Le situazioni di incompatibilità tra trattamenti sono assoggettate alla regola generale dell’indebito

In materia di prestazioni assistenziali indebite, quali nell'ipotesi di erogazione contemporanea di pensione di invalidità civile e assegno ordinario di invalidità, tra loro incompatibili, trova applicazione non già la speciale disciplina dell'indebito previdenziale, bensì quella ordinaria dell'indebito civile di cui all'art. 2033 c.c

Lo afferma la Corte di Cassazione sezione lavoro con la sentenza n. 15759, pubblicata il 12 giugno 2019. Il caso deciso azione di ripetizione di indebito promossa da INPS nei confronti di soggetto che aveva percepito contemporaneamente pensione di invalidità civile e assegno ordinario di invalidità. L’INPS aveva agito in giudizio nei confronti di un soggetto che aveva percepito contemporaneamente pensione di invalidità civile e assegno ordinario di invalidità, domandando la condanna del beneficiario alla ripetizione di quanto indebitamente percepito. Il Tribunale rigettava la domanda, dichiarando non ripetibile l’indebito assistenziale. Analogamente la Corte d’Appello, decidendo il gravame proposto dall’INPS, confermava la sentenza del giudice di primo grado. Ricorreva così in Cassazione l’Ente previdenziale. Differenza tra mancanza dei requisiti richiesti La corte di merito, come peraltro il giudice di primo grado, ha respinto la domanda dell’Inps sul presupposto della irripetibilità dei trattamenti percepiti dal pensionato, qualora si verifichi il venir meno dei requisiti richiesti dalla legge per la concessione o il mantenimento del trattamento assistenziale. In materia la Suprema Corte si era pronunciata affermando che l'indebito assistenziale determinato dal venir meno, in capo all'avente diritto, dei requisiti reddituali previsti dalla legge abilita l'ente erogatore alla ripetizione delle somme versate solo a partire dal momento in cui è stato accertato il superamento dei predetti requisiti, a meno che non si provi che l' accipiens versasse in dolo rispetto a tale condizione come ad esempio allorquando l'incremento reddituale fosse talmente significativo da rendere inequivocabile il venire meno dei presupposti del beneficio , trattandosi di coefficiente soggettivo idoneo a far venir meno l'affidamento alla cui tutela sono preposte le norme limitative della ripetibilità dell'indebito. La Corte di legittimità ha avuto modo altresì di affermare che in tema di ripetibilità delle prestazioni indebite per mancanza dei requisiti richiesti, trovano applicazione, in difetto di una specifica disciplina, le norme sull'indebito assistenziale che fanno riferimento alla mancanza dei requisiti di legge in via generale. E su tali principi giurisprudenziali la corte territoriale si era basata per escludere la ripetibilità degli indebiti percepiti. e incompatibilità tra trattamenti. La Suprema Corte non condivide l’interpretazione data dai giudici d’appello. Le situazioni di incompatibilità fra trattamenti assistenziali, come quella che si delinea nel caso deciso, non comportano la irriconoscibilità del diritto ai trattamenti dichiarati. Tali situazioni di incompatibilità non costituiscono, pertanto, un requisito ostativo all'insorgenza del diritto ma devono solo essere verificate in sede di erogazione della prestazione e comportano semplicemente la facoltà dell'interessato di optare non tra l'una o l'altra prestazione, bensì per il trattamento economico più favorevole. Le incompatibilità non comportano pertanto la mancanza, originaria o sopravvenuta, di uno dei requisiti previsti dalla legge per il riconoscimento del diritto alla pensione, ma si pongono come elemento esterno alla prestazione goduta, costituendo ostacolo non al suo riconoscimento, bensì alla erogazione della prestazione stessa in presenza della percezione di altro analogo trattamento. Nella fattispecie per cui è causa difetta una specifica disciplina di riferimento conseguentemente, in ossequio ai principi di diritto sopra delineati, dovrà trovare applicazione il principio generale di cui all’articolo 2033 c.c Con l’ulteriore conseguenza che, accertata la contemporanea percezione di entrambe le prestazioni assistenziali ed escluso nel beneficiario l’affidamento sulla liceità della doppia erogazione delle indennità in oggetto, deve concludersi per la ripetibilità degli indebiti percepiti. Pertanto il ricorso proposto