Se il CCNL prevede la sola sanzione conservativa il giudice del merito è vincolato a tale indicazione

Nel pubblico impiego privatizzato ove la previsione del CCNL ricolleghi ad un determinato comportamento, disciplinarmente rilevante, solamente una sanzione conservativa, il giudice del merito è vincolato da tale indicazione, salva la eventuale nullità di tale previsione ai sensi dell’articolo 55, comma 1, del D. Lgs. n. 165/2001.

Principio affermato dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza n. 15227 pubblicata il 16 luglio 2020. La vicenda decisa impugnazione di licenziamento intimato a seguito di condanna penale per calunnia nei riguardi dei superiori. Una lavoratrice, agente di polizia municipale, impugnava il licenziamento intimatole dal Comune, proprio datore di lavoro, in relazione a fatti calunniosi , di rilevanza penale, nei confronti dei propri superiori. La domanda veniva accolta dal giudice di primo grado ma la Corte d’Appello, decidendo il reclamo proposto ex Legge n. 92/2012 dal Comune, riformava la sentenza di primo grado, dichiarando legittimo il licenziamento. La lavoratrice ricorreva in Cassazione. La decorrenza dei termini previsti dall’art. 55 bis D. Lgs. 165/2001. Un primo motivo di censura proposto riguarda l’intervenuta decadenza dell’ente dall’esercizio dell’azione disciplinare. Sostiene la ricorrente che l’acquisizione della prima notizia di infrazione dovesse farsi decorrere dall’avvenuta conoscenza da parte del comune della archiviazione della denuncia presentata dalla lavoratrice nei confronti dei superiori. La Suprema Corte ritiene infondato il motivo, affermando che per principio di diritto ormai consolidato, in tema di pubblico impiego contrattualizzato , ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la conclusione del procedimento disciplinare dall'acquisizione della notizia dell'infrazione assume rilievo esclusivamente il momento in cui tale acquisizione, da parte dell'ufficio competente regolarmente investito del procedimento, riguardi una notizia di infrazione di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l'avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell'addebito, dell'istruttoria e dell'adozione della sanzione ciò vale anche nell'ipotesi in cui il procedimento predetto abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti sui quali è in corso un procedimento penale, per cui sarebbe ammessa la sospensione del primo, e che, comunque, ai fini disciplinari, vanno valutati in modo autonomo e possono portare anche al licenziamento del dipendente. I comportamenti di rilevanza disciplinare previsti dal CCNL. Altro motivo di ricorso riguarda l’omessa valutazione del comportamento contestato rispetto a quanto contemplato dal CCNL applicato al rapporto di lavoro. Si duole la ricorrente che non poteva essere irrogata la sanzione del licenziamento , poiché la condotta contestata calunnia nei confronti del comandante era punita, secondo il CCNL, unicamente con una sanzione conservativa . Mentre il licenziamento disciplinare è previsto dall’articolo 55 quater del D. Lgs. N. 165/2001 per i casi di reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte . Ingiuriose o comunque lesive dell’onore e della dignità personale altrui” art. 55 quater, lettera E . Il motivo è stato ritenuto fondato. Sul punto i giudici di legittimità affermano che in tema di licenziamento disciplinare, l'accesso alla tutela reale di cui all'art. 18, comma 4, L. n. 300/1970, divenuta eccezionale a seguito della modifica introdotta dalla L. n. 92 del 2012, presuppone una valutazione di proporzionalità della sanzione conservativa al fatto in addebito tipizzata dalla contrattazione collettiva, potendosi procedere ad un'interpretazione estensiva delle clausole contrattuali soltanto ove esse appaiano inadeguate per difetto dell'espressione letterale rispetto alla volontà delle parti, tradottasi in un contenuto carente rispetto all'intenzione, e non già nel caso in cui il risultato sia quello di ridurre la portata della norma costituente la regola con l'introduzione di nuove eccezioni. Consegue che solo ove il fatto contestato e accertato sia espressamente contemplato da una previsione di fonte negoziale vincolante per il datore di lavoro, che tipizzi la condotta del lavoratore come punibile con sanzione conservativa, il licenziamento illegittimo sarà anche meritevole della tutela reintegratoria. In ambito di licenziamento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, le fattispecie legali di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo, introdotte dall’art. 55 quater, comma 1, lett. da a ad f , e comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, costituiscono ipotesi aggiuntive rispetto a quelle individuate dalla