A chi spetta l’onere di provare le ore di lavoro effettivamente prestate?

Ove la lavoratrice domandi alla società datrice il pagamento delle ore di effettivamente prestate ma non retribuite e la società, a sua volta, sostenga che la dipendente abbia ricevuto somme non dovute opponendo in compensazione il credito vantato da quest’ultima, grava su chi agisce in giudizio la dimostrazione che il pagamento sia avvenuto e che si privo di causa.

Così ha deciso la Cassazione con l’ordinanza n. 11717/20, depositata il 17 giugno. Una dipendente otteneva dal Tribunale un decreto ingiuntivo per un importo di euro 15.000 nei confronti della datrice di lavoro poiché vi era difformità tra le ore di lavoro riportate sui fogli di presenza e quelle pagate sulla base delle ore risultanti dai cartellini elettronici . La società datrice proponeva opposizione deducendo che la lavoratrice avesse ricevuto somme non dovute di cui a sua volta chiedeva la restituzione opponendole in compensazione. La Corte d’Appello riconosceva come dovuto l’importo a favore della lavoratrice, sulla base del fatto che la società non avesse dato prova del carattere indebito dei pagamenti ricevuti dalla lavoratrice e poiché i cartellini elettronici costituivano solo uno degli elementi di prova da valutare. Riteneva quindi la Corte territoriale che i cartellini orari non provassero con certezza l’orario svolto, escludendo che fosse stata fornita la prova della corresponsione negli anni di somme superiori rispetto a quelle dovute. Avverso la decisione propone ricorso in Cassazione la società lamentando che la Corte d’Appello avesse erroneamente disconosciuto il valore di prova proprio delle registrazioni elettroniche orarie che costituiscono presunzione, salvo prova contraria, dell’orario prestato dalla lavoratrice. Alla luce di questo, sarebbe spettato alla lavoratrice dimostrare la difformità tra orario prestato, orario risultante dal cartellino e dalle buste paga e delle annotazioni sui fogli di presenza. La Cassazione precisa che la regola di diritto in tema di onere della prova applicabile nel caso di specie è quella generale in tema di ripetizione dell’indebito che grava l’attore della dimostrazione che il pagamento sia avvenuto e che si privo di causa. Pertanto, la Corte territoriale ha correttamente applicato la sopradetta regola. Infatti, era onere della datrice che opponeva in compensazione maggiori somme erogate e non dovute dimostrare che effettivamente le erogazioni erano indebite , essendo mancata la corrispondente prestazione lavorativa. Inoltre, i Giudici hanno verificato che le ore di lavoro risultanti dai fogli id presenza erano del tutto compatibili con un normale orario id lavoro di otto ore per cinque giorni a settimana. Pertanto, la Suprema Corte rigetta il ricorso della società datrice di lavoro.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 13 febbraio – 17 giugno 2020, n. 11717 Presidente Nobile – Relatore Garri Rilevato che 1. C.S. ottenne dal Tribunale di Genova un decreto ingiuntivo per un importo di Euro 15.546,82 nei confronti della datrice di lavoro Immobiliare Palon s.p.a Il Tribunale di Genova, investito dell’opposizione a decreto ingiuntivo e di una opposizione all’esecuzione da parte della società, le rigettò entrambe condannando al società al pagamento delle spese dei giudizi riuniti. 2. La Corte di appello di Genova ha parzialmente accolto il gravame della società, limitatamente all’importo delle spese liquidate in primo grado che ha ricalcolato in Euro 4.100,00 oltre alle spese generali ed agli accessori, mentre ha confermato nel resto la sentenza di primo grado. 3. La Corte di merito ha escluso che la società avesse dato la prova del carattere indebito dei pagamenti ricevuti dalla C. . Ha ritenuto infatti che i cartellini elettronici, che riportavano un numero di ore lavorative inferiore rispetto a quello retribuito, costituivano solo uno degli elementi di prova da valutare con gli altri acquisiti in giudizio non avendo una portata presuntiva che comporti un’inversione dell’onere della prova. In definitiva in esito all’esame delle prove acquisite ha ritenuto che, in relazione alle specifiche caratteristiche della prestazione resa, i cartellini orari non provassero con certezza l’orario svolto. Ha poi escluso che fosse stata offerta la prova rassicurante della corresponsione costante e protratta negli anni di somme superiori rispetto a quelle effettivamente dovute. 4. Per la cassazione della sentenza propone ricorso che affida ad un unico motivo. Resiste con controricorso C.S. . Considerato che 5. Con l’unico motivo di ricorso la società Immobiliare Palon deduce che la Corte di merito, in violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., avrebbe disconosciuto il valore di prova proprio delle registrazioni elettroniche orarie che costituiscono presunzione, salva prova del contrario, dell’orario prestato dalla lavoratrice. 