dall’Inps è stato accolto e cassata la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 marzo – 12 giugno 2019, n. 15759 Presidente Manna – Relatore D’Antonio Fatti di causa 1.La Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato non ripetibile l’indebito assistenziale che l’Inps aveva rilevato nei confronti di T.M. per avere quest’ultimo percepito,per il periodo 2001/2004, contemporaneamente la pensione di invalidità civile e l’assegno ordinario di invalidità,tra loro incompatibili. La Corte ha rilevato, con riferimento all’eccezione di prescrizione quantomeno parziale, che l’unica richiesta da parte dell’Inps era pervenuta l’8/5/2013 che con la precedente comunicazione del 4/3/2004 l’Inps, pur rappresentando l’entità dell’indebito, non ne aveva intimato il pagamento, ma anzi esplicitamente aveva rinviato a comunicazioni successive che avrebbero dovuto chiarire l’eventuale applicabilità di sanatorie e l’entità del residuo debito da corrispondere e che,pertanto, tale comunicazione non era idonea ad imporre un pagamento con la conseguenza che dovevano ritenersi prescritti i ratei afferenti al periodo anteriore al maggio 2003. Nel merito la Corte ha affermato l’inapplicabilità dell’art. 2033 c.c., nonché delle disposizioni regolanti le diverse ipotesi di mutamento delle condizioni sanitarie o di quelle reddituali e dovendo invece trovare applicazione le disposizioni di cui alla L. n. 29 del 1977, art. 3 ter, della L. n. 291 del 1988, art. 3, comma 10, aventi riguardo alle condizioni generali di concessione dei trattamenti assistenziali. Ha rilevato, pertanto, che secondo tali norme gli organi preposti alla concessione dei trattamenti economici dovevano provvedere periodicamente a verificare la permanenza dei requisiti di godimento procedendo,se del caso, alla revoca con effetto dal primo giorno del mese successivo, senza ripetizione delle somme precedentemente erogate. Secondo la Corte, pertanto, l’Inps non avrebbe potuto ripetere le somme erogate prima della comunicazione di indebito del marzo 2004. 2.Avverso la sentenza ricorre l’Inps con due motivi. Resiste il T. . Con ordinanza interlocutoria del 2/10/2018 la causa è stata rimessa dalla sesta sezione alla sezione ordinaria per la trattazione in pubblica udienza. Ragioni della decisione 3. L’Inps denuncia violazione degli artt. 1219, 2943 e 2934 c.c. per non avere la Corte ritenuto l’efficacia interruttiva della lettera del 2004. Rileva che la Corte ha confuso tra atto di costituzione in mora ed interruzione della prescrizione. Quest’ultima non deve consistere necessariamente in una richiesta o intimazione, ma può emergere anche da una dichiarazione con cui si manifesti l’intenzione di esercitare un diritto. 4. Il motivo è infondato per le ragioni che seguono. Questa Corte di cassazione ha affermato, in tema di prescrizione e con riferimento alla idoneità degli atti ad acquisire efficacia interruttiva, che l’atto di interruzione della prescrizione non deve necessariamente consistere in una richiesta o intimazione essendo questa una caratteristica riconducibile all’istituto della costituzione in mora , ma può anche emergere da una dichiarazione che, esplicitamente o per implicito, manifesti, puramente e semplicemente, l’intenzione di esercitare il diritto spettante al dichiarante, in tal guisa dovendosi interpretare estensivamente il disposto dell’art. 2943 c.c., comma 4, in sinergia ermeneutica con la più generale norma dettata, in tema di prescrizione, dall’art. 2934 c.c. . Si è affermato, altresì, che il relativo accertamento costituisce indagine di fatto, riservata all’apprezzamento del giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimità ove immune da errori giuridici e/o vizi logici cfr Cass. n. 15766/2006, n 19359/2007, n 1166/2018 . Deve, dunque,affermarsi che l’atto interruttivo,ai sensi dell’art. 2943 c.c., pur non richiedendo l’uso di formule sacramentali quale quella della intimazione , deve essere tale da manifestare la chiara volontà del creditore di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato il creditore, cioè, deve portare a conoscenza del debitore la sua volontà, chiaramente manifestata, di voler far valere il proprio diritto. