L’assegno di maternità spetta solo ai soggiornanti di lungo periodo: norma incostituzionale?

La disciplina relativa all’erogazione dell’assegno di maternità sembrerebbe introdurre un’ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri, legalmente soggiornanti in Italia, prevedendo solo per i secondi l’ulteriore requisito di essere in possesso della carta di soggiorno, escludendo dalla fruizione della medesima prestazione sociale, pur a fronte di situazioni di parità di bisogno, intere categorie di soggetti.

Lo ha affermato la Cassazione, Sezione Lavoro, con le ordinanze nn. 16163 e 16164, depositate il 17 giugno 2019. Il caso. Le pronunce in commento traggono origine da due distinti giudizi promossi da due cittadine extracomunitarie contro l’INAIL per l’ottenimento dell’assegno di maternità di cui all’art. 74, d.lgs. n. 151/2001 in entrambi i casi, dopo che l’Istituto di previdenza aveva negato il diritto a percepire l’assegno – in quanto le ricorrenti avevano solo un permesso per motivi familiari della durata biennale e, quindi, non potevano considerarsi soggiornanti di lungo periodo – i Giudici di merito avevano accordato la prestazione in oggetto, fornendo, in un caso, un’interpretazione estensiva dell’art. 2, lett. b , n. 2, d.lgs. n. 30/2007 relativa al partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata” e richiamando, nell’altro caso, la disciplina comunitaria introdotta dalla direttiva CE 2011/98 e dal regolamento CE n. 883/2004 in forza dei quali le prestazioni rientranti nell’ambito della sicurezza sociale non ammettono disparità di trattamento nei confronti dei cittadini di paesi terzi ammessi in uno Stato membro . La Cassazione chiarisce la ratio dell’assegno di maternità. La Suprema Corte osserva che l’indennità in esame costituisce prestazione assistenziale erogata dall’INPS una tantum, in mancanza di altre prestazioni collegate alla maternità e in favore di situazioni familiari meno agiate. Ove il genitore sia cittadino extracomunitario, si richiede l’ulteriore requisito della titolarità del permesso di lungo soggiorno ex art. 9, d.lgs. n. 286/1998, con la conseguenza che la prestazione può essere erogata solo ai cittadini extracomunitari che, ai fini dell’ottenimento del permesso in questione, abbiano dimostrato di disporre di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati nell’art. 29, comma 3, lett. b , d.lgs. n. 286/1998, nonché di un alloggio idoneo e di aver superato un test di conoscenza della lingua italiana. A fronte di ciò, i Giudici di legittimità non ritengono dubitabile che la prestazione in esame costituisca un sostegno economico in un momento in cui le esigenze della persona sono maggiori, sostegno finalizzato a soddisfare bisogni essenziali collegati alla nascita o all’adozione di un bambino, in un contesto caratterizzato da redditi bassi, rappresentando un aiuto che può essere determinante al fine di evitare che una madre possa trovarsi, al momento del parto, in condizioni di povertà assoluta. I dubbi della Cassazione violata la parità di trattamento? La Suprema Corte ritiene che l’art. 74, d.lgs. n. 151/2001 presenti profili di incostituzionalità per violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza e della disparità di trattamento, dell’art. 31 Cost. e dell’art. 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. In particolare, sotto il profilo della possibile violazione dell’art 3 Cost., la norma sembrerebbe introdurre un’ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri, legalmente soggiornanti in Italia, prevedendo solo per i secondi l’ulteriore requisito di essere in possesso della carta di soggiorno, ora soggiornanti di lungo periodo, escludendo, contraddittoriamente, dalla fruizione della medesima prestazione sociale, pur a fronte di situazioni di parità di bisogno, intere categorie di soggetti, selezionati non in base all’entità o alla natura del bisogno, ma ad un criterio privo di ogni collegamento con questo, quale la titolarità del permesso di lungo soggiorno che presuppone una durata pregressa della residenza in Italia almeno quinquennale, un reddito comunque almeno pari all’importo dell’assegno sociale, un alloggio idoneo e la conoscenza della lingua italiana determinando, con ciò, l’esclusione di chi si trovi in situazione di maggior bisogno rispetto a tale categoria e disparità di trattamento tra situazioni identiche o analoghe, lesive del principio di eguaglianza. Ad avviso dei Giudici di legittimità, non sembra sussistere alcuna ragionevole correlazione tra la residenza protratta nel tempo e la funzione della prestazione in esame avente il ruolo di sostegno economico volto a soddisfare bisogni immediati e indifferibili, a fronteggiare esigenze primarie legate alla nascita di un bambino o alla sua adozione, poco influenzati dalla sussistenza o meno del radicamento nel territorio dello Stato. La parità di trattamento riguarda solo i servizi che soddisfano un bisogno primario della persona. Ad avviso della Suprema Corte, neppure le considerazioni svolte nella recente sentenza della Corte Costituzionale n. 50 del 2019 – in tema di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, l. n. 388/2000, nella parte in cui subordina il diritto a percepire l’assegno sociale, per gli stranieri extracomunitari, alla titolarità della carta di soggiorno ora permesso di lungo soggiorno – pare possa risolvere il dubbio di costituzionalità relativo alla norma in esame. Infatti, in tale occasione, il soddisfacimento di tale condizione per il solo straniero extracomunitario è stata ritenuta non irragionevole in base al fatto che l’assegno sociale è misura che, rivolgendosi a chiunque abbia compiuto 65 anni di età, persegue finalità peculiari e diverse rispetto a quelle proprie delle misure di assistenza legate a specifiche esigenze di tutela sociale della persona che non tollerano discriminazioni, come nel caso delle invalidità psicofisiche. Nella citata pronuncia, tuttavia, si è specificato che la Costituzione impone di preservare l’uguaglianza nell’accesso all’assistenza sociale tra cittadini italiani e comunitari da un lato, e cittadini extracomunitari dall’altro, soltanto con riguardo a servizi e prestazioni che, nella soddisfazione di un bisogno primario dell’individuo che non tollera un distinguo correlato al radicamento territoriale così, Corte Cost., n. 222/013 , riflettano il godimento dei diritti inviolabili della persona per questa parte, infatti, la prestazione non è tanto una componente dell’assistenza sociale che l’art. 38, comma 1, Cost. riserva al cittadino” , quanto un necessario strumento di garanzia di un diritto inviolabile della persona art. 2 Cost. . Per i Giudici di legittimità, la tutela della maternità, anche sotto il profilo del sostegno economico al momento della nascita, sembra possa rientrare nella definizione sopra ricordata e, pertanto, deve risultare conforme alla parità di trattamento. Esclusione degli extracomunitari non soggiornanti di lungo periodo violata la tutela della maternità e della famiglia? La Suprema Corte ravvisa un possibile contrasto della norma in esame anche con l’art. 31 Cost,. giacché l’irragionevole disparità di trattamento nei riguardi dei cittadini extracomunitari produrrebbe anche l’effetto di violare i diritti protetti dall’art. 31 Cost., laddove la Repubblica si è fatta carico di agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e di proteggere la maternità e l’infanzia. La maternità, in quanto oggetto di specifica tutela costituzionale, non può restare priva di ogni forma di tutela come avverrebbe per le ipotesi a cui si riferisce il citato art. 74, da inserirsi nel quadro dei diritti fondamentali della persona. Entrambe le ordinanze, pertanto, sollevano la questione di legittimità costituzionale.