contrattazione collettiva, le cui clausole, ove difformi, vanno sostituite di diritto ai sensi degli artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c., per le quali compete soltanto al giudice, ex art. 2106 c.c., il giudizio di adeguatezza delle sanzioni. Errata la motivazione della sentenza basata solo su un singolo episodio di calunnia. Ora, nel caso in esame, la corte territoriale ha fondato il proprio giudizio ritenendo integrata la giusta causa di licenziamento in relazione al solo reato di calunnia nei confronti del comandante di polizia municipale, omettendo di estendere la valutazione alla recidiva, riguardante i comportamenti calunniosi nei confronti di altri superiori gerarchici. Ma così facendo il comportamento censurabile rientrava nella p revisione del contratto collettivo che prevedeva soltanto una sanzione conservativa . E in siffatti casi, si deve escludere che, ove un determinato comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, sia contemplato dal contratto collettivo come integrante una specifica infrazione disciplinare cui corrisponda una sanzione conservativa, essa possa formare oggetto di una autonoma e più grave valutazione da parte del giudice, legittimando il licenziamento, a meno che non accerti che le parti avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva. In conclusione, limitando la propria analisi al reato di calunnia, per il quale era prevista la sola sanzione conservativa, senza esaminare la fondatezza della contestazione della recidiva, il giudice del merito si è posto in contrasto con il principio di diritto predetto. Il ricorso è stato così accolto per ciò che concerne il motivo ritenuto fondato e la sentenza impugnata cassata con rinvio ad altra corte d’appello.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 28 gennaio – 16 luglio 2020, n. 15227 Presidente Napoletano – Relatore Spena Fatti di causa 1. con sentenza in data 20 settembre-1 ottobre 2018 n. 599 la Corte d'Appello di L'Aquila, giudice del reclamo L. n. 92 del 2012, ex art. 1, commi 58 e ss. riformava la sentenza del Tribunale di Teramo, e per l'effetto rigettava la domanda proposta da C.A. -dipendente del COMUNE DI TERAMO con qualifica di Agente di polizia municipale per la impugnazione del licenziamento disciplinare intimatole in data 19 novembre 2013. 2. Preliminarmente la Corte territoriale respingeva la eccezione di intervenuta decadenza del COMUNE dall'esercizio della azione disciplinare. 3. Esponeva che la lavoratrice fondava l'eccezione sulla retrodatazione del dies a quo dei termini del procedimento disciplinare rispetto al momento in cui la amministrazione comunale riceveva comunicazione della archiviazione della denuncia penale che la C. aveva sporto nei confronti dei suoi superiori gerarchici Comandante Z., MMA ZE.GI. e MMA T.F. , sostenendo che la amministrazione era già a conoscenza tanto della sua denuncia che della opposizione che ella aveva presentato avverso la richiesta di archiviazione del pubblico Ministero. 4. Osservava che ai fini del decorso della decadenza era rilevante unicamente la conoscenza del fatto di rilievo disciplinare nella specie solo con la notizia della archiviazione il COMUNE era venuto a conoscenza della infondatezza delle accuse mosse dalla C. ai suoi superiori. 5. Sempre in via pregiudiziale il collegio del reclamo respingeva, altresì, la eccezione di violazione del principio del ne bis in idem , sollevata dalla C. sul rilievo che le circostanze contestate erano sostanzialmente identiche per la posizione dei MMA ZE. e T. o simili per la posizione dello Z. a quelle per le quali era stata già irrogata in data 10 settembre 2012 la sanzione disciplinare di sei giorni di sospensione. 6. Al riguardo osservava che il principio del ne bis in idem non era violato, in quanto la seconda contestazione atteneva non soltanto ai fatti già contestati ma anche a fatti diversi, di rilievo disciplinare autonomo la grava accusa di violenza sessuale nei confronti del Comandante della Polizia Municipale fatti ai quali la seconda contestazione doveva ritenersi limitata. Inoltre i fatti già contestati, relativi ai giorni OMISSIS , potevano essere considerati ai soli fini della recidiva in comportamenti analoghi, come previsto dall'art. 3, comma 7, CCNL ENTI LOCALI 11 aprile 2008, richiamato nella contestazione disciplinare. 7. Nel merito, il Comune aveva prodotto in sede di reclamo la pronuncia della Suprema Corte in forza della quale era divenuta definitiva la condanna della C. per il reato di calunnia, per avere attribuito il reato di violenza sessuale al comandante Z. e di molestie sessuali al Maresciallo ZE. . Il giudicato penale di condanna faceva stato nel giudizio disciplinare ai sensi dell'art. 653 c.p.p 8. Il fatto, definitivamente accertato, costituiva un comportamento di gravità tale sia sotto il profilo oggettivo tanto da costituire reato che sotto il profilo soggettivo per la qualifica di agente di pubblica sicurezza della C. e perchè la persona offesa era un superiore gerarchico, accusato del reato di violenza sessuale commesso sul luogo di lavoro da integrare una giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c. 9. