A casa per infortunio ma andava in giro con il figlio sulle spalle: licenziato

Inutile il ricorso proposto dal lavoratore. Confermato il drastico provvedimento adottato dall’azienda. Evidente per i giudici la gravità del comportamento tenuto dall’operaio di un cantiere.

Operaio licenziato perché beccato ad andare in bici e a passeggiare nel centro cittadino portandosi sulle spalle il figlioletto. Queste condotte sono illegittime poiché egli risultava essere ufficialmente in malattia a causa dei postumi di un infortunio subito appena uscito dal luogo di lavoro. Vittoria piena per la società datrice di lavoro che vede riconosciuto il diritto a mettere alla porta il dipendente – oramai ex – che in sostanza ha bluffato sulle proprie condizioni fisiche e sulla impossibilità di ritornare a svolgere le proprie mansioni. Decisivo, e legittimo, l’impiego del materiale raccolto da un’agenzia investigativa su incarico dei vertici dell’azienda Cassazione, ordinanza n. 11697/20, sezione lavoro, depositata oggi . Fatale il dubbio che l’operaio stia nascondendo la verità sulle proprie reali condizioni di salute . Così i vertici aziendali, che gestiscono un cantiere, affidano a un’agenzia investigativa il compito di controllare il lavoratore che risulta essere ufficialmente in malattia a causa di un trauma contusivo riportato mentre a bordo del proprio scooter si allontanava dal cantiere. Inequivocabile, almeno in apparenza, il referto del Pronto Soccorso, con tanto di prescrizione di riposo assoluto per alcuni giorni e annessa trasmissione degli atti all’INAIL. Ciò che rilevano gli uomini dell’agenzia investigativa racconta però una realtà diversa il lavoratore viene difatti beccato mentre era dedito ad attività fisiche , pedalando per ore e mentre camminava per il centro cittadino con il figlio sulle spalle . Il resoconto dell’agenzia investigativa spinge l’azienda ad adottare il rimedio più drastico, cioè il licenziamento del dipendente. E questa decisione è ritenuta corretta dai giudici di merito, che respingono prima in Tribunale e poi in Appello il reclamo proposto dal lavoratore. A confermare la giustezza del licenziamento per giusta causa decido dalla società datrice di lavoro provvede ora la Cassazione. Inutili le ulteriori osservazioni proposte dal lavoratore e centrate anche, anzi soprattutto, sulla illegittimità dei controlli effettuati dall’agenzia investigativa su incarico dell’azienda. In prima battuta i Giudici del ‘Palazzaccio’ chiariscono che è legittimo servirsi delle agenzie investigative per verificare l’esatto adempimento delle obbligazioni facenti capo al dipendente con riguardo a comportamenti tenuti al di fuori dell’ambito lavorativo disciplinarmente rilevanti e aggiungono che in questo caso non si verte in ipotesi di controllo datoriale circa l’esecuzione della prestazione ma, invece, di verifica e controllo di un comportamento extralavorativo illecito , verifica fondata sul sospetto del mancato svolgimento illegittimo dell’attività lavorativa per l’insussistenza della incapacità lavorativa . In sostanza, quando il datore di lavoro è indotto a sospettare che il mancato svolgimento dell’attività lavorativa sia riconducibile alla perpetrazione di un illecito , allora anche il solo sospetto o la mera ipotesi che un illecito sia in corso di esecuzione giustifica l’espletamento del controllo . E in questa ottica non rileva la circostanza che si trattasse di infortunio sul lavoro e non di assenza per malattia, e quindi non fosse richiesta reperibilità ed esperibile visita fiscale . Inutile poi anche il richiamo difensivo alla insussistenza dell’obbligo di rientro in anticipo sul periodo di inabilità risultante dalla certificazione INAIL , e priva di fondamento l’obiezione centrata sulla presunta sproporzione tra comportamento e sanzione espulsiva . I Giudici tengono ancora a precisare che le disposizioni in materia di divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e sulla facoltà dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti non impediscono comunque al datore di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità della malattia, seppur presente, a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza . Tale visione si attaglia