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza interlocutoria 2 aprile – 17 giugno 2019, n. 16164 Presidente Manna – Relatore D’Antnio Rilevato in fatto 1. La Corte d’appello di Brescia ha confermato l’ordinanza emessa dal Tribunale, ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 28, che aveva dichiarato la natura discriminatoria della condotta tenuta dall’Inps, il quale aveva negato a G.F. , cittadina extracomunitaria titolare di permesso di soggiorno per motivi familiari, il diritto all’assegno di natalità previsto dalla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 125, in quanto non soggiornante di lungo periodo, come richiesto dalla norma. La Corte ha esposto che l’art. 12 della direttiva comunitaria del 2011/98 volta a garantire la parità di trattamento ai cittadini di paesi terzi ammessi in uno stato membro a fini diversi dal lavoro ai quali è consentito lavorare nonché ai cittadini dei paesi terzi ammessi in uno stato membro a fini lavorativi con i lavoratori cittadini dello stato membro in cui soggiornano non aveva trovato attuazione nel termine fissato agli stati membri per adeguarsi e che, tuttavia, la norma era di portata chiara ed incondizionata dovendo, pertanto, trovare diretta applicazione con conseguente disapplicazione della norma nazionale con essa contrastante. La Corte, quindi,richiamato il citato art. 12 della direttiva, in particolare per quanto concerneva il settore della sicurezza sociale come definito nel regolamento CE n. 883/2004, lett. e nonché le ipotesi in cui gli stati membri potevano limitare la parità di trattamento art. 12, n. 2 ,ha esposto che la prestazione in oggetto ricadeva nell’ambito della sicurezza sociale, oggetto del regolamento comunitario richiamato dalla direttiva, perché diretta a tutelare economicamente la maternità e la paternità ed era corrisposta in modo automatico senza discrezionalità, né la ricorrente rientrava tra le eccezioni previste alla parità di trattamento di cui al punto 2 della norma comunitaria. La Corte territoriale ha concluso, pertanto, ritenendo discriminatorio il comportamento dell’Inps che aveva negato l’assegno pur sussistendo gli altri requisiti previsti dalla norma ai fini dell’erogazione del beneficio. 2. Avverso la sentenza ricorre l’Inps con un motivo. Resiste la G.F. . Entrambe le parti hanno depositate memorie ex art. 378 c.p.c 3. Con l’unico articolato motivo di ricorso, l’Inps deduce violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 190 del 2014, art. 1, commi da 125 a 129, e connesso D.P.C.M. 27 febbraio 2015, artt. 4 bis, comma 1 bis, art. 5, commi 8.1. e 8.2., art. 9, comma 12 lett. c D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 43 e 44, anche in relazione all’art. 12 disp. gen., all’art. 12 della direttiva 2011/98/UE, recepita con il D.Lgs. n. 40 del 2014, ed all’art. 3 del regolamento CE 883/2004, per avere la sentenza impugnata riconosciuto il diritto della ricorrente, cittadina extracomunitaria titolare di permesso di soggiorno per motivi familiari ma priva del permesso di lungo soggiorno, a percepire le somme richieste a titolo di assegno di natalità previsto dalla L. n. 190 del 2014, art. 1, commi da 125 a 129, in favore dei cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione Europea o di cittadini extracomunitari con permesso di soggiorno di lungo periodo in possesso del requisito reddituale previsto non superiore ai 25000 Euro annui con maggiorazione in caso di reddito annuo non superiore a 7000 Euro pur in assenza, nel disposto normativo indicato di una previsione specifica e definendo discriminatoria la condotta dell’INPS. 4.Ad avviso del ricorrente, dall’impianto normativo istitutivo della prestazione rivendicata, e segnatamente dal meccanismo di monitoraggio della spesa in relazione al numero delle domande in concreto presentate con possibilità per l’INPS di sospensione dell’acquisizione delle domande in attesa del decreto ministeriale previsto dal D.P.C.M. 27 febbraio 2015, art. 6, comma 2, si evincono sia la natura di premio”, diretto ad incentivare la natalità nell’ambito del territorio nazionale a causa della notoria flessione delle nascite,sia l’estraneità di tale misura rispetto al sistema delle tutele di sicurezza sociale richiamate dal regolamento CEE 883/2004 in tal senso il ricorrente richiama quanto affermato dalla Corte Costituzionale con Ila sentenza n. 141 del 2014 a proposito del cd. bonus bebè previsto con legge della Regione Campania n. 4, art. 1 comma 78, del 2011, disposizione considerata giustificata e razionale, come pure in casi analoghi era avvenuto da parte delle sentenze della Corte Costituzionale nn. 222, 178, 4 e 2 del 2013. Gli inderogabili doveri di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., e le misure di protezione della maternità di cui all’art. 31 Cost., comma 2, sono realizzati, ad avviso dell’istituto ricorrente, dalla disposizione contenuta nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 35, comma 3, là dove è prevista per tutti gli stranieri, ancorché non iscritti al Servizio sanitario nazionale, la tutela della gravidanza e della maternità a parità di trattamento con le cittadine italiane e la tutela della salute del minore. Peraltro, come riconosciuto da Corte Costituzionale n. 222 del 2013, il radicamento nel territorio nazionale derivante dalla titolarità del permesso di lungo soggiorno è elemento valido a giustificare il riconoscimento di prestazioni sociali solo a coloro i quali hanno conseguito tale permesso a fronte della limitatezza delle risorse economiche disponibili e della discrezionalità che va riconosciuta al legislatore ove non si versi in misure appartenenti ai livelli essenziali di assistenza. In ragione di tali considerazioni, dunque, la disposizione denunciata quale discriminatoria è, per l’INPS, misura del tutto estranea all’ambito della sicurezza sociale oggetto della previsione contenuta nell’art. 12, della Direttiva UE 2011/98 e, quindi all’oggetto del diritto alla parità di trattamento ivi previsto, e conforme ai principi Costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 31 e 38 Cost Infine, l’Istituto evidenzia che la propria tesi non è contraddetta dalla sentenza della Corte di Giustizia del 21 giugno 2017 C 449/2016 in quanto l’assegno di natalità di cui alla L. n. 190 del 2014, è destinato ad incentivare le nascite e rientra nella previsione dell’art. 70, del citato Regolamento quale misura retta dalla fiscalità generale, a differenza dell’assegno per il nucleo familiare erogato dai Comuni di cui alla L. n. 448 del 1998, art. 65, che è un contributo pubblico destinato ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli. 5.La controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 366 c.p.c., per l’assenza di relazione tra la regola giuridica applicata dal giudice di merito e la regola ritenuta corretta, con l’ulteriore elemento di genericità costituito dall’aver affermato in modo apodittico che l’assegno di natalità in oggetto non è prestazione di sicurezza sociale, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata. In ogni caso la controricorrente ribadisce l’infondatezza delle affermazioni sottese al motivo di ricorso, in quanto il diritto a non subire disparità di trattamento, fondato sull’art. 12 della Direttiva UE 2011/98, deriva dalla inclusione della sua posizione di cittadino titolare di permesso di soggiorno che consente di lavorare paragrafo 1, lett. b e c della citata Direttiva 2011/98 e dalla natura della prestazione rivendicata, che rientra nel settore della sicurezza sociale definito dal Regolamento 883 del 2004, art. 3, comma 1, lett. b prestazioni di maternità e paternità assimilate” e lett. j prestazioni familiari”, in quanto diretta a tutelare la maternità e la paternità ed ad alleviare gli oneri familiari, come peraltro ribadito nella giurisprudenza Europea CGUE 16.7.1992 in Euro 78/91 CGUE 5.3.1998 in C-160/1996 CGUE 14.6.2016 C-308/2014 CGUE C21.6.2017 C-449/16 . 6. Quanto, poi, al profilo relativo al vincolo di spesa annuale imposto all’Istituto attraverso il monitoraggio dell’andamento dell’uscita di cassa, la G. osserva che tale meccanismo, oltre a non poter evitare la necessaria applicazione del diritto Eurounitario, in concreto, data la scadenza del termine originariamente previsto per la fruizione del beneficio 31 dicembre 2017 , è semmai prova del fatto che il riconoscimento del diritto anche ai titolari del permesso di soggiorno per lavoro non ha comportato alcuna conseguenza sul piano della copertura finanziaria prevista. 