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha escluso che la comunicazione inviata dall’Inps contenesse la chiara volontà dell’Istituto mancando, infatti, della necessaria inequivocabilità. In particolare la Corte ha sottolineato che detta comunicazione di tenore perplesso non era idonea ad imporre al debitore il pagamento della somma indicata proprio in ragione del rinvio fatto dall’istituto a successive comunicazioni che avrebbero dovuto chiarire l’eventuale applicabilità di sanatorie e l’entità del residuo da corrispondere. In questi termini, pertanto, le censure dell’Inps non possono trovare accoglimento per cui la sentenza impugnata si sottrae sul punto alle censure in fatto non risultando affetta da alcun vizio logico relativo ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio. 5. Con il secondo motivo l’Inps denuncia violazione dell’art. 2033 c.c. in relazione alla L. n. 54 del 1982, art. 9 che sancisce incompatibilità tra pensione e assegno e lamenta che erroneamente la Corte aveva ritenuto che la fattispecie fosse regolata dalle norme sull’indebito assistenziale che fanno riferimento alla mancanza dei requisiti di legge per il diritto a pensione - ovvero il D.L. n. 850 del 1976, art. 3 ter, conv. in L. n. 29 del 1977 e il D.L. n. 173 del 1988, art. 3, comma 10, conv. in L. n. 291 del 1988 - requisiti che nella specie sussistevano, essendosi, invece verificata l’incompatibilità tra le due prestazioni. Osserva che nessuna specifica norma regolava la fattispecie, che pertanto doveva trovare applicazione l’art. 2033 c.c. non essendo possibile applicare analogicamente norme relative ad altre ipotesi. 5. Il motivo è fondato. Il pensionato assume che doveva trovare applicazione la normativa concernente l’indebito in materia di prestazioni assistenziali in generale e che, pertanto, l’assistito poteva opporre all’ente erogatore dell’indennità, indebitamente percepita, il principio di irripetibilità delle somme incamerate precedentemente alla data di accertamento della carenza dei requisiti per il riconoscimento della provvidenza, una volta esclusa ogni sua responsabilità sulla erroneità del relativo provvedimento di erogazione e stante il generale principio di tutela dell’affidamento. La Corte territoriale ha accolto la prospettazione del T. ed ha ritenuto di escludere l’applicabilità dell’art. 2033 c.c. individuando,invece, come criterio quello contenuto nelle disposizioni della L. n. 29 del 1977 e della L. n. 291 del 1988 con riguardo alle concessioni in generale dei trattamenti assistenziali, con la conseguente irripetibilità delle somme riscosse dal pensionato. 6. Questa Corte ha evidenziato cfr Cass. 28771/2018 che il regime dell’indebito previdenziale ed assistenziale presenta tratti eccentrici rispetto alla regola della ripetibilità propria del sistema civilistico e dell’art. 2033 c.c., in ragione dell’ affidamento dei pensionati nell’irripetibilità di trattamenti pensionistici indebitamente percepiti in buona fede in cui le prestazioni pensionistiche, pur indebite, sono normalmente destinate al soddisfacimento di bisogni alimentari propri e della famiglia Corte Costituzionale 13 gennaio 2006, n. 1 , con disciplina derogatoria che individua alla luce dell’art. 38 Cost. - un principio di settore, che esclude la ripetizione se l’erogazione non sia addebitabile al percettore Corte Costituzionale 14 dicembre 1993, n. 431 . 6.Si è altresì precisato che,in generale, in tema di ripetibilità delle prestazioni assistenziali indebite trovano applicazione, in difetto di una specifica disciplina, le norme sull’indebito assistenziale che fanno riferimento alla mancanza dei requisiti di legge in via generale Cass. 1 ottobre 2015, n. 19638 Cass. 17 aprile 2014, n. 8970 Cass. 23 gennaio 2008, n. 1446 Cass. 28 marzo 2006, n. 7048 e quindi, in sostanza, il D.L. n. 850 del 1976, art. 3-ter, convertito in L. n. 29 del 1977 secondo cui gli organi preposti alla concessione dei benefici economici a favore , degli invalidi civili hanno facoltà, in ogni tempo, di accertare la sussistenza delle condizioni per il godimento dei benefici previsti, disponendo la eventuale revoca delle concessioni con effetto dal primo giorno del mese successivo alla data del relativo provvedimento ed il D.L. n. 173 del 1988, art. 3, comma 9, convertito nella L. n. 291 del 1988 secondo cui con decreto del Ministro del Tesoro sono stabiliti i criteri e le modalità per verificare la permanenza nel beneficiario del possesso dei requisiti prescritti per usufruire della pensione, assegno o indennità previsti dalle leggi indicate nel comma 1 e per disporne la revoca in caso di insussistenza di tali requisiti, con decreto dello stesso Ministro, senza ripetizione delle somme precedentemente corrisposte risultando invece abrogata la L. n. 537 del 1993, che regolava l’indebito assistenziale all’art. 11, comma 4 e non applicabile, per eccesso del regolamento dalla delega di legge, il D.P.R. n. 698 del 1994, art. 5, comma 5 sul tema v. in dettaglio, Cass. 7048/2006, cit. . 