5.1. Sostiene la ricorrente che a fronte della documentazione versata dalla società sarebbe stato onere della lavoratrice dimostrare volta per volta che l’orario prestato era diverso e che le difformità tra cartellini orari, fogli di presenza e buste paga erano giustificate da prestazioni lavorative rese nell’interesse del datore di lavoro. 6. Il ricorso non può essere accolto. 6.1. Occorre premettere che ciò di cui si discute è su chi gravi l’onere di provare l’orario di lavoro effettivamente prestato nel caso in cui la datrice di lavoro assuma di aver erogato importi superiori rispetto a quelli dovuti pretendendone la restituzione. In tale contesto si chiede se il cartellino marcatempo costituisca prova documentale dell’orario praticato superabile solo attraverso una prova rigorosa di un maggior orario prestato che era onere della lavoratrice offrire. 6.2. Va tuttavia rilevato che nell’opposizione al decreto ingiuntivo e nella successiva opposizione all’esecuzione la società deduce che la lavoratrice avrebbe ricevuto delle somme non dovute di cui chiede perciò la restituzione opponendole in compensazione v. punto 4 delle conclusioni formulate in primo grado e punto 3 di quelle di appello riportate alle pagg. 3 e 7 del ricorso in cassazione . 6.3. La regola di diritto in tema di onere della prova applicabile al caso in esame è allora quella generale in tema di ripetizione di indebito che grava l’attore della dimostrazione che il pagamento sia avvenuto circostanza nello specifico incontroversa e che lo stesso era privo di una causa che lo giustificasse cfr. Cass. 27/11/2018 n. 30713 . 6.4. Nel caso in esame infatti la società, nel resistere alla richiesta di pagamenti di maggiori somme pretese dalla lavoratrice, ha opposto di aver pagato un importo non dovuto sul rilievo che l’orario di lavoro prestato sarebbe quello risultante dai cartellini marcatempo e non quello attestato dai fogli di presenza e confermato con riguardo agli importi erogati dalle buste paga. 6.5. Tanto premesso rileva il Collegio che la Corte di merito ha correttamente applicato le regole in tema di onere della prova e non è incorsa nella denunciata violazione delle disposizioni che disciplinano la ricostruzione della prova attraverso le presunzioni. 6.6. La Corte non doveva infatti accertare che fosse stata data la prova rigorosa di maggior orario di lavoro da retribuire, prova che certamente gravava sulla lavoratrice. Piuttosto a fronte dell’avvenuto pagamento di somme in ragione di un maggior orario doveva verificare se effettivamente dalla documentazione allegata emergeva che si era trattato di una erogazione non dovuta e perciò da porre in compensazione con le maggiori somme chieste con il decreto ingiuntivo. 6.7. Risulta allora corretta e rispettosa degli oneri della prova la ricostruzione della Corte territoriale che accerta che il pagamento, attestato dalle buste paga era da collegare ad un’attività prestata quale confermata dalle annotazioni aggiuntive apposte ai cartellini marcatempo. 6.8. Era onere della datrice di lavoro che opponeva in compensazione maggiori somme erogate e non dovute dimostrare che effettivamente le erogazioni erano indebite in quanto era mancata la corrispondente prestazione lavorativa. 6.9. La ricostruzione della Corte di merito non viola le regole in tema di distribuzione degli oneri della prova e neppure è censurabile per un’applicazione errata delle regole che disciplinano la prova per presunzioni. 6.10. Va premesso che in sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso cfr. Cass. 16/11/2018 n. 29635 e 04/08/2017 n. 19485 ed anche Cass. 13/02/2020. n. 3541 . Orbene il giudice di appello ha proceduto ad una ricostruzione indiziaria di elementi di fatto incontroversi. Ha accertato che le somme che si assumevano indebite erano state erogate a compensazione di orari maggiori e diversi rispetto a quelli risultanti dai cartellini marcatempo chiarendo perché l’avvenuto pagamento effettuato sulla base delle annotazioni sui fogli di presenza, per un arco temporale consistente di svariati anni, rendesse attendibili le annotazioni riportate. A maggior conferma dell’attendibilità della documentazione prodotta ha poi verificato che in ogni caso le ore di lavoro risultanti dai fogli di presenza erano del tutto compatibili con un normale orario di otto ore giornaliere per cinque giorni a settimana. In sostanza ha proceduto alla ricostruzione dei fatti allegati in base ad una valutazione del materiale probatorio - che è riservata al giudice del merito e non è censurabile in sede di legittimità se non nei ristretti limiti dettati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 - senza incorrere nella denunciata violazione delle regole sull’onere della prova e sull’utilizzazione delle presunzioni. 7. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.