Vaccinazione e malattia: dibattito forte ma nessun nesso provato. E il genitore deve restituire 85mila euro al Ministero

Confermata la decisione di secondo grado. Impossibile accertare il collegamento tra la vaccinazione e la malattia manifestatasi successivamente nel bambino. Ulteriore danno per il genitore, che è ora obbligato a restituire 85mila euro al Ministero della Salute.

Il dibattito in corso sui presunti problemi causati dalle vaccinazioni non è sufficiente per mettere in discussione la decisione del giudice che, in questo caso, ha ritenuto di escludere il nesso tra il vaccino somministrato a un bambino alla fine degli anni ‘70 e la patologia – una encefalopatia epilettogena grave – che successivamente lo ha colpito. Niente risarcimento, quindi, per il genitore, che ora si ritrova anche obbligato a restituire al Ministero della Salute i quasi 85mila euro percepiti come ristoro economico a seguito della vittoria ottenuta in Tribunale Cassazione, ordinanza n. 8309/20, sez. VI Civile-Lavoro, depositata il 29 aprile . Risarcimento. La delicata vicenda ha origine alla fine degli anni ‘70, quando un bambino viene sottoposto ad alcune vaccinazioni obbligatorie, cioè l’antipolio Sabin e il Difterite-tetano-pertosse, per poi manifestare, tempo dopo, i segni di una malattia che verrà successivamente identificata come una encefalopatia epilettogena. Per il genitore è evidente il nesso tra il grave problema di salute e la precedente vaccinazione, e questa convinzione è ritenuta corretta dai giudici del Tribunale, che condannano il Ministero della Salute a versare oltre 84mila euro a titolo di risarcimento per le conseguenze dannose subite dal bambino, divenuto inabile. Di parere opposto, però, i giudici d’Appello, che ribaltano la decisione del Tribunale, ritengono non vi siano prove certe sul collegamento vaccinazione-malattia e condannano il genitore alla restituzione di quanto percepito in esecuzione della sentenza di primo grado e a rifondere le spese di entrambi i gradi di giudizio . Restituzione. A chiudere il caso provvede ora la Cassazione, sancendo la correttezza del ragionamento seguito in Appello. Irrilevante, innanzitutto, il fatto che il consulente tecnico d’ufficio sia stato uno specialista in infettivologia pediatrica piuttosto che in neurologia . Per quanto concerne, poi, il dibattito sul tema delle vaccinazioni, esso non basta a confutare la valutazione compiuta in Appello. E a questo proposito neppure può rilevare la denuncia secondo cui non sarebbe stata individuata una possibile eziologia alternativa poiché, osservano i giudici, ci si trova di fronte a complesse malattie la cui origine è ancora ignota e la ricerca di fattori ulteriori e diversi rispetto al patrimonio genetico è oggetto di studi della ricerca scientifica . Ultimo capitolo, infine, quello relativo alla restituzione delle somme percepite dal genitore in esecuzione della sentenza di primo grado . Secondo il legale dell’uomo, i giudici di secondo grado hanno commesso un errore, non avendo considerato che l’indennizzo erogato in base alla legge 210 del 1992 ha natura assistenziale e, dunque, non è ripetibile nel caso in cui sia stato trattenuto in buona fede . Questa obiezione viene però respinta dai giudici della Cassazione, i quali ribattono che il diritto della controparte – ferma restando la necessità della relativa domanda – alla restituzione delle somme erogate in esecuzione della sentenza di primo grado sorge per effetto della pronuncia di appello e la caducazione della prima decisione comporta che viene meno ex tunc e definitivamente il titolo delle attribuzioni, sicché la parte ha diritto al ripristino della situazione patrimoniale precedente . Per chiudere il cerchio, infine, il genitore viene anche condannato a provvedere al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 14 gennaio – 29 aprile 2020, n. 8309 Presidente Curzio – Relatore Marchese Rilevato che con atto di citazione dinanzi