Il dibattuto onere della prova in tema di obbligo di repechage

La mancanza di allegazioni del lavoratore circa l’esistenza di una posizione disponibile può corroborare il quadro probatorio circa l’impossibilità di essere adibito altrove, purché tale impossibilità sia accertata mediante ricorso a presunzioni gravi, precise e concordanti, non potendo però spostare il profilo dell’onere della prova del rispetto del relativo obbligo che grava, pur sempre, sul datore di lavoro in virtù del disposto dell’art. 5 l. n. 604/1966.

Così si è espressa la Corte di Cassazione, con sentenza n. 26460/19, depositata il 17 ottobre. Il caso. A seguito di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dovuto alla soppressione della posizione lavorativa di una dipendente ed all’assorbimento delle sue mansioni da parte di altri colleghi, la lavoratrice ha adìto il Tribunale, che, accertata l’illegittimità del recesso datoriale, in fase sommaria ha disposto la sua reintegrazione con condanna alle retribuzioni medio tempore maturate , mentre nella successiva fase di opposizione ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro, condannando il datore a corrispondere alla ex dipendente 18 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Entrambi i giudici, in ogni caso, hanno escluso la sussistenza della paventata ritorsività del licenziamento, che sarebbe stata per la lavoratrice conseguenza di un pregresso procedimento disciplinare. A seguito di reclami proposti da entrambe le parti, reciprocamente soccombenti, la Corte d’Appello di Roma ha integralmente confermato la sentenza del Tribunale, ribadendo che correttamente era stata ritenuta l’esistenza della ragione oggettiva – soppressione del posto di lavoro - alla base del licenziamento altrettanto correttamente si era reputato non assolto l’onere datoriale circa l’impossibilità di ricollocazione della dipendente, anche alla luce delle sopravvenute nuove assunzioni e conclusioni di ulteriori contratti di appalto ben aveva fatto ad escludere la ritorsività del recesso. Le doglianze di entrambe le parti. La lavoratrice ha censurato la pronuncia d’appello, sostenendo - l’omessa pronuncia o, comunque, la sussistenza di una motivazione solo apparente in ordine alla manifesta insussistenza dell’assoluta impossibilità di ricollocarla - l’erronea applicazione delle tutele discendenti dalla ritenuta illegittimità del licenziamento, che avrebbe dovuto essere sanzionata con la tutela reintegratoria, seppur attenuata - l’omesso esame di un elemento decisivo ai fini della decisione, costituito dall’inesistenza della causale posta a base del recesso, effettivamente determinato solo da pretestuosità. Anche la società ha proposto ricorso incidentale per cassazione, denunciando - omesso esame di un fatto storico decisivo in punto repechage acquisizione di nuovi appalti solo mediante il meccanismo di salvaguardia occupazionale disciplinato dal CCNL di riferimento - violazione dell’art. 2697 c.c. e 24 Cost., in quanto sarebbe onere del lavoratore introdurre in giudizio fatti che costituiscano fondamento della pretesa di repechage . La Cassazione ha respinto integralmente sia il ricorso principale, sia quello incidentale, facendo una ricognizione della materia e dettando alcuni punti fermi. Le tutele applicabili. Richiamando recenti precedenti, la Corte ha rammentato che, in tema di licenziamento per g.m.o., la verifica del requisito della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” di cui all’art. 18, comma 7, stat. lav. post l. n. 92/2012 concerne entrambi i presupposti di legittimità del recesso, e cioè sia le ragioni inerenti all’attività produttiva ed organizzativa, sia l’impossibilità di ricollocazione del dipendente, della cui prova è onerata parte datoriale, precisando che il termine manifesta insussistenza” debba essere riferita ad una evidente e marcata assenza di detti presupposti, che renda ictu oculi evidente la pretestuosità del recesso. Inoltre, per la Corte, in seguito alla novella del 2012, in caso di assenza della prova di impossibilità del repechage la corretta tutela da applicare è quella meramente risarcitoria. Gli oneri probatori. La Cassazione, dopo aver ricordato come possa affermarsi la ritorsività di un licenziamento solo laddove si provi l’esclusività dell’intento datoriale, prendendo posizione sulle doglianze espresse nel ricorso incidentale dalla società, ha chiarito chi sia onerato dell’onere della prova in tema di repechage . Spetta, ad avviso della Corte, infatti, al datore di lavoro provare l’impossibilità di repechage con riferimento alla situazione esistente al momento del licenziamento, dovendo allegare e dimostrare l’insussistenza di altri posti lavorativi in cui collocare il dipendente, potendo l’assenza di deduzioni del lavoratore in punto sussistenza di una posizione disponibile solamente corroborare il quadro probatorio circa l’impossibilità di una ricollocazione, ma non potendo di certo spostare il profilo dell’onere probatorio così come addossato al datore di lavoro dall’art. 5 l. n. 604/1966.