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza C.A., articolato in cinque motivi di censura, cui il COMUNE DI TERAMO ha opposto difese con controricorso. 10. Le parti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1.con il primo motivo la ricorrente ha denunciato ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, commi 3 e 4, impugnando la statuizione di rigetto della eccezione di decadenza. 2. Ha dedotto che i termini indicati dal suddetto art. 55 bis decorrono dal momento della prima acquisizione della notizia di infrazione ha assunto l'errore della Corte territoriale per avere ritenuto che i termini decorressero soltanto dal momento in cui il COMUNE di TERAMO aveva avuto conoscenza della archiviazione della denuncia penale da Lei presentata. 3. il motivo è inammissibile. 4. La Corte territoriale non si è posta in contrasto con il principio di diritto già enunciato da questa Corte per tutte Cass. sez. lav. sent. 14 dicembre 2018, n. 32491 sent. 27 agosto 2018 n. 21193 e giurisprudenza ivi richiamata ed al quale va assicurata continuità secondo cui ai fini della decorrenza del termine perentorio per la conclusione del procedimento disciplinare D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 55 bis, comma 4, assume rilievo esclusivamente il momento in cui tale acquisizione, da parte dell'ufficio competente regolarmente investito del procedimento, riguardi una notizia di infrazione di contenuto tale da consentire allo stesso di dare avvio in modo corretto al procedimento disciplinare. 5. Ha evidenziato, piuttosto, che nella fattispecie concreta la notizia della infrazione risaliva alla conoscenza del provvedimento di archiviazione del GIP, che aveva offerto elementi di prova circa la infondatezza delle accuse mosse dalla C. nella sede penale nei confronti del proprio comandante. 6. il ricorso, formalmente denunciando una violazione di legge, nei contenuti censura tale accertamento di fatto trattasi di un accertamento storico impugnabile in questa sede di legittimità soltanto con la deduzione di un vizio di motivazione. Piuttosto che rappresentare l'omesso esame di un fatto storico decisivo ed oggetto di discussione tra le parti, la ricorrente sollecita questa Corte ad una inammissibile revisione del merito. 7. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 2106 c.c., del D.Lgs. n. 165 del 2001, , art. 55 della L. n. 604 del 1966, art. 1 della L. n. 300 del 1970, art. 18 dell'art. 3, comma cinque, lett. g CCNL comparto REGIONI e AUTONOMIE LOCALI 11 aprile 2008 per il quadriennio 2006-2009 in prosieguo CCNL . 8. Ha premesso che la sentenza impugnata ravvisava la giusta causa del licenziamento unicamente nella calunnia commessa nei confronti del Comandante di polizia Municipale, ingiustamente accusato di violenza sessuale. 9.1 fatti valutati dal giudice del reclamo integravano la ipotesi prevista dall'art. 3, comma 5, lett. g CCNL comportamenti calunniosi nei confronti di altri dipendenti per la quale le parti collettive disponevano la sanzione conservativa della sospensione fino a dieci giorni. 10. La ricorrente ha richiamato il principio secondo cui la sanzione del licenziamento non può essere irrogata nei casi in cui la condotta addebitata rientri in una delle fattispecie disciplinari per le quali la contrattazione collettiva prevede la applicazione di una sanzione conservativa, deducendone l'applicabilità al lavoro pubblico privatizzato, per quanto previsto dal D.Lgs. n. 55 del 2011, art. 55, comma 2. 11. Il motivo è fondato. 12. Nell'ambito del lavoro privato la giurisprudenza di questa Corte è giunta ad approdi consolidati nel senso che le previsioni della contrattazione collettiva che individuano le fattispecie di licenziamento disciplinare non vincolano il giudice di merito, essendo quella della giusta causa e del giustificato motivo una nozione legale ex plurimis, Cass. 05 dicembre 2019, n. 31839 22 agosto 2019 n. 21616 16 luglio 2019 n. 19023 Cass. n. 8718 del 2017 Cass. n. 9223 del 2015 Cass. n. 13353 del 2011 . il principio generale subisce eccezione ove la previsione negoziale ricolleghi ad un determinato comportamento disciplinarmente rilevante unicamente una sanzione conservativa in tal caso il giudice è vincolato dal contratto collettivo, trattandosi di una condizione di maggior favore fatta espressamente salva dal legislatore L. n. 604 del 1966, art. 12 . Pertanto, ove alla mancanza sia ricollegata una sanzione conservativa, il giudice non può estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall'autonomia delle parti Cass. 05 dicembre 2019, n. 31839 Cass. n. 6165 del 2016 Cass. n. 11860 del 2016 Cass. n. 17337 del 2016 Cass. n. 15058 del 2015 Cass. n. 4546 del 2013 Cass. n. 13353 del 2011 Cass. n. 1173 del 1996 Cass. n. 19053 del 1995 , a meno che non si accerti che le parti stesse non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità di una sanzione espulsiva. 