al Tribunale di Venezia, Gi. Ga., nella qualità di tutore del figlio inabile Da. Ga., conveniva in giudizio il Ministero della Salute al fine di ottenere l'indennizzo previsto dalla legge nr. 210 del 1992, per le conseguenze dannose che asseriva essere derivate, al figlio, da vaccinazioni obbligatorie tra cui vaccino l'antipolio Sabin somministrate nel 1977 la domanda era accolta dal Tribunale e, per l'effetto, il Ministero condannato al pagamento del risarcimento in misura di Euro 84.485,13, escluso il periodo per cui era maturata la prescrizione decennale marzo 1987-marzo 1997 la Corte d'appello di Venezia, pronunciando sull'appello principale del Ministero e su quello incidentale di Gi. Ga., in accoglimento del primo e respinto il secondo, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato che nulla spettava a Gi. Ga., nella qualità in epigrafe, condannandolo alla restituzione di quanto percepito in esecuzione della sentenza di primo grado lo ha, altresì, condannato a rifondere le spese di entrambi i gradi di giudizio la Corte territoriale ha ritenuto che già sulla scorta della CTU espletata in primo grado e, comunque, in base alla nuova C.T.U., disposta in secondo grado, non fosse configurabile un nesso causale tra la malattia e le vaccinazioni Gi. Ga. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato ad otto motivi, cui il Ministero della Salute ha resistito con controricorso è stata depositata proposta ai sensi dell'art. 380 bis cod.proc.civ., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in Camera di consiglio parte ricorrente ha depositato memoria e istanza con cui ha chiesto la trattazione, in pubblica udienza, del ricorso Considerato che il ricorso non presenta rilievo nomofilattico con il primo motivo è dedotta -ai sensi dell'art. 360 nn. 3 e 4 cod.proc.civ.- la violazione degli artt. 442 e 439 cod.proc.civ. , per erroneità del rito adottato parte ricorrente assume che la Corte di appello avrebbe dovuto disporre il mutamento di ritto, come richiesto dall'appellato, trattandosi di giudizio erroneamente introdotto con il rito ordinario il motivo è inammissibile alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte in base alla quale i vizi di attività del giudice, denunciabili ai sensi dell'art. 360, comma 1, nr. 4, cod.proc.civ., non sono posti a tutela di un interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria ma a garanzia di un pregiudizio concretamente subito ex plurimis, Cass. nr. 2626 del 2018 sicché la denuncia di mancata adozione di un rito può essere invocata solo per riparare una precisa ed apprezzabile lesione che, in conseguenza del diverso rito seguito, sia stata subita sul piano pratico processuale Cass. nr. 10341 del 2005 Cass. 10286 del 2009 Cass.nr.24561 del 2013 Cass. nr. 1448 del 2015 in difetto di deduzioni in tal senso, come nella specie, la critica è inammissibile per difetto di interesse ad agire con il secondo motivo -ai sensi dell'art. 360 nn. 3 e 4 cod.proc.civ.- è dedotta l'omessa e/o insufficiente pronuncia sulle eccezioni di inammissibilità dell'appello del Ministero della Salute per violazione degli artt. 342 e 345 cod.proc.civ. secondo la parte ricorrente, la sentenza non avrebbe motivato adeguatamente in ordine all'eccezione di inammissibilità dell'appello, sollevata anche con riferimento all'art. 345 cod.proc.civ., per novità della domanda proposta dal Ministero della Salute anche il secondo motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilità per difetto di specificità, non risultando trascritto né l'atto di appello del Ministero, né la memoria di costituzione in primo grado, su cui si fondano le denunciate censure con il terzo motivo -ai sensi dell'art. 360 nn. 3, 4 e 5 cod.proc.civ.