Infortuni sul lavoro: istruttoria penale e civile a confronto

In tema di responsabilità aquiliana per violazione dell’obbligo di tutela della salute ex art. 2087 c.c., un evento è da considerarsi causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo a ciò si aggiunga il principio della c.d. causalità adeguata per cui, all’interno della serie causale di eventi, occorre dare rilievo solo a quelli che non appaiano ex ante inverosimili.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 27916/2019, resa sull’obbligo datoriale di tutelare la salute dei lavoratori subordinati e sulla prova del nesso di causalità tra danno occorso ed evento dannoso. Un incidente imprevisto La controversia origina da un incidente stradale in cui ha perso la vita un lavoratore dipendente, impegnato nel trasporto di merci con un mezzo aziendale. Venivano quindi instaurati un procedimento penale e un giudizio giuslavoristico per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno ex art. 2087 c.c Nell’ambito di quest’ultimo giudizio la dinamica dell’incidente veniva fatta oggetto di una consulenza tecnica d’ufficio che, in linea con l’istruttoria penale, faceva emergere come il mezzo stesse procedendo ad una velocità irregolare oltre i limiti , sovraccarico di merce e con pneumatici lisci. Tali ultime circostanze erano circostanze tuttavia risultavano irrilevanti nella causazione dell’incidente evento dannoso con conseguente esclusione della responsabilità datoriale. Gli eredi del lavoratore, quindi, impugnavano la sentenza d’appello onde ottenerne la cassazione per violazione e falsa interpretazione dell’art. 2087 cod. civ., non avendo i giudici di merito ben considerato la cornice di responsabilità datoriale tratteggiata dall’art 2087 c.c. e comunque avendo errato nella valutazione del nesso causale, eseguita sulla base del principio dell’ oltre ogni ragionevole dubbio” e non di quello del più probabile che non”. L’obbligo di prevenzione ex art 2087 c.c La motivazione della sentenza in commento si apre con una summa dei principi di diritto espressi in tema di obbligo di tutela della salute dei lavoratori. In primo luogo, la Corte di Cassazione precisa che ai sensi dell’art 2087 c.c., il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore anche quando l’incidente è causato da disattenzione, imprudenza , negligenza e imperizia del lavoratore medesimo, pertanto il datore di lavoro è totalmente esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore assuma caratteri abnormi, inopinabili o comunque esorbitanti rispetto al procedimento lavorativo tipico” e alle istruzioni ricevute in questo caso, infatti, il comportamento del lavoratore rappresenta causa esclusiva dell’evento. Qualora invece non sia riscontrabile il carattere di abnormità del comportamento del lavoratore, il datore è totalmente responsabile dell’infortunio quando questo occorre per inosservanza di norme antinfortunistiche, poiché la violazione dell’obbligo di sicurezza integra l’unico fattore causale dell’evento, non rilevando in alcun grado il concorso di colpa del lavoratore posto che il datore è tenuto a proteggere la sua incolumità nonostante l’imperizia e la negligenza. Da tale principio nasce l’obbligo di prevenzione che impone al datore di adottare non solo le misure tassativamente necessarie secondo la legge e la prudenza, ma anche tutte quelle misure che in concreto si rendono necessarie per la tutela del lavoro on base all’esperienza ed alla tecnica. Il più probabile che non” Ciò considerato, la Corte di Cassazione ribadisce la classica ripartizione dell’onere della prova al lavoratore spetta la prova della sussistenza del danno, della nocività dell’ambiente di lavoro e, quindi, della mancata adozione di misure protettive, nonché del nesso causale tra questi due elementi al datore di lavoro spetta invece l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le misure necessarie alla protezione del lavoratore, da quelle previste ex lege , a quelle suggeriste dalle buone pratiche a quelle più generali di buonsenso e prudenza. Trattandosi poi di responsabilità aquiliana, vige il principio ex artt. 40 e 41 c.p., per il quale un evento è da considerarsi causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo. Ciò fermo restando che, per le prove del processo penale, vige la regola dell’ oltre ogni ragionevole dubbio”, mentre in materia civile occorre considerare la preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non”. La valutazione va quindi sconnessa dalla probabilità quantitativa di un evento che potrebbe essere inconferente dovendo piuttosto essere considerata la probabilità logica, che si concretizzata nel confronto tra elementi di conferma” ed elementi