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 luglio – 17 ottobre 2019, n. 26460 Presidente Di Cerbo – Relatore Cinque Fatti di causa 1. In data 30 aprile 2014 la Dix Servizi srl intimava il licenziamento per giusta causa ad E.L. , dipendente con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dall’1.11.2012 con mansioni di pulitrice ed inquadramento nel 2 livello del CCNL per le imprese di pulimento, servizi integrati e multiservizi e con orario part - time, ed assegnata all’appalto delle pulizie del locali dell’Ente Committente 31 Stormo dell’Aeronautica Militare, per fatti accaduti il 10.4.2014, quando erano caduti dalla tromba delle scale del Reparto Alloggi Ufficiali , presso cui prestava servizio, un ventilatore, un telefono ed un appendiabiti. 2. Il licenziamento veniva dichiarato illegittimo con sentenza definitiva della Corte di appello di Roma n. 9260 del 2015. 3. In data 8 luglio 2015 la società comunicava alla E. l’intenzione di procedere ad un nuovo licenziamento per giustificato motivo oggettivo costituito dalla impossibilità di una sua ricollocazione nel precedente luogo di lavoro, avendo l’Ente committente disposto il divieto assoluto di accesso in base della lavoratrice in quanto persona non gradita , con conseguente intervenuta soppressione della posizione lavorativa presso il suddetto luogo di lavoro con assorbimento delle mansioni e dell’orario osservati da quest’ultima del personale rimasto in servizio l’insussistenza di ulteriori posizioni di lavoro sia equivalenti, sia di livello inferiori presso le quali ricollocare la lavoratrice medesima. 4. Il licenziamento veniva comminato il successivo 28 luglio 2015. 5. Con ordinanza n. 54101/2016 il giudice del lavoro di Roma accertava e dichiarava l’illegittimità di tale ultimo licenziamento, ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro e condannando la società al risarcimento del danno commisurato a tutte le mensilità della retribuzione globale di fatto dalla data del recesso, oltre alla regolarizzazione contributiva previdenziale ed assistenziale. 6. Il Tribunale di Roma, adito in sede di opposizione, dichiarava invece risolto il rapporto dalla data di licenziamento e condannava la società al pagamento di 18 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori rigettava, altresì, l’opposizione incidentale con la quale era stata chiesta la conferma dell’ordinanza con sostituzione/integrazione della motivazione nella parte in cui era stata omessa la declaratoria della natura discriminatoria o ritorsiva del licenziamento, con ordine di reintegrazione L. n. 300 del 1970, ex art. 18. 7. La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 503 del 2018, rigettava i reclami hic et inde proposti nei confronti della pronuncia di primo grado. 8. I giudici di seconde cure, a fondamento della decisione, precisavano che 1 era corretta l’impostazione del Tribunale che aveva accertato l’esistenza delle circostanze dedotte come motivi di licenziamento, ma non aveva ritenuto le stesse tali da giustificare il licenziamento 2 a fronte, infatti, della dimostrata soppressione dello specifico posto di lavoro, la società non aveva fornito sufficiente prova della possibilità di impiegare la lavoratrice in un posto di lavoro con mansioni equivalenti 3 la società non aveva fornito, quindi, idoneo riscontro probatorio di avere ottemperato all’obbligo di repechage su di essa gravante, peraltro ancora più pregnante trattandosi di mansioni non altamente qualificate 4 dagli atti era emerso che la società, nel corso dell’anno 2015, aveva incrementato le assunzioni ed aveva concluso ulteriori quattro contratti di appalto tra marzo e maggio 2015, con conseguente assunzione di nuovo personale nella misura di 25 unità fino a tutto il 30.9.2015 5 il licenziamento non poteva considerarsi discriminatorio. 9. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione E.L. affidato a quattro motivi. 10. Ha resistito con controricorso la Dix Servizi srl formulando ricorso incidentale sulla base di due motivi, cui ha resistito, a sua volta, con controricorso E.L. , illustrato con memoria. Ragioni della decisione 1. I motivi possono essere così sintetizzati. 2. Con il primo motivo E.L. denunzia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ovvero l’omessa pronuncia, per non essersi la Corte territoriale pronunciata sulle questioni, oggetto del motivo di gravame, in ordine alla manifesta insussistenza del fatto circa l’assoluta impossibilità di collocare la lavoratrice presso la società. 3. Con il secondo motivo, in via subordinata, la ricorrente principale si duole, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, della violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., perché, sulla suddetta questione, quand’anche si fosse voluto ritenere che la Corte di merito si era pronunciata allorquando aveva precisato che la società non aveva fornito idoneo riscontro probatorio all’ottemperanza sull’obbligo di repechage su di essa gravante, tuttavia la relativa motivazione era solo apparente e non in grado di consentire la ratio decidendi seguita dal giudice. 