- è dedotta la nullità del procedimento di conferimento dell'incarico di CTU e l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio secondo la parte ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe considerato l'incompatibilità dell'ausiliario con l'incarico conferito, per essere il professionista prescelto specialista in infettivologia pediatrica piuttosto che in neurologia ed essere incardinato in una struttura dell'ASL, come tale, non imparziale inammissibile è, nel complesso, pure il terzo motivo in via generale, occorre in questa sede ribadire che la scelta del consulente tecnico è riservata, anche per quanto riguarda la categoria professionale di appartenenza, all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito ex plurimis, Cass. nr. 6050 del 2010 sicché la decisione di affidare l'incarico ad un professionista piuttosto che ad un altro nella specie, infettivologo pediatrico invece che neurologo non è censurabile in sede di legittimità e neppure richiede una specifica motivazione quanto alla supposta mancanza di imparzialità derivante da una asserita condizione di sostanziale incompatibilità del consulente tecnico d'ufficio, deve osservarsi come la stessa possa farsi valere esclusivamente mediante lo strumento della ricusazione, nel termine di cui all'art. 192 cod.proc.civ. Cass. nr. 4287 del 2016 Cass. nr. 12822 del 2014 senza che sussista una deroga per il caso come quello prospettato in cui la parte sia venuta a conoscenza solo successivamente della situazione di incompatibilità Cass. nr. 3657 del 1998 in tale ultima ipotesi, l'interessato può solo prospettare le ragioni che giustificherebbero un provvedimento di sostituzione affinché il giudice, se lo ritenga, si avvalga dei poteri che gli conferisce in tal senso l'art. 196 cod.proc.civ. la valutazione operata al riguardo è, tuttavia, insindacabile in Cassazione Cass. nr. 3657 cit. se non nei ristretti limiti del vizio di motivazione, tempo per tempo vigente e, nella specie, non validamente illustrato le restanti censure, nel dedurre la nullità della consulenza tecnica, pongono, in realtà, questioni che sono di fatto e non di diritto e, come tali, afferiscono più propriamente ad un'ipotesi di vizio di motivazione in ogni caso, esse sono prospettate senza le indicazioni necessarie, secondo le previsioni di cui all'art. 366 nn. 4 e 6 cod.proc.civ., non risultando trascritta la relazione peritale oggetto di censure si rammenta che la parte che addebita alla consulenza tecnica d'ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa o nella sentenza che l'ha recepita ha l'onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamento ed alle conclusioni del consulente d'ufficio. Le critiche mosse alla consulenza ed alla sentenza devono pertanto possedere un grado di specificità tale da consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne la decisività direttamente in base al ricorso Cass. nr. 13845 del 2007, v. pure Cass. nr. 3224 e 16368 del 2014 e, in motiv., Cass. nr. 4287 del 2016 con il quarto motivo -ai sensi dell'art. 360 nr.3 e 5 cod.proc.civ.-è dedotta violazione degli artt. 1 e 3 della legge nr. 210 del 1992 e dell'art. 41 cod.pen. ed omesso esame di uno o più fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti secondo la parte ricorrente, il consulente non avrebbe indicato neppure sommariamente eventuali cause o concause di natura non vaccinante non avrebbe fatto alcun riferimento agli altri vaccini inoculati a Da. Ga. il 7.3.1977 DTP tra l'altro, neppure avrebbe tenuto conto delle varie osservazioni formulate dal consulente di parte il difetto di specificità, evidenziato in relazione al motivo precedente, travolge anche il quarto motivo la mancata trascrizione della relazione peritale impedisce, infatti, di valutare compiutamente i rilievi mossi è, peraltro, pure il caso di osservare come, nella sostanza, il ricorrente si limiti a contrapporre alle considerazioni del C.T.U. di secondo grado che ha escluso il nesso di causalità tra la patologia di cui è affetto Da. Ga. pacificamente encefalopatia epilettogena grave -tipo Lennox Gastaut- ed il vaccino antipolio orale e la vaccinazione DTP sotto tale