13. Il ricorso chiama questa Corte a pronunciarsi sull'applicabilità di tale eccezione nell'impiego pubblico privatizzato, nel quale occorre tenere conto delle speciali previsioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 ed art. 55 quater e ss. introdotti dal D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 nella fattispecie di causa applicabile ratione temporis . 14. Quanto all'art. 55 quater con il quale il legislatore, fatta salva la disciplina generale in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo, ha tipizzato specifiche ipotesi di licenziamento disciplinare questa Corte ha già evidenziato Cass. 01 dicembre 2016 n. 24574 che nell'introdurre fattispecie legali di licenziamento aggiuntive rispetto a quelle individuate dalla contrattazione collettiva il legislatore ha anche affermato con chiarezza, con il precedente art. 55, comma 1, la preminenza della disciplina legale rispetto a quella di fonte contrattuale quest'ultima, quindi, non può essere più invocata ove in contrasto con la norma inderogabile di legge, venendo in tal caso sostituita di diritto da quest'ultima, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 c.c. 15.In sostanza, restano prive di effetto le clausole della contrattazione collettiva che prevedano una sanzione conservativa per i fatti che l'art. 55 quater ovvero altre norme dello stesso capo contempla no come sanzionati dal licenziamento. 16.Fuori da questa ipotesi, le previsioni del D.Lgs. 165 del 2001, art. 55 non ostano alla applicazione del principio, sopra enunciato, secondo cui il giudice è vincolato dalla previsione del contratto collettivo che ricolleghi ad un determinato comportamento giuridicamente rilevante solamente una sanzione conservativa anzi, il principio trova conferma nello stesso art. 55, comma 2 laddove stabilisce che salvo quanto previsto delle disposizioni dello stesso capo la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi. 17.Nella fattispecie di causa, il CCNL, all'art. 3, comma 5, lett. g prevedeva la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio, con privazione della retribuzione, per comportamenti .calunniosi . nei confronti di altri dipendenti . . 18.Tale previsione ha conservato validità nella vigenza del D.Lgs. n. 150 del 2009, in quanto compatibile con le previsioni del citato art. 55 quater, che prevede il licenziamento disciplinare, per quanto rilevante in causa, nei diversi casi di reiterazione nell'ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell'onore e della dignità personale altrui art. 55 quater, lett. e . 19. Il giudice del reclamo, pertanto, non avrebbe potuto ritenere integrata la giusta causa di licenziamento in relazione al solo reato di calunnia nei confronti del comandante di polizia municipale senza confrontarsi con le previsioni del contratto collettivo, che prevedevano una sanzione conservativa per i comportamenti calunniosi nei confronti di altri dipendenti. In particolare, dopo avere atto della validità della contestazione della recidiva, nell'esaminare la censura del ne bis in idem, non poteva omettere di valutare la recidiva contestata quando si è poi espresso sulla sussistenza della giusta causa. 20. Invero la contestazione disciplinare faceva riferimento alle più gravi ipotesi di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, lett. e della quale si è detto ed all'art. 3, comma 7, lett. f CCNL, che sanziona con il licenziamento la recidiva nel biennio, anche nei confronti di persona diversa, di sistematici e reiterati atti e comportamenti aggressivi, ostili e denigratori e di forme di violenza morale o di persecuzione psicologica nei confronti di un collega al fine di procuragli un danno in ambito lavorativo . . 21. Limitando la propria analisi al reato di calunnia, per il quale era prevista la sola sanzione conservativa, senza esaminare la fondatezza della contestazione della recidiva, il giudice del merito si è posto dunque in contrasto con il principio di diritto sopra enunciato. 