alternativi” disponibili in relazione al caso concreto. Nel caso de quo , i Giudici di merito si erano adeguati a tali linee valutative, ben motivando la decisione che quindi risulta resa in conformità all’art. 116 c.p.c Il ricorso è stato quindi dichiarato infondato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 luglio – 30 ottobre 2019, n. 27916 Presidente Di Cerbo – Relatore Raimondi Fatto Con sentenza 12 gennaio 2015, la Corte d’appello di Bologna rigettava l’appello proposto da A.R. , in proprio e nella qualità di legale rappresentante del figlio minore A. , avverso la sentenza di primo grado, quale erede del padre A.E. deceduto in omissis in un sinistro stradale occorsogli alla guida di un autoarticolato di proprietà della datrice Autotrasporti A.G. s.n.c. di D. e G.A. , che pure ne aveva rigettato la domanda risarcitoria. In esito ad argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie in particolare perizia e s.i.t. rese da teste oculare nelle indagini preliminari del procedimento penale archiviato C.t.u. esperita in primo grado , la Corte territoriale, anche negata la ricorrenza dei presupposti per un obbligo di astensione del C.t.u. nominato professionista con studio in Cesena, ove pure era ubicata la sede della società datrice, il cui legale rappresentante era nipote di un importante imprenditore in assenza di una situazione di incompatibilità del predetto ad assumere l’incarico, escludeva come il Tribunale la responsabilità datoriale. Con atto notificato il 5 11 marzo 2015, A.R. , in proprio e nella qualità, ricorreva per cassazione con otto motivi, cui resisteva la società con controricorso entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 6 CEDU, in relazione agli artt. 3, 24, 111 Cost., per lesione della garanzia di imparzialità e terzietà del C.t.u. comportante uno svantaggio sostanziale per il ricorrente in termini di perdita di chance in ordine ad un processo iniquo e pertanto irragionevole, dovendosi presumere l’esistenza di gravi ragioni di convenienza, nella scelta di un professionista con studio nella stessa cittadina, di appena 85.000/90.000 abitanti, in favore della società datrice importante multinazionale con migliaia di dipendenti a Cesena e hinterland ragioni che avrebbero reso più opportuna la scelta di un consulente con studio altrove. 2. Con il secondo, egli deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 41 Cost. in riferimento all’art. 2087 c.c., per esclusione della responsabilità datoriale, e del relativo obbligo di tutela delle condizioni del lavoro, in ordine al sinistro stradale mortale del dipendente, nonostante il sovraccarico di merce trasportata e la velocità di crociera dell’autoarticolato secondo gli accertamenti di C.t.u., di poco superiore ai 70 km/h . 3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme e principi di diritto, in ordine alla corretta regola di giudizio del nesso di causalità nel giudizio civile, sulla base del principio di più probabile che non , diversa da quella del giudizio penale, invece ispirata a quello di oltre ogni ragionevole dubbio , con la conseguente ininfluenza dell’archiviazione del procedimento penale a carico del datore di lavoro sull’accertamento della sua responsabilità nel giudizio civile. 4. Con il quarto, egli deduce nullità della sentenza per la violazione del principio di cd. vicinanza della prova quale error in procedendo per aver deciso in difetto di alcuna attività di offerta datoriale di prova a smentire l’esclusiva responsabilità dell’autista, per la condotta di guida imprudente osservata, erroneamente ritenuta dai giudici di merito. 5. Con il quinto, il ricorrente deduce violazione dell’art. 2043 c.c., per esclusione della responsabilità aquiliana datoriale, nonostante la chiara inosservanza del generale principio di neminem laedere sulla base del pieno adempimento da parte del ricorrente al proprio dovere di allegazione ed essendo risultati una mancata revisione dell’autoarticolato, benché affetto da usura straordinaria con particolare riferimento ai pneumatici un carico del mezzo superiore di 20 quintali al limite di legge l’imposizione di ritmi lavorativi di circa 12/13 ore giornaliere l’assenza di un secondo autista ed avendo la Corte territoriale acriticamente recepito le censurate conclusioni del C.t.u. 6. Con il sesto, egli deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 63, 192 c.p.c., 22, 23 disp. att. c.p.c. per adesione, parimenti acritica, della Corte territoriale alle conclusioni del C.t.u., nominato in persona di un ingegnere meccanico anziché cinematico, che avrebbe disposto di più adeguate competenze in materia di sinistro stradale pure ribadito il suo dovere di astensione per ragionevoli motivi di incompatibilità ambientale e ricusato con istanza sulla quale il Tribunale aveva omesso la pronuncia. 