7.Infine, nel controricorso si segnala la natura del tutto apodittica dell’affermazione dell’INPS relativa alla contrarietà alla finalità di incentivo alla natalità del trattamento richiesto con una presenza solo temporanea dei titolari di permesso di unico di lavoro, in quanto nulla in concreto può collegare il possesso del permesso unico di soggiorno alla presunzione di permanenza solo temporanea sul territorio nazionale, soprattutto considerando che il permesso di lungo periodo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9, è subordinato, oltre che alla residenza effettiva per almeno cinque anni, anche al raggiungimento di un reddito minimo ed alla fruizione di un alloggio idoneo e che la direttiva UE 2011/98 non ha scelto questo criterio per selezionare i soggetti cui va assicurata la parità di trattamento in materia di sicurezza sociale. Considerato in diritto 1. Ritiene il Collegio, dovendosi escludere che il ricorso sia inammissibile per difetto di specificità del motivo in ragione della piena idoneità dei vizi di violazione di legge prospettati ad incrinare la ricostruzione giuridica seguita dalla sentenza impugnata, che la questione prospettata importi innanzi tutto la necessità di verificare la legittimità costituzionale della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 125, in relazione agli artt. 3 e 31 Cost., e art. 117 Cost., comma 1, quest’ ultimo in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea CDFUE , proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. 2. Il testo della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 125, prevede Al fine di incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno, per ogni figlio nato o adottato tra il 1 gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 è riconosciuto un assegno di importo pari a 960 Euro annui erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o adozione. L’assegno, che non concorre alla formazione del reddito complessivo di cui all’art. 8 del testo unico di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, è corrisposto fino al compimento del terzo anno di età ovvero del terzo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito dell’adozione, per i figli di cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione Europea o di cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno di cui all’art. 9 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, residenti in Italia e a condizione che il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente l’assegno sia in una condizione economica corrispondente a un valore dell’indicatore della situazione economica equivalente ISEE , stabilito ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, non superiore a 25.000 Euro annui. L’assegno di cui al presente comma è corrisposto, a domanda, dall’INPS, che provvede alle relative attività, nonché a quelle del comma 127, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Qualora il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente l’assegno sia in una condizione economica corrispondente a un valore dell’ISEE, stabilito ai sensi del citato regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, non superiore a 7.000 Euro annui, l’importo dell’assegno di cui al primo periodo del presente comma è raddoppiato”. 3. Rilevanza della questione di costituzionalità. Il presente giudizio è stato introdotto dall’attuale controricorrente denunciando la natura oggettivamente discriminatoria della negazione, da parte dell’INPS, dell’assegno di natalità di cui sopra in ragione del possesso del permesso unico di lavoro anziché di quello di lungo soggiorno D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 9. In particolare, è stato fatto valere il dritto a beneficiare dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato italiano per quanto concerne l’erogazione dell’assegno di cui alla L. n. 190 del 2014, art. 1, commi 125 129, in applicazione del disposto dell’art. 12, paragrafo 1, lett. e della direttiva UE 2011/98, con richiesta di non applicazione del disposto della norma il cui testo, invece, la esclude, ritenendola incompatibile con il diritto Europeo. 4. È evidente che il chiaro tenore testuale della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 125, dimostra che il carattere in sé lesivo del diritto a non subire disparità di trattamento è da verificare innanzi tutto nella previsione di legge che ha introdotto l’assegno di natalità, selezionando i beneficiari in ragione di requisiti diversi a seconda della nazionalità, essendo la condotta dell’INPS solamente applicativa di tale disposto. 5. Inoltre, avendo la G.F. chiesto la condanna dell’INPS all’erogazione dell’assegno di natalità quale concreta misura idonea ad eliminare gli effetti della discriminazione ed avendo, in sede di legittimità, il ricorrente denunciato vizio di violazione di legge incentrato sulla affermata erronea interpretazione di tale disposizione in relazione alle previsioni della direttiva UE 2011/98, la concreta rilevanza della questione di legittimità costituzionale che la involge è evidente, non potendo la Corte di cassazione fare a meno di vagliare la L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 125, al fine di risolvere la questione oggetto di giudizio. 6. Non vi è dubbio, inoltre, che qualora si dovesse fare applicazione della disposizione appena citata, la domanda della cittadina extracomunitaria sarebbe rigettata perché è pacifico che, pur essendo presenti gli ulteriori presupposti richiesti, la G.F. non è titolare del permesso di lungo soggiorno D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 9. Né l’inequivocabile tenore letterale della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 125, che per i cittadini extracomunitari espressamente condiziona il diritto all’assegno de quo, fra gli altri requisiti, al permesso di soggiorno di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9, è suscettibile di estensione in via di interpretazione costituzionalmente conforme donde la necessità di investire il giudice delle leggi . 7. Detta rilevanza, peraltro, non è impedita dalla pur concreta possibilità di procedere alla disamina del motivo di ricorso privilegiando la finalità, perseguita dai giudici di merito, diretta esclusivamente alla verifica di compatibilità della norma denunciata con la previsione dell’art. 12, paragrafo 1 lett. e , della direttiva UE 2011/98, che impone la parità di trattamento in favore dei lavoratori dei paesi terzi di cui all’art. 3 paragrafo 1, lett. b e c ” e che, ove l’incompatibilità si evidenzi anche previo ricorso pregiudiziale alla CGUE, conduce all’inapplicabilità alla fattispecie in esame del disposto della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 125, in ragione del principio di prevalenza del diritto Eurounitario sul diritto nazionale. 8. Va infatti osservato che l’interpretazione della citata disposizione, sollecitata, ancor prima che dal motivo di ricorso per cassazione, dalla stessa denuncia degli effetti discriminatori insiti nella disposizione formulata dalla ricorrente in primo grado, importa la necessaria disamina della conformità a Costituzione della disposizione in esame che richiama, testualmente, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9, e, quindi, il sistema normativo che disciplina la materia dei permessi di soggiorno e dei diritti riguardanti i cittadini stranieri delineato dal citato testo unico che, attraverso le modifiche apportate dai due articoli del D.Lgs. n. 40 del 2014, ha pure recepito la direttiva UE 2011/98. 9. Nel caso di specie, ritiene il Collegio che il peculiare meccanismo di funzionamento della non applicazione della disposizione contenuta nella L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 125, ovviamente limitato all’inciso che richiede per cittadini extra comunitari anche il possesso di permesso di lungo soggiorno, non possa realizzare effetti analoghi a quelli derivanti dalla pronuncia di incostituzionalità per violazione degli artt. 3 e 31 Cost., e art. 117 Cost., comma 1, quest’ ultimo in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea CDFUE . 10. Solo in sede di giudizio costituzionale è possibile, infatti, valutare la ragionevolezza della scelta discrezionale legislativa, frutto di bilanciamento dei contrapposti interessi e considerare, come si dirà più approfonditamente in sede di giudizio di non manifesta infondatezza, gli indici normativi che avrebbero dovuto condurre il legislatore a riconoscere quale unico criterio selettivo giustificato e ragionevole il possesso della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 41, quale espressione di un principio generale, al fine di riconoscere ai titolari la piena equiparazione ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale. 11. Ad avviso del Collegio, per tali ragioni legate ai diversi effetti che potrebbero derivare dalla pronuncia della Corte Costituzionale rispetto al sistema al cui interno si colloca la disposizione sospettata di illegittimità costituzionale, l’applicabilità alla fattispecie della direttiva UE 2011/98 non determina l’irrilevanza della questione di costituzionalità e la stessa va subito sollevata. 