4. Con il terzo motivo, in via ulteriormente subordinata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., si censura la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 7, perché, nell’ipotesi in cui non si fossero rilevati i vizi sopra denunziati, la Corte di appello comunque aveva errato nell’applicazione della norma di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 7, in quanto non aveva considerato che l’impossibilità di ricollocazione del lavoratore nel posto ritenuto soppresso rappresentava una imprescindibile condizione di fatto che legittimava il licenziamento con la conseguenza che la tutela applicabile era quella reintegratoria, sia pure attenuata. 5. Con il quarto motivo la E. lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla inesistenza della causale addotta del licenziamento in contestazione, ingiustificato per carenza di veridicità e per pretestuosità della causale stessa, essendo state dimostrate la stipulazione di nuovi contratti di appalto e l’assunzione di nuovi dipendenti. 6. La E. conclude chiedendo una pronuncia ex art. 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto. 7. Con il primo motivo del ricorso incidentale la società denunzia l’omesso esame di un punto decisivo della controversia e conseguente vizio di omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la Corte territoriale, nella risoluzione della questione afferente la dedotta impossibilità del repechage , esaminato il fatto storico dell’acquisizione di appalti ad opera della società Dix Servizi srl esclusivamente attraverso il meccanismo di salvaguardia dell’occupazione disciplinato dall’art. 4 del CCNL Multiservizi, tale da determinare l’inesistenza di posti vacanti ove reimpiegare le risorse provenienti da altre commesse fatto la cui esistenza risultava dal testo del reclamo proposto da essa società e che la E. non aveva inteso specificamente contestare determinandone, avuto riguardo alla disposizione di cui all’art. 115 c.p.c., la pacificità in causa. 8. Con il secondo motivo del ricorso incidentale si sostiene la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 24 Cost. e conseguente erroneità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la Corte territoriale, nella risoluzione della questione afferente la dedotta impossibilità del repechage, considerato che la pretesa del lavoratore di ricollocazione lo oneri di introdurre nel processo fatti che ne costituiscono il fondamento, giacché, diversamente, l’esito del ragionamento sarebbe la violazione, oltre che dell’art. 2697 c.c., del diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost., posto che, sulla parte datoriale graverebbe l’onere di dedurre più di quanto dedotto dalla controparte al precipuo scopo di provare l’insussistenza di alternative occupazionali compatibili con la professionalità del dipendente licenziato. 9. I primi due motivi del ricorso principale, da trattarsi congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono infondati. 10. La violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., sussiste quando il giudice attribuisca, o neghi, ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno virtualmente, nella domanda, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda cfr. Cass. 17.1.2008 n. 906 Cass. 3.2.1999 n. 919 . 11. Inoltre è sanzionabile con la nullità ex art. 132 c.p.c., n. 4. e art. 118 disp. att c.p.c., a seguito della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo la sentenza la cui motivazione non consenta la ricostruzione ed il controllo del procedimento logico-giuridico seguito dal giudice per giungere alla decisione, sicché solo la mancanza della motivazione stessa o la presenza di una puramente apparente o di una sua manifesta ed irriducibile contraddittorietà ovvero allorquando sia perplessa o incomprensibile Cass. 12.10.2017 n. 23940 Cass. 25.9.2018 n. 22598 può dare luogo alla violazione delle suddette disposizioni. 12. Nella fattispecie i vizi denunciati non sussistono perché la Corte territoriale, con argomentazioni da cui è possibile evincere le ragioni della decisione, in ordine alla dedotta manifesta insussistenza del fatto sulla asserita impossibilità di collocare la lavoratrice presso la società, ha specificato che non era stata fornita sufficiente prova della possibilità di impiegare la E. in un altro posto di lavoro con mansioni equivalenti, chiarendone successivamente le cause. 13. Sotto il profilo procedurale, pertanto, l’iter logico seguito dai giudici di seconde cure è stato logicamente e sufficientemente esplicitato e ciò rende, pertanto, insussistenti entrambe le denunziate violazioni. 14. Il terzo motivo è, parimenti, infondato. 15. La sentenza della Corte territoriale è conforme agli orientamenti di legittimità cui si intende, in questa sede, dare seguito. 