Se la notificazione del ricorso non è mai avvenuta l’appello nel rito del lavoro è improcedibile

Nel giudizio di appello soggetto al rito del lavoro, il vizio di notificazione omessa o inesistente è assolutamente insanabile, poiché non è consentito al giudice assegnare all’appellante un termine per provvedere alla rinnovazione di un atto mai compiuto.

La Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n. 31346/19, depositata il 2 dicembre, è chiamata ad intervenire in una controversia relativa al pagamento di differenze retributive a seguito del venir meno di un rapporto di lavoro subordinato. Succedeva che, l’appellante in secondo grado di giudizio aveva notificato solo il decreto di fissazione dell’udienza relativa alla domanda di inibitoria e non il ricorso in appello relativo alla fissazione di successiva udienza. Tale decreto, infatti, non risultava comunicato dalla cancelleria all’appellante, ma questi comunque era presente all’udienza e aveva ottenuto un termine per la produzione del ricorso in appello notificato. Mancata notifica, ricorso improcedibile. Il ricorrente lamenta, dunque, violazione di legge per omessa comunicazione da parte della cancelleria del decreto di fissazione dell’udienza di discussione dell’appello e precisato che, casualmente era presente in udienza solo per aver consultato il sistema informativo Polisweb”, sostenendo che tale modalità di conoscenza era inidonea a sostituire la conoscenza legale. Sul punto, come più volte affermato dal S.C., nel giudizio di appello soggetto al rito del lavoro, il vizio di notificazione omessa o inesistente è assolutamente insanabile e determina la decadenza dell’attività processuale cui l’atto è finalizzato, poiché non è consentito al giudice assegnare all’appellante un termine per provvedere alla rinnovazione di un atto mai compiuto o giuridicamente inesistente. Nel caso in esame, la notifica non è mai stata eseguita e quindi è inesistente da qui il rigetto del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 11 settembre – 2 dicembre 2019, n. 31346 Presidente Curzio – Relatore Ponterio Rilevato che 1. con sentenza n. 4296 pubblicata il 16.10.2017 la Corte d’Appello di Roma ha dichiarato improcedibile l’appello proposto da S.G. avverso la sentenza del Tribunale di Roma che, su ricorso di M.D. , aveva accertato lo svolgimento tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato nel periodo 12.1.200731.8.2010 e condannato l’appellante al pagamento delle differenze retributive, al ripristino delle funzionalità del rapporto e al risarcimento del danno 2. la Corte territoriale ha rilevato che l’appellante aveva notificato solo il decreto di fissazione della udienza 20.2.2015 relativa alla domanda di inibitoria e non il ricorso in appello e relativo decreto di fissazione dell’udienza 27.1.2017 quest’ultimo decreto non risultava comunicato dalla cancelleria all’appellante, il quale però era comparso all’udienza del 27.1.2017 ed aveva chiesto ed ottenuto la concessione di un termine per la produzione del ricorso in appello notificato l’udienza a tale scopo fissata era stata rinviata d’ufficio al 29.9.2017, con provvedimento ritualmente comunicato all’appellante che, tuttavia, non aveva prodotto il ricorso notificato ed aveva anzi chiesto termine per rinnovare la notifica 3. avverso la sentenza ha proposto ricorso S.G. , articolato in due motivi, illustrati da successiva memoria, cui ha opposto difese M.D. con controricorso 4. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti - unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale - ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c Considerato che 5. con il primo motivo di ricorso S.G. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione dell’art. 435 c.p.c., comma 2, e della sentenza della Corte Costituzionale numero 15/1977 6. ha ribadito l’omessa comunicazione da parte della cancelleria del decreto di fissazione della udienza di discussione dell’appello nel merito e precisato di avere casualmente, attraverso la consultazione del sistema informatico omissis , avuto conoscenza di tale udienza, nel corso della quale aveva chiesto un termine per depositare l’appello notificato ha aggiunto che la conoscenza della data dell’udienza attraverso la consultazione informatica era inidonea a sostituire la conoscenza legale, che si perfezionava solo per effetto della comunicazione