12. Ciò è in sintonia con quanto affermato dalla più recente giurisprudenza costituzionale Corte Costituzionale n. 63 del 2019 , secondo la quale . ove il giudice a quo ha inteso formulare in termini chiari e definitivi le questioni sottoposte all’esame di questa Corte, occorre in questa sede ribadire sulla scorta dei principi già affermati nelle sentenze n. 269 del 2017 e n. 20 del 2019 che a questa Corte non può ritenersi precluso l’esame nel merito delle questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento sia a parametri interni, anche mediati dalla normativa interposta convenzionale, sia per il tramite dell’art. 11 Cost., e art. 117 Cost., comma 1, alle norme corrispondenti della Carta che tutelano, nella sostanza, i medesimi diritti e ciò fermo restando il potere del giudice comune di procedere egli stesso al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, anche dopo il giudizio incidentale di legittimità costituzionale, e ricorrendone i presupposti di non applicare, nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame, la disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta . Laddove però sia stato lo stesso giudice comune a sollevare una questione di legittimità costituzionale che coinvolga anche le norme della Carta, questa Corte non potrà esimersi, eventualmente previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, dal fornire una risposta a tale questione con gli strumenti che le sono propri strumenti tra i quali si annovera anche la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione ritenuta in contrasto con la Carta e pertanto con l’art. 11 Cost., e art. 117 Cost., comma 1 , con conseguente eliminazione dall’ordinamento, con effetti erga omnes, di tale disposizione”. 13. Non manifesta infondatezza. La L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 125, riferito ai nuovi nati o adottati tra il primo gennaio 2015 ed il 31 dicembre 2017, è una misura che concorre a formare il sistema dei sostegni sociali alla genitorialità. 14. Il beneficio consiste nell’erogazione di un assegno, da parte dell’Inps, nell’arco dei primi tre anni di vita per ciascun figlio nato o adottato da genitori residenti sul territorio nazionale che abbiano redditi non superiori ad Euro 25000 secondo gli indicatori ISEE. Laddove, però, i genitori siano cittadini extra comunitari, si richiede l’ulteriore requisito della titolarità del permesso di lungo soggiorno D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 9, con la conseguenza che la prestazione può essere erogata solo ai cittadini extracomunitari, che ai fini dell’ottenimento del permesso in questione, abbiano dimostrato di disporre di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 29, comma 3, lett. b , nonché di un alloggio idoneo e di aver superato un test di conoscenza della lingua italiana. 15. L’onere finanziario relativo all’erogazione dell’assegno è esclusivamente a carico dello Stato e, come afferma la stessa disposizione, la misura persegue la finalità di incentivare la natalità” e di contribuire alle spese per il suo sostegno”. 16. A fronte di ciò, e segnatamente della limitazione dei possibili beneficiari in ragione della fruizione di redditi modesti o addirittura estremamente bassi, non pare seriamente dubitabile che si tratti di misura soprattutto tesa al sostegno delle famiglie in condizioni economiche non agiate qualora non si superi il tetto di 25000 Euro annui o addirittura in stato di bisogno per l’ipotesi di redditi non superiori a 7000 Euro annui . 17. Peraltro, il D.P.C.M. 27 febbraio 2015, art. 5, emanato per dare attuazione alla misura, prevede la decadenza dal beneficio in ragione della perdita, durante il triennio, dei requisiti economici posseduti al momento di presentazione della domanda, di decesso del figlio o di perdita della responsabilità genitoriale. 18. In altri termini si tratta di prestazione di assistenza sociale di contenuto economico realizzante uno degli interventi finalizzati alla valorizzazione ed al sostegno delle responsabilità familiari, così come previsto, in applicazione dei principi costituzionali fissati dagli artt. 2 e 3 Cost., dalla L. n. 328 del 2000, all’art. 16. 19. La disposizione si caratterizza per l’adozione di un criterio di selezione dei beneficiari affidato a ragioni di nazionalità e di contemporanea presenza di condizioni economico-sociali peculiari compendiate nel rinvio al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9 relative ai soli cittadini extracomunitari, essendo invece comuni a cittadini Europei ed extracomunitari gli ulteriori requisiti dell’attualità della residenza in Italia e della percezione di redditi non superiori alle modeste soglie sopra indicate. 20. In sostanza, la fruizione dell’assegno risulta, per testuale previsione di legge e senza che possa sperimentarsi alcuna diversa interpretazione che eviti l’oggettiva disparità di trattamento, esclusa nei confronti dei nati o degli adottati tra il primo gennaio 2015 ed il 31 dicembre 2017 da genitori cittadini extracomunitari che fruiscono di redditi non superiori ad Euro 7000 o ad Euro 25000, sono legalmente residenti in Italia in base ad idoneo permesso di soggiorno e lavoro, ma non risultano titolari del permesso di lungo soggiornanti di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9. 21. Inoltre, la disposizione in esame non si raccorda in alcun modo con la previsione contenuta nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 41, disposizione appartenente all’insieme di norme contenute nel t.u. che l’art. 1, comma 4, definisce norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica” che riconosce in linea generale parità di trattamento, rispetto ai cittadini italiani, in materia di assistenza sociale ai cittadini extracomunitari titolari di permesso di soggiorno e di lavoro validi per almeno un anno. 22. La disposizione suscita il dubbio di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza e della disparità di trattamento, dell’art. 31 Cost., dell’art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. 23. Thema decidendum. I profili della questione sono i seguenti. Quanto alla possibile violazione dell’art. 3 Cost., pare in contrasto con il principio di ragionevolezza prevedere dapprima e correttamente che l’erogazione dell’assegno di natalità debba essere uguale a parità di bisogno, e poi escludere contraddittoriamente dalla medesima prestazione sociale, rilevante perché a contenuto economico, intere categorie di soggetti, selezionati non in base all’entità o alla natura del bisogno, ma ad un criterio privo di ogni collegamento con questo, quale la titolarità del permesso di lungo soggiorno che presuppone una durata pregressa della residenza almeno quinquennale, un reddito comunque almeno pari all’importo dell’assegno sociale, un alloggio idoneo e la conoscenza della lingua italiana determinando, con ciò, l’esclusione di chi si trova in situazione di maggior bisogno rispetto a tale categoria e disparità di trattamento tra situazioni identiche o analoghe, con conseguente lesione del principio di eguaglianza. 24. La Corte Costituzionale ha già ritenuto illegittime disposizioni simili a quella denunciata, sul rilievo che una disciplina del tipo considerato introduce un elemento di distinzione arbitrario, proprio perché non vi è alcuna ragionevole correlazione tra la residenza protratta nel tempo e i requisiti di bisogno e di disagio della persona che costituiscono il presupposto di fruibilità di una provvidenza sociale sentenza n. 40 del 2011 . 25. Peraltro, si tratta di prestazione sociale erogata in occasione della nascita di un figlio o della sua adozione, da fruire nell’arco di tre anni e, quindi, relativa a bisogni essenziali del nucleo familiare da soddisfare nei limiti di durata contenuta in tale arco temporale e destinata a non essere più erogata nell’ipotesi in cui venga meno qualcuno dei presupposti necessari durante il decorso del triennio. Sia avendo riguardo alla funzione di incentivo all’incremento demografico che alla funzione di sostegno economico, non si comprende in che relazione possano stare tali finalità con le circostanze di vita pregressa che costituiscono i presupposti per ottenere il permesso di lungo soggiorno di cui alla D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9. 