perfettamente alla vicenda dell’operaio, poiché gli accertamenti espletati non avevano una finalità di tipo sanitario, mirando esclusivamente ad una verifica della non riscontrabilità della malattia o la inidoneità di essa a giustificare uno stato di incapacità lavorativa rilevante . Assolutamente legittimo, quindi, chiosano i Giudici, l’accertamento effettuato anche mediante controlli di tipo investigativo , non attenendo essi allo svolgimento dell’attività lavorativa stricto sensu , bensì, all’insussistenza di una situazione atta a ridurre la capacità lavorativa del dipendente . Per quanto concerne poi la valutazione della sanzione espulsiva, i Giudici ritengono evidente l’ abuso compiuto dal dipendente, che non ha certo tenuto un comportamento improntato a correttezza e buonafede nei confronti del proprio datore di lavoro. Difatti, l’operaio ha prolungato la propria assenza nonostante l’intervenuta guarigione, dimostrata dallo svolgimento di intensa attività ciclistica nonché di altre attività ludiche , come l’andare a spasso nel centro cittadino portando il figlio sulle proprie spalle. Evidente, concludono i Giudici della Cassazione, la gravità del comportamento tenuto dal lavoratore, che durante il periodo di riposo prescritto ha svolto assidua attività sportiva ed altre attività, quali prendere sulle spalle i propri figli e senza in alcun modo comunicare al datore di lavoro l’intervenuto recupero della propria abilità fisica.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 17 ottobre 2019 – 17 giugno 2020, numero 11697 Presidente Nobile – Relatore Piccone Rilevato che - con sentenza in data 8 giugno 2018, la Corte d'Appello di Genova ha respinto il reclamo avverso l'ordinanza con cui il locale Tribunale aveva rigettato il ricorso proposto da Cl. Sc. nei confronti del licenziamento per giusta causa intimatogli da Fincantieri S.p.A. - in particolare, il giudice di secondo grado, confermando, sul punto, quanto già statuito in primo grado, ha ritenuto legittima l'attività investigativa svolta per accertare che il ricorrente il quale aveva lamentato di essersi procurato un trauma contusivo con lesione lacero contusa mentre, a bordo del proprio scooter, si allontanava dal cantiere presso cui svolgeva le mansioni di montatore di scavo e addetto all'assemblaggio di navi, con certificazione del pronto soccorso, prescrizione di riposo assoluto per alcuni giorni e trasmissione degli atti all'INAIL si era in realtà dedicato ad attività fisiche, pedalando per ore e camminando per il centro cittadino con il figlio sulle spalle - avverso tale pronunzia propone ricorso Cl. Sc., affidandolo a due motivi - resiste, con controricorso assistito da memoria, la Fincantieri S.p.A Considerato che - con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell'art. 5 L. numero 300/70, 69 D.Lgs. numero 150/2009 e 25 D.Lgs. numero 151/2015 in ordine alle esenzioni dalla reperibilità per i lavoratori subordinati ed alla connessa illegittimità dei controlli investigativi effettuati - il motivo è infondato - va rilevato che congrua deve ritenersi la sussunzione della fattispecie e rispettosa del disposto di cui agli artt. 2, 3 e 4 L. numero 300/70 essendo legittimo servirsi delle agenzie investigative per verificare l'esatto adempimento delle obbligazioni facenti capo al dipendente con riguardo a comportamenti tenuti al di fuori dell'ambito lavorativo disciplinarmente rilevanti ex plurimis, Cass. numero 12810 del 22 maggio 2017 - a guardar bene, infatti, non si verte in ipotesi di controllo datoriale circa l'esecuzione della prestazione ma, invece, di verifica e controllo di un comportamento extralavorativo illecito, fondata sul sospetto del mancato svolgimento illegittimo dell'attività lavorativa per l'insussistenza della incapacità lavorativa nel caso di specie invece presente - in casi quali quello di specie nei quali il datore di lavoro sia indotto a sospettare che il mancato svolgimento dell'attività lavorativa sia riconducibile alla perpetrazione di un illecito anche il solo sospetto o la mera ipotesi che un illecito sia in corso di esecuzione giustifica l'espletamento del controllo sul punto, fra le altre, Cass. numero 848/2015 , né rileva la circostanza che si