7. Nella fattispecie in esame, tuttavia, la soluzione adottata dalla Corte d’appello secondo cui devono trovare applicazione le regole di cui ai citati D.L. n. 850 del 1976, art. 3-ter, convertito in L. 29 del 1977, 850/1976, e D.L. n. 173 del 1988, art. 3, comma 9, convertito nella L. n. 291 del 1988 non può trovare accoglimento, dovendo, invece, le prestazioni erogate al T. essere assoggettate alla regola generale dell’indebito di cui all’art. 2033 c.c., difettando regole specifiche applicabili alla fattispecie, nè potendo applicarsi, in via analogica, quelle richiamate dalla Corte territoriale. 8.È pacifico, come risulta dallo stesso ricorso, che nel caso di specie l’inps ha richiesto la restituzione delle somme corrisposte indebitamente in quanto, in base alla L. n. 54 del 1982, art. 9, l’assegno mensile di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 13 è incompatibile con la pensione diretta di invalidità e che, poiché le due prestazioni erano state erogate contemporaneamente, l’Istituto aveva agito per la ripetizione. 9.Come correttamente rilevato dall’Istituto non si tratta di mancanza originaria o sopravvenuta di uno dei requisiti previsti dalla legge per il riconoscimento del diritto a pensione. A riguardo va richiamato quanto affermato da questa Corte cfr, da ultimo ord. n 15304/2016 secondo cui le situazioni di incompatibilità, come quella in esame, non comportano l’irriconoscibilità del diritto ai trattamenti dichiarati incompatibili. Le incompatibilità non costituiscono un requisito ostativo all’insorgenza del diritto, ma devono solo essere verificate in sede di erogazione della prestazione e comportano semplicemente la facoltà dell’interessato di optare per il trattamento economico più favorevole, rilevando, dunque, solo nella fase successiva all’insorgenza del diritto. La condizione della mancata percezione di altro trattamento, pertanto, si pone come elemento esterno alla prestazione goduta che costituisce ostacolo non al suo riconoscimento, bensì all’erogazione della stessa in presenza della percezione di altro analogo trattamento. 10. Va affermato, dunque, che nella fattispecie difetta una specifica disciplina derogatoria,non potendo trovare applicazione in via analogica quella applicata dalla Corte territoriale, avente riferimento all’insussistenza originaria o sopravvenuta dei requisiti prescritti dalla legge dovendo, conseguentemente, applicarsi il principio generale di cui all’art. 2033 c.c. in materia di indebito oggettivo che è applicabile all’ipotesi in cui sia stata accertata, come nella fattispecie, l’insussistenza della condizione di erogabilità della prestazione consistente nella mancata percezione di altro trattamento incompatibile secondo il dettato legislativo. 11.Va, altresì, sottolineato che la ratio che disciplina il particolare regime di favore in tema di ripetibilità dei trattamenti pensionistici illegittimamente percepiti non opera nella presente fattispecie in cui il pensionato continua a godere di uno dei due trattamenti cfr. per un caso analogo Cass. 5059/2018 secondo cui In materia di prestazioni assistenziali indebite, nell’ipotesi di erogazione dell’indennità di accompagnamento in difetto del requisito del mancato ricovero dell’assistibile in istituto di cura a carico dell’erario, trova applicazione non già la speciale disciplina dell’indebito previdenziale, bensì quella ordinaria dell’indebito civile di cui all’art. 2033 c.c. . 12. Pertanto, una volta accertata la contemporanea erogazione delle due prestazioni nell’arco dello stesso periodo di tempo ed escluso che potesse ingenerarsi nell’assistito l’affidamento sulla liceità dell’erogazione dei ratei di tale indennità, il ricorso va accolto. La sentenza impugnata deve essere cassata ed il giudizio rinviato alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione. P.Q.M. Accoglie il secondo motivo, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.