26. Né a giustificare la pretesa giovano considerazioni legate alla particolare finalità di incentivare la natalità nel territorio nazionale che legittimerebbe l’imposizione della titolarità del permesso di lungo soggiorno, quale dimostrazione del particolare radicamento del richiedente nel territorio nazionale. Infatti, sebbene il permesso di lungo soggiorno dimostri tale radicamento e lasci presagire un progetto di continuità in tal senso, è altrettanto vero che tali considerazioni non risultano logicamente correlate con l’assegno di natalità di cui si discute, che non ha solo funzione di incentivo all’innalzamento demografico ma, soprattutto, riveste il ruolo di sostegno economico, limitato solo al primo triennio di vita del bambino o del suo inserimento in famiglia in caso di adozione, alle famiglie meno agiate i cui bisogni sono immediati ed indifferibili e certamente poco influenzati dai progetti di vita a lungo termine. 27. Non è, dunque, rilevante in questa sede quanto ha affermato la Corte Costituzionale a proposito della legittimità costituzionale di misure definite assegni di natalità” istituite da talune Regioni e che non avevano nessuna funzione di sostegno alla famiglie bisognose perché erogate a prescindere da limiti reddituali vedi Corte Costituzionale n. 222 del 2013 in relazione alla L.R. Friuli Venezia Giulia n. 16 del 2011, art. 3 . 28. Anzi, va ricordato che Corte Costituzionale n. 141 del 2014, nel giudicare la conformità all’art. 3 Cost., della legge regionale della Campania n. 4 del 2011, istitutiva di un bonus bebè” erogato a prescindere dal reddito familiare e solo sulla base della residenza biennale sul territorio regionale, ha affermato La questione che, con riguardo al cosiddetto bonus bebè, investe propriamente il solo prescritto requisito della permanenza biennale sul territorio regionale non è fondata, poiché non è irragionevole la previsione regionale che si limiti a favorire la natalità in correlazione alla presenza stabile del nucleo familiare sul territorio, senza che vengano in rilievo ulteriori criteri selettivi concernenti situazioni di bisogno o disagio, i quali non tollerano di per sé discriminazioni così, tra le altre, le sentenze n. 222, n. 178, n. 4 e n. 2 del 2013 ”. 29. Va aggiunta l’ulteriore considerazione che neppure rilevano, in senso contrario, valutazioni relative alla necessità di limitare l’erogazione di prestazioni di natura economica eccedenti quelle essenziali in ragione della limitatezza delle risorse disponibili, posto che ciò non esclude che le scelte connesse alla individuazione dei beneficiari necessariamente da circoscrivere in ragione della limitatezza delle risorse disponibili debbano essere operate sempre e comunque in ossequio al principio di ragionevolezza” come statuito da Corte Costituzionale n. 40 del 2011 e n. 4 32 del 2005. 30. A questo fine, la giurisprudenza costituzionale, sempre in materia di misure di assistenza sociale da garantire ai cittadini extracomunitari in possesso di titoli validi di soggiorno ma non della carta di soggiorno, ora permesso di lungo soggiorno, ha precisato la necessità che, fermi gli ulteriori presupposti richiesti per la fruizione delle misure di assistenza sociale, . nell’ottica della più compatibile integrazione sociale e della prevista equiparazione, per scopi assistenziali, tra cittadini e stranieri extracomunitari, di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 41, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero il soggiorno di questi ultimi risulti, oltre che regolare, non episodico né occasionale” Corte Cost. n. 230 del 2015 . 31. Neppure le considerazioni svolte nella recente sentenza della Corte Costituzionale n. 50 del 2019, in tema di legittimità costituzionale della L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19, nella parte in cui subordina il diritto a percepire l’assegno sociale, per gli stranieri extracomunitari, alla titolarità della carta di soggiorno ora permesso di lungo soggiorno pare possa risolvere il dubbio di costituzionalità relativo alla norma in esame. Infatti, il soddisfacimento di tale condizione per il solo straniero extracomunitario è stata ritenuta non irragionevole in virtù del fatto che l’assegno sociale è misura che, rivolgendosi a chiunque abbia compiuto 65 anni di età, persegue finalità peculiari e diverse rispetto a quelle proprie delle misure di assistenza legate a specifiche esigenze di tutela sociale della persona che non tollerano discriminazioni, come nel caso delle invalidità psicofisiche. Ha, in particolare, affermato la Corte Costituzionale, nella sentenza da ultimo citata, che . Tali persone ottengono infatti, alle soglie dell’uscita dal mondo del lavoro, un sostegno da parte della collettività nella quale hanno operato non a caso il legislatore esige in capo al cittadino stesso una residenza almeno decennale in Italia , che è anche un corrispettivo solidaristico per quanto doverosamente offerto al progresso materiale o spirituale della società art. 4 Cost. ”. 32. Il profilo di irragionevolezza appena illustrato e la disparità di trattamento che ne consegue, in definitiva, dovrebbero condurre alla declaratoria di incostituzionalità per violazione dell’art. 3 Cost. della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 125, nella parte in cui richiede ai soli cittadini extracomunitari ai fini dell’erogazione dell’assegno di natalità anche la titolarità del permesso unico di soggiorno, anziché la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno in applicazione della disposizione generale contenuta nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 41, norma che rappresenta l’equilibrato bilanciamento tra il diritto dell’extracomunitario di godere, a parità di trattamento con i cittadini italiani, delle misure di assistenza sociale e il riscontro di una presenza dello stesso non temporanea né episodica sul territorio nazionale. 33. Altro profilo di denuncia, conseguente a quello appena illustrato, è quello relativo all’art. 31 Cost., giacché l’irragionevole disparità di trattamento ai danni dei cittadini extracomunitari prodotta dalla norma denunciata determina anche l’effetto di violare i diritti protetti dall’art. 31 Cost., in forza del quale la Repubblica si fa carico di agevolare con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia e di proteggere la maternità e l’infanzia. 34. È evidente, infatti, che la richiesta della titolarità del permesso di lungo soggiorno per l’erogazione di un sostegno economico finalizzato ad incentivare le nascite e ad alleviare il peso economico del mantenimento del nuovo nato impedisce di fatto ed irrimediabilmente la realizzazione della garanzia costituzionale per quelle famiglie e per quei figli in cui nessuno dei genitori è in possesso del permesso di lungo soggiorno, pur trovandosi le stesse famiglie in modo non episodico o temporaneo a risiedere in territorio nazionale e vivendo nelle medesime, se non peggiori, condizioni economiche. 35. L’effetto, inevitabile, pare essere quello di negare per tali nuclei familiari e per i loro nuovi nati, in radice ed irrimediabilmente, la realizzazione del diritto sancito dalla Costituzione, con effetti disgreganti del tessuto sociale della nazione nel nucleo originario ed essenziale della famiglia. 36. La L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 125, inoltre, pare violare anche l’art. 117 Cost., comma 1, in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 CDFUE, che, rispettivamente, enunciano il principio di uguaglianza ed il divieto di discriminazioni, anche per cittadinanza, riconoscono il diritto dei bambini alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere”, garantiscono la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale” nonché riconoscono il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione”. 