Fondi di previdenza interni, investimenti fruttiferi e restituzione delle somme all’INPS

La Corte di Cassazione fornisce alcune precisazioni in merito alla distinzione tra fondi pensione interni” e fondi speciali per l’assistenza e la previdenza, nonché sulla possibilità di ricorrere alla liquidazione equitativa del giudice qualora non sia possibile accertare in modo specifico le somme oggetto di finanziamento degli stessi.

Questo il contenuto dell’ordinanza della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione n. 17607/20, depositata il 24 agosto. La Corte d’Appello di Perugia confermava la decisione emessa dal Giudice di primo grado, il quale aveva escluso l’obbligo di un istituto di credito relativo al pagamento del contributo di solidarietà sugli accantonamenti effettuati a favore di un Fondo interno di previdenza per mezzo delle rendite derivanti dagli investimenti fruttiferi del patrimonio dello stesso Fondo, determinando la somma da restituire da parte dell’INPS in modo equitativo . L’INPS propone ricorso per cassazione, lamentando il fatto che la Corte avesse ritenuto le suddette rendite non costitutive di apporti effettuati dal datore di lavoro assoggettabili a contribuzione, considerando che il Fondo non aveva una soggettività giuridica diversa rispetto all’istituto di credito. Inoltre, il ricorrente deduce l’avvenuta quantificazione della somma da restituirsi mediante ricorso alla liquidazione correttiva, vista l’impossibilità di individuare analiticamente le poste di bilancio con cui si provvedeva al finanziamento del Fondo di previdenza. La Corte di Cassazione chiarisce preliminarmente che i fondi pensione interni” solo solamente quelli privi di distinzione rispetto al patrimonio dell’ impresa , non rientrando dunque in tale nozione i fondi speciali per l’assistenza e la previdenza costituiti mediante la contribuzione dei lavoratori e del datore di lavoro. Questi ultimi si connotano, infatti, come associazioni non riconosciute che rispondono in modo autonomo delle obbligazioni assunte, comprese quelle di natura previdenziale ed assistenziale, salva la responsabilità personale e sussidiaria di quanti hanno agito in nome e per conto loro ex art. 38 c.c Ciò chiarito, gli Ermellini osservano che nel caso concreto, essendo stato accertato che nel Fondo di previdenza affluissero i contributi posti a carico del datore di lavoro e dei lavoratori, la Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto che esso possedesse una propria soggettività giuridica indipendente rispetto a quella dell’istituto di credito. Da ciò deriva l’infondatezza della prima doglianza del ricorrente. Quanto alla seconda, la Suprema Corte precisa che, per via del richiamo dell’art. 442 c.p.c., il quale estende le norme applicabili alle controversie di lavoro a quelle in tema di previdenza ed assistenza obbligatorie, l’art. 432 c.p.c. relativo al ricorso alla liquidazione equitativa qualora sia certo il diritto ma non possibile la determinazione della somma dovuta trova applicazione anche ai fini della determinazione della base imponibile per poi calcolare i contributi previdenziali e assistenziali. Ora, nel caso di specie, avendo i Giudici di merito accertato l’esistenza del diritto alla restituzione dimostrato nell’ an , il fatto che non fosse possibile individuare in modo specifico le poste di bilancio relative al finanziamento del Fondo di previdenza e, di conseguenza, gli importi indebitamente pagati all’INPS, non può risolversi in un danno dell’istituto di credito, posto che la liquidazione equitativa esige che il giudice abbia prima accertato che l’impossibilità ovvero l’estrema onerosità di una stima esatta del danno dipenda da fattori oggettivi. Da tale ragionamento deriva l’infondatezza anche del secondo motivo di ricorso e, dunque, il rigetto dello stesso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 22 gennaio – 24 agosto 2020, n. 17607 Presidente Manna – Relatore Cavallaro Rilevato in fatto che, con sentenza depositata il 2.9.2013, la Corte d’appello di Perugia ha confermato, per quanto rileva in questa sede, la decisione del primo giudice che aveva escluso l’obbligo di Cassa di Risparmio di Spoleto s.p.a. di pagare il contributo di solidarietà sugli accantonamenti effettuati in favore del Fondo interno di previdenza mediante le rendite rivenienti dagli investimenti fruttiferi del patrimonio del Fondo stesso, determinando equitativamente la somma da restituire da parte dell’INPS che avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura che Casse di Risparmio dell’Umbria s.p.a., succeduta per fusione per incorporazione a Cassa di Risparmio di Spoleto s.p.a., ha resistito con controricorso, poi ulteriormente illustrato con memoria. Considerato in diritto che, con il primo motivo, l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 103 del 1991, art. 9-bis, conv. con L. n. 166 del 1991 , L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 194, e art. 2697 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che le rendite derivanti da investimenti effettuati dal Fondo non costituissero apporti effettuati dal datore di lavoro assoggettabili a contribuzione, ancorché il Fondo stesso non possedesse una soggettività giuridica differente dall’istituto di credito che, con il secondo motivo, l’INPS lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 432 c.p.c. e art. 1226 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che alla quantificazione delle somme da restituirsi potesse pervenirsi mercè il ricorso alla