7. Con il settimo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., per erronea ed illogica adesione della Corte d’appello alle conclusioni del C.t.u., senza valorizzazione di elementi di grave responsabilità datoriale quali le rilevanti avarie del mezzo in riferimento agli elementi di stabilità sterzi, balestre, ammortizzatori e l’usura dei pneumatici dal lato destro, di cui aveva escluso l’efficienza causale nella determinazione del sinistro per ribaltamento e non per derapata verso destra , contrariamente dalle risultanze invece con esito positivo di una revisione dell’automezzo del 25 luglio 2000 precedente di sei mesi il sinistro . 8. Con l’ottavo egli deduce nullità del procedimento, in relazione alle norme denunciate al terzo e quarto motivo. 9. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione di norme per lesione della garanzia di imparzialità e terzietà del C.t.u., è infondato. 9.1. Non sussistono, infatti, i presupposti per la denunciata violazione, posto che la terzietà del consulente tecnico d’ufficio è analoga a quella costituzionalmente imposta al giudice ed è garantita proprio dall’imparzialità di quest’ultimo che lo nomina, oltre che dall’applicabilità al consulente tecnico d’ufficio, degli istituti dell’astensione e della ricusazione Cass. 22 luglio 2004, n. 13667 , a norma degli artt. 192, 63 e 52 c.p.c. Nè per essi ricorrono certamente gli spazi di attivazione stabiliti dalle norme richiamate, in assenza pure di gravi ragioni di convenienza tali evidentemente non essendo quelle prospettate dal ricorrente, per giunta presunte. 10. Tutti gli altri motivi, relativi alla violazione delle norme relative all’applicazione della responsabilità contrattuale datoriale in ordine al sinistro mortale del dipendente sotto i profili illustrati, sono congiuntamente esaminabili per la loro stretta connessione. 10.1. Essi sono in parte inammissibili e in parte infondati. 10.2. In linea di diritto è noto che, ai sensi dell’art. 2087 c.c., il datore di lavoro sia responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, pure qualora sia ascrivibile non soltanto ad una sua disattenzione, ma anche ad imperizia, negligenza e imprudenza Cass. 10 settembre 2009, n. 19494 sicché, egli è totalmente esonerato da ogni responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore assuma caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo tipico ed alle direttive ricevute, in modo da porsi quale causa esclusiva dell’evento Cass. 17 febbraio 2009, n. 3786 Cass. 13 gennaio 2017, n. 798 . Qualora invece non ricorrano detti caratteri nel comportamento del lavoratore, l’imprenditore è integralmente responsabile dell’infortunio dipendente dall’inosservanza delle norme antinfortunistiche, poiché la violazione dell’obbligo di sicurezza integra l’unico fattore causale dell’evento non rilevando in alcun grado il concorso di colpa del lavoratore, posto che il datore di lavoro è tenuto a proteggerne l’incolumità nonostante la sua imprudenza e negligenza Cass. 25 febbraio 2011, n. 4656 Cass. 4 dicembre 2013, n. 27127 . E l’obbligo di prevenzione posto dall’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata e quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per la tutela del lavoro in base all’esperienza ed alla tecnica non potendo peraltro da detta norma desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile ed innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che il danno si sia verificato, occorrendo invece che l’evento sia riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento imposti da fonti legali o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati Cass. 12 luglio 2004, n. 12863 Cass. 8 ottobre 2018, n. 24742 Cass. 19 ottobre 2018, n. 26495 . 10.3. Ma gli enunciati principi di diritto, assolutamente consolidati, presuppongono che il lavoratore, il quale lamenti di avere subito un danno alla salute a causa dell’attività lavorativa svolta, offra la prova, oltre che dell’esistenza di tale danno, della nocività dell’ambiente di lavoro con tale espressione intesa la mancata adozione delle suddette misure protettive e del nesso di causalità tra l’una e l’altra soltanto se il lavoratore abbia fornito una tale prova, sussistendo per il datore di lavoro l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno Cass. 4 febbraio 2016, n. 2209 Cass. 8 ottobre 2018, n. 24742 Cass. 27 febbraio 2019, n. 5749 . 