37. Il diniego dell’assegno di natalità di cui alla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 125, pare integrare, difatti, una discriminazione a causa della nazionalità, come pure espressamente vietato dall’art. 12, lett. e , della Direttiva 2011/98 applicabile ai cittadini di Paesi terzi, titolari del permesso unico di soggiorno come la G.F. , che espressamente prevede il diritto dei lavoratori di cui all’art. 3, paragrafo 1 lettere b e c , di beneficiare dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne fra l’altro i settori della sicurezza sociale definiti nel Regolamento CE n. 883/2004. 38. In particolare, va ricordato che la giurisprudenza Europea che ha avuto modo di esaminare la direttiva in questione sotto il profilo dei diritti sociali per cui va garantita la parità di trattamento CGLIE 21 giugno 2017 C-4491/2016 ha avuto modo di precisare che . la distinzione fra prestazioni escluse dall’ambito di applicazione del regolamento n. 883/2004 e prestazioni che vi rientrano è basata essenzialmente sugli elementi costitutivi di ciascuna prestazione, in particolare sulle sue finalità e sui presupposti per la sua attribuzione, e non sul fatto che essa sia o no qualificata come prestazione di sicurezza sociale da una normativa nazionale v., in tal senso, in particolare, sentenze del 16 luglio 1992, Hughes, C-78/91, EU C 1992 331, punto 14 del 20 gennaio 2005, Noteboom, C-101/04, EU C 2005 51, punto 24, e del 24 ottobre 2013, Lachheb, C-177/12, EU C 201.3 689, punto 28 . Una prestazione può essere considerata come una prestazione di sicurezza sociale qualora sia attribuita ai beneficiari prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad una situazione definita per legge, e si riferisca a uno dei rischi espressamente elencati nell’art. 3, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2004 v. in tal senso, in particolare, sentenze del 16 luglio 1992, Hughes, C-78/91, EU C 1992 331, punto 15 del 15 marzo 2001, Offermanns, C-85/99, EU C 2001 166, punto 28, nonché del 19 settembre 2013, Hliddal e Bornand, C-216/12 e C-217/12, EU C 2013 568, punto 48 ”. Inoltre, la stessa sentenza ha affermato che . l’espressione compensare i carichi familiari deve essere interpretata nel senso che essa fa riferimento, in particolare, a un contributo pubblico al bilancio familiare, destinato ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli v., in tal senso, sentenza del 19 settembre 2013, Hliddal e Bornand, C-216/12 e C-217/12, EU C 2013 568, punto 55 e giurisprudenza ivi citata ”. Pertanto, la sentenza ha concluso affermando che l’art. 12 della direttiva 2011/98 prevede . un diritto alla parità di trattamento, che costituisce la regola generale, ed elenca le deroghe a tale diritto che gli Stati membri hanno la facoltà di istituire. Tali deroghe possono dunque essere invocate solo qualora gli organi competenti nello Stato membro interessato per l’attuazione di tale direttiva abbiano chiaramente espresso l’intenzione di avvalersi delle stesse v., per analogia, sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj, C-571/10, EU C 2012 233, punti 86 e 87 ” e che . l’art. 12 della direttiva 2011/98 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale, in base alla quale il cittadino di un paese terzo, titolare di un permesso unico ai sensi dell’art. 2, lett. c , di tale direttiva, non può beneficiare di una prestazione come l’ANF, istituito dalla L. n. 448 del 1998”. 39. Alle argomentazioni sin qui svolte consegue che deve dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 125, in relazione agli artt. 3 e 31 Cost., e art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea CDFUE , proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, nella parte in cui, ai fini dell’erogazione dell’assegno di natalità, richiede ai soli cittadini extracomunitari anche la titolarità del permesso unico di soggiorno, anziché la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno, in applicazione della disposizione generale contenuta nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 41. A norma dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, va dichiarata la sospensione del presente procedimento con l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. La cancelleria provvederà alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente dei Consiglio dei ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. P.Q.M. La Corte di cassazione, visti l’art. 134 Cost., l’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 e la L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 125, in relazione agli artt. 3 e 31 Cost., e art. 117 Cost., comma 1, quest’ ultimo in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea CDFUE , proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, nella parte in cui richiede ai soli cittadini extracomunitari ai fini dell’erogazione dell’assegno di natalità anche la titolarità del permesso unico di soggiorno, anziché la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno in applicazione della D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 41. Sospende il presente procedimento. Manda la cancelleria per gli adempimenti previsti dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, u.c., e dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza interlocutoria 2 aprile – 17 giugno 2019, n. 16163 Presidente Manna – Relatore D’Antonio Rilevato in fatto 1.La Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale che aveva riconosciuto ad A.S. , cittadina macedone residente a Firenze, l’assegno di maternità D.Lgs. n. 151 del 2001, ex art. 74 per la nascita della bambina, cittadina italiana in quanto figlia di padre italiano. L’assegno era stato negato dall’INPS perché in Italia A.S. aveva soltanto un permesso per motivi familiari di durata biennale e non la carta di soggiorno e non poteva neppure definirsi familiare di cittadino comunitario ai sensi del D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 2. Invece la Corte territoriale, rilevato che la A. era convivente con il padre italiano della bambina e iscritta all’anagrafe nella medesima famiglia, ha ricondotto tale situazione sotto la previsione di cui al cit. D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 2, lett. B n. 2, relativa al partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata . Trattandosi di tutelare la maternità, secondo la Corte d’appello la norma citata doveva interpretarsi nel senso più ampio possibile e in modo tale da avere un significato nel nostro ordinamento che, pertanto, nel caso concreto la A. al momento della domanda amministrativa aveva diritto alla carta di soggiorno per i familiari del cittadino comunitario, essendo irrilevante che detta carta non le fosse stata ancora rilasciata il che era poi avvenuto il 19/5/2015 e che, per di più, tale carta le poteva essere rilasciata anche quale ascendente diretta di cittadina italiana. 2. Contro la sentenza ha proposto ricorso l’INPS con un solo motivo. La A. è rimasta intimata. La Procura generale ha concluso chiedendo sollevarsi questione di legittimità costituzionale. Ritenuto in diritto 3. Con l’unico motivo di ricorso l’INPS denuncia violazione del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 74 e del D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 2 affermando sia l’inapplicabilità di tale ultima fonte al caso in esame sia l’infondatezza dell’interpretazione accolta dalla Corte territoriale con riferimento alla nozione di familiare. 4. Questa Corte ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 74 nella parte in cui, per gli stranieri extracomunitari, subordina il diritto a percepire l’indennità di maternità al possesso della carta di soggiorno ora permesso di soggiorno UE per soggiornanti lungo periodo , violando tale precetto le disposizioni di cui agli artt. 3 e 31, nonché art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea CDFUE , proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. 