Infortunio e patteggiamento del datore di lavoro: l’INAIL può agire in regresso entro 3 anni

L’azione di regresso dell’INAIL per le prestazioni erogate a seguito di infortunio sul lavoro ai sensi dell’art. 112 d.P.R. n. 1124/1965 nei confronti delle persone responsabili è soggetta al termine di prescrizione di 3 anni laddove il procedimento penale si sia concluso con l’accertamento del fatto di reato, ipotesi nella quale rientra anche la sentenza di patteggiamento.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16847/20, depositata il 7 agosto. La Corte d’Appello dell’Aquila dichiarava l’ INAIL decaduta dall’ azione di regresso proposta nei confronti di una società e dei suoi vertici per il recupero delle somme corrisposte ad un lavoratore vittima di un infortunio sul lavoro. Il procedimento penale che era seguito a carico del legale rappresentante, del direttore dello stabilimento e del responsabile di produzione si era infatti concluso con sentenza di patteggiamento , pronuncia che, secondo la Corte territoriale, non costituendo un accertamento del fatto reato rientrava nella prima parte dell’art. 112 d.P.R. 1124/1965, con conseguente termine di decadenza di 3 anni per la proposizione dell’azione di regresso. L’INAIL ha impugnato la decisione dinanzi alla Corte di legittimità. In tema di azione di regresso dell’INAIL ai sensi dell’art. 112 cit. nei confronti delle persone civilmente responsabili per le prestazioni erogate a seguito di infortunio sul lavoro, la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che occorre distinguere tra le ipotesi in cui manchi un accertamento del fatto da parte del giudice penale – come nel caso di amnistia, morte del reo o prescrizione – dove il termine di decadenza è di 3 anni, e le ipotesi di sussistenza di tale accertamento con sentenza penale, dove l’azione è soggetta a prescrizione triennale. Nel caso di sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p. deve ritenersi sussistente la condanna con accertamento del fatto-reato. Di conseguenza il termine di cui all’art. 112 cit. per l’azione dell’INAIL si configura come termine di prescrizione ed è suscettibile di interruzione. Depone in tal senso anche l’art. 444, comma 1, c.p. secondo il quale la pronuncia di patteggiamento è equiparata ad una pronuncia di condanna salvo diverse disposizioni di legge, che in questo caso non sussistono. In conclusione, la Cassazione accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 gennaio – 7 agosto 2020, n. 16847 Presidente Manna – Relatore D’Antonio Fatti di causa 1. La Corte d’appello dell’Aquila, in riforma della sentenza del Tribunale di Chieti, ha dichiarato l’Inail decaduta dall’azione di regresso proposta ai sensi del TU n. 1124 del 1965, artt. 10 e 11 nei confronti della soc Industrie di Atessa srl, O.N. quale legale rappresentante della società, O.V. , T.S. e D.C.A. - quali rispettivamente direttore dello stabilimento, responsabile della produzione e assistente di produzione - per il recupero delle somme corrisposte dall’Istituto a D.A. a seguito dell’infortunio occorsogli il omissis mentre nello stabilimento della predetta società procedeva allo stampo di lamiere. Secondo la Corte era fondata l’eccezione di decadenza dell’Inail sollevata da tutti gli appellanti. Ha rilevato che nella specie si poneva il problema se la sentenza di patteggiamento potesse o meno essere configurata alla stregua delle sentenze di non doversi procedere per amnistia, per morte del reo, per prescrizione del reato di cui al D.P.R. n. 1124, art. 11, ovvero come sentenza di condanna penale con la conseguenza che, in quest’ultimo caso, il termine di tre anni indicato dall’art. 112 per proporre l’azione di regresso avrebbe dovuto valere come termine di prescrizione ed in quanto tale suscettibile di interruzione. Secondo la Corte territoriale la sentenza di patteggiamento, non costituendo un vero e proprio accertamento del fatto reato, rientrava nelle ipotesi prevista nel D.P.R., art. 112, u.c., prima parte, per cui il termine di tre anni ivi previsto era di decadenza e come tale insuscettibile di interruzioni o sospensioni con la conseguenza che dal 12/6/2000, data nella quale la sentenza di patteggiamento era divenuta irrevocabile, all’8/9/2009, data nella quale era stata depositato il ricorso giudiziario con il quale l’Inail aveva esercitato l’azione di regresso. 2.Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’Inail ulteriormente illustrato con memoria. Hanno depositato controricorso D.C.A. , O.N. , O.V. . La soc. Industrie Atessa in Liq. è rimasta intimata. Ragioni della decisione 3. Inail denuncia violazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 11 e art. 112, comma 5, degli artt. 444 e 445 c.p.p Censura la sentenza per aver ritenuto il termine applicabile di decadenza e dunque non soggetto ad interruzione. Osserva che il termine, a seguito della sentenza di patteggiamento è di prescrizione ed è stato interrotto da numerose diffide inviate a tutti i responsabili. 4. Il ricorso va accolto. La questione è stata già esaminata e risolta da questa Corte secondo cui in tema di azione di regresso dell’Inail ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112 nei confronti delle persone civilmente responsabili per le prestazioni erogate a seguito di infortunio su lavoro, e avuto riguardo alla distinzione tra le ipotesi in cui manchi un accertamento del fatto - reato da parte del giudice penale ove l’azione di regresso è soggetta a termine triennale di decadenza e le ipotesi di sussistenza di tale accertamento con sentenza penale di condanna in cui l’azione di regresso è soggetta a termine triennale di prescrizione , la sentenza di applicazione della pena su richiesta dell’imputato, pronunciata dal giudice penale ai sensi dell’art. 444 c.p.p., deve ritenersi di condanna, con la conseguenza che il termine di cui all’art. 112 cit. si configura come termine di prescrizione ed è pertanto suscettibile di interruzione. cfr Cass. n 2242/2007, 2628/2006 . Si è affermato nella citata giurisprudenza che l’applicazione della pena su richiesta - cd. patteggiamento - costituisce una ipotesi di definizione anticipata del procedimento penale mediante una sentenza con cui giudice, verificata la correttezza della qualificazione giuridica del fatto contestato e valutata la ricorrenza di circostanze con la comparEzàne Fra le stesse, applica la pena concordata tra imputato e P.M., se ritenuta congrua, sempre che non ritenga di dover prosciogliere l’imputato. Ne consegue che la sentenza non può essere annoverata tra quelle di proscioglimento essendo anzi ai sensi dell’art. 444 c.p.p., comma 1, equiparata ad una pronuncia di condanna, salvo diverse disposizioni di legge che nella specie non sussistono. Pertanto il termine di cui si tratta va ritenuto, con riguardo alla fattispecie in esame di prescrizione, suscettibile di interruzione . 5. In accoglimento del ricorso la sentenza deve essere cassata ed il giudizio rinviato alla Corte d’appello di Ancona anche per la liquidazione delle spese processuali del presente giudizio. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Ancona anche per la liquidazione delle spese processuali.