, costituita in giudizio a mezzo di procuratore che tale evento non abbia dichiarato in udienza o notificato alle altre parti nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che detto procuratore continua a rappresentare la parte come se l’evento interruttivo non si fosse verificato, con conseguente ammissibilità della notificazione dell’impugnazione presso di lui, ex art. 330 c.p.c., comma 1, senza che rilevi la conoscenza aliunde dell’avvenuta cancellazione da parte del notificante Cass. 23/11/2018 n. 30341 secondo cui la cancellazione della società dal registro delle imprese da luogo a un fenomeno estintivo che priva la stessa della capacità di stare in giudizio, costituendo un evento interruttivo la cui rilevanza processuale è peraltro subordinata, ove la parte sia costituita a mezzo di procuratore, stante la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, dalla dichiarazione in udienza ovvero dalla notificazione dell’evento alle altre parti . Nell’ottica descritta, non può sottacersi che il giudice del gravame, preso atto dell’autorevole arresto delle Sezioni Unite n. 6070/2013 sulla cui scia si sono collocate, per vero, anche ulteriori pronunce di questa Corte - vedi Cass. 19/12/2016 n. 26196, Cass. 9/10/2018 n. 24853 , non si sia confrontato con i successivi citati approdi della Corte di legittimità che qui si condividono, per la portata indubbiamente stabilizzatrice della posizione giuridica della società rispetto alle altre parti ed al giudice nell’ambito della dinamica processuale ai quali sono ispirati, ed ai quali, per tali motivi, si intende dare continuità. Al lume delle sinora esposte considerazioni, il ricorso merita di essere, accolto. La sentenza impugnata, alla stregua del disposto dell’art. 384 c.p.c., comma 1, deve essere cassata con rinvio alla Corte distrettuale designata in dispositivo - cui si demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità - che si atterrà al principio di diritto da enunciarsi nei seguenti termini la cancellazione, anche della società di persone, dal registro delle imprese, da luogo a un fenomeno estintivo che priva la stessa della capacità di stare in giudizio, costituendo un evento interruttivo la cui rilevanza processuale è subordinata, ove la parte sia costituita a mezzo di procuratore, stante la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, alla dichiarazione in udienza ovvero alla notificazione dell’evento alle altre parti. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.