5. In punto di rilevanza, si consideri che il tenore letterale di quest’ultima norma, là dove riconosce l’assegno di maternità anche alle madri cittadini di paesi extracomunitari purché in possesso di carta di soggiorno ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 9, carta di soggiorno di cui la A. non disponeva all’epoca dei fatti per cui è causa, è tale da non consentire interpretazioni estensive costituzionalmente conformi. In proposito si tenga presente che la A. , cittadina macedone residente a Firenze, titolare di permesso di soggiorno per motivi familiari, ha chiesto, quale genitore della minore S.M. , nata a OMISSIS e cittadina italiana in quanto figlia di padre italiano, la concessione dell’assegno di cui al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 74 documentando la propria posizione reddituale e dichiarando di non essere beneficiaria di trattamenti previdenziali di maternità a carico dell’INPS. L’Istituto le aveva negato la prestazione con comunicazione del 4/12/2013, in quanto non titolare di permesso per lungo soggiornanti, pur essendo invece in possesso degli altri requisiti e, in particolare, di quello reddituale. 6. La Corte territoriale ha accolto la domanda con argomenti che poggiano su un’interpretazione della norma non condivisibile in base alla quale la prestazione poteva essere riconosciuta alla ricorrente A. quale familiare di cittadino comunitario ai sensi del D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 1, lett. B . A prescindere dalla questione, solo ipotizzata da parte dell’INPS senza adeguata motivazione, dell’inapplicabilità del D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 1, la fattispecie in esame non è riconducibile nè alla figura di familiare di cui al n. 2 nè a quella successiva di cui al n. 4 della disposizione citata. La prima si riferisce agli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera B . La ricorrente, infatti, pur essendo ascendente di cittadina italiana la figlia come sopra detto è cittadina italiana sicuramente non è carico di questa, considerato che trattasi di neonata. Nè è configurabile la seconda ipotesi di cui al n. 4, che individua il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante . La lettera della norma è chiara nel richiedere la presenza di un’unione registrata secondo la legislazione degli stati e, pertanto, la mera convivenza con il padre italiano della bambina non è riconducibile all’ipotesi ben specifica considerata dalla norma. 7. La questione di costituzionalità, come sopra prospettata, che qui si intende sottoporre all’esame della Corte Costituzionale è, pertanto, rilevante attesa la necessità di diretta applicazione della norma, come invocata dalla ricorrente A. . Non vi è dubbio, infatti, che qualora si dovesse fare applicazione della disposizione appena citata, la domanda della cittadina extracomunitaria dovrebbe essere rigettata perché è pacifico che, pur essendo presenti gli ulteriori presupposti richiesti dalla norma per l’erogazione della prestazione, la A. non è titolare del permesso di lungo soggiorno D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 9, ma solo di permesso di soggiorno per motivi familiari. 8. Nè detta rilevanza deve essere esclusa dalla verifica di compatibilità della norma denunciata con la previsione dell’art. 12, paragrafo 1, lett. e , della direttiva UE 2011/98, che impone la parità di trattamento on favore dei lavoratori dei paesi terzi di cui all’art. 3 paragrafo 1, lett. b e c ” e che, laddove l’incompatibilità si evidenzi anche previo ricorso pregiudiziale alla CGUE, conduce alla inapplicabilità alla fattispecie in esame della disposizione in esame in ragione della prevalenza del diritto Euro unitario sul diritto nazionale. Non è, infatti, qui richiamabile la direttiva citata atteso che, all’epoca dei fatti che hanno riguardato la A. , tale direttiva non era stata ancora recepita dallo Stato italiano ed anzi ancora non era scaduto il termine fissato per il suo recepimento 25/12/2013 . Detta situazione esime questo Collegio dal dover esaminare se il diniego della corresponsione dell’indennità di maternità di cui al D.Lgs. n. 281 del 2001, art. 74 debba essere valutato in relazione all’art. 12 della direttiva citata, pur dovendosi rilevare che la Corte di giustizia ha già affermato che, in pendenza del termine per la trasposizione di una direttiva, gli Stati membri devono astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere gravemente il risultato prescritto dalla direttiva stessa sentenza Inter Environnement Wallonie, punto 45 . 9. L’art. 74 D.Lgs. recita testualmente Per ogni figlio nato dal 1 gennaio 2001, o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento dalla stessa data, alle donne residenti, cittadine italiane o comunitarie o in possesso di carta di soggiorno ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 9, che non beneficiano dell’indennità di cui agli artt. 22, 66 e 70 del presente testo unico, è concesso un assegno di maternità . I successivi commi 4 e 5 prevedono specifici limiti di reddito per poter usufruire di tale prestazione e stabiliscono che L’assegno di maternità di cui al comma 1, nonché l’integrazione di cui al comma 6, spetta qualora il nucleo familiare di appartenenza della madre risulti in possesso di risorse economiche non superiori ai valori dell’indicatore della situazione economica ISE , di cui al D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 109, tabella 1, pari a lire 50 milioni annue con riferimento a nuclei familiari con tre componenti. Ed il comma successivo stabilisce Per nuclei familiari con diversa composizione detto requisito economico è riparametrato sulla base della scala di equivalenza prevista dal predetto D.Lgs. n. 109 del 1998, tenendo anche conto delle maggiorazioni ivi previste. . Il comma 7 prevede, poi, la rivalutazione dell’importo al 1 gennaio di ogni anno, sulla base della variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati calcolato dall’ISTAT. 10. Circa la non manifesta infondatezza della prospettata questione di legittimità costituzionale, va rilevato che l’indennità in esame costituisce prestazione assistenziale erogata dall’INPS, una tantum, in mancanza di altre prestazioni collegate alla maternità e in favore di situazioni familiari meno agiate. Ove il genitore sia cittadino extracomunitario, si richiede l’ulteriore requisito della titolarità del permesso di lungo soggiorno D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 9, con la conseguenza che la prestazione può essere erogata solo ai cittadini extracomunitari che, ai fini dell’ottenimento del permesso in questione, abbiano dimostrato di disporre di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 29, comma 3, lettera b , nonché di un alloggio idoneo e di aver superato un test di conoscenza della lingua italiana. 11. A fronte di ciò, e segnatamente della limitazione dei possibili beneficiari in ragione della fruizione di redditi modesti o addirittura estremamente bassi, non pare seriamente dubitabile che la prestazione in esame costituisca un sostegno economico in un momento in cui le esigenze della persona sono maggiori, sostegno finalizzato a soddisfare bisogni essenziali collegati alla nascita o all’adozione di un bambino, in un contesto caratterizzato da redditi bassi, rappresentando un aiuto che può essere determinante al fine di evitare che una madre possa trovarsi, al momento del parto, in condizioni di povertà assoluta. 12. La disposizione suscita il dubbio di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza e della disparità di trattamento, dell’art. 31 Cost. e dell’art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. 13. Sotto il profilo della possibile violazione dell’art. 3 Cost. la norma appare introdurre un’ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri, legalmente soggiornanti in Italia, prevedendo solo per i secondi l’ulteriore requisito di essere in possesso della carta di soggiorno, ora soggiornanti di lungo periodo, escludendo, contraddittoriamente, dalla fruizione della medesima prestazione sociale, pur a fronte di situazioni di parità di bisogno, intere categorie di soggetti, selezionati non in base all’entità o alla natura del bisogno, ma ad un criterio privo di ogni collegamento con questo, quale la titolarità del permesso di lungo soggiorno che presuppone una durata pregressa della residenza in Italia almeno quinquennale, un reddito comunque almeno pari all’importo dell’assegno sociale, un alloggio idoneo e la conoscenza della lingua italiana determinando, con ciò, l’esclusione di chi si trovi in situazione di maggior bisogno rispetto a tale categoria e disparità di trattamento tra situazioni identiche o analoghe, lesive del principio di eguaglianza. Non appare, invero, sussistere alcuna ragionevole correlazione tra la residenza protratta nel tempo e la funzione della prestazione in esame avente il ruolo di sostegno economico volto a soddisfare bisogni immediati e indifferibili, a fronteggiare esigenze primarie legate alla nascita di un bambino o alla sua adozione, poco influenzati dalla sussistenza o meno del radicamento nel territorio dello stato. 