di cancelleria 7. con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione degli artt. 156 e ss. c.p.c., dell’art. 161 c.p.c., sostenendo che l’omissione della comunicazione di cancelleria di cui all’art. 435 c.p.c. avesse determinato la nullità della fase di merito e della sentenza impugnata 8. il ricorso è manifestamente infondato alla luce dell’orientamento di questa Corte, espresso dalle S.U. con la sentenza n. 20604 del 2008, che ha enunciato il seguente principio Nel rito del lavoro l’appello, pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell’udienza non sia avvenuta, non essendo consentito alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della cosiddetta ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., comma 2 - al giudice di assegnare, ex art. 421 c.p.c., all’appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell’art. 291 c.p.c. 9. tale principio è stato ribadito da successive pronunce di questa Corte, non solo in materia di lavoro, ma anche in materia di locazioni e perfino nell’ambito dei procedimenti camerali cfr. Cass. n. 29870 del 2008 n. 1721 del 2009 n. 11600 2010 n. 9597 del 2011 n. 27086 del 2011 n. 20613 del 2013 n. 6159 del 2018 si è in particolare precisato Cass. n. 20613 del 2013 che nel giudizio di appello soggetto al rito del lavoro, il vizio della notificazione omessa o inesistente è assolutamente insanabile e determina la decadenza dell’attività processuale cui l’atto è finalizzato con conseguente declaratoria in rito di chiusura del processo, attraverso l’improcedibilità , non essendo consentito al giudice di assegnare all’appellante un termine per provvedere alla rinnovazione di un atto mai compiuto o giuridicamente inesistente, senza che sull’inerzia della parte possa avere influenza ai fini di una possibilità di sanatoria l’avvenuta precedente regolare notifica del provvedimento di fissazione dell’udienza per la decisione sulla richiesta di inibitoria ex art. 283 c.p.c., trattandosi di attività che ha esaurito la propria valenza propulsiva nell’ambito della diversa fase cautelare 10. peraltro, la costituzione nella fase dei procedimenti sull’esecuzione provvisoria della sentenza, disciplinata dall’art. 351 c.p.c., non implica l’automatica costituzione della parte nella fase di merito, in quanto, da un lato, la legge regola il procedimento di inibitoria come autonomo, e, dall’altro, diversamente interpretando, l’appellato, costituendosi nella fase sommaria preliminare, sarebbe tenuto a proporre appello incidentale in un termine più breve rispetto a quello fissato dagli artt. 166 e 343 c.p.c., Cass. n. 8150 del 2014 n. 21596 del 2017 11. quindi non solo non è consentito, nel silenzio normativo, allungare - con condotte omissive prive di valida giustificazione, come nel caso in esame - i tempi del processo sì da disattendere il principio della sua ragionevole durata , ma l’improcedibilità dell’impugnazione, nelle controversie di lavoro, conseguente alla mancata notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, senza possibilità per il giudice di assegnare un termine perentorio per provvedervi, trova giustificazione anche nell’esigenza di tutelare la legittima aspettativa della controparte al consolidamento, entro un termine predefinito e ragionevolmente breve, di un provvedimento giudiziario già emesso ciò a differenza di quanto avviene nel processo del lavoro di primo grado, dove la notifica del ricorso assolve unicamente la funzione di consentire l’instaurazione del contraddittorio Cass. n. 6159 del 2018 n. 17368 del 2018 12. nel caso di specie, è pacifico che la notifica del ricorso in appello non fosse mai stata eseguita e fosse quindi inesistente e difatti non risulta prodotta nel giudizio di appello e neanche in questa sede di legittimità nè alcun effetto sanante può riconnettersi alla mancata comunicazione all’appellante del decreto di fissazione dell’udienza, essendo stato disposto apposito rinvio onde consentire al predetto di produrre l’appello notificato 13. per le ragioni svolte, il ricorso deve essere respinto 14. la regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo 15. il ricorrente, in quanto ammesso per il giudizio in cassazione al patrocinio a spese dello Stato, non è tenuto al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1 quater Cass. n. 18523/2014 Ord. n. 7368/17 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.