10.4. E la prova del nesso di causalità incombe non meno al lavoratore, in riferimento specifico al quinto motivo, qualora si percorra la via, più impegnativa sotto il profilo probatorio, della responsabilità aquiliana, per cui vige il principio posto dagli artt. 40 e 41 c.p., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché del criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano ad una valutazione ex ante del tutto inverosimili ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile nell’accertamento del nesso causale vigendo nel processo penale la regola della prova oltre il ragionevole dubbio , mentre in materia civile la regola della preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non Cass. s.u. 11 gennaio 2008, n. 576 . Nè potendo peraltro lo standard di cd. certezza probabilistica in materia civile essere ancorato esclusivamente alla cd. probabilità quantitativa della frequenza di un evento, che potrebbe anche mancare o essere inconferente, dovendo piuttosto essere verificato, secondo la cd. probabilità logica, nell’ambito degli elementi di conferma e nell’esclusione di quelli alternativi, disponibili in relazione al caso concreto Cass. 3 gennaio 2017, n. 47 Cass. 27 settembre 2018, n. 23197 . 10.5. Ebbene, la Corte territoriale ha escluso una responsabilità datoriale ai sensi dell’art. 2087 c.c. così come dell’art. 2043 c.c. al penultimo capoverso di pg. 15 della sentenza proprio avendo accertato l’inesistenza di alcuna incidenza causale, nella determinazione del sinistro, del comportamento della società di mancato rispetto di norme protettive nella specifica incombenza affidata al lavoratore purtroppo deceduto. E ciò avendo reputato ininfluenti, in particolare, tanto l’eccessiva usura dei pneumatici dal lato destro del mezzo condotto dal predetto primo capoverso di pg. 10 della sentenza , tanto il sovraccarico dello stesso automezzo ai primi due capoversi di pg. 13 della sentenza . Sicché, la Corte felsinea ha individuato, come già il Tribunale, la responsabilità esclusiva del sinistro nella condotta imprudente di guida del lavoratore, a velocità non moderata, calcolata sui 70 km/h prossima a quella di ribaltamento, su strada curvilinea così al penultimo capoverso di pg. 4 e al penultimo di pg. 9 della sentenza . A tale conclusione essa è pervenuta in esito ad un attento esame delle risultanze istruttorie, in parte acquisite nel procedimento penale archiviato, in parte direttamente nel giudizio civile, rigorosamente scrutinate, sull’essenziale fondamento della C.t.u. esperita in primo grado fornendone una più che adeguata argomentazione giustificativa per le ragioni esposte dal primo capoverso di pg. 8 all’ultimo di pg. 10 e dall’ultimo capoverso di pg. 12 al penultimo di pg. 15 della sentenza neppure infine essendo state ritenute ammissibili nè rilevanti, per sostanziale genericità, le istanze istruttorie dedotte in primo grado dalla società all’ultimo capoverso di pg. 15 della sentenza . 10.6. Non ricorre pertanto alcuna violazione, infondatamente denunciata, dell’art. 116 c.p.c. che è norma che sancisce il principio di libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale , integrante il vizio di nullità stabilito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero valuti, all’opposto, secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime Cass. 10 giugno 2016, n. 11892 . Qualora invece si deduca che il giudice abbia solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 con la conseguente inammissibilità della doglianza prospettata sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965 Cass. 19 giugno 2014, n. 13960 . Sicché, le doglianze oggetto dei motivi congiuntamente scrutinati si risolvono in una contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto del giudice di merito, con una sottesa sollecitazione alla rivisitazione del merito, indeferibile in sede di legittimità Cass. 19 marzo 2009, n. 6694 Cass. 18 marzo 2011, n. 6288 Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197 , tanto più in considerazione del ristretto ambito devolutivo individuato dal novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053 Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940 . In riferimento ad esso, sostanzialmente denunciato sotto la formale schermatura del vizio, come detto insussistente, di violazione di legge, si porrebbe infine l’ipotesi di cd. doppia conforme prevista dall’art. 348ter c.p.c., comma 5 e quindi di inammissibilità, in difetto di indicazione dalla parte ricorrente, per evitarla, delle ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversità Cass. 10 marzo 2014, n. 5528 Cass.22 dicembre 2016, n. 26774 . 11. Dalle superiori argomentazioni discende allora il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza. P.Q.M. LA CORTE rigetta il ricorso e condanna A.R. , in proprio e nella qualità, alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.