14. Inoltre, la disposizione in esame non si raccorda in alcun modo con la previsione contenuta nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 41 disposizione appartenente all’insieme di norme contenute nel t.u. che l’art. 1, comma 4, definisce norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica” che, riconosce in linea generale parità di trattamento, rispetto ai cittadini italiani, in materia di assistenza sociale ai cittadini extracomunitari titolari di permesso di soggiorno e di lavoro validi per almeno un anno. Si osservi che, comunque, la previsione dell’art. 41 citato, nel prevedere una permanenza almeno annuale, esclude eventuali timori di erogazione dell’assegno anche a favore di stranieri solo del tutto momentaneamente in Italia. 15. Neppure le considerazioni svolte nella recente sentenza della Corte Costituzionale n. 50 del 2019, in tema di legittimità costituzionale della L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19, nella parte in cui subordina il diritto a percepire l’assegno sociale, per gli stranieri extracomunitari alla titolarità della carta di soggiorno ora permesso di lungo soggiorno pare possa risolvere il dubbio di costituzionalità relativo alla norma in esame. Infatti, in tale occasione, il soddisfacimento di tale condizione per il solo straniero extracomunitario è stata ritenuta non irragionevole in base al fatto che l’assegno sociale è misura che, rivolgendosi a chiunque abbia compiuto 65 anni di età, persegue finalità peculiari e diverse rispetto a quelle proprie delle misure di assistenza legate a specifiche esigenze di tutela sociale della persona che non tollerano discriminazioni, come nel caso delle invalidità psicofisiche. Ha, in particolare, affermato la Corte Costituzionale, nella sentenza da ultimo citata, citata che . Tali persone ottengono infatti, alle soglie dell’uscita dal mondo del lavoro, un sostegno da parte della collettività nella quale hanno operato non a caso il legislatore esige in capo al cittadino stesso una residenza almeno decennale in Italia , che è anche un corrispettivo solidaristico per quanto doverosamente offerto al progresso materiale o spirituale della società art. 4 Cost. ”. Nella citata pronuncia si è, tuttavia, specificato che la Costituzione impone di preservare l’uguaglianza nell’accesso all’assistenza sociale tra cittadini italiani e comunitari da un lato, e cittadini extracomunitari dall’altro, soltanto con riguardo a servizi e prestazioni che, nella soddisfazione di un bisogno primario dell’individuo che non tollera un distinguo correlato al radicamento territoriale sentenza n. 222 del 2013 , riflettano il godimento dei diritti inviolabili della persona. Per questa parte, infatti, la prestazione non è tanto una componente dell’assistenza sociale che l’art. 38 Cost., comma 1, riserva al cittadino , quanto un necessario strumento di garanzia di un diritto inviolabile della persona art. 2 Cost. . Sembra invero che la tutela della maternità anche sotto il profilo del sostegno economico al momento della nascita possa rientrare nella definizione di cui sopra, cui secondo la Corte Costituzionale, deve essere subordinata la parità di trattamento. Decisiva risulta essere, a riguardo, la considerazione che la maternità gode di una diretta tutela costituzionale. 16. Il profilo di irragionevolezza appena illustrato e la disparità di trattamento che ne consegue, in definitiva, dovrebbero condurre alla declaratoria di incostituzionalità, per violazione dell’art. 3 Cost., della L. n. 151 del 2001, art. 74 nella parte in cui richiede ai soli cittadini extracomunitari ai fini dell’erogazione dell’indennità di maternità anche la titolarità del permesso unico di soggiorno, anziché la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno in applicazione della disposizione generale contenuta nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 41, norma che rappresenta l’equilibrato bilanciamento tra il diritto dell’extra comunitario di fruire, a parità di trattamento con i cittadini italiani, delle misure di assistenza sociale ed il riscontro di una presenza dello stesso non temporanea nè episodica sul territorio nazionale. 17. La norma in esame deve essere valutata anche in relazione all’art. 31 Cost. giacché l’irragionevole disparità di trattamento, che genera la norma denunciata nei riguardi dei cittadini extracomunitari, produce anche l’effetto di violare i diritti protetti dall’art. 31 Cost., laddove la Repubblica si è fatta carico di agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e di proteggere la maternità e l’infanzia. La maternità, in quanto oggetto di specifica tutela costituzionale, non può restare priva di ogni forma di tutela come avverrebbe per le ipotesi a cui si riferisce l’art. 74 in esame, da inserirsi nel quadro dei diritti fondamentali della persona. È evidente, infatti, che la richiesta della titolarità del permesso di lungo soggiorno per l’erogazione di un sostegno economico al momento della nascita del bambino o della sua adozione impedisce di fatto e irrimediabilmente la realizzazione della garanzia costituzionale per quei figli e per quelle famiglie in cui nessuno dei genitori è in possesso del permesso di lungo soggiorno, pur trovandosi le stesse famiglie in modo non episodico o temporaneo a risiedere in territorio nazionale e vivendo nelle medesime, se non peggiori, condizioni economiche. L’effetto, inevitabile, pare essere quello di negare per tali nuclei familiari e per i loro nuovi nati, in radice e irrimediabilmente, la realizzazione del diritto sancito dalla Costituzione con effetti disgreganti del tessuto sociale della nazione nel nucleo originario ed essenziale della famiglia. 18. Quanto ai profili comunitari va rilevato che la norma in esame pare violare anche l’art. 117 Cost., comma 1, in relazione agli artt. 20, 21, 24, 33 e 34 CDFUE, che, rispettivamente, enunciano il principio di uguaglianza e il divieto di discriminazioni, anche per cittadinanza, riconoscono il diritto dei bambini alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere”, garantiscono la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale” nonché riconoscono il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione”. Non è invece qui richiamabile, come prima si è precisato, la direttiva 2011/98. 19. Consegue alle argomentazioni sin qui svolte che deve dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 74, in relazione agli artt. 3 e 31 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea CDFUE , proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, nella parte in cui richiede ai soli cittadini extracomunitari, ai fini dell’erogazione dell’indennità di maternità, anche la titolarità del permesso unico di soggiorno, anziché la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno, in applicazione della disposizione generale contenuta nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 41. A norma dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, va dichiarata la sospensione del presente procedimento con l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. La cancelleria provvederà alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. P.Q.M. La Corte di cassazione, visti l’art. 134 Cost., la L. Cost. 9 febbraio 1948, n. 1, art. 1 e la L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 74 in relazione agli artt. 3 e 31 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, quest’ ultimo in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea CDFUE , proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, nella parte in cui richiede ai soli cittadini extracomunitari ai fini dell’erogazione dell’indennità di maternità anche la titolarità del permesso unico di soggiorno, anziché la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno in applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 41. Sospende il presente procedimento. Manda la cancelleria per gli adempimenti previsti dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, u.c., e dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.