liquidazione correttiva, nonostante che l’impossibilità di accertare quanto degli apporti al Fondo di previdenza fosse costituito da rendite degli immobili acquisiti con le disponibilità del Fondo stesso derivasse da una scelta dell’istituto di credito concernente la redazione del proprio bilancio, che non aveva consentito di individuare analiticamente le poste di bilancio con le quali si provvedeva al finanziamento del Fondo che, con riguardo al primo motivo, questa Corte ha avuto modo di chiarire che i fondi pensione c.d. interni sono soltanto quelli privi di distinzione rispetto al patrimonio dell’impresa, poiché creati, senza apporti contributivi dei lavoratori loro destinatari, alla stregua di mere poste di bilancio o patrimoni di destinazione dell’impresa medesima in favore dei propri occupati, onde non rientrano nella descritta nozione i fondi speciali per l’assistenza e la previdenza costituiti con la contribuzione sia dei lavoratori sia del datore di lavoro, i quali, non ricadendo nella titolarità esclusiva di quest’ultimo, si connotano come associazioni non riconosciute che rispondono autonomamente delle obbligazioni assunte, ivi comprese quelle previdenziali e assistenziali, salva solo la responsabilità personale e sussidiaria ex art. 38 c.c. di quanti hanno agito in loro nome e conto Cass. n. 25967 del 2017 che, essendosi nella specie accertato che nel Fondo di previdenza della Cassa di Risparmio di Spoleto affluivano i contributi a carico del datore di lavoro pari al 10% delle retribuzioni pensionabili e dei lavoratori pari all’1% delle medesime retribuzioni così la sentenza impugnata, pag. 7 , affatto correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che il Fondo dovesse essere considerato come dotato di propria soggettività giuridica distinta da quella dell’istituto di credito odierno controricorrente che, pertanto, il primo motivo è infondato che, con riguardo al secondo motivo, questa Corte ha già avuto modo di precisare come, in virtù del richiamo operato dall’art. 442 c.p.c., che estende le disposizioni dettate per le controversie di lavoro alle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, la disposizione dell’art. 432 c.p.c., che prevede il ricorso alla liquidazione equitativa quando sia certo il diritto, ma non sia possibile determinare la somma dovuta, possa trovare applicazione anche per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale così Cass. n. 2579 del 1986 che, ciò premesso, la tesi dell’Istituto ricorrente, secondo cui non potrebbe farsi luogo alla liquidazione equitativa allorché l’impossibilità di determinare la somma dovuta sia ascrivibile a fatto della parte che la invoca, appare prima facie estranea alla lettera della disposizione, che, nell’abilitare il giudice alla liquidazione equitativa quando sia certo il diritto ma non sia possibile determinare la somma dovuta , non consente alcun distinguo in ordine alle ragioni che possono aver causato tale impossibilità che, per contro, è stato precisato, anche con riguardo all’analoga formulazione dell’art. 1226 c.c., che il ricorso alla liquidazione equitativa presuppone l’assolvimento dell’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno così da ult. Cass. n. 4310 del 2018 e, con specifico riferimento all’art. 432 c.p.c., v., tra le numerose, Cass. nn. 8927 del 1995, 5603 del 2002, 6333 del 2003, 22115 del 2009, 4076 del 2018 che, nel caso di specie, avendo accertato che la Cassa di Risparmio di Spoleto pagò il contributo di solidarietà anche sulle rendite immobiliari del Fondo e che dunque era certo il suo diritto a ripetere le somme indebitamente versate , del tutto correttamente i giudici di merito hanno concluso che, essendo il diritto alla restituzione dimostrato nell’an , il fatto che i dati concernenti il Fondo integrativo non fossero elencati nel bilancio della banca per poste separate, ma fossero aggregati versamenti, integrazioni dei trattamenti in atto, rendite immobiliari e la conseguente impossibilità di dimostrare con esattezza, rispetto ai versamenti eseguiti in quegli anni, gli importi indebitamente pagati all’INPS non poteva risolversi in danno della società creditrice così la sentenza impugnata, pag. 8 che argomentare diversamente, come preteso dall’Istituto ricorrente, equivarrebbe a sovrapporre ai principi che presiedono al ricorso alla liquidazione giudiziale equitativa la regola di giudizio basata sulla ripartizione dell’onere della prova circa la sussistenza e la materialità del danno, alla quale viceversa è affatto estraneo il disposto dell’art. 432 c.p.c. cfr. da ult. Cass. n. 16150 del 2018 che in tal senso deve propriamente interpretarsi anche il dictum di Cass. n. 4534 del 2017, secondo la quale il ricorso alla liquidazione equitativa esige che il giudice di merito abbia previamente accertato che l’impossibilità o l’estrema difficoltà d’una stima esatta del danno dipenda da fattori oggettivi e non già dalla negligenza della parte danneggiata nell’allegare e dimostrare gli elementi dai quali desumere l’entità del danno, essendo stato enunciato detto principio in una fattispecie in cui era contestato il ricorso alla liquidazione equitativa in funzione di prova della sussistenza del pregiudizio e non del suo ammontare che, pertanto, anche il secondo motivo di censura è infondato che il ricorso, conclusivamente, va rigettato, compensandosi tuttavia le spese del giudizio di legittimità in considerazione della parziale novità della questione affrontata che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.