16. Infatti, è stato affermato Cass. 2.5.2018 n. 10435 che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la verifica del requisito della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento previsto dall’art. 18 St. Lav., comma 7, come novellato dalla L. n. 92 del 2012, concerne entrambi i presupposti di legittimità del recesso e, quindi, sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore cd. repechage , fermo l’onere della prova che grava sul datore di lavoro ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 5, la manifesta insussistenza va riferita ad una evidente, e facilmente verificabile sul piano probatorio, assenza dei suddetti presupposti, che consenta di apprezzare la chiara pretestuosità del recesso. 17. Inoltre, è stato specificato Cass. 8.1.2019 n. 181 che l’insufficienza probatoria in ordine all’adempimento dell’obbligo di repechage non è sussumibile nell’alveo della manifesta insussistenza del fatto, contemplata dall’art. 18 St. lav., comma 7, nella formulazione, modificata dalla L. n. 92 del 2012, ratione temporis applicabile, che va riferita solo ad una evidente, e facilmente verificabile sul piano probatorio, assenza dei presupposti di legittimità del recesso, con la conseguenza che va applicata la tutela risarcitoria in assenza di una prova sufficiente dell’impossibilità di reperire una posizione lavorativa compatibile con la professionalità del lavoratore licenziato. 18. La Corte di appello, pertanto, rilevando che la società non aveva fornito prova sufficiente della possibilità di impiegare la lavoratrice in un posto di lavoro con mansioni equivalenti e confermando la tutela risarcitoria già disposta in prime cure, si è in sostanza adeguata ai suddetti principi affermati da questa Suprema Corte. 19. Infine, anche il quarto motivo è infondato. 20. L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.I. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia Cass. 29.10.2018 n. 27415 Cass. n. 8053/2014 . 21. Nel caso in esame, la Corte di merito ha valutato il profilo della pretestuosità del licenziamento ritenendo che la ricostruzione in punto di fatto della vicenda consentiva, da un lato, di affermare che il secondo licenziamento non era legittimo e, dall’altro, di negare la natura discriminatoria del licenziamento che necessitava, in sostanza, di una prova specifica non fornita sul punto della esclusività dell’intento ritorsivo quale ragione del provvedimento espulsivo. 22. Ciò è sufficiente per escludere il dedotto vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, come sopra delineato, essendo la questione in punto di fatto stata esaminata. 23. Venendo all’esame del ricorso incidentale, proposto dalla società, osserva il Collegio che il primo motivo è inammissibile. 24. Invero, la ricorrente non ha specificato il come ed il quando la questione delle assunzioni effettuate da essa società, quali conseguenza dell’aggiudicazione di nuovi appalti attraverso il meccanismo di salvaguardia dell’occupazione disciplinato dall’art. 4 CCNL Multiservizi, sia stata prospettata in primo grado e sia entrata nel contesto delle allegazioni oggetto del thema decidendum. 25. La censura si limita a richiamare unicamente un riferimento, peraltro generico, all’atto di reclamo pagg. 15, 16 e 17 ove era stato lamentato il fatto asseritamente non esaminato, ma non specifica, invece, in quale atto del primo grado la circostanza fosse stata specificamente indicata ed allegata. 26. Il secondo motivo del ricorso incidentale è, invece, infondato. 27. La Corte di appello correttamente ha affermato che spettava al datore di lavoro provare l’impossibilità di repechage con riferimento alla situazione esistente al momento del licenziamento Cass. 13.6.2016 n. 12101 Cass. 5.1.2017 n. 160 , incombendo, infatti, su di esso l’onere di allegare e dimostrare l’inesistenza di altri posti di lavoro cui utilmente ricollocare il lavoratore Cass. 19.4.2017 n. 9869 Cass. 20.10.2017 n. 24882 . 28. La mancanza di allegazioni del lavoratore circa l’inesistenza di una posizione disponibile può corroborare il quadro probatorio circa l’impossibilità di essere adibito altrove qualora tale impossibilità sia accertata attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti Cass. 23.5.2018 n. 12794 , ma non sposta di certo il profilo dell’onere della prova del rispetto del relativo obbligo che grava pur sempre sul datore di lavoro in virtù del disposto della L. n. 604 del 1966, art. 5. 29. In relazione a tale aspetto la gravata pronuncia è, quindi, condivisibile e priva di errori giuridici. 30. Alla stregua di quanto esposto, in conclusione, sia il ricorso principale che quello incidentale devono essere rigettati. 31. La soccombenza reciproca induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. 32. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, sempre come da dispositivo, limitatamente alla società ricorrente incidentale. 33. Quanto ad E.L. , ammessa al patrocinio a spese dello Stato, va dato atto, allo stato, della non sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, stante la prenotazione a debito delle spese in ragione dell’ammissione al predetto beneficio Cass. 22.3.2017 n. 7368 Cass. 2.9.2014 n. 18523 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.