profilo è anche infondata la censura per cui la sentenza impugnata non avrebbe considerato le altre vaccinazioni cui il Ga. si era sottoposto , altre argomentazioni che, se manifestano l'acceso dibattito che da tempo si registra su tali questioni, non rivelano acquisizioni ed elementi decisivi al fine di confutare la soluzione giudizialmente accertata neppure può rilevare la denuncia secondo cui non sarebbe stata individuata una possibile eziologia alternativa considerato che trattasi di complesse malattie la cui origine è ancora ignota e la ricerca di fattori ulteriori e diversi rispetto al patrimonio genetico è oggetto di studi della ricerca scientifica così, in motivazione, § 9, Cass. nr. 8788 del 2019 resta assorbito l'esame del quinto motivo con cui -ai sensi dell'art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.- è dedotta violazione dell'art. 1 della legge nr. 210 del 1992 ed omesso esame, da parte della sentenza impugnata, della domanda, oggetto di appello incidentale, relativa ad una diversa decorrenza dell'indennizzo, stante il definitivo accertamento di insussistenza del diritto allo stesso con il sesto motivo -ai sensi dell'art. 360 nn. 3 e 5 cod.proc.civ.-è dedotta violazione della legge nr. 210 del 1992 nella parte in cui la sentenza ha previsto la restituzione delle somme percepite in esecuzione della sentenza di primo grado secondo la parte ricorrente, la Corte di appello non avrebbe considerato che l'indennizzo erogato in base alla legge nr. 210 del 1992 ha natura assistenziale e che, dunque, non sarebbe ripetibile nel caso in cui sia stato trattenuto in buona fede il motivo è infondato il diritto della controparte ferma restando la necessità della relativa domanda alla restituzione delle somme erogate in esecuzione della sentenza di primo grado sorge per effetto della pronuncia di appello la caducazione della prima decisione comporta che viene meno ex tunc e definitivamente il titolo delle attribuzioni, sicché la parte ha diritto al ripristino della situazione patrimoniale precedente v. ex multis Cass. nr. 16559 del 2005 Cass. nr. 3758 del 2007 la relativa questione non si inquadra nell'ambito dell'istituto dell'indebito, per esserne diverse natura e funzione, e quindi neppure vengono in rilievo gli stati soggettivi di buona o mala fede dell'accipiens è assorbito, per ragioni sovrapponibili a quelle esposte in relazione al quinto motivo, anche il settimo motivo con cui -ai sensi dell'art. 360 nn. 3 e 5 cod.proc.civ.- è dedotta violazione dell'art. 3 della legge nr. 210 del 1992 e dell'art. 2946 cod.civ., per omessa pronuncia sul motivo di appello incidentale concernente la ritenuta prescrizione delle somme antecedenti di dieci anni la data di presentazione della domanda di indennizzo con l'ottavo motivo -ai sensi dell'art. 360 nn. 3 e 5 cod.proc.civ.-è dedotta violazione dell'art. 92 cod.proc.civ. nonché omesso esame della richiesta della parte appellata di compensazione delle spese di lite in caso di esito sfavorevole della lite il motivo è inammissibile la facoltà di compensare le spese, ex art 92, secondo comma, cod. proc. civ., rientra nel potere discrezionale del giudice del merito che non è tenuto a motivare il mancato uso di tale facoltà se, infatti, l'esercizio del potere di disporre la compensazione è stato, nel tempo, sottoposto a un controllo sempre più stringente, con conseguente sindacabilità della motivazione a tale riguardo resa, il mancato esercizio dello stesso non può essere dedotto quale motivo di illegittimità della pronuncia di merito che ha applicato il principio della soccombenza Cass. nr.22224 del 2014 conclusivamente, in base alle svolte argomentazioni, il ricorso va rigettato, con le spese liquidate, secondo soccombenza, come da dispositivo, in favore della parte controricorrente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della parte controricorrente, liquidate in Euro 2.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.