22. Con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione e falsa applicazione del principio del ne bis in idem. 23. Si contesta la valutazione espressa dalla Corte territoriale nel punto in cui, richiamando il brocardo utile per inutile non vitiatur , riteneva non essere violato il principio del ne bis in idem ed esaminava la sola contestazione relativa alla ingiusta denuncia di violenza sessuale nei confronti del Comandante di Polizia Municipale, escluse le altre. 24.Si assume che il frazionamento delle plurime contestazioni sarebbe impedito dalla unicità del procedimento disciplinare, nel quale il datore di lavoro irroga il licenziamento in ragione del complesso dei fatti contestati si assume, altresì, che i fatti già sanzionati ed oggetto di nuova contestazione non potevano rilevare neppure ai fini della recidiva. 25. Con il quarto motivo si impugna la sentenza ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 2106 c.c. della L. n. 604 del 1966, art. 1 della L. n. 300 del 1970, art. 7. 26. Si deduce che la Corte territoriale non avrebbe potuto fondare il giudizio di esistenza della giusta causa in ragione di una sola tra le plurime condotte contestate, in quanto per scelta autonoma del datore di lavoro, sottratta al controllo dell'autorità giudiziaria, la sanzione del licenziamento era stata ritenuta proporzionata soltanto in ragione di tutte le condotte contestate. 27. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono infondati. 28. Ed invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte per tutte Cassazione civile sez. lav., 28/07/2017, n. 18836 e giurisprudenza ivi richiamata , qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa non consistente in un fatto singolo ma in una pluralità di fatti ciascuno di essi autonomamente costituisce una base idonea per giustificare la sanzione, a meno che colui che ne abbia interesse non provi che solo presi in considerazione congiuntamente, per la loro gravità complessiva, essi sono tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro ne consegue che, salvo questo specifico caso, ove nel giudizio di merito emerga l'infondatezza di uno o più degli addebiti contestati, gli addebiti residui conservano la loro astratta idoneità a giustificare il licenziamento. 29. Tale principio è parimenti applicabile al caso qui in discussione della reiterazione nella contestazione di addebito di alcune condotte già sanzionate il fatto sanzionato quindi non più suscettibile di provocare l'esercizio legittimo del potere disciplinare equivale, infatti, ad un fatto insussistente, per sopravvenuta carenza di antigiuridicità in termini Cassazione civile sez. lav., 30/10/2018, n. 27657 . 30. Correttamente la Corte territoriale ha pertanto ritenuto che la giusta causa potesse essere integrata anche da una soltanto delle plurime condotte contestate, senza considerare le altre, che erano state già sanzionate in precedenza. 31. Il motivo è parimenti infondato nella parte in cui assume che il fatto già sanzionato non possa venire in rilievo neppure ai fini della recidiva. Sotto questo profilo va evidenziata, infatti, la autonomia della contestazione della recidiva, che resta valida, rispetto alla nuova contestazione dello stesso fatto. 32. La statuizione della Corte territoriale è dunque immune da errori di diritto anche nella parte in cui afferma che i medesimi fatti potevano essere considerati in relazione alla contestazione della recidiva, prevista dalla norma dell'art. 3, comma 7, lett. t CCNL, a tal fine richiamata. 33. Dall'accoglimento del secondo motivo di ricorso discende l'assorbimento del quinto, con il quale la ricorrente censurando la sentenza ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 c.c. della L. n. 604 del 1966, art. 1 del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater dell'art. 3 CCNL ha parimenti invocato le previsioni del CCNL, prevedenti il licenziamento soltanto nei casi di recidiva nonchè nell'ipotesi art. 3, comma 8, lett. e del giudicato penale, che non aveva formato oggetto di contestazione disciplinare. 34. Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere cassata in accoglimento del secondo motivo di ricorso, respinti il primo, il terzo ed il quarto ed assorbito il quinto la causa va rinviata alla Corte d'Appello di Ancona in diversa composizione affinchè provveda a valutare nuovamente la sussistenza della giusta causa di licenziamento alla luce del seguente principio di diritto Nel pubblico impiego privatizzato ove la previsione del CCNL ricolleghi ad un determinato comportamento, disciplinarmente rilevante, solamente una sanzione conservativa, il giudice del merito è vincolato da tale indicazione, salva la eventuale nullità di tale previsione ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 1 . 35. Il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla disciplina delle spese del presente grado. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d'Appello di Ancona in diversa composizione.