trattasse di infortunio sul lavoro e non di assenza per malattia e, quindi, non fosse richiesta reperibilità ed esperibile visita fiscale - il secondo motivo, con cui si allega, deducendosi ancora una violazione di legge, configurabile in termini di insussistenza dell'obbligo di rientro in anticipo sul periodo di inabilità risultante dalla certificazione INAIL e, in subordine, la sproporzione tra comportamento e sanzione espulsiva, è infondato - va rilevato, al riguardo, che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità cfr., sul punto, Cass. numero 25162 del 26 novembre 2011, nonché Cass. numero 20433 dell'll ottobre 2011 le disposizioni dell'art. 5 della legge 20 maggio 1970, numero 300, in materia di divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e sulla facoltà dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l'insussistenza della malattia o la non idoneità di quest'ultima a determinare uno stato d'incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l'assenza - nel caso di specie, ad avviso del Collegio, gli accertamenti espletati non avevano una finalità di tipo sanitario, sicuramente preclusa, mirando, piuttosto, esclusivamente ad una verifica della non riscontrabilità della malattia o la idoneità di essa a giustificare uno stato di incapacità lavorativa rilevante - ne discende la legittimità dell'accertamento effettuato anche mediante controlli di tipo investigativo non attenendo gli stessi allo svolgimento dell'attività lavorativa stricto sensu, bensì, all'insussistenza di una situazione atta a ridurre la capacità lavorativa del dipendente - d'altro canto, relativamente al controllo concernente l'adeguatezza della sanzione espulsiva, va rilevato che, alla luce del consolidato orientamento della Suprema Corte cfr., sul punto, Cass. numero 26010 del 17 ottobre 2018 in tema di licenziamento per giusta causa, l'accertamento dei fatti ed il successivo giudizio in ordine alla gravità e proporzione della sanzione espulsiva adottata sono demandati all'apprezzamento del giudice di merito, che - anche qualora riscontri l'astratta corrispondenza dell'infrazione contestata alla fattispecie tipizzata contrattualmente - è tenuto a valutare la legittimità e congruità della sanzione inflitta, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda, con giudizio che, se sorretto da adeguata e logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità - nel caso di specie, la Corte d'appello ha ritenuto dimostrate tutte le circostanze di fatto oggetto della contestazione disciplinare posto che, come rilevato dal primo giudice con statuizione non oggetto di censura, tali circostanze hanno trovato conferma nelle dichiarazioni rese dai testi informatori ed ha adeguatamente motivato in ordine all'insussistenza di un comportamento improntato a correttezza e buona fede sulla base della perdurante assenza dal lavoro del dipendente nonostante l'intervenuta guarigione dimostrata dallo svolgimento di intensa attività ciclistica nonché di altre attività ludiche giudizialmente accertate - la Corte, d'altro canto, fornisce adeguata contezza della ritenuta contrarietà a buona fede e, anzi, del palese contrasto con i più elementari obblighi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del rapporto di lavoro, come risultante dal combinato disposto degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. risultante in tutta la sua gravità dal fatto che durante il periodo di riposo prescritto il dipendente aveva svolto assidua attività sportiva ed altre attività più o meno ordinarie quali prendere sulle spalle i propri figli, senza in alcun modo comunicare al datore di lavoro l'intervenuto recupero delle proprie abilità - alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, il ricorso deve essere respinto - le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo - sussistono i presupposti di cui all'art. 13, Co. 1 quater, D.P.R. numero 115 del 2002, come modificato dall'art. 1, co. 17, L. numero 228 del 2012 P.Q.M. La Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 4000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. numero 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell'art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.